Non
ricordo più che ora sia, sono uscito da casa col cuore in gola
e ho creduto sarebbe stato meglio prendere la macchina per cercarti.
Uscito dalla soglia mi sono reso conto di quanto avessi fatto bene ad
avere strette nel pugno le chiavi, con quel ciondolo che ci ha
attaccato mia madre per riconoscerle, quello fatto a palla di
biliardo col numero 6 che ormai non so più di che farmene. È
passato più di un anno ma anche adesso c'è la pioggia,
solo che stavolta è vera. È realmente presente sulla
manica del mio giubbotto, picchietta sul mio viso e cadendo in gocce
sugli occhiali mi distorce la prospettiva attraverso le lenti che
ormai sarebbe meglio farmi cambiare, sono anni che porto le solite.
Le Etnies invece ce l'ho da pochi mesi, eppure grazie al mio
vizio di strascicare i piedi sono riuscito a consumare il tacco di
una, e l'acqua mi inzuppa leggermente il tallone. Sento il calzino
inumidirsi e così inizio a camminare zoppicando sulle punte
come un perfetto idiota. Ci sono solo io, tutti questi stronzi in
questa stronza cittadina se ne staranno al caldo nella loro stronza
casa tirata a lucido a pensare alla prossima occasione in cui
potranno andare con i loro stronzi amici al bar da Carlotta e
spettegolare su quel tale lì che frequentava l'asilo con
tiziocaio che l'ha visto in discoteca a fare questo e quello. Su di
me avrebbero di che spettegolare, ma a me non importa perché
mi importa solo della pioggia, stanotte. E stanotte ci sono solo io,
quindi la pioggia è mia, e mia soltanto. Giuro che non vedo
un'anima, e cammino imperterrito, schermando la palla di luce dei
lampioni con la stoffa dell'ombrello nero grande – che quello
piccolo non bastava a ripararmi, l'ho lasciato in macchina – e
riuscendo così a vedere i contorni luminosi delle gocce che
cadono dal cielo lungo le facciate delle (stronze) case. Ho le cuffie
alle orecchie e sto sentendo Reanimation,
quasi ignaro che per la prima volta dopo più di quattro anni
non lo ricollegherò più a notti di freddo walkman
scassato cuffie intinte per sbaglio in una fontana diari di scuola
con foto di Kirsten Dunst appiccicate sopra con lo scotch e scritte
simil-murales perché non mi riesce fare di meglio dato che
come dice Carletto sono un toy
e come al solito ha ragione... Mi chiami. Avrei dovuto immaginarlo
che sapere il nome delle strade di questo (stronzo) posto mi avrebbe
fatto comodo prima o poi, ma poco importa perché l'istinto mi
ci porta lo stesso, o forse è la pioggia. Forse è lei
che mi trascina amorevole in questa strada buia oltre al passaggio a
livello che sembra di essere ad Axetown, solo che davanti a me c'è
il locale più triste che si possa immaginare, e, davanti al
locale più triste di questa stronza cittadina che non è
degna nemmeno di essere sfiorata dai tuoi piedi sull'asfalto, c'è
un non più triste figuro con gli occhiali e i capelli
spettinati peggio di Sweeney Todd intrisi di pioggia, che prima di
uscire si è spruzzato quel profumo di arancia e vaniglia che
gli innesta un meccanismo di memoria olfattiva che ormai rimanda solo
a te, un po' come il tuo giubbotto verde col pelo che è
rimasto per un mese sulla sedia con le ruote sotto il tavolo nello
studio, nascosto a tutti tranne che a me, quell'ammasso di stoffa e
piume di non so cosa intriso del tuo odore dolce, che mi sono portato
al viso dieci volte al giorno, per non perdere nemmeno l'ultima
traccia che avevo di te in quei giorni, respirandoti fino a morirne.
E questo figuro con gli occhiali adesso si caccia il lettore cd in
tasca, lascia cadere l'ombrello sul marciapiede zuppo d'acqua che
forse una delle stanghette di metallo si è piegata per la
botta ma non importa – non adesso, tiene stretto il piccolo
regalo che ha per te nella tasca sinistra e corre tremante di
felicità, corre verso la porta blindata che si socchiude,
sorridendo nel vedere il tuo faccino, gioendo per la sensazione di
potente irrealtà che ha provato solo sentendosi dire “ti
amo” dalla persona che mai avrebbe creduto e tanto avrebbe
voluto sentirglielo dire, la stessa di cui gli basta vedere anche
solo la prima foto per scoppiare a piangere di felicità,
stupida felicità piagnucolosa, quella che non vuoi, non vuoi è
sciocca non piangere e allora non piango, amore, non piango più,
sono felice adesso, felice con te, felice anche adesso che sto
scrivendo e tutto è già successo, e l'ombrello l'ho già
raccolto da terra e la stanghetta sì è vero era un po'
piegata ma il meccanismo a molla è scattato comunque e a casa
ci sono tornato quasi asciutto, anche perché aveva smesso di
piovere – visto che serviva l'ombrello quello grande? –,
sono felice adesso che sento che mi sforzo e mi impunto per essere
convinto di controllare la mia mente quando è la mia mente che
vuole te, quando sono io che voglio te, quando è chiaro che
non ci sono più quelle brutte cose ronzanti che vedo al
microscopio come enormi, perché sono solo cacchette minuscole
su uno stronzo vetrino da laboratorio, e chi vorrebbe vedere
cacchette minuscole su uno stronzo vetrino ingrandite da uno stronzo
microscopio? Nessuno, ecco la risposta, o perlomeno non io, che penso
a te ogni momento, che sono di nuovo di notte ad ascoltare i Linkin
Park ma non sono triste anche se piango perché penso alle mie
cazzate come Jonathan Davis che canta con me e mi dà un
abbraccio affettuoso come a dire ce l'hai fatta coglionazzo
complimenti, ma penso soprattutto a te, e non ho più avuto
incastrato
in gola il cuore incandescente come una borsa
dell'acqua calda dal primo giorno in cui ci siamo parlati, e sono
stato tutta la notte vicino a te, come questa sera solo che tu eri
vicina, stavolta, molto vicina eppure non potevi parlarmi... non fino
a notte fonda, quando tutti dormono eccetto me che mi sveglio, mi
sveglio, mi sveglio sempre per te, anche solo per una lettera a
sorpresa nascosta dietro il disco nella custodia di Edward Mani Di
Forbice, anche solo per
un bacio, come quelli che mi hai stampato sulle labbra insensibili
dal freddo, che pizzicavano e bruciavano come se fossero ghiaccioli
in sublimazione, e ne chiedevano ancora, ancora, prima di andare,
ancora, prima che la porta blindata si richiuda sul casino di una
festa che mi dirai che chiaramente faceva schifo ma a cui dovrai
andare, che sarebbe stato meglio stare io e te sotto il piumone a
leggere IT e mangiare
yoghurt e guardare Il Miglio Verde e
fare l'amore e frignare per l'ultima puntata di Lost,
ma adesso devi andare, ritornare dentro quello stronzo locale,
lasciandomi qui, e io lasciandoti lì, ma non devi temere,
perché sappi che non ci sono dubbi, e che io sono la persona
più felice del mondo, adesso, anche se sono bagnato, con un
ombrello formato famiglia ed ha smesso di piovere. Lo sai perché?
Perché la pioggia ce l'ho nel cuore.
È
mia, e mia soltanto.
4
marzo 2008
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