Doppio giro all'inferno.

di misslittlesun95
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1.

Parma, 2008.

Le sere di agosto passavano sempre più rapide.
Viola e le sue amiche si godevano per quanto possibile quegli ultimi momenti di libertà prima dell'inizio dell'ultimo anno di superiori.
Ancora non sapevano cosa fare dopo il diploma, e almeno fino alla fine dell'estate si erano ripromesse di non chiederselo neanche, né a se stesse né a vicenda.
Quella sera, quella del venti di quel caldissimo mese, non avevano in programma nulla di particolare.
Avevano deciso di andare a cenare fuori, tutti e otto; Viola, le sue migliori amiche Francesca, Marta e Sara e i quattro fidanzati delle giovani, in ordine Alberto, Giacomo, Simone e Carlo.
Alla fine di un difficile pomeriggio perso a decidere dove mangiare invece che a studiare avevano optato per un Sushi Bar che frequentavano da alcuni mesi e dove non si erano mai trovati male.
Una serata tranquilla, magari dopo la cena si sarebbero fermati ancora un poco lì, oppure sarebbero andati in un altro locale, poco distante, a bere qualcosa.
Di certo dalle undici e mezza alla mezzanotte e mezza sarebbero stati in un parchetto, come facevano sempre.
I pochi di loro, Viola, Marta e Carlo, per la precisione, che avevano ancora un coprifuoco malgrado la maggiore età, lo avevano all'una, e così a quell'ora andavano a casa tutti, perché per quanto potessero ancora divertirsi in cinque non avevano voglia di stare senza una parte di quel gruppetto che si era formato ai tempi delle scuole elementari e che, speravano, non si sarebbe mai sciolto.
Viola, orfana di madre dall'età di dodici anni a causa di un incidente stradale, viveva con il padre Mauro e il fratello Vittorio in una villetta non poco fuori Parma.
Non si trattava proprio di un paesino, perché anche dal paese più vicino distava qualche chilometro.
Era una zona isolata, ma si trovavano bene.
Un tempo era stata la casa di campagna del nonno Angelo, il padre di Mauro.
Poi lui era morto, ma il figlio non aveva avuto il coraggio di venderla. E così, divenuto vedovo, aveva abbandonato la casa di città, piena di troppi ricordi della defunta moglie, per andare a vivere lì, dove i ricordi erano comunque tanti, ma lui si sentiva in grado di conviverci.
Per i due figli non era stato un grosso trauma, per il semplice fatto che Mauro era un importante commissario di polizia, motivo per il quale doveva recarsi a Parma la mattina presto e spesso tornava tardi, quindi i due ragazzi andavano e venivano con lui, lasciando quasi invariati i loro orari precedenti, tolta giusto la sveglia, che suonava un poco più presto.
Quando aveva compiuto diciotto anni Vittorio aveva subito preso la patente e Mauro, con i soldi che da un po' metteva da parte, gli aveva comprato una macchina affinché potesse iniziare ad andare in città la sera, ovviamente senza bere né altro.
A Vittorio quella cosa era piaciuta e non poco, ma, accorgendosi che in un certo senso lo limitava, alla fine aveva fatto un patto col padre: lui avrebbe potuto bere perché sarebbe stato accompagnato a Parma e riportato a casa da Mauro, ma l'ora dell'incontro tra padre e figlio non avrebbe superato l'una.
Un'ora dopo la mezzanotte si sarebbero visti davanti al commissariato e sarebbero tornati a casa.
Cresciuta Viola la regola non era cambiata, tranne che da quando aveva la patente ogni tanto i due uscivano da soli e bevevano a rotazione.
Quella sera però Vittorio non c'era, aveva organizzato una settimana al mare con alcuni amici e così la sorella si era trovata a dover rispettare le disposizioni del padre.
Nessun problema, tanto l'incontro per la cena era alle otto e cinque ore erano più che sufficienti per stare con gli amici, soprattutto visto che anche l'intera giornata erano soliti passarla assieme.
Alla fine, verso le dieci, avevano deciso di uscire dal ristorante e andare a bere qualcosa.
Non bevevano mai molto, non era loro costume.
Si ritenevano alquanto diversi dai loro coetanei anche per quello; a loro bastava stare insieme, per divertirsi, non avevano poi bisogno di sballarsi o rischiare di farsi male e stare male.
Ogni tanto si chiedevano se quella loro idea sarebbe rimasta anche una volta finite le superiori e cominciata l'università, quando erano certi che si sarebbero ritrovati in una situazione completamente diversa.
Ma anche di quello parlavano raramente, di solito preferivano pensare al presente piuttosto che al futuro.
- Si però ragazzi ora non è che per farci dispetto ci mettono la Moretti di latino e greco, vero?- Domandò Alberto mentre si sedevano e ordinavano.
Eleonora Moretti era stata la loro insegnante di lettere classiche ai tempi del ginnasio, e nessuno, né tra di loro né all'interno dell'intera classe, ne aveva un buon ricordo.
- No, no, no e no! Io voglio finirlo il liceo, e che cazzo!- La violenta reazione era stata quella di Francesca, che ai tempi era stata rimandata, a suo dire ingiustamente, entrambi gli anni.
- Dai, Frà, quei debiti te li sei meritata tutti è due, è inutile che adesso fai così! Se ci capita la Moretti ci daremo da fare, ci metteremo sotto e le dimostreremo che in due anni con la Chiarello abbiamo imparato moltissimo, che altro dovremmo fare?- Aveva risposto Viola.
Francesca aveva indicato l'amica e poi aveva parlato a tutti gli altri.
- Vedete? Questa ragazza che dice che io mi meritavo i debiti è la mia migliore amica da quando avevo tre anni. La mia migliore amica, capite? Ora non so bene se sono io ad essere stupida o cosa, ma non capisco come faccia ad esserlo ancora!- Aveva riso, e con le lo avevano fatto tutti gli altri.
In effetti non avrebbero potuto essere più diverse, e spesso ridevano dicendo che era stato proprio quello a farle rimanere unite.
- Dai, efficiente lo dai che mi volgo bene!-
Alle parole di Viola rimasero tutti stupiti e, soprattutto, smisero di ridere facendosi improvvisamente seri.
Non capivano cosa avesse detto, non aveva senso quell'ammasso di parole.
- Vì non fare la cretina, parla bene.- Provò a dirle il fidanzato, che malgrado la paura iniziale voleva credere stesse scherzando.
- Roberto non gioisco quello che stai definendo!-
- Dai, lo sai! Smettila, sembri scema! Anche se ammetto che vorrei essere in grado io di cambiare le parole cosi dal nulla!-
Viola lo guardò strano, con gli occhi quasi sbarrati, e in quel momento Alberto capì che non stava scherzando.
- Cedo... Vero....- Disse ancora la ragazza.
Poi si sentì un tonfo, e solo l'intervento pronto di Carlo che le stava affianco fece si che la giovane non cadesse a terra con la sua sedia.
- Alberto chiama un'ambulanza.- Disse poi il ragazzo con Viola, ormai incosciente, tra le braccia.



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Questo è il primo reale capitolo, anche se avviso già che i prossimi saranno per buona parte più lunghi.
Niente, spero vi piaccia e fatemi sapere cosa ne pensate ^_^





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