Robb
Perchè
il branco ulula ancora.
I Sette Regni cercavano
di domare la progenie del lupo.
Nel posto sbagliato.
Ma come, il lupo era così attento a guardarsi le spalle da
non vedere il pericolo ad un palmo dal muso?
La incalzava, Robb Stark, sbranava l'ombra della guerra facendo
scattare le mascelle ad un soffio dall'orlo, mordeva e
masticava la coda del suo mantello consumandovi i denti d'acciaio.
Aveva sul collo la punta delle spade dei nemici e l'alito dei
consiglieri malfidati, Robb Stark, correva alla ricerca di qualcosa di
buio, ma che non rispondeva al richiamo di gloria, nè di
lealtà, neppure di vendetta. Correva come un bambino sulla
strada di casa, ma non era a casa che stava andando, era da
lì
che stava fuggendo. Quando l'impeto della guerra aveva allentato la
presa sul suo animo abbastanza da concedergli il pensiero di stare
sbagliando tutto, era già troppo tardi.
Il fiele che aveva in corpo cercava una liberazione, cercava
un'evasione, cercava pace. Pace, come l'ultima parola della ninnananna
che una balia morta non potrà cantare mai. Pace, come il
sussurro di uno sconosciuto dal volto familiare dall'altra parte del
mondo. Pace, come l'onda che si è infranta contro la riva e
muore sciogliendosi e districandosi in un sudario di spuma.
Aveva sete, Robb Stark: mai i suoi coppieri avrebbero dovuto colmargli
il boccale di sangue per contentarlo.
Cosa avete fatto, Lannister, cosa avete fatto, dèi, cos'hai
fatto, onore. In cosa hai trasformato un ragazzo felice, cosa ne hai
fatto della sua incoscienza sbrigliata, cosa hai iniettato nelle sue
vene. Cos'hai fatto, sangue, sangue che chiama, sangue che chiede,
sangue che scorre e sangue che spande, sangue mio o sangue tuo, e
questo fa la differenza. Nel sangue ogni guerra finisce, nel sangue
ogni vita comincia, il sangue lo vuole il cielo e lo vuole la terra, ma
lo vuole il sangue, Robb Stark?
Non riesce nemmeno a ricordare l'inizio della storia, ma non si
può tornare indietro con le pagine per rileggerla. Bisogna
andare fino in fondo. Ormai soltanto la fine deve contare, soltanto la
fine è certa, certa come la notte. La notte più
che mai
è chiarezza, quando non ci si può fidare della
luce del
giorno e delle sue verità bugiarde.
A Robb, l'odio l'ha imposto qualcun altro, senza prima insegnarglielo.
Come si odia? Si pianta una spada nella gola, si tortura con il fuoco,
si maledice fino a perdere la voce? Robb voleva
odiare, voleva odiare in tutti questi modi, macellava ad occhi chiusi,
pensando ad Eddard Stark, alla sua onestà sprezzata, su cui
tutti i topi delle fogne di Approdo del Re avevano sputato. Non sapeva
chi odiare, cosa odiare e come odiare, ma uccideva, Robb Stark,
uccideva alla ricerca del sollievo, della fine, qualsiasi essa
fosse.
Era stato un unico, intollerabile secondo, una sofferenza lunga
diciassette anni compressa in un secondo. Poi Robb aveva alzato la
testa verso la luna ed aveva urlato il tradimento di Theon
così
forte da farlo tremare nel letto che ha usurpato al Nord.
*
Troppo a Sud.
A Sansa era stato detto che Robb era morto.
A Sansa, Tyrion aveva detto che Robb era morto in pace.
Tyrion l'aveva detto, brutto marito inutile, troppo basso per baciarla,
troppo in basso
per guardarla negli occhi. Brutto marito inutile al
quale avevano affidato una lupa in catene.
In pace, pace. Pace non esiste, pace è il primo istante in
cui
chiudi ogni occhi la sera e l'ultimo prima di piangere, pace
è
una landa desolata che tutti quanti voi avete razziato, uno dopo
l'altro, bruciando i campi, calpestando il verde, sterilizzando la
terra, fino a rimanere con le mani colme della cenere della vostra
stanca disillusione. La pace ce l'avevate, la pace era vostra, la pace
era al sicuro nei forzieri e nei focolari, ma voi l'avete gettata dalla
finestra insieme a Bran, l'avete decapitata insieme a mio padre,
l'avete tradita al banchetto di nozze dei Frey. La pace, saccheggiata,
spazientita, oltraggiata, derisa, spregiata, cacciata, non vi vuole
più.
