Ci Ripensò e Poi Sorrise
♣CI
RIPENSÒ E POI
SORRISE♦
Perchè
lui non era altro che un Mago dal Volto Sorridente
*~~*~~*~~*
L’uomo
osservò con occhi passivi la lastra di pietra marmorea che
fuoriusciva dal
terreno di mezzo metro. Nessuna scritta ad ornarla, c’era
soltanto quella
lapide fredda e liscia ricoperta da un lato da piante rampicanti.
L’uomo
si sedette lì di fronte continuando imperterrito ad
osservarla. Cadeva sempre nella morsa dei ricordi...
Era una di quelle giornate che
si vedevano dal mattino. O
almeno lui pensava così, poiché il sole aveva
splenduto ardente già dalle prime
luci dell’alba, il cielo era terso e lui era felice.
L’uomo
si portò una mano
al mento e alzò con un sorrisetto lo sguardo al cielo
grigio. Non aveva idea
del perché fosse stato tanto felice. Forse non ricordava
anche perché lui non
sapeva PIÙ cosa volesse dire essere felice veramente.
Correva
verso casa a gran velocità. Non vedeva l’ora di
mostrare alla madre il pesce gigantesco che aveva pescato quella
mattina al
mare.
Quel
giorno si era alzato prestissimo, circa verso le tre.
Aveva preso la sua canna, speso la sua paghetta di due settimane per
comprarsi
delle buone esche e aveva passato tutta la mattinata sotto il sole ad
aspettare
che il galleggiante –quel piccolo pezzo di legno colorato che
si era costruito
manualmente non potendo permettersene uno vero- scomparisse
sott’acqua.
Nei
momenti di calma piatta aveva semplicemente
giocherellato con i pochi spiccioli che gli erano rimasti di resto
dalle sue
piccole compere. Quella monetina spariva e ricompariva tra le sue dita
abilmente, anche se a volte cadeva a terra svelando malamente il
trucco. Però
oramai era diventato abbastanza esperto da riuscire a rubare dalle
bancarelle
del mercato qualche frutto senza essere scoperto.
Per
questo si riteneva un mago.
Fortunatamente,
comunque, quella mattina era stato ben
ricompensato per aver speso i suoi soldi in quelle esche. Con la preda
che
aveva catturato avrebbero potuto mangiare per due buoni giorni, lui e
sua
madre.
Arrivò
davanti al cancello di casa -che tra l’altro aveva
bisogno di essere aggiustato perché pendeva tutto da una
parte- e lo superò con
velocità.
Stava
per chiamare la madre a gran voce quando sentì dei
rumori strani provenire dall’interno
dell’abitazione.
Quando
appoggiò l’orecchio alla porta sentì
voci basse,
confuse, forse perché soffocate da pareti che le
distanziavano dall’entrata.
Poi
le sentì, quelle parole soffocate dal pianto. Di
nuovo.
Lasciò
cadere a terra il pesce senza nemmeno pensarci.
Strinse
i pugni con rabbia.
Erano
tornati. Di Nuovo.
Aprì
di scatto la sottile porta che rischiò di cadere
finalmente in pezzi.
Corse
sul pianerottolo freddo e sporco verso il loro
piccolo salotto.
Avevano
cattive intenzioni. Di Nuovo.
Poi
però calmò il passo e con una
silenziosità inumana
ascoltò le parole che uscivano da dietro la porta della
stanza.
“Sono
mesi che non paghi l’affitto come si deve.
Oggi però non c’è più quel
tuo uomo da strapazzo a proteggerti. Perché quel
bastardo è morto, no? Da una settimana. Ah, no, sono due.
Beh,
non cambia molto dopotutto.”
Risate
dal suono quasi demoniaco filarono fuori dai buchi
della porta erosa dalle tarme.
“M-ma…
non possiamo lasciare questa casa! M-mio figlio è
ancora così giovane! V-vi prego! Come possiamo
fare?” La voce della madre era
interrotta perennemente da singhiozzi disperati.
Il
ragazzo strinse i pugni. Allora erano veramente loro.
“Papà…
proprio ora dovevi andartene?” Sussurrò
tra
le labbra. Poi tornò in silenzio, per ascoltare
quell’uomo parlare. Anche se,
il ragazzo lo sapeva, quello non era MAI senza scorta.
“Bhe,
dopotutto un modo ci sarebbe. Hai un così bel visino
che non si può dirti di no.”
Di
nuovo quelle risate macabre. Lui ODIAVA quelle risate.
Le aveva sentite fin da quando non camminava ancora. Ma suo padre
–perché i
papà stanno SEMPRE accanto alle mamma- non l’aveva
mai lasciata sola e l’aveva
sempre protetta e aveva fatto cessare ogni volta quelle risate.
“Sai
cosa intendo, no, quando parlo di un modo?”
“…”
La donna tacque, annuendo piangente.
