Storia
partecipante al contest “Incubi Notturni”, indetto
da ContessaDeWinter
-Nickname
sul forum: Farah.F
-Nickname
su EFP: Starfighter
-Genere:
introspettivo, drammatico
-Rating:
Giallo
-Avvertimenti:
nessuno
-Luogo:
Manicomio
-Pacchetto
scelto: Corsetto Porpora
-Note
dell’autore: siccome ci sono lievi accenni storici, ho
cercato di essere il più fedele possibile al periodo
descritto, con varie ricerche: l’ospedale psichiatrico di
Rubery Hill, è davvero esistito ed è rimasto in
funzione fino al 1995 (fonte wikipedia -
http://en.wikipedia.org/wiki/Northfield_Hospital). Alcuni tra i soldati
sopravvissuti alla Prima guerra mondiale, furono i primi a soffrire
della sindrome post-traumatica del reduce, la stessa sindrome che
affligge il protagonista.
Buona
lettura!
SURVIVOR
JIM
6 Aprile
1915: Manicomio militare di Rubery Hill, Birmingham, Inghilterra
Linda
Hamilton, giovane volontaria, sospinge un ragazzo in carrozzella per i
corridoi vuoti e puliti della struttura militare di igiene mentale. Il
giovane, che pare una statua, si lascia trasportare senza problemi: non
parla, non si lamenta e non si muove. È arrivato a Rubery
Hill da un mese e lei non l’ha mai sentito pronunciare
nemmeno una parola, non l’ha sentito piangere o urlare
durante la notte, né l’ha sentito lamentarsi
durante le sedute di terapia.
Questo
è molto strano. Gli altri pazienti urlano e strepitano, e si
lamentano in continuazione… a Linda sembra di stare in un
girone infernale.
È
bello, come nessun’altro dei soldati degenti in quel triste
posto: Linda a volte lo spia.
Lo
osserva rapita da quegli occhi azzurri, persi nel vuoto, che a volte
scattano da un lato all’altro della stanza. Ogni tanto
sussulta impercettibilmente e porta le mani alle orecchie: la ragazza
si chiede cosa si agiti dentro i suoi pensieri.
I
dottori lo chiamano “Survivor Jim”: è
sopravvissuto al massacro della Marna, in Francia. Lo scontro
è stato vinto, lui è stato congedato con onore e
ha ricevuto una medaglia…ma cosa se ne fa di un pezzo di
metallo, quando su quel campo di battaglia ha perso se stesso?!
Ecco,
sono arrivati: Linda bussa alla porta e le apre il dottor Gardner.
Porta
la carrozzella vicino ad un lettino rigido e il medico si avvicina -
“Chi abbiamo oggi qui? Ah Survivor Jim…ancora in
stato catatonico a quanto vedo!” - l’uomo si
abbassa ad osservare il ragazzo e scuote la testa.
Fa
cenno a due infermieri di stenderlo sul lettino: Linda trema. Vorrebbe
portarlo via da quella stanza, allontanarsi il più possibile
e poi stringerlo a sé e sussurrargli che andrà
tutto bene, che gli orrori nella sua mente finiranno, che lei
l’aiuterà a rimanere vivo.
-
“A quanto pare l’elettrochoc ti piace,
giovanotto.” - commenta cinicamente Gardner, mentre gli
posiziona gli elettrodi sulle tempie umide - “Signorina
Hamilton può andare, la richiamerò quando
sarà tutto finito.”
L’angoscia
s’impadronisce di Linda: esce, portando con sé la
carrozzella. Prima di uscire, rivolge un ultimo sguardo a Jim, steso
inerte sul lettino. Il cuore le perde un battito, quando gli occhi
azzurri del ragazzo si spostano veloci su di lei, come ad implorarla di
restare.
Reprime
un singhiozzo e chiude la porta, mentre la sua anima piange.
