Vendetta. Dolce vendetta.
La città intera urlava vendetta. Nel cielo rosso. Rosso.
Senza nuvole che ne contrastassero
l'intensità. Rosso. Per le strade deserte. Sulle statue
imponenti del Dominus, ormai quasi tutte
decapitate e mutilate. Nei manifesti dei mille divieti e delle
corrispondenti pene e punizioni per i
trasgressori, ora vandalizzati da insulti ed oscenità.
L'odore della vendetta si respirava come
ossigeno.
Il comandante Lyam si guardava intorno mentre si allontanava,
zoppicando lievemente, dal cuore
della battaglia. La vendetta era davvero ovunque. Gli scorreva nelle
arterie, pompata direttamente
dal battito cardiaco. L'avvertiva con tutti e cinque i sensi. La vedeva
nei colori violenti del
tramonto, l'annusava nell'aria, l'udiva nelle urla alle sue spalle,
nelle esplosioni, negli spari, la
toccava sul manico del coltello stretto nella mano sinistra che
vomitava sangue militare, ne sentiva
il sapore in bocca. Non era affatto dolce. Acre, secco, con un vago
aroma di ferro.
Sangue.
Erano stati i suoi genitori ad insegnargli che nessuna situazione era
mai abbastanza disperata da
poter giustificare l'istinto di uccidere, che il dolore di una vita
umana sulla coscienza lacera l'anima
più delle fiamme del rogo. Nella loro vita erano sempre
stati coerenti. Loro non avevano cercato
vendetta quando su quel rogo c'era finita la loro figlia minore.
Anna. Sua sorella.
Lei insieme a decine di donne e uomini innocenti.
Praticavano magia nera, diceva il Dominus. Solo la sua magia era
consentita nello Stato.
Ma Lyam non era suo padre, e non era mai stato in grado di sopportare
come lui e sua madre che
tutte le colpe del Dominus venissero cancellate come se non fossero mai
accadute, che i suoi occhi
gialli potessero riaprirsi ogni mattina. Ogni mattina da quasi un
secolo, ormai. Mentre quelli di
Anna viaggiavano ancora con chissà quale vento.
Non sentiva alcun dolore nell'anima, nessun rimorso per ciò
che era accaduto nelle ultime ore, per i
cadaveri militari che giacevano a terra con la gola tagliata, lo sterno
bucato dal suo coltello, dai suoi
proiettili, dai suoi pugni. Sì, li aveva guardati anche
negli occhi. Aveva visto gli uomini dietro la
divisa, ma nessun tremore in mezzo al petto lo aveva scosso, nessuna
forza misteriosa, nessun Dio
gli aveva fermato la mano. Non era stato colto da alcun mancamento,
tristezza, senso di colpa. Al
contrario, lo aveva colto una forza selvaggia nelle sofferenze di
quegli uomini. Uomini, certo. Li
aveva sentiti urlare come aveva urlato anche Anna, tra le fiamme. Da
innocente. Innocenti anche
loro? Non era un suo problema. Lo galvanizzava, lo elettrizzava sapere
che stavano provando anche
solo una piccola porzione del dolore che loro, o chi per loro, avevano
inferto ad Anna, e che i loro
familiari, chiunque e dovunque fossero, stessero patendo quanto aveva
patito lui. D'altra parte, nulla
aveva fermato loro quando a bruciare erano stati altri giovani,
innocenti anche loro, o quando ad
esplodere era stata casa sua insieme ai suoi genitori. Morti insieme
alla loro stupida ed inutile
moralità, che non avrebbe mai cambiato il mondo. Non avrebbe
mai cambiato niente.
Aveva lasciato quella cascata di sangue, carne e morte alle spalle. La
rivolta che lui stesso aveva
guidato fino a quel momento. Non li aveva abbandonati, erano nelle mani
di Sara, capace e forte
almeno quanto lui. Sarebbe tornato il prima possibile.
Gli era rimasto un ultimo colpo di pistola, e lui sapeva perfettamente
a quale testa era indirizzato.
Proseguì quanto più spedito gli concedeva la
gamba ferita. L'edificio a cui puntava era ben visibile
da qualsiasi punto della città: un enorme Tempio in stile
Maya che si ergeva su almeno trecento
scale di pietra, restringendosi man mano che saliva. Finiva in un'unica
stanza. Lì era diretto.
Non c'era un'anima attorno a lui, tutto ciò che di vivo era
rimasto in città era concentrato vicino alle
mura, posto dal quale Lyam si stava allontanando.
