"Ohi Ryoga,
cos'è quella faccia pensierosa?" disse Ranma al suo degno
compare mentre si allontanavano dal corridoio da dove erano appena stati
scacciati.
"No, niente...".
"Tu non me la conti giusta, P-chan, e ti conosco abbastanza da sapere
che qualcosa ti preoccupa o ti dà da pensare. Dillo al tuo
caro amico disinteressato che vuole solo aiutarti".
"Disinteressato, eh? Come quando mi hai praticamente obbligato a dire
quella cosa di fronte a tutti, eh?".
"Oh suvvia, sei duro con me. E poi ero serio quando dicevo che dirlo o
non dirlo sarebbe cambiato poco e nulla".
"Feh. Forse. Comunque...".
"Dicci tutto che siamo tanto curiosi".
"Tu e chi, il tuo omino del cervello?".
"È un modo di dire, fastidioso che non sei altro. Ora
snocciola".
"Ma no, niente. Pensavo solo che, per il loro stesso bene, alle
amazzoni conviene non aver fatto troppi danni dentro la testa di Ukyo.
Altrimenti...".
"... andrai personalmente a Joketsuzoku, pianterai un urlo bestiale e
comincerai a distruggere tutto quello che vedi. O sbaglio?".
"N-no, non sbagli. Ma... ma come fai tu a...".
"È la stessa cosa che ho pensato io per Akane. Questo mi
conferma che non hai detto una balla e ciò torna utile alla
tua carcassa, che non sarò costretto a fare a pezzi
perché hai preso in giro la mia migliore amica".
"Per chi mi hai preso, Ranma! Non dico una cosa del genere a cuor
leggero!".
"Lo so Ryoga, lo so. Tranquillizzati. Mi ha solo fatto piacere avere un
ulteriore conferma. Piuttosto... sei pronto?".
"Per la mia prova, intendi?".
"Già".
"Sono pronto... non lo so. Forse. O forse no. Non posso saperlo
finché non mi toccherà".
"Vedi di non farmi scherzi, maiale. E cerca di tornare tutto d'un
pezzo".
“Stai tranquillo, non ho intenzione di morire per mano di
barattoli cinesi squilibrati. E poi” aggiunse, sogghignando
“se crepo poi come fai tu, senza il tuo maialino nero
preferito?”
Ranma rimase un attimo in silenzio, stupito dalla battuta di Ryoga -
nonché velata ammissione riguardo la loro ormai consolidata
amicizia, poi ricambiò il ghigno e gli si
avvicinò abbastanza da inquietare l’altro ragazzo:
“Esatto! Non voglio rimanere vedovo così presto,
morirei di dolore senza il P-Chan del mio cuore! E ho fatto anche la
rima, pensa te che bravo.”
“Tanto lo so che lo dici solo perché sono
l’unico porcellino che ti ronza attorno!”
L’allegro scambio di battute venne accolto dai volti
perplessi di Soun, Genma, Nabiki e il Dottor Tofu, giustamente stupiti
da manifestazioni di affetto tra quei due.
Ranma e Ryoga ricambiarono gli sguardi, senza fare un plissè.
“Cos’è, non ci avete mai visti
scambiarci effusioni?”
Nel frattempo, le degne compagne di Ranma e Ryoga erano ancora intente
a scambiarsi scuse e abbracci, quando...
“Scusate.”
Akane e Ukyo si voltarono.
“Mousse chiede se suoi vestiti sono asciutti. È
nudo e con alzabandiera.”
Le mascelle delle due ragazze caddero per terra, sia per
l’informazione non richiesta su Mousse, sia per chi
l’aveva appena espressa.
“S-Shan-Pu! Sei... sei davvero tu?!”
“Certo che sì, ne conosci altre?”
“Cavolo ti sei ripresa proprio bene se riesci a fare pure del
sarcasmo” rispose Ukyo, inarcando le sopracciglia.
"Io sta meglio, sì. Grazie per la preoccupazione" rise la
cinese, dimostrando così di essere quasi del tutto uscita
dal momento peggiore.