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Il
corpo scosso dall’ennesima raffica di elettrochoc, si
contorce in silenzio e in ultimo spasimo si abbandona mollemente, come
esanime, agli ultimi scampoli di dolore. E ciò che rimane
della sua coscienza, scivola invisibile in un baratro buio e profondo,
costellato di incubi.
Arranca
tra le immagini che gli affollano la mente, che si agitano dietro le
palpebre serrate. Sa cosa vedrà, conosce
quell’incubo a menadito: sarebbe capace di descriverlo nei
minimi particolari a chicchessia; ma ciò confermerebbe solo
il suo stato mentale.
Il
Passato, opprimente, sgomita per entrare nel suo fuoco e avanza
tumultuoso nella sua mente. È sporco di sangue e di polvere
di una terra straniera.
La
vede, quella piana desolata, cosparsa di corpi freddi, crivellati dai
colpi nemici, lauto pasto della Morte: giacciono in posizioni
sgraziate, con gli occhi vitrei rivolti al cielo,
nell’estremo atto di una preghiera.
Riconosce,
tra quell’ammasso di carne e miseria umana, i suoi
commilitoni, i suoi amici, i suoi fratelli: li chiama per nome, nella
speranza che risorgano come una fenice a nuova vita.
Un
senso di angoscia lo pervade: sono tutti lì, ma il suo corpo
dov’è? Sa per certo di essere morto quel giorno,
lì in quella landa fatale, mentre le trombe squillavano e il
rombo dei cannoni faceva tremare il cielo.
Lo
sguardo vaga da un capo all’altro del campo di battaglia,
inutilmente.
La
Marna scorre placida come un nastro argenteo al limite del suo campo
visivo; il vento spazza l’aria immota di quel luogo e il
tanfo del sangue e della morte gli brucia nelle narici.
Il
disgusto e la nausea lo soffocano; l’angoscia gli schiaccia i
polmoni, lasciando uscire il fiato a fiotti, con piccoli rantoli.
La
solitudine lo opprime, il silenzio lo distrugge: vorrebbe urlare, ma
pare che la voce l’abbia abbandonato.
Serra
gli occhi: non vuole più vedere nulla, attende solo cha la
morte arrivi a prendere anche lui.
Conati
di vomito lo scuotono e cade carponi su qualcosa di freddo, ma morbido:
gli occhi si spalancano per l’orrore. Un corpo riverso nel
sangue cremisi, giace sotto di lui.
Ha
smesso di cercare di urlare: ora anche volendo non ci riuscirebbe. Le
lacrime, che calde e amare cadono pesanti dai suoi occhi, parlano per
lui.
Stringe
a sé quei resti mortali, ripetendo come una nenia il nome
del compagno caduto: Frank.
Il
primo a cadere, l’ultimo ad arrendersi: non
l’avrebbe mai data vinta al nemico.
Quando
il primo colpo di mortaio era partito, lui era rimasto sguarnito,
paralizzato nel mezzo della lotta. Frank gli aveva urlato contro:
“E’ la guerra ragazzo, cosa stai
aspettando!?”
Con
lo sguardo offuscato dal pianto, chiude su quel mondo crudele, gli
occhi dell’amico.
Una
voragine squarcia il petto del commilitone: il cuore è stato
strappato dal suo posto.
Con
le mani imbrattate di sangue posa il corpo in terra e si alza
disgustato. Procede tra i corpi abbandonati e si rende tristemente
conto che voragini purulente, come medaglie, si aprono sul petto di
tutti i soldati, anche quelli nemici.
Il
sangue gli rimbomba nelle orecchie; gli occhi, ormai privi di lacrime,
sono spalancati su quell’orribile spettacolo…
è incapace di distogliere lo
sguardo.
Vaga sconfitto sulla piana, finché una figura rannicchiata
su un cadavere, attira la sua attenzione.
Una
giovane donna, coi capelli d’oro intrecciato, coperta da una
veste eburnea, piange dandogli le spalle: sembra così
fragile, che i singhiozzi che la scuotono potrebbero frantumarla.