Decine di persone di quella folla avrebbero voluto godere dell'onore di
raggiungere il Dominus sul
gradino più alto del Tempio e fracassargli il cranio. Ma
spettava a lui quel compito. Lui li aveva
guidati. Lui era il comandante. Spettava a lui.
Il Dominus era stato sconfitto, ormai. Le sue leggi non avevano
più alcun potere, le carceri erano
state aperte. Era diventato lui il nemico pubblico. Qualcuno avrebbe
potuto dire che era una
vendetta sufficiente.
Non Lyam.
Non gli bastava che venisse esiliato, deportato o costretto ai lavori
forzati. No, non finché tutte
quelle presenze attorno a lui continuavano ad urlare a piena voce la
loro sete di vera, autentica
vendetta. Urlavano da ogni palazzo, da ogni statua, da ogni oggetto.
Cominciò a salire lentamente le scale. Le sue condizioni
fisiche non gli permettevano una velocità
maggiore e le scale da salire erano tante.
Fece con calma, non c'era fretta: il Dominus non poteva scappare da
nessun'altra parte, a meno che
non optasse per il suicidio. Non lo avrebbe fatto.
Ad ogni gradino che conquistava, le urla attorno a lui diventavano
sempre più ossessive ed
assordanti. La rabbia cresceva insieme ad esse.
Mai avrebbe potuto infliggere a quella sottospecie di uomo una morte
più umiliante di quelle a cui
lui aveva condannato tanta altra gente, ma avrebbe fatto del suo meglio
per non farglielo
dimenticare.
Era certo che non avrebbe incontrato nessuna guardia che potesse
fermarlo. Tutti i corpi militari
erano concentrati alla rivolta, ma anche se così non fosse
stato, non lo avrebbero fermato. Non
erano i primi che uccideva e finché la guerra non fosse
finita non sarebbero stati nemmeno gli
ultimi. Il Tempio era sicuramente vuoto, ad eccezione di una persona.
Gli bastò spingere la porta d'ingresso perché si
spalancasse. Si aprì un lungo corridoio appena
illuminato dalla poca luce che proveniva dalle braci sospese sul
soffitto, di un soffocante colore tra
il rosso ed il nero. Conduceva ad un'altra porta. Era lì che
il Dominus passava la maggior parte delle
sue giornate, tra libri, pozioni ed esperimenti, sicuro nella sua
fortezza che era ormai la città stessa.
I suoi sudditi erano troppo assoggettati perché
insorgessero, almeno fino a quel momento.
Proseguì sentendo solo il suono ovattato dell'eco del suo
passo discontinuo. Strinse più forte la
pistola nella mano destra ed il coltello nell'altra. L'eccitazione
cominciava a bruciare i suoi nervi
mentre l'adrenalina pulsava ai lati della testa.
Era tutto dietro quella porta dorata.
La spalancò con un calcio ed alzò in
contemporanea la pistola, il dito indice era già fermo sul
grilletto, irrigidito dalla tensione. Vide per la prima volta il suo
braccio. Braccio da assassino, da cui
colava sangue non suo, incrostato alla pelle, alla peluria, alle dita,
fin sotto il bracciale delle manette
dalle quali si era liberato con la forza qualche ora prima. Ancora non
bastava.
Realizzò con un ritardo di un millesimo di secondo cosa
aveva di fronte.
La stanza era stretta poco più di due passi di un uomo
adulto, e lunga almeno cinque volte tanto. Un
enorme tavolo di legno rettangolare ne copriva gran parte
dell'estensione. E al capo opposto rispetto
a lui, il Dominus era seduto, nel suo lungo abito dorato, sul trono. In
attesa.
Lyam rimase immobile, il braccio destro teso e la pistola puntata, con
un vago tremore lungo tutto il
corpo. Rabbia assassina ed eccitazione erano solo due delle mille
emozioni che provava.
La calma e la serenità aleggiavano sprezzanti attorno alla
figura del Dominus, tanto fuori luogo
rispetto a tutto ciò che stava accadendo fuori. Bombe, urla
e sangue sembravano far parte di una
dimensione del tutto estranea a quella stanza soffocante che diffondeva
una sensazione di potere.
Quante morti erano state accordate in quella stanza, da lui e da quel
suo falso Consiglio?
Il respiro di Lyam si fece affannoso, come se avesse fatto tutte le
scale di corsa. La rabbia ed il
disgusto per quell'individuo, tanto indifferente alla morte che fuori
di lì mieteva vittime senza
guardare in faccia né bambini e né anziani, lo
paralizzarono di fronte a quello spettacolo. Non
riusciva neanche ad ordinare al dito di stringersi sul grilletto e
farla finalmente finita.
