Un flirt come tanti
A Vì, che
fa aumentare il mio amore per questa ship con le sue storie.
Johanna non
avrebbe saputo dire quando si rese conto di essersi innamorata di Gale
Hawthorne.
Lì
per lì non
era stato altro che uno stupido flirt come tanti altri. L'aveva fatto
più che altro per far innervosire quell'idiota della
Everdeen,
che la menava troppo con quella storia dell'essere mentalmente confusa.
Insomma,
ammetteva che
anche lei aveva avuto la sua dose di sfiga nella vita, per
carità, su quello nulla da dire. Chiunque fosse entrato
nelle
mire di Snow non poteva ritenersi fortunato, e questo lei lo capiva
meglio di molti altri. Ma proprio per questo la ragazza avrebbe dovuto
aprire quei suoi occhietti e vedere che intorno a lei c'erano ancora
delle persone per cui valesse la pena lottare. Johanna avrebbe dato
qualsiasi cosa per avere ancora quell'incentivo.
E invece la
ragazza in fiamme restava lì ad aspettare. Cosa, non si era
ben capito.
Fu allora che
Johanna decise di provare a darle una scrollatina.
La storia del
cugino non se
l'era mai bevuta, figuriamoci, ma non credeva che fosse nata per
nascondere qualcosa di romantico tra Katniss e Gale. Quei due
avevano la loro parte di faccende in sospeso, poco ma sicuro, ma suo malgrado
Johanna era presente durante l'Edizione della Memoria, e aveva visto
bene – pure troppo –
il modo in cui quella guardava Peeta, in cui gli gravitava attorno.
Alla lunga era quasi scocciante.
Quella del
matrimonio
segreto con bambino in allegato era la balla del secolo, ma non si
poteva fingere che da parte di Katniss non ci fosse nulla. Il
depistaggio certo non rendeva le cose più facili a quei due,
ma
lei era stata a Capitol City con Peeta, e dopo quello che aveva visto
era convinta che gli sforzi stavolta dovessero provenire da Katniss.
Non sapeva
bene cosa fare
per smuoverla un po', perché non era esattamente un'esperta
di
romanticherie e sentimentalismi. Aveva provato a suscitare in lei delle
reazioni violente, parlando della sofferenza di Peeta, ma non c'era
stato molto da fare. Katniss si era rinchiusa in un guscio di dolore
autocommiserativo, e lei non era certo sopravvissuta alle torture di
Capitol City per andare a fare Cupido nei sotterranei del 13.
Era uscita di
lì per
vendicarsi una volta per tutte di quel vecchio bastardo di Snow,
possibilmente con una morte lenta e dolorosa.
Peccato solo
che al momento
la sua migliore speranza di farcela dipendesse da quella Ghiandaia
smorta. Le premesse erano piuttosto deprimenti.
Pensò
che forse se
ci avesse provato con Gale avrebbe indignato Katniss, e se non altro
sarebbe stato già un inizio per far nascere in lei delle
reazioni un minimo utili alla causa della ribellione. Se poi non avesse
funzionato, beh, perlomeno Hawthorne era un maschio mica da buttare.
E
così aveva
tentato, ma la situazione le era sfuggita di mano. Lì per
lì non se n'era accorta, perché non era difficile
flirtare con un bel ragazzo in uniforme e passare i pomeriggi in sua
compagnia.
Poi,
più passava il tempo e più abbracciava gli ideali
della ribellione, insieme a Gale.
Pian piano si
era lasciata assorbire a tal punto dalla sua ossessione di partire per
Capitol City da non rendersi più conto di quanto in
realtà le pesasse
tener su la sua commedia, quella di ragazza forte e solitaria che non
aveva
bisogno di niente e di nessuno. Lo era stata per tanti anni, ed era
sempre stata l'unica cosa su cui potesse contare per difendersi. Dopo
aver sepolto la vecchia Johanna nei sotterranei di Capitol City, non le
restavano altri modi per proteggersi, non conosceva altre
realtà.