Nella
follia dell’incubo, una parte di sé ancora lucida
gli sussurra di non avvicinarsi: ma non può resistere, la
donna lo attrae come una calamita.
Le
si accosta, sfiorandole una spalla esile. Scompare sotto il suo tocco,
portando angoscia e smarrimento nel suo petto.
La
cerca tra i corpi ammassati e l’orizzonte arancione; riappare
alle sue spalle facendolo sussultare.
-“Per
cosa combatti, ragazzo?”- gli pone questa domanda a
bruciapelo.
Si
volta e brividi freddi gli scivolano lungo la schiena: la donna non
è fragile come sembrava, è invece giunonica, con
occhi fiammeggianti e con una chiostra di denti perfetti, sporchi di
rosso porpora. I capelli biondi, ondeggiano selvaggi nel vento:
somiglia ad una valchiria, bellissima e spietata.
La
osserva, rapito da quella visione inquietante ma al contempo di
sovrumana magnificenza. Rimane impietrito e non risponde. La donna
china il capo e lo fissa, come un rapace pronto ad acciuffare la preda.
Muove
un passo e un altro ancora, fino ad arrivargli di fronte: ora solo lo
spazio di un respiro li separa.
-“Allora?”-
attende ancora una risposta e non sembra ben disposta a non riceverne.
-“Per
la Patria…”- rabbrividisce.
-“Per
la patria.”- gli alita in faccia la donna con un sorriso di
scherno.
-“per
la mia famiglia…”-alza il capo e la fissa negli
occhi luminosi -“per i miei compagni, per la pace, per la
vittoria, per l’onore, per la nostra
libertà!”- le urla in faccia, e una scintilla si
accende nello sguardo della donna.
-“Tutti
sentimenti nobili, non c’è che dire, ma a cosa ti
ha portato tutto questo?”-con un ampio gesto indica il campo
di battaglia- “cosa hai vinto e cosa hai perso, te lo sei
chiesto?”-
Con
grande fatica stacca gli occhi dalla donna e fa vagare lo sguardo,
offuscato dalle lacrime, su quella distesa fatale.
-“Abbiamo
vinto, è questo l’importante! Ce lo hanno
insegnato il primo giorno: si combatte per la patria, e si muore per
essa se necessario… I miei compagni saranno ricordati nei
decenni a venire come eroi…”-
-
“Povero ragazzo, hai le idee confuse. Nei prossimi secoli ci
saranno innumerevoli guerre, con milioni di morti, e ognuno di questi,
sarà solamente un altro numero, niente di più.
Nessuno si ricorderà di Frank o di Joe, di Steven o
di…Jim. Sarete solo sbiadite leggende di eroi senza volto e
senza nome. Avete buttato via la vostra vita per cosa? Per degli
stupidi giochetti di potere… ah razza umana, non smetterai
mai di deludermi!” -
Le
parole della donna lo annientano e lo infiammano allo stesso tempo, le
si avvicina improvvisamente, schiumante di rabbia: “Chi sei
tu?”
Lei
lo fissa, per niente intimorita da quella reazione, e lo sfida con lo
sguardo a ripetere le sue parole.
-
“Chi-sei-TU?” - lo sillaba con tono velenoso, con
il petto gonfio d’ira e d’angoscia.
Per
tutta risposta la donna lo aggira e con passo aggraziato comincia a
volteggiare tra i cadaveri ammassati: è uno spettacolo
agghiacciante, ma di rara bellezza.
La
veste bianca le svolazza intorno, mentre i piedi nudi accennano
piroette sulla terra sporca di sangue.
Si
blocca improvvisamente, e si volta a guardarlo con occhi di brace.
-“….
Interi battaglioni sono discesi nel cuore del mondo, giù,
dove la luce del sole non arriva a riscaldare le membra intorpidite,
dove il tanfo della carne putrefatta è l’unico
odore percepibile. Volando come uno stormo compatto, hanno infoltito
ancora di più le schiere dell’oltretomba,
già pingui di morti per fame e stenti.
