Ecco, come promesso un aggiornamento
caricato in fretta! Contenti? ^^
Ho solo una cosa da dire… ogni comportamento avrà la sua spiegazione, come vi
ho già anticipato nella precedente premessa.
Doverosamente
dedicata al cucciolo d’uomo che mi renderà presto una zia orgogliosa.
Un pensiero speciale a chi
ha recensito il precedente capitolo e invito i lettori silenziosi, se lo desiderano, a lasciare un segno (che è sempre gradito).
A misfatto,
elisabethy92, hiromi_chan, chibimayu,
Rosso_Pendragon, Orchidea Rosa, mindyxx,
Burupya, DevinCarnes, Barby_Ettelenie_91,
aeron e FlameOfLife.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
Grazie.
Waiting for you
Capitolo II
Non si poteva certo dire che Arthur non avesse chiuso occhio
quella notte.
L’aveva chiuso, sì.
E riaperto qualcosa come trecento
volte.
Per controllare che tutto fosse a posto, che il cane stesse
bene o che la casa stesse bene. O che lui stesse bene.
Ogni piccolo rumore lo destava. Lo innervosiva. E finiva per
alzarsi e andare a controllare.
La guerra era iniziata all’ora di coricarsi.
Arthur aveva il fermo proposito che nessun animale avrebbe
soggiornato in camera sua, perché non era
igienico.
Per questo motivo, malgrado i
guaiti infiniti e le lagne strappalacrime, era stato irremovibile.
Aveva posizionato lo scatolone in
un angolo del salotto e aveva spento l’illuminazione, augurando la buonanotte
al cagnolino.
Poi se n’era andato in bagno e, lavati i denti, aveva
affondato il suo corpo sfatto nel letto, sotto al morbido
piumone, considerando che, entro breve, avrebbe dovuto sostituire questo a
mezza stagione con quello invernale, più grosso.
Nel silenzio che doveva regnare – normalmente, solo il
ticchettio della sveglia scandiva il tempo – il cane non aveva ancora smesso di
ululare.
Arthur considerò che ci sarebbe voluto un po’ perché la
bestia si calmasse (o si rassegnasse,
ma dipendeva dai punti di vista).
Dopo un’infruttuosa mezz’ora, sospirando, egli si risollevò
e, non appena riaccese il lampadario del salotto, fu accolto da un festoso
scodinzolio e da un richiamo ancor più forte, ma meno lamentoso.
“Non esiste che si dorma con le luci accese!” l’avvertì, perentorio, schiacciando i pugni sui fianchi, per
sembrare più intimorente.
D’improvviso, fu
travolto dal ricordo di come, quand’era ancora bambino, suo padre
ci aveva messo poco a fargli passare qualsiasi paura del buio. E qualsiasi
protesta stroncata sul nascere, per buona misura.
Ma ricordò anche le
infinite notti – soprattutto quelle coi temporali – passate
rannicchiato sotto alle coperte a piangere in silenzio, fino a quando Morgana
non sgattaiolava al suo fianco, abbracciandolo, consolandolo. E poi, appena lui
si addormentava, lei tornava furtivamente nella propria stanza. E nessuno
avrebbe dovuto dire niente. Nessuno doveva conoscere quel
loro piccolo segreto.
“Oh, d’accordo!” sbottò allora, cliccando sul pulsante della
lampada a stilo accanto al divano – quella che usava per leggere da sdraiato.
Un lucore discreto si espanse nella
stanza, sostituendo il chiarore più potente.
Il cucciolo si guardò attorno, fissando da oltre il bordo
dello scatolone la fonte luminosa.
“Questa è la mia massima concessione!” decretò Arthur, senza
attendere replica, girando sui tacchi e tornandosene a letto.
Fece appena a tempo ad atterrare sul materasso, sospirando,
pregustando un buon sonno, quando il piagnucolio riprese identico a prima.
“Eh, no!” borbottò, intestardito a non dargliela vinta.
Ora che l’animale non era più al buio, lui aveva tacitato la
propria coscienza e avrebbe atteso che la bestiola si adattasse alla solitudine
per quella notte…
Ma, anziché diminuire, i latrati
aumentarono d’intensità, come un costante, cocciuto richiamo.
Arthur imprecò, infilandosi le ciabatte e andò dritto in
sala con il preciso scopo di fare una ramanzina al suo molesto ospite pulcioso.
“Shh! Devi fare silenzio o sveglierai tutto il
vicinato!” lo sgridò, allorché il cane, vedendolo
ricomparire, aveva preso ad abbaiare festoso. “Fai
si-len-zio!” scandì nuovamente (e inutilmente), sentendo gli ultimi rimasugli
di pazienza gocciolare via. “BASTA!” urlò, quindi, zittendo
incredibilmente la bestia.
