Premessa. La storia è suddivisa in tre parti. La
prima è ambientata durante l’infanzia di Caroline e Tyler, quando vanno ancora
alla scuola materna. La seconda è ambientata a pochi giorni di distanza dal
ritorno di Tyler a MF dopo essere stato sugli Appalachi per distruggere il
legame di asservimento. La terza, infine, è ambientata in un ipotetico futuro a
sette anni di distanza dalla serie TV.
Partecipa al 500themes_ita
con il prompt 171.
Isole in cielo.
Isole nel cielo e aerei sotto il
mare.
You can
break her down
With your highs and lows
But she's familiar with the sound
The sound you make, every time you go
Always
Always she waits for you
Always. Peter Bradley Adams
La
saletta d’ingresso della scuola materna di Mystic Falls risuonava delle risate infantili di un gruppo di
ragazzini di cinque anni.
I
cartelloni per il banco di beneficienza dell’asilo sarebbero stati appesi il
lunedì successivo e i bambini erano intenti a scambiarsi pennarelli e a parlottare
tra loro, distesi a terra a pancia in giù. A nessuna delle tre maestre,
tuttavia, era sfuggita l’espressione imbronciata di uno dei ragazzini intento a
colorare in disparte. Tyler Lockwood sedeva a gambe incrociate di fronte a un
cartellone. Aveva lo sguardo incollerito per via dell’ennesimo castigo che gli
era stato affibbiato, dopo che per dispetto aveva scarabocchiato di pennarello
la gonna di una bambina. Le maestre avevano concluso per metterlo a lavorare da
solo a uno dei cartelloni, non aspettandosi nulla di più che un foglio
strappato e le mani di un bambino di cinque anni sporche di pennarello.
Le cose
non erano andate in maniera poi così diversa da quanto avevano previsto: il
sole che Tyler avrebbe dovuto colorare di giallo era pieno di rigacce nere, così come gli altri disegni che riempivano il
foglio. In quel momento il ragazzino era intento a scarabocchiare una serie di
cerchi, passando noncurante sopra ai
contorni delle nuvole e delle mongolfiere.
Non si
era accorto che una bambina bionda aveva incominciato ad osservare le sue manovre
da un paio di minuti. Caroline Forbes chiuse il tappo del proprio pennarello e
raggiunse il coetaneo, scoccandogli un’occhiata di disapprovazione.
“Stai
facendo un pasticcio!” lo rimproverò,
appoggiandosi le mani sui fianchi. Non voleva che Tyler rovinasse quel
cartellone. Teneva molto alla bancarella di beneficienza dell’asilo, perché era
uno dei pochi eventi a cui la madre non mancava mai. La bambina si divertiva
sempre un mondo a osservarla vendere torte vestita come una signora normale e
non con addosso i suoi bruttissimi pantaloni da sceriffo.
Notando
che Tyler continuava a scarabocchiare con il nero, Caroline si indispettì.
“Le
nuvole sono grigie o bianche, non nere!” lo ammonì ancora, accovacciandosi di
fronte a lui. “Se colori male lo dico alla maestra!”
Tyler la
spinse con la mano libera, rivolgendole un’occhiata scontrosa.
“Lasciami
in pace” la intimò, prima di riprendere a fare a modo proprio. Dopo aver colorato
di nero tutte le barche a vela, passò in rassegna gli ombrelloni e i castelli
di sabbia sulla spiaggia. Infine incominciò a disegnare, tratteggiando una
figura storta nel mare.
“Che
costa stai disegnando? Un aereo?” lo interrogò Caroline , d’un tratto
incuriosita. “E queste cosa sono?” aggiunse, notando anche i cerchi coprivano
le figure disegnate a matita dalle maestre.
Tyler
sembrò arrossire, ma non rispose.
“Vattene
via, stupida” sibilò invece, continuando a pasticciare il suo cartellone.
L’espressione della bambina si fece furente. Di norma era solita correre dalla
maestra per denunciare ogni bambino che le faceva la linguaccia o che strillava
parole impronunciabili come cacca o scemo, ma con Tyler non ce n’era mai bisogno. Lui, in punizione,
ci finiva sempre comunque. Che lei facesse la spia o meno. Non faceva mai l’intervallo,
Tyler. Dopo dieci minuti di gioco finiva sempre che andasse a tirare un pugno o
una pietra addosso a un altro bambino e veniva messo in castigo.