"Hai chiesto degli abiti di Mousse, giusto? Andiamo a vedere se sono
pronti" stabilì Akane, prendendola per un braccio e
trascinandola via. La povera Ukyo rimase lì con un palmo di
naso per poi alzare le spalle e decidere di andare a cercare di nuovo
Ryoga. Lui era l'ultimo, escludendo il bis di Mousse, e anche se
probabilmente non sarebbe servito a nulla voleva comunque essergli
vicino.
"Akane! Akane!" guaì Shan-Pu mentre la minore delle Tendo la
sballottava qua e là come un bambolotto tenuto male
"Perché tanta fretta? Vestiti mica scappano".
"Sì, i vestiti non scappano. Ma non voglio che quel ragazzo
si prenda un accidente rimanendo nudo". Il tono della sua voce era
concitato, quasi a voler intendere altro oltre a quanto aveva appena
detto.
E Shan-Pu non mancò di accorgersene: "Akane, tu... nasconde
qualcosa".
"Io? E cosa dovrei nascondere?" si affrettò a difendersi,
rendendosi conto subito dopo di averci messo fin troppa foga. E sapete
com'è, quando uno si difende in quel modo è
palese che l'accusa rivoltegli è sensata.
"Io non sapere. Ma era chiaro. Qualcosa preoccupa te, forse?".
Akane le mollò il polso e si fermò. A quel punto
era davvero evidente che Shan-Pu aveva fatto centro.
Si voltò verso di lei, il volto come... arrossito.
"Temo tu mi abbia beccata. Ebbene sì, ho un'idea fissa in
testa".
"Quale idea?".
"Ti prego di non giudicarmi male, ma sapendo che Mousse è
nudo nel mio bagno... ecco... non ho potuto fare a meno di pensare
che... tu e lui... maledetti Ukyo e Ryoga, è tutta colpa
vostra...".
Gli occhi della ragazza cinese scintillarono sinistramente.
"Devo forse intuire che... loro due? Quella cosa? Accoppiati come
conigli in calore?".
“...io sarò un maschio mancato ma neanche tu
scherzi, ragazza mia” rispose Akane, decisamente stupita
dall’uscita poco raffinata della cinese; la quale si
limitò a fare spallucce, per poi rimanere in silenzio con il
viso imbronciato.
“Shan-Pu, tutto ok?”
“Pensavo” rispose lei, seria. “Mi sono
proprio persa tante cose mentre ero K.O, come... come questa”
aggiunse, sfiorando con delicatezza la cicatrice sul volto di Akane. La
ragazza ebbe un lieve sussulto nel sentire le dita che leggere
tracciavano il tessuto cicatriziale.
“Tu ha combattuto... e ha vinto.”
“Sì... portandomi a casa anche un
premio.”
Shan-Pu osservò Akane in silenzio per qualche istante,
osservandone l’espressione triste. Nonostante
l’idea comune a tutti, Shan-Pu non era idiota. E
più di tutti, forse, poteva capire cosa potesse voler dire
quella cicatrice per Akane... perché lei per prima, anni
addietro, gliel’avrebbe fatta volentieri. Non ne andava fiera
ormai ma, all’epoca in cui la lotta per la conquista di Ranma
era ancora all’ordine del giorno, la cinesina avrebbe
sfigurato con piacere le sue avversarie; e ovviamente Akane era la
prima della lista. Perché tutti in fondo sapevano per chi di
loro Ranma avrebbe dato la vita, chi di loro era la ragazza che
guardava di nascosto quando lei non se ne accorgeva, quella per cui
batteva il suo cuore.
Shan-Pu in fondo l’aveva sempre saputo. E per questo,
più di Ukyo e Kodachi, avrebbe voluto lasciarle un marchio
indelebile sul viso.
“Io... devo scusarmi con te, Akane.”
Quest’ultima sgranò gli occhi. È la
giornata mondiale delle scuse nei miei confronti?
“Perché dovresti?”
“Perché so che tu ha sempre avuto problemi di
autostima, grazie a commenti stupidi di Ranma e noi
ex-pretendenti” rispose Shan-Pu, nel suo giapponese stentato
“e perché in passato... avrei voluto farti io
cicatrice. Perché Ranma ti amava, e credevo che con
cicatrice lui non ti avrebbe guardata più. Mi
dispiace.”