Incredulo anch’egli per il risultato ottenuto, pensò bene di
battere in ritirata strategica, prima di una nuova, possibile controffensiva.
La tregua sembrava tenere, con sua enorme soddisfazione
personale, e Arthur scivolò nelle maglie del sonno, coprendosi le orecchie col
cuscino, per precauzione.
Fu un rumore estraneo a destarlo. Non sapeva esattamente per
quanto avesse dormito – la sveglia gli rivelò, beffarda, che non erano passati
neppure venti minuti da quando era crollato.
Arthur affinò l’udito, per capire la provenienza del brusio.
C’era un rumore di cartone rosicchiato – senza dubbio – e un
basso mugolio sussurrato che gli sembrava provenire da una direzione diversa
dal salotto. Che la bestiaccia fosse
riuscita a scappare?
Invocando forza, egli si risollevò, avvicinandosi cautamente
e il più silenziosamente possibile per spiare il cane. Non voleva farsi sentire
e, soprattutto, non voleva
reinnescare l’incresciosa situazione precedente.
Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con l’udito
sopraffino del quadrupede, che subito drizzò le orecchie, richiamando la sua
attenzione abbaiando.
Visto che era stato scoperto, Arthur
gli si avvicinò, constatando che suddetta bestiaccia si era intrattenuta strappando
tutti i fogli del giornale con cui aveva tappezzato la cuccia improvvisata.
Egli pregò solo che non ne avesse ingoiato qualche pezzo e
non morisse soffocata.
Inspirando dal naso, il giovane Pendragon
si rassegnò ad eliminare la fonte di pericolo,
sostituendo il rivestimento con una vecchia maglia rovinata.
Incredibilmente, ciò fece la felicità del topo-cane, che
subito se lo tirò addosso, azzannando la manica, ringhiandole giocosamente
contro, mentre la sbatacchiava qua e là, scuotendo la testa pelosa come se la
stoffa fosse stato un giochino divertente o una preda
da stordire e sconfiggere.
Arthur si rimproverò per non aver offerto prima un distraente all’animale.
Col cuore più leggero, lo lasciò al suo nuovo passatempo,
agognando un sonno lungo e inconscio fino all’indomani.
Purtroppo per lui, il giochino venne a noia presto, e presto erano ripresi i piagnucolii.
Arthur si strofinò di malagrazia la faccia col palmo della
mano, per scacciare il torpore che lo invitava, suadente, a cedere ancora alle
lusinghe di Morfeo e ad ignorare tutto il resto...
Sollevandosi a fatica, decise per una parziale
riconsiderazione – il suo intransigente orgoglio poteva capitolare un pochino, pur
di ottenere qualche ora di meritato riposo dopo una settimana allucinante in
ufficio.
Agguantando lo scatolone, lo trasportò dal salotto al
corridoio, di modo che il cucciolo potesse sentirsi meno solo ascoltando il suo
respiro. E forse il suo russare, si
disse.
Per sicurezza, egli lasciò anche accesa la plafoniera più
lontana, perché la luce diretta lo infastidiva, poi accostò la porta della camera da letto e s’impuntò che quella, per quanto lo
riguardava, sarebbe stata l’ultima cortesia verso quel botolo rognoso.
Ma non lo fu.
I brontolii del cucciolo e i rumori che produceva
lo avevano svegliato altre cento volte, quella notte.
E mentre aveva dormito – un sonno agitato e nervoso – gli
incubi lo avevano perseguitato.
Aveva sognato che la bestia aveva rosicchiato le gambe di
ogni mobile, della tavola, del sofà.
E l’imbottitura squarciata del divano e anche delle
poltrone.
E le tende strappate.
E la pipì ovunque.
E a metà notte la bestia era diventata un topo per davvero… – seriamente, doveva smettere di guardare le
repliche dei Gremlins – …un topo che abbaiava.
Arthur si era risvegliato di soprassalto, ansimando, tutto
sudato.
E non aveva resistito a controllare che, effettivamente, quello fosse stato solo
un parto malsano della sua fantasia.
C’era stata una vocina subdola, nella sua testa, che gli
sussurrava che sì, se lo avesse lasciato da solo, quel mostriciattolo sarebbe
stato devastante quanto Ciuffo Bianco.
Così, dopo nuovi guaiti infiniti, dal salotto al corridoio… la
scatola era strisciata sino al fianco del letto.
Alla fine, quel
dannato cane aveva vinto.
Ma solo per questa notte! Tzé!, bofonchiò Pendragon, con l’amor proprio ammutinato e un’emicrania
lampeggiante.
Fulminandolo con un’occhiataccia (ma si rendeva conto da sé
che, con gli occhi cascanti e le palpebre gonfie, non sarebbe sembrato molto
intimorente), Arthur spense ogni luce e concentrò l’attenzione sul veloce
ansare che faceva da contraltare al suo respiro.