Il silenzio opprimente venne rotto da una risata sommessa e tuttavia
perfettamente udibile.
“Ti stavo aspettando”. Le parole giunsero in fretta
fino a lui, riecheggiate dalle pareti vuote attorno
a loro. Lyam smise di tremare, ora molto più simile ad una
statua di ghiaccio. Anche le urla che
aveva sentito fino a quel momento si erano interrotte. Non aveva
più nulla intorno che gli iniettasse
forza, coraggio e desiderio di vendetta, annientati da quelle parole
inaspettate e prive di qualsiasi
paura. Era solo lui. Lui, ed il Dominus di fronte.
Il Dominus si alzò in piedi. La tunica d'oro che scendeva
sul suo busto ben più abbondante di molti
altri abitanti della città, luccicò alla luce
insieme alla lucida testa pelata. Lo stridere grave del trono
riempì spiacevolmente le orecchie di Lyam, seguito dal passi
leggeri dell'uomo di fronte a lui. Solo
allora poté distinguere perfettamente il colore giallo dei
suoi occhi da felino. “O meglio, attendevo
una persona. Non illuderti di essere tanto importante. Ero certo che
qualcuno di voi “eroi” sarebbe
arrivato presto o tardi” continuò enfatizzando il
sarcasmo dell'aggettivo quanto più possibile.
Lyam digrignò i denti e ricominciò a tremare di
rabbia.
Non poteva, non doveva farsi prendere dal panico, o avrebbe fatto il
suo gioco. Ormai non valeva
più nulla. Non era più nessuno. Non era
più potente di qualsiasi essere umano, di quelli che aveva
lasciato agonizzare sull'asfalto. Ciò che era rimasto di lui
era solo un nome e un'orribile memoria.
“Se credi in un dio, questo è il momento di
chiedergli clemenza. Deciderà lui se sarà il caso
di
concedertela” riuscì a ringhiare Lyam. Non
conosceva quella voce, né quel tono, ma era certo che
quelle parole fossero uscite dalle sue labbra.
Lungi dallo spaventarsi, dall'imbestialirsi, o da avere qualunque altra
reazione meramente umana, il
Dominus si lasciò andare ad una risata puramente di scherno.
“Così giovane, così ingenuo”
commentò scuotendo la testa. Lo stava studiando,
impassibile, quasi
annoiato, forse anche ironico, dalla pistola puntata dritta sulla sua
faccia che seguiva ogni suo
minimo movimento, alle macchie di sangue sui jeans e sulla pelle.
“Ma stai tranquillo, non ti
rovinerò il tuo momento di gloria. Sarà il giorno
più bello della tua inutile vita, uscire da questo
Tempio con la mia testa stretta in mano, verrai acclamato da eroe, e
non è questo che vuoi?”.
Sminuire le persone, privarle della loro dignità umana,
dell'autostima era alle basi della politica del
Dominus. In quel modo aveva preso il controllo delle menti della gente,
facendo loro credere che
non fossero abbastanza forti per combattere da soli, che avevano
bisogno di qualcuno di potente che
li guidasse... che li dominasse.
Non ci sarebbe riuscito con lui. Non era più un ragazzino,
niente e nessuno poteva abbindolarlo.
Non era riuscito a proteggere Anna, era un errore da principianti a cui
era disposto a rimediare al
più presto.
“Il giorno più bello della mia vita,
sarà quando avrai pagato per tutto il male che hai fatto
alla mia
gente, quando torneremo ad essere liberi e padroni di noi stessi e
delle nostre azioni” rispose Lyam
con tutta la sicurezza che il suo ruolo di comandante gli aveva
conferito. Quella sicurezza che
ancora non conosceva nella sua voce, quella durezza che non era sua,
che il dolore gli aveva
iniettato nell'organismo.
Fu lì che avrebbe dovuto decidersi a sparare. Ma la sua mano
esitò, dando modo al Dominus di
continuare. Rise ancora, a voler sminuire totalmente i propositi del
giovane che aveva di fronte, ad
umiliarlo con la sua evidente superiorità.