"Ma alla fine non l'hai fatto. Non per mancanza di tentativi,
c'è da dirlo, ma questa simpaticheria non è colpa
tua. Non carichiamoci di pesi che non ci competono, bastano quelli
reali. Il discorso, per quanto mi riguarda, è chiuso".
"Ma Akane, io...".
"Tu niente, Shan-Pu. Te lo ripeto, questa cicatrice non me l'hai fatta
tu. Me l'hanno fatta quelle deliziose vecchiette delle tue compaesane.
Non metto in dubbio che, un paio d'anni fa, saresti stata contenta di
vedermi così. Esattamente come non metto in dubbio che
adesso non lo sia. Insomma, finitela di farmi sentire come la martire
di Nerima che è solo in diritto di ricevere panegirici di
scuse e frotte di gente che si getta ai suoi piedi implorando
pietà. Cosa credi, che io non abbia mai desiderato metterti
a tacere... anche in maniera definitiva? Che non abbia mai voluto
ricacciare in gola a Ukyo tutti gli sgarbi che mi faceva
quotidianamente, magari assieme ai denti? Che non abbia mai voluto
strozzare Kodachi con il suo stesso nastro? A mia discolpa posso dire
che sono state reazioni di fronte ai vostri atteggiamenti non proprio
amichevoli, ma questo non fa di me una persona migliore di voi. Ora
però quei giorni sono alle nostre spalle e, ve lo chiedo con
gentilezza, sarebbe carino se lì rimanessero. Ci siamo
scusate in lungo e in largo e così può bastare,
direi".
Ci fu un breve attimo di silenzio fra le due che si guardavano, la
serenità di Akane e la leggera malinconia di Shan-Pu. Poi
quest'ultima lasciò che le sue labbra si increspassero in un
lieve sorriso di comprensione e fece un cenno affermativo con la testa,
mostrando di approvare il discorso.
"Bene, sono contenta di vedere che sei d'accordo. Ora su, andiamo a
recuperare gli abiti della tua anatra". E riprese a camminare, seguita
a breve distanza da una ancora meditabonda Shan-Pu.
“Shan-Pu... i miei vestiti... e potevi evitare di raccontare
al mondo del mio alzabandiera, già che
c’eri...”
Nel frattempo la suddetta anatra era ancora rannicchiata in un angolo
del bagno, in attesa, cercando di coprirsi le pudenda alla meglio.
“Ma che diamine...”
All’ennesima svolta a sinistra, Ryoga capì che si
era perso. Di nuovo.
Stupido io che mi avventuro da solo alla ricerca di Ukyo...
Si guardò attorno, chiedendosi come avesse fatto a
materializzarsi magicamente in giardino, quando solo pochi secondi fa
era in salotto che cercava di spiegare al signor Tendo e al signor
Saotome che no, lui e Ranma non avevano una tresca e non stavano usando
Akane e Ukyo come copertura.
Riconobbe il dojo da lontano e tirò un sospiro di sollievo:
era praticamente il suo unico punto fermo in casa Tendo - insieme alla
camera di Akane, ma ormai era storia antica; ricordava che dal dojo
c’era un piccolo passaggio che portava direttamente in casa,
non poteva proprio sbagliare... finché non si
trovò di fronte all’altra entrata di casa Tendo.
Sospirò cercando di rimanere molto zen, ma internamente fece
cadere parecchie figure dal regno celeste dei Kami. Velocemente diede
le spalle al portone e tornò verso la palestra, reprimendo
la vocina malefica che gli diceva di uscire, costeggiare il muro e
dirigersi all’altra entrata; se l’avesse fatto,
addio Nerima, è stato bello vivere qui.
Il rumore del portone che si chiudeva alle sue spalle attirò
la sua attenzione.
“Ryoga.”
...quella voce.
No, impossibile. Non poteva essere lei.
Si voltò.
E invece era proprio lì, davanti a lui.
“...Akari?”
"Ryoga, era da un po' che non ci si vedeva. Ti trovo bene". Fece
qualche passo nella sua direzione, con il suo solito fare composto.