Anche
suo figlio sapeva cosa intendesse quell’esattore. Un
tributo fisico.
E
lui -LUI, che era ormai l’unico uomo di casa, che avrebbe
compiuto 15 anni dopo un paio di mesi, che era un ragazzo
così esile che
sembrava potesse essere spezzato dal vento- non voleva che sua madre si
offrisse a quegli uomini solo per salvarlo dalla strada. Lui non
voleva.
Non
sapendo precisamente a che fine sarebbe andato
incontro spalancò la porta del piccolo salotto, con uno
scatto di rabbia.
“Dovete
smetterla di venire! Lasciateci in pace!”
Urlò, forse con troppa foga.
Gli
uomini erano più di quanto si aspettasse. Cinque
uomini alti e larghi come armadi. Al centro il loro capo, alto e
smilzo, lo
guardò con sufficienza.
“E
tu chi saresti, scriccioletto? Il sostituto del
bastardo morto?”
“NON
PARLARE COSÌ DI MIO PADRE!”
Era
arrabbiato. Era arrabbiatissimo. Mancava poco che si
scagliasse contro quel tipo per saltargli addosso.
“Hisoka,
ti prego…” La madre chiamò il ragazzo
con la voce
tremante.
Lui
la ignorò, anche se a fatica.
“Allora,
ometto. Che intenzioni hai, per mandarci via da
qui? Vuoi forse picchiarci? Ma guardati: hai le braccia che stanno a
malapena
su da sole.”
E
l’uomo rise di nuovo. Quella sua odiosa risata cupa e
demoniaca.
Hisoka
strinse i pugni. I suoi nervi erano tesi oltre la
normalità.
“TACI!”
Urlò.
Con
uno balzo si scagliò contro lo smilzo, ma non fece in
tempo nemmeno a sfiorarlo che uno dei cinque tirapiedi lo
fermò con una
semplicità impossibile.
“Ragazzino,
non fare il pagliaccio. Togliti dalle palle, e
lascia che siamo io e tua madre a pareggiare i conti.”
“Non
mi sposterò da qua finché non ve ne sarete andati!”
Il
prestigiatore sorrise,
giocando allegramente con il suo mazzo di carte. Certo che quella volta
le
aveva prese proprio di santa ragione.
Il
naso ed entrambi gli
zigomi fratturati, una o due costole rotte e un numero indecifrabile di
lividi.
Non ricordava però il dolore che aveva sentito. Era fin
troppo tempo che non
sentiva dolore per ricordarsi come fosse.
Poi
smise di mescolare le
carte. Il sorriso scomparve dal suo viso.
Stava steso
inerte a terra. Non sentiva più nemmeno la presenza del
corpo. Tanto che il
dolore gli sembrava assente.
Tutte le figura
che gli passavano davanti agli occhi semi aperti erano sfocate, macchie
di
colore dalla forma sconosciuta…
Tutti i suoni che
gli arrivavano alle orecchie erano flebili, suoni senza senso che gli
opprimevano la testa senza sosta…
Il sole
“Bene, è ora di
andare.”
Una spiaggia nascosta dove pescare
“Lasciatemi!”
Quel sorriso paterno
“Su, non fare
così…vedrai che ti
piacerà…”
Quella voce calda che scaldava il cuore
“No!
D-devo…Hisoka!”
“Sai Hisoka, presto me ne
andrò da qui”
“Vieni qui! Ci
hai promesso qualcosa!”
Gelido vento che ghiaccia e spezza i sogni
“No! No!”
“M-ma…papà!
P-perché?!”
Gemiti. Lacrime.
Urla.
“Perché?! Perché?!
Perché?!”
“..Hisoka…”
“Hisoka. C-cerca di…”
Un sussurro. Poi
di nuovo urla. Gemiti.
“NO! NON PUOI LASCIARE SOLA LA
MAMMA!”
“…Hisoka…”
“Hisoka, io n-non voglio
questo…n-non…”
Grida. Urla.
Sussurri… in un immenso eco insopportabile.
“…”
E lui pregava.
Pregava di smetterla di fare tutto quel chiasso.
“Hisoka? Cos’hai?”
Voleva coprirsi
le orecchie con le mani ma lui non ne aveva la forza.
“H-Hisok…”
“…H-Hisok…”
“HISOKA!”
“…Hisoka…”
“HISOKA!
NO!”
“…Hisoka…no…”
Un colpo. Secco.
Quella carta era così
tagliente…
Basta! Basta! Non
ne poteva più! C’era troppo rumore!
Aveva visto tutto rosso, quel giorno…
Tutto rosso…
Urlò pieno di
rabbia. Alzandosi a sedere con uno scatto inumano.
Pochi attimi come
ore, rimbombarono nella sua mente debole.
Quando
terminarono quei pochi attimi, vide di nuovo tutto rosso.
Come quella
volta.