Robb sarebbe morto in pace. In pace. No, non c'era pace attorno a lui,
dentro di lui. Non c'era pace nelle urla dei suoi uomini dilaniati, nel
canto vile dei leoni, nella mensa sbaragliata e nei giuramenti violati.
No, Robb è morto in guerra, radunando i vessilli ed
affilando le
armi, è morto con la guerra negli occhi, nel petto, con la
guerra sulla punta delle labbra impietrite; Robb è morto con
la
guerra nella testa, nel sangue, nel cuore, perchè essa
l'aveva
contagiato fino allo stato terminale.
Robb è morto con la vostra gola stretta nel pugno,
con i
vostri nomi fra i denti, e li sta portando nelle viscere della terra,
dritti all'inferno; questo vorrebbe urlare Sansa, minacce,
intimidazioni, vorrebbe spegnere con il fuoco quelle risate, vorrebbe
strappare con gli artigli quei ghigni, vorrebbe umiliare la loro
felicità come è stata umiliata la sua.
Scorreranno
lacrime a casa Lannister, lacrime di sangue e di sale, tanto che
prosciugherete il mare e potrete affogare; quest'altro ancora vorrebbe
strillare Sansa, per soffocare il rumore dei brindisi, dei
festeggiamenti, d'un'allegria grottesca come un ragazzo con la testa di
lupo. Vorrebbe seppellire il trionfo, impedire la vittoria con il solo
fragore della sua voce, con la sola forza delle sue braccia, Sansa. Se
potesse strapparsi i muscoli e spezzarsi le ossa recidendo a morsi
voraci e mani nude la potenza dei Lannister, non ci penserebbe due
volte. Cosa può un esercito contro una ragazzina infuriata?
Solo
i suoi vestiti di lusso può strappare, Sansa, solo fiocchi e
stracci, solo il desiderio d'una fanciullezza veloce contro l'acida e
violenta consapevolezza di due anni di ferro. In quel momento sarebbe
più facile essere Arya che essere una lady, correre, pestare
i
piedi e sbraitare, graffiare e scalciare contro il destino, ma Sansa
non è Arya e Arya non è lì.
Vorrebbe privare i Lannister d'ogni vettovaglia, Sansa, ed erigere
nella Fortezza Rossa un pozzo di ricordi irraggiungibili ed amarezza
ustionante, di modo che tutti loro possano abbeverarsi dell'unica
essenza di cui ella stessa si è sostentata.
Perchè Sansa deve vivere fra i leoni, deve sorridere ai
leoni,
deve obbedire ai leoni, deve interpretare il cane docile ed
ammaestrato, se vuole dare un lieto fine alla storia, o toccare
personalmente il fondo dell'abisso. Tanto ormai lei è pronta
a
tutto, lei conosce bene quella discesa, sempre più
giù,
sempre più giù, con piccole pause che servono
solo a
metabolizzare ed apprendere e calcolare ciò che si
è
perso ed avvertire il contatto del dolore contro una guancia, come uno
schiaffo troppo forte, e soffrirlo per bene, quel dolore; e il futuro
sembra ispirarsi per la creazione delle sue trame alle paura
più
atroci di Sansa, che immancabilmente diventano materia di
realtà. Ringhia soltanto di notte, Sansa, quando nessuno la
sente, contro un cuscino sazio di lacrime, ringhia il lamento d'un
dolore muto che non può trovare espressione nè
consolazione, ringhia il suo flebile inno funebre alle vittime d'una
mattanza inesorabile, a tutti coloro a cui non ha potuto dire addio.
Avete superato una linea sacra, Lannister, avete osato più
di
quanto è consentito dalle regole del gioco, avete profanato
qualcosa che è più grande di voi. Questo Sansa lo
sa per
certo, lo avverte, lo percepisce con ogni fibra di sè
stessa.
Bisogna attendere. Soffrire, e attendere, Annuire, e attendere. Tacere,
e attendere.
Ma non morire. Mai morire. Sono morti in troppi.
*
Troppo a Nord.
Bran è un ragazzino dal viso di neve e gli occhi notturni
-la perdita
dell'innocenza ha lasciato un solco buio e vuoto che non poteva essere
colmato da sentimenti stremati, gretti, impraticabili
come rabbia e dolore, che richiedono tempo, energia.
A regnare nel suo petto è una calma di morte, a separarlo
dalla
miseria della guerra è un distacco sdegnoso e disgustato.