Ogni mattina
si alzava e si
costringeva ad indossare la corazza di ciò che era rimasto.
Si
vestiva del suo odio per Snow, e andava avanti un altro giorno.
Poi le avevano
impedito di partire per Capitol City, pugnalandola alle spalle
nell'esame finale.
Le avevano
schiaffato in
faccia la cosa che veramente la faceva uscire di testa, l'acqua. Quella
fobia l'aveva sviluppata con un elettroshock dopo l'altro, e non era
una cosa che si potesse risolvere con qualche seduta dallo
strizzacervelli. Aveva stretto i denti a lungo, sopportato
l'addestramento e combattuto contro le crisi d'astinenza da morfamina,
il tutto solo per guadagnarsi un attacco isterico in una simulazione di
guerra.
Fu allora che
Johanna
depose ufficialmente la maschera da dura. Non c'era proprio motivo di
tenerla su, immobile e sconvolta com'era in quel letto d'ospedale,
senza nessuno a cui dover dimostrare di essere forte. La sua grinta non
sarebbe servita per uccidere Snow, e lei era troppo debole per fingere
ancora.
Dopo il suo
esaurimento, la
visita di Katniss era giunta inaspettata. Non tanto il fatto che fosse
venuta, in quello ci sperava: era convinta che il suo regale deretano
da Ghiandaia Imitatrice sarebbe stato trasportato a Capitol City, e
prima che partisse doveva strapparle una promessa vincolante. Quindi in
realtà era stato il suo regalo a giungere inaspettato, tanto
da
riempirle gli occhi di lacrime.
Non erano
scese, però. Era riuscita a fermarle lì.
Il regalo, in compenso,
l'aveva fatta sentire meglio. Stava inspirando per l'ennesima volta il
profumo di aghi di pino quando era stato Gale Hawthorne a varcare la
soglia.
Lui
sì che era
inaspettato. Johanna era rimasta a guardarlo, sentendosi piccola e
vulnerabile in quel letto ospedaliero. Non riusciva a immaginare cosa
potesse volere da lei.
Gale si era
avvicinato, con
indosso la sua uniforme, si era seduto sulla sedia di fianco a lei, ed
era rimasto in silenzio. Aveva i capelli scuri tagliati cortissimi e un
numero tatuato sulla mano, segni che presto sarebbe partito per Capitol
City.
Johanna aveva
sentito una
specie di nodo dentro di sé al pensiero di mandarlo a
combattere
in un luogo dove lei non potesse tenerlo d'occhio. Qualche mese prima
forse avrebbe scrollato le spalle e dato la colpa all'invidia per
essere costretta a restare lì, confinata nel 13, mentre lui
veniva spedito da Snow e si prendeva tutta la gloria.
Ma in quel
momento era talmente priva di difese che la verità l'aveva
colpita con facilità: il punto era che non voleva
che lui partisse. Era stata distratta dai suoi propositi vendicativi, e
non si era resa conto che a forza di passare del tempo con lui gli si
era pian piano affezionata più di quanto sarebbe stato
prudente
fare.
Gale nel
frattempo la
guardava, le labbra strette e l'aria di chi ha qualcosa sulla punta
della lingua e non il coraggio di dirlo.
«Che
ci fai qui?», aveva gracchiato Johanna fissandolo.
«Parto
per Capitol City».
«Meno
male che me
l'hai detto, splendore», aveva replicato lei, recuperando un
po'
del suo vecchio sarcasmo. «Pensavo che mi volessi portare a
fare
una scampagnata».
Un sospiro di
Gale. «Ce ne andiamo domani».
Johanna aveva
aspettato a rispondere, perché gli era sembrato sul punto di
aggiungere qualcosa.
Ma non l'aveva
fatto. Aveva solo allungato una mano, stretto per un attimo quella
fasciata di Johanna –
si era ferita durante l'attacco isterico –
e se n'era andato.
Per la prima
volta dopo
tanto tempo, Johanna Mason era rimasta sveglia a pensare a persone come
Finnick e Gale. Perché, come le era successo in passato,
quelli
a cui voleva bene erano in pericolo, e non c'era niente che lei potesse
fare.
