Piccolo
prequel di "To the Hell and back", da collocarsi il giorno prima
rispetto all'inizio della long-fic.
Lo
dedico a tutte le lettrici (e lettori se ci sono) che hanno portato THB
tra le storie più popolari e che aspettano il seguito con
immensa
pazienza, ma in particolare la dedico a Efy che si è documentata
apposta per leggere la mia one-shot Merthur e mi ha lasciato una
bellissima recensione.
Grazie anche a Euterpe
che mi beta, mi supporta ed è la fonte inesauribile della
mia ispirazione <3
Peace tea and biscuits,
Edenya
Emostasi
-
Non
coagula. Constatazione più semplice non avrebbe
potuto trovarla.
Il sangue sul vetrino – minuziosamente spillato da
uno sventurato topo che ha deciso, ore addietro, di mettere piede in
quello
scantinato polveroso – non coagula. In condizioni normali
dovrebbe esserne
felice perché significa che la sostanza aggiunta ha fatto
effetto, che
l’esperimento ha avuto successo. Dovrebbe, teoricamente.
Eppure mai come adesso
la scienza su cui ha sempre fatto affidamento sembra essere una precisa
e amara
allegoria della propria vita: spremuta a cielo aperto e privata della
consueta capacità
di riamalgamarsi, di ridare un senso a ogni istante, a ogni pensiero
nato e mai
finito.
Sposta lo sguardo sul ripiano di legno scheggiato,
che usa al posto del tavolo, e una smorfia corre a dipingergli le
labbra come
una molla. Si dice che è colpa dello squallore di quella
sistemazione
provvisoria se si sente la testa immersa in un fastidioso e perenne
ronzio, che
non è niente di chimico quel nodo alla gola che scandisce il
tempo
dolorosamente a ogni fiotto di saliva ingoiata.
Tre mesi sono passati da quando ha finto di
gettarsi dal tetto del Bart’s, tre mesi da quando la mano
protesa di John ha
cominciato ad apparirgli ogniqualvolta chiude gli occhi. Un arto privo
di
pelle, un agglomerato di carne maciullata, la pallida trasparenza di
dita
impalpabili; ogni volta sempre diversa e sempre più sua,
ogni volta sempre più
vicina. Sogna di afferrarla, Sherlock, ma al risveglio distrae la mente
con
minuscoli esperimenti per evitare di porsi quel fatidico
“perché” che
cambierebbe ogni cosa e finge di non aver dormito, di non essersi
gettato sul
marciapiede.
Il cigolio della porta raggiunge la sua membrana
timpanica ma non è sufficientemente interessante da fargli
distogliere lo
sguardo dal vetrino e da quei reticoli di fibrina così
restii a formarsi. Sa
già chi è. L’unica presenza che abbia
mai messo piede lì dentro negli ultimi
tre mesi, l’unico aiuto che non si sarebbe mai sognato di
chiedere… se solo non
ci fosse stata di mezzo la vita di John.
John.
-
-
Sherlock?
Il
passo di Molly è leggero ma non elegante, è il
lieve incedere di chi teme di essere troppo poco per poter disturbare
la vita.
-
- Ti
ho portato la cena.
Scivola
nello scantinato ignorando l’odore di
chiuso e il perenne caos che vi regna. Per una persona normale lei
altro non è
che l’emblema della dolcezza, una di quelle donne che non
puoi non adorare; per
Sherlock invece è solo fastidiosa col suo silenzio e i suoi
modi accomodanti.
La signora Hudson starebbe già borbottando come una teiera
in ebollizione,
affaccendandosi attorno a scartoffie e provette per dare un senso a
quelle
quattro mura, mentre lei rimane immobile al centro della stanza, col
vassoio in
bilico sui palmi aperti.
-
-
Hai
qualche notizia?
Un
gesto della mano, un sorriso tirato e le labbra
che si mordono ingoiando il rossetto. Lo ha capito da tempo, lei,
quello che
gli passa per la testa, sebbene non si azzarderebbe mai a parlargliene.
Lo ha
capito e fa male. Perché quando è riuscita a
vedere il cuore di Sherlock Holmes
ha visto anche la profonda piaga che lo apre a metà con la
minuzia chirurgica
che solo i sentimenti sanno mostrare, quella e il nome che gorgoglia
tra gli
sprizzi di sangue a ogni contrazione.
-
-
È
tornato da lavoro un’ora fa. Ha aiutato la
signora Hudson a caricare le valige sul taxi e poi è andato
a letto.
-
-
Hanno
controllato che la luce della camera si
spegnesse?
Molly
abbassa gli occhi a terra, poggiando il
vassoio sul tavolo e voltandosi per uscire. Solo quando è
sulla porta le parole
che Mycroft le aveva vietato di pronunciare scivolano dalle sue labbra
col
sibilo doloroso della consapevolezza.
-
- Non
si è mai accesa.
E
mentre la porta le si chiude alle spalle Sherlock
afferra il vetrino e lo scaglia violentemente contro la parete. Pochi
passi gli
bastano per vedere la macchia scurirsi sui calcinacci alla tipica
reazione di
coagulo, pochi passi per realizzare che non ce la fa più e
che non è l’aria
viziata a stringergli la gola; è la mancanza della sua voce
e il dolore sordo
d’una ferita che necessita di cure. Pochi passi per decidere
di ritornare.
A
qualche chilometro di distanza, nel buio del
221b, John sta affondando lacrime e bocca sull’odore di un
cuscino che non è il
suo.
Spero che basti a colmare
l'attesa del sequel.
Come sempre per info e blateramenti vari mi trovate qui
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