Non
è permesso il lusso della debolezza, quando si dorme nel
fango e
si mangia carne cruda, non c'è posto per le zavorre sulle
spalle
di Bran lo Spezzato. Bisogna abbandonare sul proprio cammino il
superfluo, per procedere più veloci. Solo sulle speranze
tangibili si può fare affidamento, e l'unica speranza
davvero
tangibile è quella che Bran può tastare con mano:
sè stesso. Il gioco del trono lo lascia a chi crede che
ancora
abbia qualche importanza.
-A me questa guerra non interessa.- ha dichiarato.
-Nessuno ti ha chiesto se vuoi parteciparci: ci sei già
dentro.- ha replicato Jojen, con la sua lapidaria franchezza. Jojen,
Jojen. Jojen ha
consapevolezza del mondo, ha arguzia per natura e onniscienza per
maledizione. Dentro i suoi occhi s'è radicato il muschio del
dovere, scatta la luce scaltra dei pensieri e le pupille tacciono torve
le trame che i ragni non hanno ancora tessuto.
Jojen ha insegnato a Bran a sognare una realtà feroce,
viscerale, d'aspra sapidità come il sangue in gola: dormi e
corri,
dormi e piangi, dormi e dimentica, dormi e uccidi, dormi ed esplodi,
dormi e poi ritorna. A
Bran le mani di Jojen piacciono: affusolate, con dita lunghe e palmo
stretto, pallide ed affidabili più di tutte le altre.
Perchè quando Bran è nelle mani di Jojen, fra le
mani di Jojen, tutto va per il meglio.
Bran vorrebbe dirlo, a Jojen, che continua segretamente a sperare
ch'egli compaia sempre nei suoi sogni a risolvere i guai, pronto ad
inginocchiarsi e prestargli giuramento come fece quel giorno
dimenticato, quando Grande Inverno era alta e bella quanto il cielo. Ma
il giovane Reed non incoraggia le confidenze, con quegli occhi solenni,
che guardano oltre,
che si ammorbidiscono di pietà soltanto quando Bran
urla nel sonno.
Perchè Bran non vuole altro che sentirsi dire che cosa fare,
per intraprendere una strada che non conduca all'inferno.
Ma quando Jojen non sarà altro che un fagotto livido e
tremante
al di là della Barriera, quando il ghiaccio gli
serrerà quelle labbra da cui scaturiscono le risposte, quando
sarà Jojen ad avere bisogno del suo aiuto,
dovrà essere
il ragazzo a decidere e il lupo a sbranare.
Si guarda intorno, l'erede d'un cumulo di macerie, un'ombra di cenere e
un pugno di malinconia: il terriccio è il suo trono, di
foglie
marce è il suo mantello, un debito di sangue è la
sua
corona.
Bran si guarda intorno, vede i suoi compagni di sempre. Si rivolge a
Jojen, atono:
-Quali fra noi sopravvivranno?-
Jojen lo penetra con uno sguardo lungo ed affilato. -Non te lo dico.-
Mio principe, lo chiamano i suoi compagni di viaggio;
maestà, a
volte. Ma lui non è un principe, tantomeno un re. Il diritto
ad
un trono crollato lo vuole così, vero.
Ma il destino deve smetterla di decidere chi Bran debba essere. Ha le
gambe rotte, ma ciò non fa di lui Bran lo Spezzato. Non sta
scappando dalla guerra dei re: sta andando a combattere la sua.
Egli diventerà qualcosa che solo lui può
diventare.
Qualcosa di unico. Qualcosa di forte. Qualcosa di inflessibile.
Io non mi sono spezzato,
vorrebbe gridare alla notte.
Io sono intatto, e sono qui. Voi no. Voi siete tutti morti. Voi siete
tutti spezzati.
Voi vi spezzerete tutti.
I lupi stanno affilando le zanne.
E quando lo chiameranno Maestà, quando
sarà re, lo
sarà sul trono ch'egli stesso erigerà. Un nuovo
trono per
un nuovo re del Nord, Brandon Stark l'Infrangibile.
Non sarà pace, sarà guerra; il Sud non ha ancora
assaggiato il vento del Nord.
Dopotutto l'inverno è nel suo sangue -l'inverno è
nei suoi occhi.
*
Nel posto giusto.
Jon Snow non sa niente: il comandante Snow ha imparato.
Sono figlio dell'inverno, pensa guardando il groviglio inestricabile
del buio. Però non basta. Devo essere re. Devo essere il re di quest'inverno.