La fine della
guerra aveva portato tanti cambiamenti.
Primo fra
tutti, la morte
di Finnick. Era stata ferita, confusa e arrabbiata per tanto tempo,
prima che la furia lasciasse il posto ad un dolore sordo che la faceva
sentire svuotata. Aveva fatto spesso visita ad Annie, per darle una
mano a tenere insieme i pezzi, ma più passava il tempo
più si accorgeva che non era lei, tra le due, ad avere
bisogno
di aiuto.
«Sai,
Jo», le
aveva detto un giorno, senza staccare le mani dal pancione,
«una
volta mi hanno detto che rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte
il tempo che serve per crollare». L'aveva fissata negli occhi
con
una determinazione ed una lucidità che Johanna era sicura di
non
averle mai visto sul volto. «Non posso permettermi di
crollare.
Lui ha bisogno di me».
Con quelle
parole in testa, Johanna era tornata nel 7 e aveva dato un'occhiata da
fuori alla sua vita.
Era come la
sua casa: silenziosa e con il disperato bisogno di una ripulita.
Non che avesse
poi tutta
questa importanza. Era compito suo tenere insieme le cose, e lei era
già crollata molto tempo prima.
Il secondo,
grande
cambiamento portato dalla guerra era stato annunciato da Plutarch
Heavensbee. Un giorno Johanna aveva sentito suonare il campanello, era
andata ad aprire, e se lo era ritrovato davanti alla porta di casa.
Apparentemente
era venuto
per convincerla a partecipare a uno dei nuovi varietà
organizzati proprio da lui, il supremo responsabile delle
telecomunicazioni della nuova, grande repubblica di Panem, che avrebbe
rivisto una nuova alba dopo il tramontare dell'era degli Hunger Games,
e che adesso si preparava ad abbracciare nuovi stili di vita e bla bla bla.
Johanna aveva
annuito
simulando un'aria interessata per tutto il tempo, cogliendo solo parole
qua e là del lungo e pomposo discorso di Plutarch. Stava per
buttarlo fuori da casa sua dicendogli di avere delle cose da fare prima
di arrivare alla mezza età, quando nella sua cascata di
parole
ne colse una che le fece ascoltare il resto con più
attenzione.
«...
che adesso
lavora nel Due e, per carità, se la sta cavando
egregiamente, ma
non ne ha voluto sapere di programmi creativi... Fa solo quei suoi
aggiornamenti politici e si mette a raccontare come va la
ricostruzione. Nulla di che, insomma, mi capisci, no? Quindi, dicevo,
io stavo cercando i volti della rivoluzione per questa serie di
programmi, perché l'impatto che avrebbero sul pubblico
sarebbe...».
«Mi
dispiace, Plutarch», tagliò corto Johanna.
«Ho già degli impegni».
Lui
sembrò immensamente stupito. «E di che
tipo?».
«Il
Sette comincia a stancarmi. Avevo intenzione di viaggiare un po' nei
Distretti».
Plutarch si
illuminò tutto. «Oh! Potresti fare l'inviata per
il nostro nuovo...».
«Anche
no, Plutarch,
grazie». Si alzò e lo accompagnò alla
porta. Lui
aveva un'aria molto confusa. «Se cambierò idea mi
farò sentire».
Gli fece un
sorriso e gli chiuse la porta in faccia. Aveva delle valigie da
preparare.
Forse un altro
avrebbe
riflettuto con più calma prima di partire per un lungo
viaggio,
ma lei non ne aveva bisogno. Johanna non si lasciava nulla alle spalle
nel 7, solo una casa vuota nel Villaggio dei Vincitori, che le
ricordava costantemente un'insieme di cose che voleva solo dimenticare.
Quindi era
partita per
questo fantomatico viaggio nei Distretti, ed il primo in cui si era
voluta fermare, in tutta casualità, era stato il Due.