Caroline
sospirò con fare incredibilmente adulto. Sfilò il tappo al suo pennarello
giallo e incominciò a riempire quei pochi spazi bianchi che erano rimasti nel
sole tra una rigaccia e l’altra del coetaneo. Tyler la osservò stranito per
qualche minuto, prima di opporsi.
“Smettila,
questo è il mio disegno!” si lamentò, cercando di allontanarle il pennarello.
Caroline sbuffò.
“Ti sto
aiutando!” lo rimbeccò con aria di superiorità, “Se le maestre vedono questo pasticcio
ti metteranno di nuovo in castigo. Diranno a tuo papà che sei stato monello!”
“Vattene
via, sei una strega!” ribatté ancora il ragazzino, spintonandola. Caroline
strillò, ricambiando lo spintone.
“Ma che
dici? Io sono bellissima!” obiettò poi,
fasciandosi i lunghi capelli biondi con le mani. Fece per continuare a
colorare, quando uno scatto improvviso del bambino la costrinse a gettare a
terra il pennarello.
“Mi hai
morso!” strillò, sgranando gli occhi improvvisamente lucidi. Quando incominciò
a piangere, Tyler le diede le spalle e riprese a colorare con il nero. Sembrava
essersi accorto solo in quel momento di quello che aveva fatto e, nonostante
l’espressione furente che ancora gli colorava il viso, aveva chinato il capo e
incassato le spalle, come avrebbe fatto un cucciolo sottomesso. Le maestre intervennero prontamente a sedare
il litigio e Tyler venne ancora una volta messo in castigo. Mentre i bambini
riponevano i cartelloni per andare a giocare in cortile, il ragazzino fu
costretto a sedere in disparte per riflettere sulle sue marachelle.
Caroline
era corsa a giocare con le sue amiche, ma ogni tanto correva
dentro e cercava di sistemare il cartellone di Tyler, aggiungendo un po’ di
giallo fra le rigacce nere che aveva scarabocchiato
il bambino. Forse, se l’avesse aiutato a sistemarlo, le maestre gli avrebbero
tolto prima la punizione. Era ancora parecchio arrabbiata con lui, ma non le
era mai piaciuto vederlo in castigo. Un po’ la rattristava saperlo seduto da
solo, mentre i suoi amici giocavano a football senza di lui. Mentre colorava,
la bambina rimirò incuriosita i disegni strani che riempivano il cartellone del
bambino.
“Che
cos’erano quei tondi che hai disegnato nel cielo?” domandò, una volta tornata
di nuovo in cortile.
Tyler
continuò a scavare nella terra con un bastoncino.
“Isole
del tesoro” rispose poi, senza guardarla negli occhi. Caroline gli rivolse
un’occhiata stranita.
“Le
isole le devi disegnare nel mare!”lo rimbeccò, “Altrimenti come fanno le navi
dei pirati ad arrivarci? E gli aerei andavano disegnati in cielo. Il tuo
cartellone è tutto sbagliato!”
“Io
disegno come voglio!” ribatté il ragazzino, squadrandola con rabbia. “Vattene via, strega, o ti tiro i capelli!”
Con
quelle parole la conversazione tra i due bambini si estinse. Caroline rivolse
al coetaneo un’occhiata inorridita e corse a giocare con le amiche. Tyler
rimase al suo posto, tormentandosi la punta delle scarpe nuove e tirando via
tutti i lacci per il puro gusto di fare arrabbiare le maestre. Non parlava con
nessuno: la sua espressione scontrosa indugiava rabbiosa sui bambini che si
rincorrevano allegri, gridando “Libera me!”. Scrutava con rabbia i coetanei che
correvano incontro alle proprie mamme per farsi prendere in braccio e quasi con
invidia quei bambini che si lasciavano stringere dai padri con affetto.
Di tanto
in tanto Caroline si voltava, per rivolgergli un’occhiata impensierita. Dopo
dieci minuti di gioco chiese alla maestra di andare in bagno e al suo ritorno
si sistemò sul prato, poco distante dal ragazzino. Di tanto in tanto le piaceva
aspettarlo, anche se capitava di rado che i due giocassero assieme. Si sedeva
in un angolo, fingendo di essere stanca e si alzava solo quando anche a Tyler
veniva permesso di fare altrettanto.