Un’ultima sbirciata a mezz’asta, prima di
piombare nell’oblio, sfinito per davvero.
***
Non era neppure l’alba, quando Arthur si destò.
Sentiva la sua palma destra affondata in qualcosa di caldo e
soffice, qualcosa che si muoveva piano, vibrando.
Approfondì cautamente l’ispezione, toccando in punta di dita
qualcosa di viscido e freddo. E bagnato.
L’istante dopo, qualcosa gli leccò generosamente la mano.
Arthur sgranò gli occhi e ritirò in fretta l’arto a penzoloni oltre il bordo del letto, quindi scattò a
sedere, ma un capogiro lo costrinse a ridistendersi.
Dio, si era istintivamente
pulito l’orrida bava sul piumone e adesso avrebbe
dovuto bruciarlo!
Ma ormai il danno era fatto e, riprendendo
coraggio e imprecando contro il mondo, egli si sporse, piano, oltre la sponda
e…
E la bestia lo guardava.
Di
già.
Tutta bella e arzilla, scodinzolava
festosa verso di lui.
Che avesse fame?
Ma non bisognava dare da mangiare ai cani dopo
la mezzanotte.
No, quelli erano i Gremlins.
Gemendo di raccapriccio, si ripulì l’ultimo residuo di saliva
dalla mano – fanculo, peggio di così! – e tentò di dormire
ancora un po’, il giorno sembrava ancora tanto
dannatamente lontano.
Riuscì persino ad appisolarsi un po’, anche se non sapeva per
quanto.
Forse, invece, aveva solo immaginato di riuscirci, perché il
borbottio di sottofondo era snervante, come i graffi delle unghiette sul
cartone della scatola.
Pertanto, di colpo, con la misura colma, Arthur gettò via le
coperte e afferrò il cordless lasciato sul comodino,
per chiamare quel dannato veterinario – perché poteva aver accolto in casa una
collezione di disgrazie, un untore, un’arma batteriologica mortale e infettiva
a quattro zampe (nella sua mente passarono parole grosse come scabbia, pulci,
zecche, pelo, bava, rabbia, vaiolo, toxoplasmosi) – suo padre avrebbe potuto diseredarlo per questo.
Di sicuro, quel famigerato medico gli avrebbe detto come
smaltire il problema con un canale convenzionale, eccheccazzo!
Compose il numero in fretta, prima di cambiare idea.
“Pronto?” borbottò una voce, chiaramente assonnata, al
settimo squillo.
“Salve, ho bisogno di un appuntamento!” esordì Arthur, quasi
spazientito.
“Ma lo sai che ora è?”
“Non importa! Il mattino ha l’oro in bocca!”
“A quest’ora anche il mattino è ancora a letto…” ironizzò
l’accento maschile all’altro capo del telefono. “Devi chiamare in ambulatorio dalle 9.00 in poi…”
“No, ehi! Senta,
guardi-” si agitò.
“È un’emergenza?” il tono si fece serio d’un
colpo, il sonno passato.
“N-no…” borbottò Arthur, a
malincuore. E poi l’occhio cadde sul disastro nello scatolone, e l’emicrania
non gli dava tregua. “Sì, lo è”, ritrattò.
“È una mezza emergenza. Voglio prenotare un appuntamento, per oggi”.
Incredibilmente l’uomo rise.
“D’accordo. Vieni per mezzogiorno. Ma ci
sarà da aspettare…”
“Va bene. Grazie”,
e riattaccò.
Solo dopo averlo fatto, Arthur aveva realizzato
che probabilmente Gwen – mezza ciecata
– gli aveva dato il numero di reperibilità a casa, non quello dello studio. E
lui, non meno distrattamente, non aveva neppure dato
il proprio nome per fissare l’incontro.
Ad ogni modo, poiché di dormire ancora
non se ne parlava proprio, fece colazione con un paio di antidolorifici e
decise di compiere il giro dell’isolato con la bestiaccia in braccio, nella
vana speranza di ricongiungersi con il disgraziato padrone.
Poco importava che fosse sabato mattina in un quartiere residenziale
e che neppure i galli avessero finora cantato (se mai lì ce ne fossero stati,
metaforicamente parlando), perché erano ancora ben chiusi dentro al loro pollaio, sognando le proprie gallinelle.
Arthur non aveva incontrato anima viva – neppure il ragazzo
che consegnava i giornali porta a porta, oppure il
lattaio col suo furgoncino.
Nessuno. Nessuno, veramente. Manco l’ombra di un essere
umano.
Sembrava davvero una
congiura.
“Forse porti sfiga…” ruminò, deluso
e incazzato, sollevando il cane all’altezza degli occhi, ma fu ricompensato
solo da una lingua a penzoloni e da un’alitata micidiale.
