fantasy 3
Sirona riuscì a parlare con Dana
quella sera. Lovernios stava studiando alcune carte geografiche in possesso
della sacerdotessa e così la ragazza ne approfittò per chiedere a Dana di
poterle parlare in privato. La donna acconsentì.
“Tu sai chi sono, vero?” domandò,
a bruciapelo, Sirona. Dana sorrise. “Sei un’assassina. Anzi, sei peggio, sei
una dei criminali al servizio del Cavaliere dell’Incubo.” rispose poi.
La ragazza scosse istintivamente
la testa. “Non può essere! Come lo sai?” domandò, poi.
“Una volta vi siete introdotti
nel mio tempio. Ho ucciso uno di voi, poi siete scappati. Eravate soltanto in
tre: tu e due ragazzi, uno biondo e uno moro.” rispose la sacerdotessa.
“Quanto tempo fa è successo?”
domandò Sirona, dubbiosa. “Circa sei settimane fa.” rispose Dana.
I conti tornavano: Jackal era
morto lì mentre Sirona e Wolfe erano riusciti a fuggire, cercando l’acqua pura
al di fuori della Palude Nera. Nella foresta avevano incontrato Anya, che li
aveva puniti per aver fallito la missione. Ma perché non aveva ucciso Sirona?
“Perché non l’hai detto a Lovernios?”
domandò Sirona a Dana.
“Dovrai farlo tu. A quanto dice Lovernios ti
stai dimostrando degna di fiducia e sembri intenzionata ad affrontare il tuo
lato oscuro.” rispose la sacerdotessa.
“Lovernios mi allontanerebbe, se
venisse a saperlo.” rispose Sirona, amareggiata. Dana le poggiò la mano sulla
spalla. “Mettilo alla prova, potrebbe stupirti!” la incoraggiò.
La giovane annuì, intuendo che Dana
conosceva molto meglio di lei passato di
Lovernios.
Dopo aver riempito le borracce
con l’acqua pura della fontana, i due decisero di trascorrere la notte nel
tempio, che se non altro era un posto sicuro.
Lovernios tentava di non essere
indiscreto, ma aveva notato l’improvviso silenzio della sua compagna di viaggio
e la cosa lo inquietava un po’. Non osava chiederle di cosa avesse parlato con Dana,
anche perché era evidente che Sirona non aveva voglia di parlarne, ma non
riusciva ad accettare il muro di silenzio che la ragazza aveva eretto intorno a
sè.
“Ti senti bene?” domandò alla
giovane, mentre cenavano. “Abbastanza.” rispose atona.
“C’è niente che vorresti dirmi?”
domandò Lovernios, anche se non sperava molto in una risposta della compagna di
viaggio. Sirona parve riflettere. “In effetti c’è una cosa che vorrei
domandarti.” rispose.
“Davvero? Dimmi pure.” la invitò
il biondo mercenario, sorpreso.
Sirona fece un profondo sospiro.
“Tu hai mai visto il Cavaliere dell’Incubo?” domandò, poi. Lovernios si sentì
gelare.
“Sì, l’ho visto, perché?”
rispose, tentando di mantenere la calma. “Volevo sapere com’è fatto, voglio
sapere se l’ho mai visto.” rispose Sirona.
“Il Cavaliere è solamente una
gigantesca armatura nera, il suo interno è vuoto e viene manovrato come un
burattino dal suo spirito oscuro.” rispose Lovernios.
Dopo cena i due giovani si
ritirarono in due stanze divise del tempio, su richiesta di Dana.
Sirona era distesa nel suo letto,
ma non riusciva a dormire, dato che aveva paura di proseguire il suo sogno, se si
fosse addormentata. Però era anche curiosa: voleva sapere se Lovernios le aveva
detto la verità sul Cavaliere dell’Incubo. Lei non ne era così convinta:
ricordava che il Cavaliere le era anche parso attraente e dubitava che
un’armatura potesse piacerle.
La ragazza sospirò. Era ingiusta
con Lovernios, negli ultimi tempi, era evidente come lui tentasse di farla parlare,
mentre lei gli rispondeva a monosillabi. Non poteva fidarsi di lui, era certa
che non sarebbe stato in grado di capirla.
Come se non bastasse, c’era un
altro problema ed era uno dei motivi per cui tentava di allontanare il mercenario:
si sentiva sempre più attratta da lui. Non era solo attrazione fisica ma una
specie di alchimia che, bene o male, la faceva pensare al suo compagno di
viaggio sempre più spesso.
La cosa era piuttosto
imbarazzante, dato che il frutto delle sue attenzioni era un giovane tanto
bello quanto misterioso, ma non riusciva a controllare i suoi sentimenti.