Quel
pomeriggio, tuttavia, aspettò invano. La punizione di Tyler finì solo quando la
signora Smith, la governante della famiglia Lockwood, varcò i cancelli della
scuola materna. Caroline e Tyler restavano spesso all’asilo fino all’orario di
chiusura. La mamma di Caroline era sempre indaffarata con il lavoro e la
governante di casa Lockwood preferiva aspettare le sei prima di venire a
prendere il piccolo Tyler. Si lavorava decisamente meglio, diceva, senza quel
monello in giro per casa.
Quando
arrivò il momento di andare a casa il ragazzino non si mosse. Rimase seduto,
intento a osservarsi imbronciato i palmi delle mani sporchi di nero. Caroline
si studiò le sue, macchiate di giallo, e ne sollevò una per salutare nella sua
direzione. Dovette attendere un po’, ma alla fine il bambino si convinse a
ricambiare, lasciandosi poi guidare verso il cancello dell’asilo dalla signora
Smith.
Caroline
sorrise, prima di tornare a giocare. Mentre
correva per il cortile della scuola si mise a ridere, immaginando aerei che
volavano nel mare e navi che solcavano il cielo alla ricerca di isole del
tesoro.
***
Erano
trascorsi cinque giorni dal ritorno a casa di Tyler.
Quel
pomeriggio, Caroline aveva scelto di incontrarlo nella vecchia casetta sull’albero
dei Donovan: qualsiasi altro posto le sarebbe sembrato fuori luogo. Aveva
voglia di sentirsi circondata da ricordi che non facevano male, dove non
figuravano canini affilati e sangue – se non in qualche vecchio travestimento
di Halloween. Ricordi che risuonavano di timide confessioni, grida infantili e
risate fra amici. La casetta di Matt se la cavava egregiamente in quello. Le sue
pareti in legno, per quanto fragili, erano in grado di tenerla al riparo dal
sovrannaturale che si era impadronito della sua città, della sua famiglia, dei
suoi amici.
Una
delle cose che più amava di quel posto erano i disegni appesi alle pareti. Erano
stati fatti quasi tutti da Matt e Vicki, ma ce n’erano un paio in cui
figuravano i nomi in stampatello di altre persone. Caroline ne sfilò uno dalle
puntine che lo affiggevano al legno e sorrise: era l’unico in bianco e nero in
mezzo a tutti quei fogli colorati a pennarello.
Un
rumore familiare di passi echeggiò alle sue spalle. Caroline si portò il foglio
sulle ginocchia e si sedette, ascoltando quasi assorta lo scricchiolare ritmico
delle assi. Attese l’avvicinarsi di quel rumore con pazienza, così come aveva
sempre fatto, a volte senza nemmeno accorgersene.
Tyler la
squadrò a lungo, prima di abbozzare un sorriso. Prese posto di fianco a lei e
le rubò un bacio, sistemandosi poi con una mano i capelli spettinati.
“Questa
maglietta non mi piace” osservò la ragazza, arricciando appena il naso, prima
di accarezzargli il petto con tenerezza. Tyler le rivolse un sorrisetto
divertito.
“Sugli
Appalachi non ho avuto molte opportunità per fare shopping” si giustificò,
mentre la ragazza posava il capo sulla sua spalla.
“Ma
porterai me a fare compere, vero?” lo interrogò la ragazza, rivolgendogli un
sorriso sbarazzino. Tyler scosse il
capo, nuovamente divertito. Gli era mancato quell’aspetto di lei, mentre era
via. Gli erano mancate le piccole cose: i bronci da ragazzina, l’impuntarsi sul
più piccolo dei dettagli, il sorriso luminoso che le accarezzava con costanza
le labbra. Erano dettagli che gli ricordavano la Caroline di una volta – quella
dalla parlantina inestinguibile, un po’ frivola in apparenza, ma sempre pronta
a preoccuparsi per gli altri. Una Caroline che stava crescendo e maturando, ma
che di tanto in tanto avvertiva ancora il bisogno di lasciar emergere la
vecchia se stessa, per non lasciarla mai andare del tutto.