Una volta
giunta lì, doveva solo trovare Hawthorne. Peccato che come
impresa fosse dannatamente difficile.
Era conosciuto
da tutti,
nel Distretto, per via del ruolo di spicco che occupava. Doveva aver
lasciato istruzioni ben precise, però, perché
quando
Johanna aveva provato a chiedere agli abitanti del luogo dove fosse
casa sua, nessuno sembrava saperlo.
Stupido
idiota.
Era stata
costretta a recarsi nella nuova zona governativa ed aspettare. E
aspettare. E aspettare.
Quando alla
fine
l'imbecille si era palesato, si era premurato subito di farle sapere
che sì, era stato lui a proibire a tutti di far arrivare
ospiti
a casa sua, e che no, non voleva ricevere visite, anzi voleva proprio stare solo. E con solo intendeva
l'assenza di contatto con altri esseri umani al di fuori del luogo di
lavoro.
«Dì,
un po',
splendore», gli aveva risposto lei.
«Quand'è che sei
diventato così scorbutico? Se l'avessi saputo sarei rimasta
insieme agli orsi del 7».
Gale stava per
risponderle
con una frase che Hazelle non avrebbe ritenuto consona, quando Johanna
l'aveva preso sottobraccio con forza ed aveva iniziato a guardarsi
intorno con aria incuriosita.
«Beh,
allora? Dove mi porti?».
Prima
di riuscire a vedere la casa di Gale c'era voluta una settimana.
Hawthorne
passava del tempo
con lei nell'unico bar ricostruito nel Distretto, le pagava anche la
misera quota della pensione in cui risiedeva, ma non voleva farla
arrivare a casa sua.
Non che
Johanna non avesse
provato a seguirlo. Insomma, all'inizio non pensava ci volesse una
laurea per stanare una pertica come lui. Ma se lei aveva due Hunger
Games dalla sua parte, Gale era un cacciatore. Sapeva scomparire in
silenzio, e conosceva le strade del Due molto meglio di lei. Non appena
Johanna sentiva di avercela finalmente fatta, di tenerlo in pugno, lui
– zac!
– evaporava dietro ad un cumulo di macerie o in uno stradina
nascosta.
Al terzo
tentativo,
irritata, gliel'aveva data su. Gale era testardo, certo, ma lei di
più. Era sicura di spuntarla, alla fine, oh sì.
Quando lui
l'aveva condotta
davanti ad una minuscola casa al limitare del Distretto, dopo una
settimana di resistenza, Johanna era quasi riuscita a sentire il sapore
della vittoria sulla propria lingua.
Era entrata, e
aveva
scoperto che si trattava di un piccolo, scuro bilocale che si addiceva
fin troppo bene all'umore nero del proprietario.
«Accidenti»,
aveva commentando buttandosi sul divano. «Sospettavo che non
te
la passassi troppo bene, ma non pensavo che la situazione fosse
così grave».
«Qualcosa
da dire su casa mia?».
«No,
no, per carità. È un vero gioiellino. Se poi sei
claustrofobico è la casa dei sogni».
«Senti»,
aveva
replicato Gale, inspirando rumorosamente, «se sei qua per
insultarmi la casa direi che te ne puoi anche andare».
«Ma
io amo questo posto! Anzi, posso restarci diciamo per i prossimi... tre
anni?».
Gale le aveva
lanciato un'occhiata confusa ed innervosita. «Tre
anni?».
«Zucchero,
va bene
amarlo, ma tre anni in questo posto sono sufficienti per farmi venir
voglia di tagliarmi le vene. Dopo tre anni ci trasferiamo».
Gale aveva provato a tenerla lontana da casa sua, davvero.
Johanna si era resa conto della quantità di serrature che
aveva
cambiato, dei rinforzi che aveva messo alle finestre e del cartello con
su scritto Vattene
affisso sopra la porta.