Va bene, che cacchio ci fa Akari qui? Non ne sono troppo sicuro, ma da
quel che ricordo nemmeno sa dov'è il dojo dei Tendo. E se lo
sa non gliel'ho di certo detto io.
Non sapeva spiegarsi come potesse ricordarselo, ma riconobbe il suo
vestito leggero come quello che indossava durante una delle ultime
occasioni in cui si erano ritrovati faccia a faccia. Quella volta al
lago, con la statua. Niente cappello però.
Avanzava lenta, verrebbe da dire quasi... signorile. Sorrideva. Aveva
le mani dietro la schiena e sembrava molto contenta di reincontrarlo
dopo tutto quel tempo. Si parlava di quanto, oramai? Due anni
abbondanti, magari quasi tre.
"A-Akari... che ci fai tu qui?". Si sentiva strano. Non capiva
perché, né tantomeno cosa fosse esattamente. E
più lei si avvicinava, più quel suo soqquadro
indefinito aumentava.
Cavolo ti succede, Hibiki?
"Beh, neanche mi saluti?" cinguettò lei piegando un pochino
la testa di lato quando gli arrivò a poco meno di un metro
di distanza. "Mi sei mancato, Ryoga. Davvero molto".
"Ti... ti sono mancato?".
"Certo che mi sei mancato. Come avrei potuto dimenticare tutti gli
splendidi momenti che abbiamo passato assieme?".
Per un istante, solo per un istante, nella mente dell'uomomaialino
balenò la possibilità che fosse sotto attacco
amazzone. Però il vederla così quieta,
così amichevole, senza il minimo cenno di
ostilità... se era un'illusione stava facendo un eccellente
lavoro. E, a sentire i resoconti degli altri, i loro incubi personali
non si erano presi la briga di essere verosimiglianti, al punto che la
finta Akane vista da Ukyo non aveva nemmeno la cicatrice.
Questa Akari, invece, non gli dava per nulla l'impressione di essere
finta. Anche in quel momento, mentre si era fermato a riflettere su
tutto questo, lei continuava a non mostrare nulla che potesse farlo
sospettare. Era sempre ferma di fronte a lui, calma e raggiante.
No, dev'essere la vera Akari. Non mi spiego com'è arrivata
qui, proprio non ci riesco, ma è lei.
"Sì, in effetti siamo stati molto bene assieme io e te...".
"E allora perché mi hai abbandonata?".
Mai stilettata al cuore fu detta in tono più dolce.
Cercò di formulare una risposta, ma tutto ciò che
ottenne fu un balbettio indefinito; lo sguardo da cucciolo abbandonato
di Akari indubbiamente non aiutava.
E probabilmente è così che si sente,
pensò Ryoga: da quando si erano conosciuti, scriversi era
stato l’unico modo in cui potersi tenere in contatto. Ma ora
che Ryoga era tornato stabilmente a Nerima, beh... aveva dimenticato
quella vecchia, seppur piacevole, abitudine. A sua difesa andava detto
che l’essersi ritrovato i vecchi equilibri tutti sconvolti -
nonchè l’essersi preso una bella sbandata per Ukyo
Kuonji non aveva certo contribuito a ricordargli quel dettaglio. E
tuttavia...
...ho dimenticato Akari. L’ho totalmente scordata. Ero
così preso dalla mia disperazione e il cercare di rimettermi
in carreggiata, che mi è passata totalmente dalla mente
l’idea di contattare Akari. E spiegare.
“A-Akari, io...”
La ragazza sorrise e inclinò la testa da un lato,
interrogativa.
Kami, e ora che faccio? Qualunque cosa possa dirle rischio di
distruggerla...
“Akari... m-mi dispiace non essermi fatto vivo prima... s-sai
ormami mi sono stabilito qui a Nerima e...”
“Davvero...?”
“S-sì... e... e insomma sai, dovevo trovare un
lavoro, un posto dove stare...”
“Che bello! Allora adesso hai una casa tutta per
te?”
Lo sguardo speranzoso negli occhi di Akari fu un pugno dritto in faccia.
Non posso farle questo, non posso...
“Magari qualche volta posso venire a trovarti”
cinguettò lei, avvicinandosi di qualche passo,
“sai mi sei... mi sei davvero mancato...”