“E va
bene” si arrese infine il ragazzo. “Porterò te a fare compere. Per quanto la
cosa mi risulti snervante… ”
“Ehi!”
La ragazza gli diede uno schiaffetto sul braccio e Tyler rise, prima di notare
il foglio sulle ginocchia della vampira.
“E
questo?” domandò, riconoscendo in quelle righe tracciate a matita qualcosa di
incredibilmente familiare. “Se è in bianco e nero deve per forza essere mio.”
Ricordava
alla perfezione la sua tendenza a ignorare i colori, perché era una cosa che
non l’aveva mai abbandonato, così come la sua passione per il disegno.
Disegnava ancora, di tanto in tanto. Lo faceva quando era particolarmente
rilassato o quando aveva bisogno di un po’ di tempo per se stesso. Lo aveva
fatto anche mentre era solo sugli Appalachi, ricostruendo su carta ciò che gli
mancava di Mystic Falls.
Caroline
indicò nel disegno una serie di cerchi grandi quanto il sole abbozzati nel
cielo.
“Avevi
questa strana mania di disegnare le cose al contrario” osservò, “ Cose tipo gli aerei sotto al mare…”
“ …O le isole in cielo.” proseguì Tyler con un
ghigno, osservando l’arcipelago frastagliato che aveva raffigurato fra le
nuvole. Si strinse nelle spalle, sollevando poi lo sguardo a incontrare quello
di Caroline. “Lo facevo per farli incazzare, credo” rivelò infine, sforzandosi
di ricordare i pensieri che avevano tenuto impegnata la sua mente da ragazzino.
“Disegnare al contrario, comportarmi male. Alzare le mani. Tanto non
capivano.”
Non
esplicitò a chi si stesse riferendo, ma Caroline fu certa di aver capito
comunque. Pensò ai due coniugi Lockwood: a Carol che si era sempre sforzata di
giustificare il figlio in tutte le maniere possibili e a Richard, che invece lo
ascoltava troppo poco. Se il sindaco Lockwood si era mostrato spesso disattento
alle esigenze emotive del figlio, sua madre era solita cercare di coprire quei
vuoti viziando e coccolando il piccolo Tyler. Nessuno dei due si era mai
domandato come mai il figlio colorasse solo con il nero. Né perché fino alle
scuole medie avesse continuato a sfidare gli insegnanti, disegnando isole nel
cielo e aerei sotto il mare.
“Avrei
voluto capirti io” si sorprese a dichiarare la ragazza, giocherellando con il
laccetto del bracciale di Tyler. “Avrei voluto esserti accanto sin da allora.”
Il
ragazzo rimase in silenzio per qualche istante, concentrandosi sui tocchi
leggeri dei polpastrelli della ragazza sulla sua pelle.
“Forse
non te lo ricordi…” mormorò infine, allungando un
braccio per cingere la vita di Caroline. “…Ma quando
eravamo piccoli hai sempre avuto un certo ascendente su di me. Forse era anche
per questo che ti facevo passare le pene dell’inferno” ammise, ricordando di
quando si sopportassero a stento in
passato. “Alle volte avevo come l’impressione che tu capissi ciò che mi passava
per la testa e questo mi metteva in soggezione.”
Caroline
fece per dire qualcosa, ma si accorse di non sapere bene come rispondere. Le
parole di Tyler l’avevano sorpresa. Raccolse a caso una manciata di ricordi sul
loro passato e li esaminò in silenzio, mentre si chinava in avanti per baciarlo.
Si
accorse, tutto a un tratto, che lo aveva aspettato sempre.
Lo aveva
atteso alle feste natalizie del liceo, sorprendendosi a sperare che non
rientrasse in palestra troppo tardi o troppo sbronzo, per non vederlo finire
nei guai.
Lo aveva
atteso per notti intere, con gli occhi
lucidi puntati contro il cielo, pregando affinché il tormento a cui lo stava
opponendo la luna piena terminasse presto.
E lo
aveva aspettato per mesi quando era in viaggio per sfuggire all’asservimento.
Scacciando la nostalgia che minacciava di rigarle le guance riascoltando uno
dei suoi messaggi vocali in segreteria.