Se ne era resa
conto,
sì, ma questo non le aveva impedito di sgattaiolare dentro
ogni
volta che ci era riuscita. Va bene, lo ammetteva, rompere il vetro di
una finestra non era un modo esattamente ortodosso di entrare, ma, ehi,
cosa poteva fare una poveretta se restava chiusa fuori? Tanto lo
sapeva che Gale lo faceva solo per provocarla.
Poi una
mattina aveva fatto
irruzione in casa sua – quella serratura era di gran lunga la
più banale che avesse mai visto – e se l'era
ritrovato
davanti. Che la fissava.
Era rimasta
più che
stupita, ma aveva cercato di non darlo a vedere. Si era dipinta in
faccia il suo sorriso più impertinente e gli aveva parlato
con
voce chiara.
«Buongiorno,
splendore. Si batte la fiacca oggi?».
Lui non si era
lasciato distrarre. Era avanzato con quei suoi passi lunghi e si era
fermato ad una spanna da lei.
«Perché
lo fai? Perché non mi lasci in pace?».
La domanda
l'aveva colta
alla sprovvista. Era vero, era stata insistente. Aveva deliberatamente
ignorato tutte le volte in cui Gale che le aveva detto di lasciarlo in
pace, anche questo era vero.
Ma questo
perché non
credeva, in tutta onestà, che lui volesse veramente
sbarazzarsi
di lei. Pensava che fosse una sua para, una di quelle cose
melodrammatiche alla non-merito-la-felicità che sembravano
tanto
adatte a lui. Non aveva pensato che semplicemente non la volesse tra i
piedi.
Si era
sforzata di mantenere salda la voce. «Vuoi che me ne
vada?».
«Sì!»,
aveva sbottato lui in fretta. «Quale parte di non voglio compagnia
non ti entra in testa?».
Johanna aveva
un'idea di
quello che avrebbe fatto la vecchia se stessa. Avrebbe voluto avere
l'ultima parola con una risposta come «La parte del non,
caro», avrebbe sorriso sorniona e poi avrebbe provato a
baciarlo.
La nuova
Johanna, invece, sembrava aver perso la voce senza essere in grado di
ritrovarla.
Aveva lasciato
alle sue
spalle un'Arena insanguinata, una famiglia assassinata, una tortura, la
morte di un amico, una casa abbandonata. Era venuta nel Due alla
ricerca dell'unica vita che le sembrava essere rimasta, e anche se
sembrava respingerla, lei non aveva mollato. Perché non
voleva,
e perché non
poteva.
Ed ora era
proprio lui,
l'unica cosa che le era rimasta, l'unica che le faceva venir voglia di
alzarsi ogni mattina, a cacciarla fuori dalla propria vita.
«Se
è così, Hawthorne», aveva mormorato. Le
tremava la voce. «Tolgo il disturbo».
Era uscita senza guardarsi indietro. Aveva paura di vedere il sollievo nei suoi occhi
grigi.
Johanna non
era tornata nel
Sette. Nel Due non c'era niente per lei, evidentemente, ma a casa la
aspettavano solo i fantasmi. Aveva deciso che avrebbe imparato a
convivere con il niente.
Si era messa a
cercare una casa, e intanto rimaneva a dormire in quella specie di
albergo che c'era in città.
Nel frattempo,
quell'idiota di Hawthorne sembrava averci ripensato.
Quando era
ricomparso e
aveva bussato alla porta della sua stanza, nella pensione, lei non
aveva fatto scenate. Aveva aperto, guardato chi era e richiuso la porta.
Ma siccome
Hawthorne aveva
iniziato a lamentarsi a voce alta e stava disturbando la quiete
pubblica dell'intero Distretto - urlava qualcosa a proposito di
irruzioni nelle case altrui -, dopo un po', scocciata, l'aveva fatto
entrare.
Alla fine
della giornata, Johanna non era rimasta a dormire nella sua camera
d'albergo.
Da quel
momento in poi, la sua relazione con Gale aveva preso un piega complicata.
Non vivevano
insieme, non
avevano un vero e proprio rapporto stabile. Sapevano che sarebbero
sempre potuti andare a casa dell'altro, e lì avrebbero
trovato
affetto, comprensione, conforto.