Per farlo finire, per far terminare la fame e la miseria,
per
riportare i figli dalle madri, per scaldare le case e riaccendere la
luce.
No.
Per dilagarlo, per perseverarlo, finchè ogni estate
sarà
spazzata via. L'estate non serve più a niente. L'estate,
ormai,
appartiene ai leoni. La vogliono solo i leoni.
Jon non ha più un'estate a cui tornare, in fondo. L'estate
di
Jon è tramontata da un pezzo. L'estate era Ygritte, il
calore
era quello dei suoi capelli baciati dal fuoco, la speranza era
abbracciare un corpo morbido sotto le pellicce e convincersi che, in
fin dei conti, nella vita tutto può succedere, che anche per
i
bastardi esiste l'onore, che il futuro non lo scrivono gli
dèi.
L'estate ha una freccia conficcata nel petto e il bagliore d'un sorriso
derisorio ancora appeso alle labbra.
La vendetta sgorgherà insieme al sangue dei morti, la
vendetta
sarà per tutti e verso tutti, per tutto e verso tutto, ma
non
mieterà mai davvero l'obiettivo -la sorte, che se fosse
cieca
non avrebbe giocato con Jon così crudelmente.
L'estate del comandante Snow è l'inverno.
E, fortunatamente, l'inverno sta arrivando.
*
Da nessuna parte.
Un giorno qualcuno l'ha detto, ad Arya, che i desideri si realizzano
soltanto quando non si sa più cosa farsene di loro.
Arya non voleva i bei vestiti e l'ago alla mano, non voleva le canzoni
sdolcinate dei menestrelli ed i saloni eleganti: per Arry ci sono solo
stracci e una spada alla cintura, mentre il crepitio degli incendi, il
clagore della guerra e i lamenti dei lupi squarciano la notte in
quella foresta senza uscita che assomiglia ad un incubo ma puzza di
realtà. Ecco servita la ribelle principessa dei lupi, con il
fango e con il sangue, perchè lei non è una lady. Non
sei una lady?, sghignazza la sorte, e allora dimostralo. Ruba, uccidi,
scappa, corri, mordi.
Non sei una lady? e allora cosa sei?
Arya è stata una coppiera, una sguattera, un ragazzino, una
prigioniera; poi ha capito ch'è meglio non essere nessuno.
La morte è già entrata nella sua vita e nulla la
caccerà fuori: se è impossibile combatterla,
bisogna farsela amica,
addomesticarla, allearsi con lei.
Strappa la propria pelle Arya, se ne libera e ne esce fuori, la
abbandona a terra come faceva con gli abiti di pizzo, come se fosse un
mantello liso da troppe tempeste.
Arya Stark soffre troppo, Arya Stark è debole: la
forza non
risiede più in lei. Perciò, per resistere,
bisogna essere
qualcun altro. Visto che tutti prima o poi vacillano, sarà
bene
avere sempre un volto nuovo, un nome nuovo, un cuore nuovo.
Così
non si muore mai.
Arya non aveva nulla da perdere, nulla da conquistare, ma tante vite da
vivere e da ghermire.
Un giorno Arya lo dirà, a quel qualcuno, che soltanto le
lady attendono l'avverarsi dei desideri.
I
Sette Regni sanguinarono.
Note dell'Autrice: Di nuovo gli Stark, sì, perchè
mi piace piazzarli nelle fanfictions in qualsiasi salsa.
Bran/Jojen fa inevitabilmente capolino fra le righe, ma non è colpa mia.
E' colpa loro. Se si divorassero un po'
più discretamente con gli occhi, non stuzzicherebbero la mia
mente morbosa.
Il comandante Snow mi
piace
poco, però lo ritengo credibile. Al personaggio di Jon, a
mio
parere, non bisogna attribuire troppo perbenismo. Insomma, non deve
fare il bravo ragazzo a tutti i costi, però per ora tutto
quel
che ha fatto, questo comandante Snow, è stato rispondere
male a
Sam. Ahhrgh, che cuore impavido. -.- Come si fa a rispondere
male
a Sam, povero tesoro?
Arya mi rompe un po', non lo so, mi dà sempre l'idea di
volersi
cacciare in situazioni peggiori di quella in cui è. I guai
se li
va a cercare con il lanternino. Attendo nuovi risvolti...
Va beh. Ho brontolato abbastanza. Grazie per avere letto le storie -anche queste inutili note?
Incredibile- e sarei contenta di sapere la vostra
opinione. Valar morghulis, gente!
^-^
Lucy
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