Ryoga si sentì morire.
Non poteva dirle la verità, le avrebbe spezzato il cuore:
Akari era una ragazza incredibilmente dolce e premurosa che teneva
tantissimo a lui, ed in tempi ormai remoti aveva accolto con entusiasmo
persino la sua maledizione. Con che coraggio avrebbe dovuto rivelarle
che se non si era più fatto vivo era perché... si
era innamorato di un’altra?
“Ryoga?”
Alzò gli occhi verso di lei e incontrò i suoi,
grandi e colmi di speranza.
...non posso mentirle.
La paura di rivelarle la verità, della sua reazione, era
enorme e soverchiante. Sapeva che l’avrebbe ferita ma non era
corretto nasconderle una verità tanto grande sperando solo
che un giorno Akari si dimenticasse di lui. Non era giusto per lei... e
nemmeno per Ukyo.
“Akari io... devo dirti una cosa.”
"Dirmi una cosa? E che cosa? No no, aspetta, lasciami indovinare". Oh
santi numi, non metterti a fare giochini idioti con quella faccia
entusiasta. Serve solo a spezzarti il cuore con un boato più
grande.
"Akari, ascolta...".
Lei non gli diede retta. Cominciò a saltellare tutta felice,
immaginandosi chissà quale bella notizia.
Perfetto. Devo distruggere le balzane idee di questo piccolo angelo. Vi
divertite proprio con me, vero voialtri infami che state
lassù da qualche parte?
"Hai... finalmente hai trovato un modo per sopperire a quel tuo
maledetto senso dell'orientamento!".
"Ti prego, fermati e stammi a sentire...".
"Oppure... oppure hai vinto alla lotteria e adesso puoi permetterti
tutto quello che hai sempre desiderato comprare!".
"Akari...".
"Oh sì, dev'essere di certo così. Ma è
una cosa meravigliosa, Ryoga! Sono tanto contenta per te!".
"Akari! Ti prego, fermati".
"Che... che c'è? Quello sguardo duro... mi spaventa. Non mi
vorrai mica far credere che... è una cattiva notizia?".
"Purtroppo sì, lo è. Non ti farà
piacere, proprio per niente. E ti scongiuro di credermi quando ti dico
che niente di quel che è successo è stato
perché volevo farti del male. Non te lo meriti. Il fatto
è che...".
A lei scomparve il buonumore. Akari Unryu era una ragazza solare e
allegra, ma non abbastanza stupida da capire quando il vento cambiava
direzione e si stava per affrontare un argomento impegnativo.
Naturalmente interruppe i saltelli e prese ad osservarlo, vorace di
togliersi il dente che faceva male.
"Akari... io... amo un'altra".
“Tu... tu cosa...”
“T-ti giuro che non era una cosa prevista”
balbettò lui, cercando di dare senso al bailamme di risposte
che gli vorticavano in testa, “è... è
successo tutto per caso e...”
“Lei... chi è lei?” chiese Akari, ormai
prossima al pianto.
Non farmi questo, ti prego...
“È... è una ragazza che ho conosciuto
parecchio tempo fa... non andavamo nemmeno d’accordo
all’inizio, ma poi...”
“Poi... poi vi siete... piaciuti?”
“Akari ti prego... è difficile da spiegare, e
lungo...”
“Ho tutto il tempo del mondo” rispose lei, risoluta
nonostante le lacrime che le rigavano il viso “oltre ad avere
il diritto di sapere.”
“Perché vuoi farti del male in questo
modo...”
“Veramente sei tu che mi stai facendo del male, Ryoga. Abbi
almeno il coraggio di affrontarmi e dirmi la
verità.”
Ryoga guardò Akari in silenzio, sorpreso da tanta fermezza.
La verità era che stava morendo dalla paura: aveva paura di
affrontare Akari, di spezzarle il cuore, di ammettere
quell’errore madornale che per lui si era rivelata la
migliore delle scelte - ma per lei era come un macigno in testa. In
tutta la sua vita Ryoga aveva affrontato temibili avversari e guardato
la morte in faccia più volte... eppure non aveva mai provato
tanta paura come in quell’istante. Perché alla
morte non c’è rimedio, ma a diciotto anni sei
convinto che un cuore spezzato non tornerà mai integro. E
per alcuni, l’aver spezzato un cuore è una colpa
terribile con cui dover convivere.