“Giovane ed ingenuo” ripeté ancora, gli
occhi luccicavano di un divertimento crudele. “Sei proprio
convinto che quando quei rozzi dei tuoi concittadini avranno ben
dilaniato il mio corpo, sarete
finalmente liberi?” fece una pausa per lasciar scorrere
un'altra fragorosa risata irridente. “Non sono
il primo e non sarò l'ultimo dittatore della storia, caro il
mio eroe. Passeranno anni o secoli ma ne
arriverà un altro, e quei pecoroni lo acclameranno come un
dio, come l'unico in grado di stabilire
sicurezza ed ordine. Ordine e sicurezza non esistono in un mondo in cui
ogni uomo possiede la sua
libertà. La gente avrà paura. Qualcuno
dovrà pur prendere il mio posto. E chi meglio del nostro eroe
qui presente?” disse esibendosi in un inchino gonfio di
sarcasmo.
Lyam si sentì come fosse stato lui ad essere colpito dal
proiettile. Con quale coraggio osava fare
simili paragoni?
“Io non sono come te!” esclamò
scacciando via quel insulto come una mosca dal naso. “Io non
pretendo alcuna autorità sulla mente e sulla vita delle
persone. Non mi impongo sugli altri con la
violenza. Io non sono un assassino!”. La risata del Dominus
fu se possibile ancora più forte,
colpendolo duramente.
“Il sangue che hai addosso, la pistola ed il coltello
affermano il contrario” contestò accennando
vagamente ai suoi vestiti ed alle armi che aveva con sé.
Fu un colpo duro, che lo lasciò senza parole,
perché in una frazione di secondo tutto divenne chiaro.
Le urla che lo avevano accecato fino a quel momento, si trasformarono
in un'unica innocente voce
musicale, simile a quella che ricordava di sua sorella. Finalmente si
rese conto del presente, e fu
come essersi risvegliato da un lungo sonno. Si ritrovò,
senza neanche sapere come, con la pistola
puntata alla testa dell'uomo che aveva di fronte, mentre il sangue che
lo macchiava sulla pelle e sui
vestiti aumentò esponenzialmente il suo peso che gravava
sulla sua coscienza, diventando simile al
piombo.
Quanti uomini erano morti sotto il suo coltello? Solo allora, mentre
ascoltava la voce spaventata
della sorella, se ne rendeva conto. Uomini. Esseri umani. E lui si era
preso la briga di strappar loro
la vita, come avevano fatto loro con tanti altri, sicuramente, ma
questo non gli dava alcun diritto di
decidere. A cosa era servita tutta quella violenza? Tutta quella sete
di vendetta? Solo a riempire i
cimiteri. Anna non sarebbe tornata di certo, avrebbe solo avuto
più compagni su in paradiso. Anna
non avrebbe mai voluto vederlo sotto quella luce.
Che cosa aveva fatto? Che cosa era diventato? Tanto simile al mostro
che adesso torreggiava su di
lui con spietata soddisfazione di fronte al suo silenzio. Il Dominus
sapeva di avere ragione.
Lyam lo odiò.
Non più per tutte le persone che aveva fatto bruciare sul
rogo, non più per gli spiriti liberi che aveva
rinchiuso in gabbia, non più per i lavori forzati a cui
aveva costretto tutti... ma perché dietro quelle
iridi gialle, vedeva se stesso e tutto ciò che era stato
capace di fare nelle ultime ore, abbagliato
dall'inutile vendetta che adesso pesava sulla sua anima attraverso
tutte le vite che aveva tolto.
Come aveva fatto a trasformarsi in un cinico assassino? Lui non voleva
fare nulla di male. Lui era
nel giusto. E invece era riuscito a cadere nell'errore più
profondo, diventando parte integrante del
male contro cui stava lottando. “Noi uomini siamo tutti
uguali, eroe. Siamo tutti potenzialmente
capaci di compiere le stesse efferatezze e guadagnarci su. Pensi che
tutti quei bambocci che hai
messo in piazza a combattere siano lì per la
libertà comune? Per un unico e solido ideale? C'è
e ci
sarà sempre qualcuno che spererà di guadagnare
qualcosa sulla morte di altri. Come ho fatto io al
mio tempo. Anche tu sei come me. Hai guidato le tue pecore alla
rivolta, hai fatto esplodere il caos
nella città, hai ucciso persone innocenti, tutto vanificato,
perché la dittatura non cesserà mai di
esistere finché vivranno gli uomini...”. Esplose.
Un solo colpo, e delle sue parole, del suo viso, della sua risata, non
rimase altro che un buco, dal
quale continuò a sgorgare il sangue che allagò il
pavimento, che schizzò sulle pareti e macchiò il
lungo tavolo di legno.
Il corpo del Dominus si accasciò nel lago del suo stesso
sangue, assorbendolo con la stoffa
dell'abito dorato.