La mia fame per ora è placata, ma la loro non si
sazierà mai …vogliono te, ultimo scampolo di vita
su questo campo di morte!
Nelle
loro menti sorge spontanea un domanda, la stessa che ti stai ponendo tu
da quando è finita, la domanda nascosta in bella vista
davanti ai tuoi occhi…
Perché
tu no?”-
Ad
un suo cenno i corpi immobili si animano, come se qualcuno
c’avesse soffiato dentro un alito di vita. Traballano sulle
gambe malferme, si tengono gli arti feriti e dimentichi
dell’oscuro oblio, si muovono. Vengono verso di lui,
imbrattati di sangue e terra, con una scintilla di determinazione negli
occhi, che prima erano poco più di vitree pozzanghere
immote.
-“Chi
sono io…?!”-lo fissa con un sorriso sornione sulle
labbra esangui, e prima di sparire gli soffia nell’orecchio
-“sono la Morte!”
Lamenti
e gemiti si levano dalle ricompattate truppe. Una parola su tutte,
ripetuta come una litania, ancora e ancora, lo assorda:
perché!
Perché?
Se lo chiede anche lui…
Non
ha mai voluto che finisse così, non ha mai voluto
sopravvivere al suo intero battaglione…Voleva morire
gloriosamente, combattendo per la patria ed invece…si
ritrova ad essere fatto a pezzi dai suoi commilitoni, mentre gli
domandano “perché tu no?”
Non
sa dare una risposta, pensa solo che questa sia la fine che merita.
Una
mano veloce, come uno stiletto, gli si infila nel petto, squarciandolo
senza sforzo, fracassando le ossa della cassa toracica e trapassando il
polmone.
L’aria
viene a mancargli e, mentre tossisce piccole macchie scarlatte, la mano
assassina riemerge, trascinando con sé un prezioso bottino:
il suo giovane cuore.
Non
ha la forza per reagire; può solo rimanere a guardare,
mentre gli dilaniano le carni, mentre il suo cuore diventa portata
principale di quell’orrendo banchetto … mentre su
quel mondo immerso in un tramonto cremisi, cala una cortina di pesante
oscurità.
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Jim
sussulta nel sonno indotto dal dolore; gli occhi dietro le palpebre si
agitano, rincorrendo lampi d’immagini spaventose; per la
prima volta si lamenta.
Linda
è rimasta a vegliarlo dopo la terapia, non se
l’è sentita di abbandonarlo di nuovo. Gli stringe
la mano e sussulta quando sente uscire un piccolo suono dalle labbra
secche del giovane.
Si
avvicina, credendo d’aver sentito male: accosta
l’orecchio alla bocca di Jim e rimane di sasso.
-“perché
?”-farfuglia nel sonno, lottando contro i suoi peggiori
incubi.
Linda
balza in piedi e corre, sorridendo tra i corridoi, a chiamare il dottor
Gardner, sperando che Jim stia riuscendo a riemergere dallo strato di
angosce e paure che lo tenevano rilegato sul fondo della sua coscienza.
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Apre
gli occhi e si ritrova come ogni volta, dopo ogni seduta di
elettrochoc, nel suo letto, a fissare il soffitto bianco di quella
triste e spoglia camera di manicomio.
Ricorda
ogni istante della terapia, ogni singolo sussulto, ogni singola scarica
di energie che lo attraversa, e soprattutto il dolore.
Ricorda
anche le beffe del grasso e flaccido dottore che lo
“cura”, ma soprattutto ricorda degli occhi scuri
che lo fissano impietositi…a chi appartengono? Non riesce a
ricordarlo.
Quegli
occhi gli fanno sperare che ancora ci sia del buono nel mondo, oltre
alle atrocità, alla violenza, alla tracotanza.
Di
chi sono? Sono, sono di ….