Sapevano stare
soli, ma quando diventava un peso troppo grande sapevano a chi
rivolgersi.
Mai si
sarebbero sognati di voltare le spalle all'altro quando fosse comparso
davanti alla propria porta.
Entrambi si
mostravano duri
e forti, come le persone che erano prima della guerra, ma quando
stavano insieme avevano imparato ad abbassare la guardia. Non era stato
semplice, soprattutto per Gale. Ma Johanna lo aveva guidato,
offrendogli
inconsapevolmente un esempio, affidandosi per prima a lui.
Johanna non
avrebbe saputo dire quando si rese conto di essersi innamorata di Gale
Hawthorne.
Era nato tutto
così, un flirt come tanti. Solo che poi, si sa, una cosa
tira l'altra e si resta fregati.
Nella sua
testa non c'erano etichette, non aveva dato una definizione a quello
che c'era tra loro.
Ma poi lui, senza dirle niente, l'aveva portata davanti alla sua casa
nel Sette, nel Villaggio dei Vincitori, e le aveva messo in mano un
martello.
«Non
avevi detto che ormai c'erano solo fantasmi qui?».
L'avevano
distrutta
insieme, colpo dopo colpo, un mobile dopo l'altro. Non sapevano a
quanto ammontasse il danno complessivo, ma dubitavano che qualcuno li
avrebbe denunciati.
La distruzione
di quella
casa, in senso meno simbolico, aveva portato anche ad un'altra
conclusione immediata. Il trasferimento di Johanna nel Due era
già semi-permanente, ma quello che Gale le aveva sussurrato
all'orecchio quella sera suggeriva un altro tipo di permanenza, in una
casa diversa dal monolocale in affitto di Johanna.
«Gale?»,
aveva poi mormorato lei qualche tempo dopo, seduta con lui sul divano
di casa Hawthorne.
Lui sembrava
occupato a tracciare linee immaginarie sulla pelle del suo braccio.
«Mh?».
«Mi
sbagliavo. Non posso restare qua».
La mano di
Gale si era
fermata, e lui aveva assunto subito un'aria tesa, allarmata. Johanna
aveva affondato il viso nell'incavo del suo collo, e ci aveva nascosto
un sorriso.
«Tre
anni con questa carta da parati mica li affronto».
______________
Salve a tutti!
^^
E complimenti
se siete arrivati fin qui.
Credetemi se
vi dico che
questa storia è stata un parto. Non riuscivo a finirla!
Continuavo a scrivere e scrivere e scrivere e mi sembrava di non dire
nulla, solo parole vuote. Ho anche cambiato tutti i tempi verbali della
storia, a un certo punto, tanto per farvi capire. Quindi per favore
occhi aperti e ditemi se ho saltato qualche correzione o se ci sono
errori perchè dopo un po' ci vedevo davvero doppio D:
Non mi
convince, non è come vorrei, ma spero che venga apprezzata.
Vì, perdonami. E, a proposito di Vì, il nomignolo
splendore,
che Jo usa per Gale, è una cosa sua :)
Comunque avevo
raggiunto il
momento in cui ormai ti viene da vomitare, quindi ho pensato di
pubblicarla e basta, non ne potevo più ^^
Dunque eccomi
qua, a postare involontariamente dopo le mie golden girls,
eco e Vì (sì, vi sto corrompendo per farvi
scrivere una
recensione positiva a questo obbrobrio. Sono disposta ad allungare
mazzette).
Passiamo alle
cose serie.
Ringrazio tanto vero_91 per avermi fatto notare che la fic dalla quale ho preso spunto per la faccenda di Johanna che fa irruzione a casa di Gale è la sua, e si intitola "Non sono come te, non sono...". Ci tenevo a citarla perchè le idee sono preziose e con tutta la fatica che ci vuole per farsele venire in mente non è bello per niente andare in giro a rubare quelle degli altri.
Spero
disperatamente che questa storia abbia un senso.
Un bacione a
tutti,
wip
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