Quella
veglia continua e inconsapevole le accarezzò la mente, mentre la ragazza si
alzava in piedi, diretta verso l’unico mobile della casetta. Prese un foglio e
dei pennarelli da uno dei cassetti e ci soffiò sopra per eliminare lo strato di
polvere che li ricopriva.
“Disegni per me?” domandò infine, porgendoli a
Tyler.
Il
ragazzo annuì. Non ebbe alcun tipo di esitazione nel decidere quale colore
utilizzare. Scelse il pennarello nero dalla scatola, mentre Caroline tornava a
prendere posto di fianco a lui.
Lo
osservò riempire il foglio di righe longilinee, domandandosi in silenzio che
cosa stesse disegnando. Spostò poi lo sguardo dal disegno al volto del ragazzo.
Da quando Tyler era tornato a casa aveva riscontrato qualcosa di diverso, in
lui. Sembrava più maturo: sembrava un uomo. La ragazza tornò ad osservare il
disegno e tutto a un tratto sorrise. Attraverso quelle righe a pennarello le
tornarono alla mente i pomeriggi d’estate trascorsi ad osservarlo disegnare a
china. Non c’era mai stato nulla di raffinato ed elegante nei suoi schizzi. Tyler
disegnava quello che gli veniva in testa senza cercare di abbellirlo di
filtrarlo, di renderlo più iconico in qualche modo. Erano disegni spogli, i
suoi. Semplici, ordinati e sempre rigorosamente neri. Eppure, per Caroline, non
ve n’erano mai stati di più belli. I ritratti pittoreschi e raffinati di Klaus
non avrebbero mai potuto eguagliarli. Il profumo della china, mescolato a
quello forte, virile del suo ragazzo, la faceva sentire a casa.
“Che
cosa stai disegnando?” domandò, tornando
ad appoggiare il capo sulla sua spalla.
“Me”
rispose il ragazzo, rivolgendole poi un sorriso divertito. Sollevò la punta del
pennarello dal foglio e le sporcò il naso, ridendo della sua espressione
stizzita. “Adesso te.”
La
ragazza prese un secondo pennarello dal contenitore e gli scarabocchiò entrambe
le guance di rosso. Quando la lotta di colori cessò, Caroline scelse il giallo e si posò sulle ginocchia il disegno
di Tyler. La punta del suo pennarello passò in rassegna ogni singolo spazietto bianco rimasto. Colorò di giallo tutto ciò che
non aveva subito la sfuriata in nero dell’artista e, a lavoro ultimato, il
soggetto del disegno era irriconoscibile perfino dallo stesso Tyler.
Di certo
non era un capolavoro.
Eppure,
per Tyler e Caroline, mai c’era stato disegno più perfetto di quello.
***
“This isn't goodbye. This is...until we find a
way. We're immortal remember? We will find a way.”
“What if we don't? Tell me that
you'll never think of me again. Tell me that you'll forget about me, tell me
that you are going to go on and live a full and happy life without me.”
Caroline & Tyler. 4x14; Down the Rabbit Hole.
Caroline
si schermò gli occhi con la mano per osservare il mare.
Una
folata di vento le spettinò i capelli, mentre si chinava per immergere le mani
nell’acqua, accarezzando le onde che la increspavano.
La
giovane osservò il paesaggio oltre le sue spalle, non riuscendo a trattenere lo
stupore: improvvisamente le venne da ridere. L’isola che la ospitava era
piuttosto piccola, ma graziosa. Ciò che ai suoi occhi la rendeva così speciale
era il fatto che fosse sua. Interamente sua. Era un regalo da parte di Klaus
per il suo venticinquesimo compleanno.
Mai
avrebbe immaginato che un giorno qualcuno avrebbe sfiorato il bizzarro e
l’impossibile, concedendole in dono addirittura una porzione di terra: un
piccolo regno da poter chiamare casa.
Ma Klaus
era così: amava andare oltre i limiti imposti dal buon senso. Aveva imparato a
compiacere quella parte di lei che stava crescendo, nonostante all’esterno
fosse rimasta la ragazzina di sempre. Sapeva come farla sentire una donna. Le ricordava
lo scorrere del tempo, il suo maturare costante, in aperto contrasto con il
sorriso sbarazzino da adolescente che ancora disegnava le labbra della ragazza.