-“Quando
in sogni opprimenti e orribili l'angoscia tocca il grado estremo,
è proprio essa che ci porta al risveglio, con il quale
scompaiono tutti quei mostri notturni. La stessa cosa accade nel sogno
della vita, quando l'estremo grado di angoscia ci costringe a
spezzarlo…”- una voce squillante rompe il silenzio
che regna nella piccola camera.
Volta
lo sguardo alla ricerca della fonte di quella voce … non
può essere! Gli occhi si spalancano e le pupille si dilatano
fino all’inverosimile, per imprimere meglio
quell’immagine nella mente.
La
Morte siede composta su una sedia al fianco del suo letto e lo fissa
compiaciuta. Stringe tra le mani un libro e tiene il segno con un dito:
Parerga e Paralipomena, questo il titolo che capeggia sulla costa del
volume.
-“Grande
uomo quell’ Arthur Schopenhauer ,aveva capito molto della
vita … sai dare un senso a quello che ho appena
letto?”- lo guarda interrogativa, ma lui, troppo angosciato
da quella vista non le risponde.
-“Ti
sto ponendo dinanzi a un bivio mio caro Jim: continuare a vivere tra
gli orrori del tuo passato, o porre fine a questa inutile quanto
miserevole esistenza. Molto semplice; a te la scelta!”- gli
sorride, come farebbe una madre amorevole per invogliare il figlio ad
ingoiare un’amara medicina –“consideralo
come un regalo personale!”
La
fissa esterrefatto: “Come puoi chiedermi di preferire la
morte alla vita?”-boccheggia, preda della paura e della
rabbia; si regge spossato al materasso e cerca di rialzarsi.
La
Morte lo guarda e alzandosi gli si avvicina:
“Allora?”
-“No,
non voglio porre fine alla mia vita! È stata preservata per
un motivo, ne sono certo!”-
-“Risposta
sbagliata mio giovane e stolto amico”- gli rivolge una
smorfia che somiglia solo lontanamente ad un sorriso
-“… scelta revocata, mi dispiace. Ora
deciderò io per te e ho deciso che la tua vita finisce
ora!”-
Nemmeno
il tempo di un battito di ciglia e le mani fredde della Morte sono
strette attorno al suo collo: l’aria comincia a fluire via
dai suoi polmoni e si ritrova sospeso a mezz’aria, con i
piedi penzoloni, tenuto su solo da una delle esili braccia della donna
di fronte.
-“Pronto
a lasciare questo mondo?”-
-“N…n-no!”-
si agita, nel vano tentativo di sfuggire a quella morsa letale
–“No!”- ed intanto l’ultimo
soffio di vita l’abbandona, il buio lo accoglie e il suo
corpo giace immobile.
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Linda
è terrorizzata, non sa che fare: Jim si agita convulsamente
tra le lenzuola bianche e grida, come se lo stessero uccidendo. Ha la
fronte corrucciata ed imperlata di sudore: il suo volto è
una maschera d’angoscia.
La
giovane infermiera chiama a gran voce il nome del dottor Gardner ed
intanto trattiene il giovane soldato per le spalle.
Poi
ad un tratto la crisi cessa, veloce com’era arrivata se ne
va, alla stregua di un temporale estivo.
Linda
sospira e molla la presa; lo osserva e gli scosta una ciocca bionda dal
viso stravolto e sudaticcio, sfiorandogli la fronte con le dita fresche.
Jim
si sveglia, di soprassalto, e li vede: vede quegli occhi che
l’hanno fatto ricredere sulla vita, e sa dare un nome al
volto della persona che li possiede. Linda.
I
loro sguardi si intrecciano e la giovane volontaria sorride:
“Vedrai, con il tempo andrà
meglio…”
E
dopo mesi di ostinato ritiro dietro una cortina di freddo silenzio, Jim
pronuncia le sue prime parole: “Il tempo non
curerà le ferite, ma credo che con un po’
d’aiuto riuscirò a placarne il dolore!”
The
End
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