Tommen
Parasonnia.
A corte ci si chiedeva perchè il re Tommen avesse un viso
così stanco.
È il peso della corona, diceva qualcuno.
Tommen si mordeva le labbra. Sì, il peso della corona, il
peso
dei delitti che vi avete incastonato come gemme, il peso del rimorso
che affibbiate agli innocenti, il peso delle lacrime di pietra e delle teste di lupo sul collo.
Tommen aveva udito i bisbigli dei garzoni nella stalle,
nelle
cucine. Aveva udito il racconto della grande festa delle Torri Gemelle.
Concentrandosi, al buio, era riuscito anche a vedere il sangue che
ruscellava sul pavimento, come se volesse divorare il mondo, ad udire Le piogge di Castamere, un
peana che con artigli di morte aveva sfiorato i capelli delle vittime,
con occhi di brace aveva osservato speranze e corpi esplodere;
d'altronde,
al buio è più facile immaginare.
Dentro le palpebre vedeva la paura, Tommen; nelle tenebre
della
sua stanza vedeva gli Stark. Sì, gli Stark erano in ogni
lingua
d'ombra, erano in ogni soffio di vento, erano nella sua testa -nella
sua testa.
Sua madre, come la statua d'avorio d'una dea, si ergeva troppo in alto
affinchè Tommen potesse stringerle il collo con le braccia,
per
trovare conforto. Adesso anche Tommen avrebbe dovuto essere grande,
forte. Come i re.
-Di cosa hai paura, piccolo mio?-
Non si mente mai alla propria madre. -Dei lupi.-
-I lupi sono morti, tesoro. Non possono farti del male.-
Sbagliato, sbagliato. Erano lupi quelli che circondavano
silenziosamente le mura della Fortezza Rossa, erano lupi quelli che
alzavano il capo alla luna e ululavano il suo nome.
Appena un sonno stremato s'accasciava sulle palpebre di Tommen,
immediatamente era una certezza a riaccendere la veglia: loro erano
lì, li udiva respirare, li udiva ringhiare, gli artigli
conficcati nel materasso, le zanne denudate a lambire il suo collo, e
quel sussurro nell'orecchio, acuminato come il filo d'una spada: il Nord non dimentica, non
dimentica, il Nord non dimentica.
Perchè nella sua stanza c'era Arya acquattata
dentro
l'armadio con gli occhi bianchi, c'era la dolce Sansa ai piedi
del
letto, con il vestito da sposa e la bocca affamata. Tocca a te.
Perchè nella sua stanza c'era Bran, il
ragazzino che
scalava il muro per raggiungerlo fino alla finestra, e sul davanzale si
aggrappava con unghie insanguinate. Tocca a te, Tommen.
Perchè sulle scale s'udivano dei passi, i passi
del
ragazzo con il busto attraversato da mille frecce, con il muso di lupo
e la corona del Nord, che stava arrivando. Tocca a te, adesso.
Perchè nella sua stanza, alle spalle dei figli,
c'era
Catelyn Stark a sorridere mestamente, a indicare Tommen, a reclamare il
suo cuore sottovoce; teneva per mano Rickon, che lo osservava con occhi
inespressivi, mutilati di pietà.
Perchè tutti
loro lo
fissavano, ai loro piedi la testa di Eddard Stark, il corpo squartato
di Talisa Maegyr, e tanto sangue quanto Tommen non sarebbe mai riuscito
a versare.
Ma quegli occhi d'inverno dicevano tranquillo,
per questo di là c'è tua madre, tuo padre, tutti
gli
altri, così all'inferno vi terrete compagnia.
Si avvicinavano, si avvicinavano, bluastri nella penombra
della notte. Un branco di mostri destati
dalla loro tana, un branco a caccia. Non della sua patetica vita si
sarebbero accontentati: pur divorando le sue membra, non era lui che
avrebbero ucciso.
E Tommen avrebbe voluto urlare ch'egli non c'entrava nulla, che era
colpa di Joffrey, che a lui le battaglie piacevano solo per finta, che
lui non voleva essere il re, lui non era il re...
Paga i tuoi debiti, mormoravano
gli Stark. Paga la
corona che hai in testa. Paga i tuoi debiti.
Tommen non voleva che morisse nessuno, gli dispiaceva, gli
dispiaceva...
La contrizione non lava il
sangue. Tientela, serve solo alla tua coscienza. Paga i
tuoi debiti.
Tommen era innocente. La sua coscienza era bianca come il
latte.
Il
singolo non ha nome, è finita l'era del colpevole, ora
pagano
tutti, ora tu sei soltanto una casata, sei soltanto Lannister, Tommen
non esiste più. Questo
vuol dire essere re.
Re, ripeteva Brandon Stark afferrandogli i
capelli biondi ed espondendo la sua gola.
Re, confermava
Robb Stark atono, a fior di pelle, accostato alla sua giugulare, poco
più del sospiro del vento del Nord.
Paga. Paga.
In guerra l'innocenza è uno scudo di cristallo,
è
la stessa che non aveva salvato la vita a loro e non l'avrebbe salvata
a
lui, ormai soltanto il sangue contava, il sangue che voleva sangue, e
un
cucciolo di leone non era un gatto, e doveva morire prima che gli
crescessero le zanne, prima che imparasse a non piangere davanti agli
occhi
dei morti.
A corte ci si chiedeva perchè il re Tommen avesse un viso
così provato.
Fa gli incubi, diceva qualcuno.
Note dell'Autrice: Qualcosa di un po' inquietante sugli Stark e sui
sogni del piccolo Tommen. Tutto ciò accade dopo la morte di
Joffrey, quindi sarebbe nella quarta stagione.
L'immagine degli Stark che circondano il letto di Tommen, tipo spettri,
mi è balenata così, e l'ho trovata abbastanza
suggestiva da scriverci qualcosa. Che ne pensate? Sarei molto contenta
di saperlo!
Lucy
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