Però... non posso tirarmi indietro. Glielo devo.
Inspirò e guardò Akari, che in silenzio attendeva
le sue risposte.
“È difficile spiegare come... come è
successo” disse Ryoga, deciso a non nasconderle nulla.
“Provaci.”
“Vedi io... quando io e te ci siamo conosciuti avevo
già una cotta per un’altra... non fraintendermi,
tu mi piacevi davvero e non ho mai mentito sui miei sentimenti! Solo...
avevo sedici anni e lei era un amore non corrisposto, anche se faticavo
ad accettarlo... e non avevo mai avuto una ragazza sinceramente
interessata a me...”
“E quindi hai tenuto il piede in due scarpe...”
rispose lei, giustamente stizzita.
Ryoga incassò il colpo in silenzio e proseguì:
“Non era mia intenzione fare il doppiogiochista... ma non
riuscivo a scegliere. Ma alla fine il fato ha deciso per me, e quando
un anno fa sono tornato per caso a Nerima ho trovato diverse cose
cambiate... tra cui lei ormai ufficialmente fidanzata.”
“Io... io la conosco?” chiese Akari.
“Sì, credo tu abbia conosciuto Akane...”
“Akane... Tendo? Non era fidanzata con Ranma
Saotome?”
“Già” rispose lui con un sorriso amaro
sulle labbra, “nonostante litigassero come pazzi quei due si
amavano altrettando pazzamente... e alla fine lo hanno ammesso, con
loro stessi in primis. Quando l’ho scoperto ero... ero a
pezzi. Inoltre non avevo tue notizie da tanto, e nella disperazione del
momento ho creduto che lasciarti andare e sperare che tu riuscissi a
dimenticarmi fosse la cosa migliore” continuò,
“non che questo mi giustifichi in alcun modo...”
Lo sguardo di Akari era una silenziosa conferma che no, non lo
giustificava.
Ryoga sospirò e proseguì: “È
stato in quel momento che ho rivisto lei... e prima che tu lo chieda
no, non la conosci. Ci siamo aiutati a vicenda, anche lei non usciva da
un bel periodo... e alla fine ci siamo... innamorati.”
Rimase in silenzio per qualche istante, riempito solo dai singhiozzi di
Akari.
“Io... mi dispiace” balbettò Ryoga,
abbassando lo sguardo “non volevo ferirti, davvero. La colpa
è mia, avrei dovuto affrontare la questione tempo fa... ma
la verità è che sono un maledetto codardo.
Perdonami se puoi...”
Quando sollevò il viso, Akari non c’era
più.
Mentre tutti si ammassavano attorno a Shan-Pu rediviva, Ukyo continuava
a guardarsi attorno alla ricerca di una familiare bandana gialla.
Sbuffò cercando inutilmente di calmarsi.
Probabilmente tocca a lui e sarà nel bel mezzo della lotta,
e tu non puoi farci un bel niente.
Dato che della cinesina poco le importava, si alzò e
andò a fare quattro passi in giardino, dirigendosi verso il
dojo; intendiamoci, era contenta che la ragazza si fosse ripresa... ma
sarebbe stata molto più felice di veder tornare integro
Ryoga.
E qualche Kami, lassù, doveva essersi affezionato a lei.
“Ukyo...”
Si voltò e lì, vicino l’altro cancello
di casa Tendo, c’era Ryoga ad aspettarla. Illeso, senza
neanche un graffio, ma un’espressione distrutta in volto.
“Ryoga” Stai bene?!”
“Ukyo noi... dobbiamo parlare.”
"Certo che dobbiamo parlare. Chissà cos'hai attraversato,
povero tesoro".
"No, dobbiamo parlare. Di cose più serie".
"Ryoga, cos'è quella faccia da condannato a morte? Che ti
è successo? Mi stai preoccupando".
"Per favore no, non toccarmi".
"Santoddio, piantala! Mi stai mettendo seriamente in apprensione".