Sirona decise che non le
importava nulla dei sogni: era stanca e aveva bisogno di dormire, così decise
di rilassarsi e di provare a dormire.
Lovernios era perplesso. Perché Sirona
gli aveva chiesto del Cavaliere dell’Incubo? Che domanda idiota, era ovvio:
doveva aver recuperato dei ricordi riguardanti l’armatura.
Già, ma aveva capito che Cavaliere
dell’Incubo e Lovernios erano stati la stessa cosa, in passato? Questo avrebbe
spiegato il suo silenzio, forse aveva paura del suo compagno di viaggio. Ma se Sirona
conosceva il Cavaliere che rapporti aveva con lui?
Anche Lovernios cominciava ad
avvertire la sensazione di aver già visto Sirona prima di quel giorno nel
bosco, ma tutto ciò era semplicemente pazzesco, nonché impossibile.
Come se non bastasse Sirona era
un chiodo sempre più fisso per il giovane mercenario, le si era affezionato,
nonostante lei fosse una ragazza piuttosto ambigua.
Perché quella situazione era così
maledettamente intricata? si domandò Lovernios, sconsolato, prima di chiudere
gli occhi, nel vano tentativo di allontanare i suoi dubbi.
Il giorno dopo Sirona si diresse
a passo sicuro verso la stanza del suo amico e rimase stupita nel trovare la
porta socchiusa.
La giovane mise mano all’elsa di
Foxy ed entrò con circospezione: c’era qualcosa di losco! Proseguì trattenendo
il fiato e si avvicinò al letto di Lovernios: i biondi capelli del suo compagno
di viaggio sbucavano dalle coperte.
Sirona scostò le coperte e urlò
di terrore: non era Lovernios, quello! O meglio sì, ma aveva l’espressione
malvagia e gli occhi neri e vacui. La giovane arretrò sconvolta, mentre l’altro
le andava incontro, supplicando aiuto.
La ragazza si risvegliò con il
fiatone e tremante da capo a piedi. Grazie al cielo era solo un sogno!
Il Cavaliere dell’Incubo e Lovernios
potevano essere la stessa persona, era assolutamente impossibile. A quanto ne
sapeva nessuno era mai sfuggito al Cavaliere e Lovernios non poteva affatto
essere un corpo posseduto dal Cavaliere.
“Non può essere. Dei, vi supplico,
ditemi che non è così!” pregò Sirona. Non sarebbe riuscita ad accettare una
cosa del genere.
Il giorno dopo Lovernios e Sirona
ripartirono alla volta del maniero del Cavaliere dell’Incubo, certi che Anya
fosse ritornata dal suo padrone.
Quando si congedarono da Dana,
Sirona non poté fare a meno di notare una luce particolare negli occhi della
donna, che la invitava a parlare con il suo compagno. La giovane, però, non si
sentiva affatto pronta a farlo: l’incubo della notte precendente l’aveva
inquietata terribilmente e aveva smorzato ancora di più il suo desiderio di
confidarsi con Lovernios.
Il viaggio proseguì, certo, ma
tra i due compagni d’avventura regnava il più assoluto silenzio, che rese il
giorno di marcia ancora più lungo.
Come se non bastasse, i ricordi
avevano preso ad emergere sempre più velocemente nella mente di Sirona: ella,
infatti, aveva riacquistato molti ricordi legati alla sua infanzia. Era una
bambina piuttosto alta e magra, con il viso spruzzato di lentiggini.
La donna che l’aveva adottata,
invece, era una donna piuttosto anziana con lunghi capelli biondo cenere
striati di grigio, che conosceva i segreti delle piante e delle erbe, cosa che
non piaceva affatto ai suoi compaesani più anziani.
Anche Sirona non era molto amata,
infatti pensavano che fosse una poco di buono, dato che, essendo adottata, non
si sapeva da che famiglia provenisse ed era stata cresciuta da quella strana
donna. Le comari del paese si segnavano ogni volta che passava e le mormoravano
parole acide e commenti alle spalle e anche i frequentatori della locanda la
temevano.
Sirona ricordava la sua terribile
soffrenza, dato che lei non provava astio nei confronti di nessuno, voleva solo
vivere la sua vita in santa pace e essere accettata per ciò che era. Era venuta
a sapere da una ragazza con la quale andava d’accordo che un uomo raccontava
spesso storie sul suo conto alla locanda. Anzi, era sempre stato lui a
cominciare, gli altri si limitavano a raccontarle. E a crederci.
Chi era quell’uomo? Cosa voleva
da lei?
“Adesso dove ci stiamo dirigendo,
di preciso?” domandò Sirona, quella sera, mentre lei e Lovernios osservavano
una mappa illuminata dal fuoco da loro acceso. Lovernios, infatti, aveva spiegato che non
c’era più alcuna necessità di prestare attenzione ai nemici che avrebbero
potuto scoprirli, dato che in quel punto della Palude la nebbia era così fitta
che il fuoco non si sarebbe potuto vedere se non a pochissimi metri di
distanza.