Terribile visione
di un mondo monocromatico che lascia stupiti e frastornati.
Pozze scarlatte
in cui riflettervi il viso, schizzato anch’esso di porpora.
Si allargavano,
quelle pozze. Si allargavano più che mai, bagnandogli i
piedi scalzi e
impolverati, senza volersi fermare.
Erano calde
quelle pozze, comparse dal nulla. E sette corpi si
stendevano su
quell’atroce rosso come ignari di sporcarsi.
Come erano
arrivati lì, quei sette corpi? Come?, si
chiedeva.
Il tipo smilzo
era riverso a terra con un’espressione demoniaca in volto,
come lo era stata la
sua risata. Il corpo interamente immerso nel rosso, sporcato di quel
colore
scarlatto, che- se ne accorse in quel momento- sgorgava lento dallo
squarcio
sul suo collo.
Cinque uomini
stavano attorno a lui, stesi a terra, enormi e stonati come una belva
in un
giardino pubblico. Anche loro erano rossi, come quel liquido che gli
bagnava i
piedi e anche loro perdevano quel rosso dalla gola.
Sembravano
fissare il soffitto in trans. Era strano. Avevano gli occhi
così vuoti…
Poi c’era
un’altra figura. Di questa non si vedeva il viso. Sembrava
dormire prona, con i
lunghi capelli neri sparsi dappertutto. Le braccia distese lungo il
corpo nudo
e rosso. Lividi sulla pelle, segni rossi sulla schiena liscia e
perfetta.
Vedeva tutto
perfettamente, nei minimi particolari. Quel sangue
che sgorgava da ogni
parte gli faceva caldo. No, non era disprezzo, paura, nausea.
Assolutamente.
Si rese conto in
quel momento che quel sangue che bagnava ogni singolo centimetro del
pavimento
non gli bastava. Non bastava alla sua eccitazione, che non voleva
smettere di
fremere sotto la vista di tutto quel rosso.
Senza far caso al
dolore al torace delle costole rotte e al naso sanguinante, raccolse da
terra
una delle sue carte. Anche quella era rossa.
Uscì dalla stanza
lasciando visibili impronte sul legno del pianerottolo. Con una mano,
durante
il percorso, tolse dalla carta il sangue che la copriva.
Il suo Joker. Il
suo Joker della morte.
Fremendo sorrise
maligno.
Lui era un mago
nel fare le cose.
Poteva far
scomparire una moneta e farla ricomparire, poteva rubare delle mele da
una
bancarella del mercato per regalarla alla sua [ex]mamma.
Però -e nel
pensarlo uscì dalla casa, dove il cielo si era fatto
nuvoloso e qualche goccia
già scendeva impertinente sulla sua testa-, la cosa che
più lo aggradava e che
gli veniva meglio era tagliare. Tagliare con quelle sue carte.
Guardò il cielo,
mentre con passo lento attraversava la strada sterrata che portava
fuori dal
suo [vecchio] paese.
Sì, i buoni
giorni si vedevano proprio dal mattino.
Era cominciato a piovere
forte, tutto d’improvviso. Però Hisoka non si era
mosso da di fronte alla
piccola lastra di pietra, quella senza alcuna scritta e ricoperta solo
di erbe
rampicanti.
Guardò la prima
carta del
suo mazzo, scoprendo il suo splendido Joker.
Ogni anno, quello lo
stesso giorno, osava ricordare il suo passato oramai scordato. Tornava
su
quella spiaggia dove era stato sepolto suo padre e dove era anche stata
sepolta
sua madre.
Ogni volta volava coi
ricordi a quegli attimi, come uno stupido poeta sentimentale.
Un poeta sentimentale
avrebbe guaito a tutto quel dolore.
Ma lui era Hisoka.
Lui era il Mago dal Volto
Sorridente.
E
ripensando a tutto quel
rosso non guaiva. Sorrideva.
Là,
dove il conto alla
rovescia
si era concluso
amaramente
con la caduta di tutti
quanti
e la sua ascesa.
Là
Aveva scoperto la sua
più
grande passione.
Uccidere.
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ANGOLO
AUTRICE:
Salve!
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Ecco
la mia mente malata tornata a colpire voi e la vostra lettura. Forse
non si è capito, o forse sì: Hisoka è
in assoluto il mio personaggio preferito in HxH... forse
momentaneamenta anche di tt gli anime/manga che conosco. Sì,
forse è al pari di L...ò.ò non
saprei... comunque, come ho già scritto nell'introduzione
questo non è per nulla Spoiler... è solo la mia
mente contorta che ha lavorato troppo con tutte le verifiche che ho in
questi giorni... ò_ò vedete come mi portano bene?
Bhe, spero comunque che abbiate passato un po' del vostro
tempo piacevolmente. Allora io vado... ci si sente alla prossima
cavolata che mi passa per la mente XDD ciauu.
PS:
Lasciate una recensioncina? ^___________^
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