"Dopo quel che ti dirò l'apprensione sarà
l'ultimo dei tuoi problemi, fidati".
"Ok. Tono funereo, sguardo di uno che vuole morire male, postura da
gobbo. Dimmi cosa è successo".
Raccolse fiato e coraggio. Era una delle prove più ardue a
cui era mai stato sottoposto in tutta la propria vita, e come si sa non
aveva avuto una vita esattamente facile. Gli occhi della ragazza di
fronte a lui, la sua fidanzata, la ragazza che amava... quegli occhi lo
imploravano di parlare.
E sapeva fin troppo bene che non sarebbe stata contenta di quel che
aveva da dirle. Tutt'altro. Anzi, se avesse deciso di mollarlo non
avrebbe potuto fargliene una colpa neanche volendo. Lui si sarebbe
mollato.
"Ukyo, io...".
"Coraggio Ryoga, non ho tutto il giorno. Cavati il dente e chiudiamola
qui. Tanto, qualunque cosa possa essere, sono sicura che non sia il
disastro che ti immagini".
"Ah davvero? Neanche se ti dicessi che io...".
"Che tu?".
"Che io... fino a poco tempo fa... avevo una mezza storia con
un'altra?".
Lei non reagì nel modo che si aspettava. Sorrise. E non un
sorriso dolce, che comunque era perfettamente in grado di elargire. No,
quello era un Sorriso Kuonji™. Di quelli che puntualmente
sapevano far gelare il sangue nelle vene di Ryoga.
"Parli di Akari, giusto? Beh, non mi dici nulla di nuovo. Avevo intuito
una cosa simile".
L'uomomaialino si sentì... sfidato?
Fai la donna tutta d'un pezzo, eh. Bene, vediamo se con questo riesco a
scardinarti.
"Allora fammi dire quello che non sai. Cioè che, per
esempio, non l'ho mai lasciata definitivamente e che quella poveretta,
là fuori, mi sta ancora aspettando convinta che prima o poi
il suo adorato porco nero tornerà da lei, le darà
tanti figli e sarà il suo compagno fino alla vecchiaia".
"Oh" commentò lei. In effetti sì, era riuscito a
prenderla in contropiede.
Calò il silenzio. Ryoga si sentiva troppo imbarazzato,
viscido e sporco per trovare il fegato di spiccicare anche solo mezza
parola; Ukyo, al contrario, si sentiva ingannata e anche piuttosto
incazzata.
"Quindi mi stai dicendo che... Akari crede ancora che tu e lei stiate
assieme?".
"Esatto, sì. Non ho mai potuto... voluto tagliare del tutto
i ponti con lei, Un po' per la mia notoria incapacità di
raggiungere un posto, in questo caso la sua fattoria, e un po'
perché non volevo darle un simile, enorme dispiacere".
"Ryoga, se devo essere onesta di Akari mi interessa poco e nulla.
Cioè, mi spiace per lei. Ma quel che davvero mi urta
è altro".
"E cosa?".
"Certo che sei proprio stupido se devo spiegartelo io. Ryoga, con
questo tuo comportamento... mi hai dimostrato che di te non ci si
può fidare".
Detto questo gli voltò le spalle e andò via.
Ryoga, per la seconda volta in meno di un’ora,
desiderò solo morire.
Quando si accorse del ritorno dell’eterno disperso, Ranma era
intento a divorare gli avanzi dell’ennesima merenda preparata
da Kasumi.
“Ranma...”
“P-Chan! Dov’eri finito?”
trillò, ingoiando velocemente un paio di biscotti.
“Ecco, uh... toccava a me...”
Ranma non rispose, d’altronde sapeva bene il significato di
quella frase; si limitò a sorridere e dare una vigorosa
pacca sulla spalla dell’amico: “Beh, sono contento
di vedere che sei tornato tutto intero e senza un graffio!”
“Eh... fa piacere sapere che almeno a qualcuno importa di me,
anche tu mi vai bene...”
“Grazie della considerazione, maiale.”
“Scusa è che... le cose non sono andate
esattamente come credevo...”
...ahia. Cosa mi nascondi, porcellino?
“Ryoga, qualcosa non va?”
“La mia prova... era Akari.”