“Verso sud, in un giorno di
marcia dovremmo raggiungere il maniero.” rispose Lovernios.
“Mi dispiace se oggi non sono
riuscita a parlarti, Lovernios, il mio comportamento è imperdonabile.” si scusò
poi Sirona, sinceramente dispiaciuta per la improvvisa ritrosia.
“Sono contento che ti sia tornato il dono
della parola, ma non devi scusarti. Capisco il dolore che provi.” rispose,
quasi senza pensarci.
Sirona rimase stupita. “Non puoi
capire, Lovernios, tu non puoi immaginare ciò che ho fatto.” replicò la
giovane.
“Nemmeno tu puoi.” fu il commento
di Lovernios.
“Non tentare di farmi sentire
normale, Lovernios. Sono un mostro, lo capisci? Un mostro!” tuonò Sirona,
all’improvviso, voltandosi di scatto verso il suo compagno di viaggio.
“Se tu lo sei, anch’io lo sono.”
sentenziò Lovernios.
“Ascoltami bene Lovernios, adesso
posso dirtelo. Io sono stata un’assassina ai servigi del Cavaliere dell’Incubo
stesso, cosa può esserci peggio di questo?!” disse Sirona, piangendo mentre
osservava il mercenario.
Lovernios la guardò negli occhi e
finalmente ricordò dove l’aveva già vista, ricordò tutto. Il mercenario emise
un profondo sospiro, ormai nella confusione più completa. “Io ero il Cavaliere
dell’Incubo.” disse.
Sirona emise un gemito. “Allora
ricordavo bene.” mormorò, mentre le lacrime continuavano a scorrere. “Ti chiesi
di curarmi, quel giorno, ma tu eri appena arrivata e non volevi essere una dei
miei assassini.” mormorò Lovernios.
Sirona annuì, senza smettere di
piangere. “Ma ubbidii comunque. Oh, Lovernios, quello non eri tu!” prendendo le
mani di Lovernios tra le sue.
“Nemmeno tu sei più quell’assassina.”
rispose Lovernios, chinandosi verso la giovane. Sirona non sapeva più che
pensare, rimase perfettamente immobile, ma il mercenario cambiò all’ultimo
istante le sue intenzioni e si limitò a poggiare le sue labbra sulla fronte
della ragazza.
“Forse dovremmo riposare, che ne
dici? Siamo abbastanza sconvolti, per oggi.” disse poi, con la voce titubante.
“Hai ragione, io ne ho
abbastanza, per oggi.” sorrise amaramente Sirona, prima di coricarsi.
L’ultimo giorno di cammino fu il
più estenuante. La nebbia nera era fittissima e ogni singolo passo andava
attentamente misurato per non finire nelle sabbie mobili o nei gelidi
acquitrini. Le sagome alberi morti, appena intuibili nella coltre di nebbia,
donavano a quel luogo un’atmosfera ancora più teatra, resa insopportabile dal
tanfo che veniva emanato dalle acque stagnanti.
A volte, all’improvviso, il
gracidare di alcuni corvi risuonava nell’aria, facendo rabbrividrie Lovernios e
Sirona.
C’è da dire che durante la marcia
Sirona ebbe il tempo di riflettere: la ragazza si ritrovò a pensare a che cosa
sarebbe accaduto dopo che fosse riuscita a compiere la propria vendetta,
ammesso che vi riuscisse. Sirona non ne aveva la più pallida idea: non aveva
una casa, non aveva denaro ma soprattutto non aveva una famiglia. Ora ricordava
che Karen, la donna che l’aveva allevata,
era morta molti anni prima ed era stato per quel motivo che Sirona aveva
lasciato il suo villaggio d’origine.
Aveva portato con sé solo qualche
vestito, i suoi pochi averi e Foxy, la spada di Karen. Si era poi data al
vagabondaggio e proprio durante il suo girovagare aveva conosciuto Wolfe, che
l’aveva poi convinta a diventare un’assassina.
Questi ricordi, che aveva recuperato
durante la notte, l’avevano distrutta: comunque fosse andata la sua missione,
nessuno se ne sarebbe curato. Eppure il desiderio di vendetta e la voglia di
scoprire quei pochi segreti rimasti tali spingevano Sirona a concludere quella
folle vicenda, non importava in che modo.
L'angolo dell'autrice
Eccomi
di ritorno con il penultimo capitolo di questo racconto (forse ci
sarà anche un breve epilogo, ma non ne sono sicura).
Ringrazio di cuore tutti voi che avete letto e recensito finora, a presto!
Carmilla Lilith.
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