Tuttavia
c’era qualcosa che stonava, quando era assieme a lui. Qualcosa di netto, simile
a una rigaccia nera su un foglio bianco.
Nulla
era mai abbastanza.
Nulla funzionava
mai del tutto.
C’era
sempre dell’altro di cui Caroline sentiva di avere bisogno.
La vampira
prese a camminare a lungo la spiaggia. Fece per raggiungere il jet con il quale
erano arrivati sull’isola, ma quando raggiunse la riva, d’un tratto, si bloccò.
L’ombra
delle ali proiettata sull’acqua le provocò un’insolita stretta allo stomaco. Sembrava
quasi un aereo; un aereo sotto al mare. Grazie a quell’immagine il pensiero
fisso di Caroline venne sviscerato all’improvviso, mostrandosi nella sua
interezza.
Ripensò
a Tyler e il suo sorriso si fece d’un tratto nostalgico, fino a svanire, quando
la giovane ricordò il momento in cui erano stati costretti a dirsi addio.
Quella sera lei gli aveva chiesto lasciarla indietro, di dimenticarla.
Non
sapeva se lui l’avesse fatto. Ciò che sapeva con certezza era di non essere mai
riuscita a fare altrettanto.
Una parte
di lei avrebbe sempre scorto isole nel cielo e aerei sotto il mare.
Una
parte di lei si sarebbe rifiutata di crescere e sarebbe rimasta bambina, così
da potersi ricordare di Tyler. Di quell’amore che aveva salvato entrambi; lui
dalla codardia, lei dalla paura. Entrambi dalla solitudine.
Una
parte di lei lo aveva aspettato sempre. Sperando di vederselo arrivare incontro
con le mani macchiate di nero – e lei gliele avrebbe sporcate di giallo.
In quel
momento, osservando l’ombra del jet frastagliarsi sulle onde, si accorse di
essere stanca persino di attendere.
Voleva
tornare da lui: voleva tornare casa.
E se per
raggiungerlo avrebbe dovuto prendere un aereo sotto il mare o cercare nel cielo
un’ isola del tesoro l’avrebbe fatto.
You've been away too long
But she will choose to believe
And her heart is so strong
It's strong enough, if only it could see
Always
Always she waits for you
Always. Peter Bradley Adams
Nota dell’autrice.
Ho
scritto questa storia per due ragioni in particolare. La prima è che i bimbetti
della materna al lavoro mi hanno ispirato ancora una volta. La seconda è che
avevo una nostalgia assurda del Forwood, di baby
Tyler e baby Caroline e di questi due assieme come coppia. Mi mancavano
terribilmente, ecco.
Il
risultato non mi convince del tutto, ma penso sia dovuto soprattutto a quel
finale con accenni Klaroline che mi ha fatto faticare
moltissimo mentre lo rileggevo. Inizialmente volevo tagliare via la terza parte
perché proprio non mi piaceva. Mi sembrava troppo…
Non so, banale, artificiosa. E poi nella mia testa faccio molta fatica ad
immaginare Caroline assieme a Klaus, anche se immagino che saranno end-game,
prima o poi. Alla fine, sotto consiglio di una persona, ho deciso di tenere
anche la terza parte, soprattutto per mantenere i richiami al prompt che ho utilizzato (isole in cielo) e alla canzone che accompagna la storia. Questa
terza parte è volutamente vaga, perché ho preferito che ciascuno scegliesse di
immaginare un po’ come volesse come mai Caroline fosse assieme a Klaus. L’idea
stramba di regalare l’isola alla bionda mi pare proprio una cosa da Klaus xD
Un altro appunto che devo fare è che questa storia si lega vagamente ad altre
due storie: Let it slide in cui ho
introdotto la mia adorata casetta sull’albero di casa Donovan e Count [on Me] to 51, che è un’altra
Forwood in cui viene menzionato il rapporto tra Tyler
e il disegno. In generale Caroline e Tyler da piccoli riprendono la
caratterizzazione che gli ho dato nelle altre mie child!Forwood.
Ok,
tutto qui, credo.
Un
abbraccio!
Laura