Non ci voleva un genio per capire cosa quelle parole implicassero, se
si conosceva bene Ryoga. E Ranma poteva vantarsi di conoscerlo meglio
di chiunque altro, là in mezzo.
“Immagino sia stato... difficile...”
“Non immagini quanto” rispose l’altro,
senza nemmeno guardarlo negli occhi. “Mi sono reso conto di
aver... di aver combinato un casino dietro l’altro. Ho
continuato a vivere nella menzogna senza mai...”
Ranma non parlò, ma gli fece cenno di proseguire.
“...senza mai dire ad Akari che mi ero innamorato di
un’altra.”
Oh...
“E quel che è peggio è... che poco fa
ho confessato tutto ad Ukyo. E lei ha giustamente detto che di me non
ci si può fidare.”
Oh... cacchio.
Ryoga si lasciò andare su uno sgabello della cucina, le mani
tra i capelli e la disperazione in volto; Ranma dal canto suo non aveva
idea di come aiutarlo. E avrebbe voluto, davvero, ma temeva di fare
più danni che altro. Senza contare che una delle sue
primarie fonti di saggezza era ora parte in causa.
Maledizione! Se questi due rompono giuro che avrò un altro
motivo per radere al suolo Joketsuzoku!
“Se... se Ukyo mi lasciasse io... io morirei di dolore. O mi
farei uccidere da te con un Hiryu Shoten-ha..”
Oh santissimi Kami nell’alto dei cieli, dove diamine
è la papera Stranamore quando serve...
“Ukyo sei... sicura di star bene?”
“Certo, perché non dovrei?”
“Magari perché ti sei intromessa nella nostra
partita a shogi” borbottò Genma, “e stai
lasciando i segni sulla tavola, vista la forza con cui li poggi
e...”
Ukyo ringhiò.
“...non che sia un problema, assolutamente.”
"No, certo che non è un problema" intervenne Soun,
accigliato "ma ti devo lo stesso chiedere se puoi evitare. Questi pezzi
sono stati usati da Yoshio Kimura nel 1937 per diventare meijin e sono
molto preziosi".
"Quel maledetto cretino fanfarone bugiardo di 'stocazzo" fu l'eloquente
risposta di Ukyo all'accorato appello del capofamiglia Tendo. Per quel
che le importava quella tavola di shogi poteva essere fatta in oro
massiccio e l'avrebbe torturata comunque, nervosa com'era.
"Ukyo, per favore. Smettila".
"Se scopro che ha fatto lo stesso con me altro che amazzoni, lo sventro
io e uso il suo intestino come condimento per le okonomiyaki. Bastardo".
"Santa ragazza, me le rovini. Ti prego basta".
"Non dire niente a quella povera disgraziata di Akari. Non dirle che si
era messo con me. Per quel che ne posso sapere ne ha un'altra... ne ha
una fila intera sparsa da qualche parte per il paese.
Dongiovanni da strapazzo".
All'ennesima supplica caduta nel dimenticatoio Soun non
trovò niente di meglio che accompagnare educatamente la
ragazza alla porta, scusandosi per la scortesia. Lei lo
lasciò fare non reagendo in alcun modo, troppo presa dai
propri problemi sentimentali.
Solo dopo un paio di minuti si accorse di essere nel corridoio, da
sola. Non smise di sussurrare a se stessa minacce di indicibili orrori
per il suo fidanzato... che stava seriamente considerando di scaricare.
Una parte del suo cervello, in quel momento barricata per difendersi
dall'onda emozionale preponderante, le diceva che ok, Ryoga non si era
comportato bene con Akari ma che almeno il beneficio del dubbio se lo
meritava, riguardo l'eventualità che si fosse comportato con
lei allo stesso modo. Manco a dirlo era una voce flebile e in quel
momento totalmente ignorata.
Prese a camminare senza meta.
E io che sono stata male da morire per quello stronzo.
STONK.
Incocciò contro qualcosa o qualcuno. Cadde all'indietro,
battendo sonoramente il sedere sul il parquet.
"Ahio!" dissero lei e la persona contro cui aveva sbattuto, all'unisono.
Alzò la testa.
Era Mousse. Purtroppo vestito. |