La bocca della pistola di Lyam continuò a fumare, mentre lui
osservava ad occhi sgranati un futuro
attraverso immagini sul muro della stanza.
Finito. Tutto finito. Era lì per quello, giusto? Avrebbe
gettato il corpo del Dominus per strada,
lasciando che se ne occupassero vermi e cani, sarebbe stato acclamato,
le persone avrebbero preteso
la sua guida per ricostruire il loro mondo, per aggiustare tutto
ciò che era stato distrutto... per
ristabilire l'ordine...
Lyam cadde in ginocchio, le mani incapaci di stringere ulteriormente la
pistola ed il coltello che
caddero a terra con un rumore che sembrò riecheggiare per
un'eternità.
Era diventato un mostro anche lui. Non aveva affatto riportato la pace
e la libertà, ma un nuovo
clima di guerra, di rivolta, in cui tutti si sarebbero scagliati contro
tutti, per conquistare il loro potere
personale... Invece di insegnare loro quanto fossero sbagliate le
azioni del Dominus, li aveva
esortati a pensare che l'unica via per abbatterlo fosse ritorcergliele
contro.
Non aveva distrutto la dittatura, aveva semplicemente preso il posto
del Dominus... e chi poteva
essere sicuro che con lui sarebbe stato diverso se proprio in quel
momento si era reso conto di
essere tremendamente uguale all'uomo che aveva ucciso? Aveva sperato
che uccidendo lui, sarebbe
morta anche la parte della sua personalità che aveva
devastato quel ragazzo timido ed innocente che
aveva giocato ai giardinetti con la sorellina per una vita, che aveva
amato Sara e che da qualche
parte nella sua anima, l'amava ancora...
Non era più sicuro di potersi fidare di se stesso, come
poteva, dopo tutto quello che aveva fatto?
Sarebbe stato come fidarsi del Dominus...
Se solo ci fosse stata Anna con lui, per consigliarlo, per placare quel
demone che rischiava di
liberare contro coloro che aveva voluto proteggere...
“Lyam!” urlò sollevata una voce lontana,
alle sue spalle. Conosceva quella voce, e sentirla chiamare
il suo nome lo riscosse. No, non era Anna... nulla poteva riportare
indietro i morti, ed i morti non
avevano alcuna influenza sulla vita delle persone. Poteva contare solo
su coloro che erano ancora in
vita, e mai nella sua vita era stato tanto felice, scoprendo che lei lo
era.
Alzò la testa verso di lei. La luce del sole che tramontava
la illuminava completamente alle spalle,
rendendo visibile all'occhio nudo umano solo una sagoma scura, ma
questo bastò perché Lyam la
riconoscesse.
“Sara!”. Era un angelo, non poteva essere diverso.
Apparsa proprio nel momento in cui più aveva
bisogno di lei. La sua salvezza.
Gli corse incontro e si lasciò cadere in ginocchio accanto a
lui mentre lo stringeva in un abbraccio
sollevato.
“Ti ho visto venire verso di qui e... non ti vedevo uscire
più! Ho avuto paura” gli sussurrò
all'orecchio. La sentì piangere. Le accarezzò i
lunghi capelli castani, incrostati di sangue e di
sporco, ma non per questo meno belli di come li ricordava. Non l'aveva
mai sentita tanto vicina. “È
rimasto mio fratello in piazza...” continuò lei,
sciogliendo l'abbraccio per guardarlo negli occhi con
i suoi zaffiri azzurri, rispondendo ad una domanda che Lyam non le
aveva posto, e che neanche
aveva pensato di fare.
La rivolta era già finita. Tutto era stato distrutto.
Non riusciva a dire nulla. Forse non c'era niente da dire. Continuava a
guardarla felice e
preoccupato insieme.
Non era riuscito a salvare Anna, ma non avrebbe mai permesso a nessuno,
neanche e soprattutto a
se stesso di fare del male a lei, la sola via d'uscita che gli restava,
la sola che poteva rendere falso
tutto ciò che il Dominus aveva detto. Lei lo avrebbe aiutato
a mantenere il controllo e la lucidità, a
non farsi trasportare dalla brama di potere prettamente umana. Grazie a
lei, molto più che a lui, gli
uomini avrebbero ripreso la loro identità, come un fiore
riprende colore dopo il buio della notte.
Lyam non avrebbe dimenticato l'ultima lezione impartitagli dal Dominus.
C'era molto da ricostruire,
e avrebbero dovuto farlo insieme.
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