“Bleah! Vuoi una mentina?” offrì, sarcastico, posando a terra il topo-cane-pecora, che ne approfittò per sgranchirsi le
zampe correndo in circolo davanti alla porta d’entrata.
Arthur non fece neppure a tempo a far
scattare la serratura, che la bestiola era già corsa dentro, facendolo
scoppiare in un’ironica risata. “Ma prego! Fa’ come se fossi a casa tua!”
***
Arthur era certo che avrebbe avuto anche l’esaurimento
nervoso tra i sintomi da annoverare a Gaius, quando lo avrebbe visitato – cioè
il più presto possibile – per un check-up generale e una profilassi d’obbligo,
una volta che quella disavventura si fosse conclusa.
Ma per ora avrebbe cercato di mantenere
la calma e di ignorare la gastrite incipiente e la vena che sentiva pulsare in
fronte.
“Non ti azzardare a fiatare!” sibilò alla volta della
scatola che teneva sulle ginocchia.
Il cane spazzolò la coda sul cartone, in
risposta.
Sbuffando spazientito, non gli rimase che pregare ogni
divinità conosciuta e non (anche se lui era ateo), affinché i tempi si
velocizzassero.
D’accordo, era andato
allo studio veterinario abbastanza presto – più di due ore prima dell’orario
pattuito –, con la segreta speranza che magari – sbattendo gli occhioni, o facendo un mezzo sorriso, oppure allungando una
bella banconota – lo infilassero di straforo tra un paziente e l’altro.
Purtroppo per lui, la signorina Freya,
la segretaria frigida, non aveva
ceduto né al suo indiscusso fascino (cosa che lo aveva intimamente ferito, e anche molto) né alla profferta di
moine pecuniarie.
“Ma sono il signor Pendragon!” aveva persino sbottato; benché non amasse
giocare spesso la carta del ‘lei non sa chi sono io!’,
era certo che dovesse pur valere qualcosa.
Tutti conoscevano l’influenza
della sua famiglia, perdìo!
“Pen- chi?” aveva fatto eco lei, perplessa, digitando celermente il nome
sulla tastiera del pc per introdursi nell’archivio
virtuale dell’ambulatorio. “Lei non risulta mai essere
stato, in precedenza, un nostro paziente…”
Un paziente? Lui?!, se non fosse stato sull’orlo di una crisi di nervi,
Arthur sarebbe scoppiato a ridere. Fino al giorno
prima, un ambulatorio veterinario sarebbe stato l’ultimo posto sulla Terra dove
incontrarlo.
“Solo le effettive emergenze sono un’eccezione agli
appuntamenti prefissati, signore”, gli aveva ripetuto – ancora una volta – da
quando si era presentato all’accettazione e aveva preteso un trattamento di
favore, tirando in ballo persino la telefonata fatta all’alba che, per qualche
ragione nota solo a lui, avrebbe dovuto garantirgli l’apertura facilitata di
tutte le porte. “E non serve che lei paghi in anticipo il quintuplo della
prestazione”, aveva precisato, quasi svergognandolo. “Il tariffario esposto è
unico per tutta l’utenza”, aveva chiarito, con voce gentile ma inflessibile.
“La prego di accomodarsi in sala d’attesa, lì, sulla destra. La
chiamerò personalmente quando sarà il suo turno”.
Arthur non era abituato a ricevere un due di picche – di
qualsiasi tipo esso fosse –, per questo aveva grugnito una risposta
incomprensibile e si era rassegnato a
sprecare il proprio tempo in attesa dei comodi altrui.
La sala – come ebbe modo di vedere – era foderata alle
pareti da enormi foto di cuccioli. Erano
un’infinità.
Sembrava di stare in
un reparto di pediatria o di maternità, non da un veterinario, considerò
mentalmente, lasciandosi cadere sull’unica poltroncina ancora disponibile – e
cioè incastrato tra una ‘vecchia con un trasportino e gatto soffiante come un
mantice’ e una ‘bambina con sua madre e un coniglietto puzzolente che ruminava
all’infinito’.
“Tu, fa’ silenzio!” intimò preventivamente al cucciolo, prima
di dare una rassegnata ispezione attorno fra gli occupanti. Nella stanza c’erano
altri due cani, un gatto, e un pappagallo e relativi proprietari.
Purtroppo per lui, la bestiola fece lo stesso e l’odore
degli altri animali le provocò una strana agitazione.
Sembrava improvvisamente fuori di sé quando un altro grosso
cane comparve tra loro, uscendo da quello che, presumibilmente, era lo studio
effettivo, mentre il suo padrone si riappropriava del soprabito appeso
all’attaccapanni accanto a loro.
“Sta’ alla larga da noi!” sibilò
alla volta del cagnone bavoso che gli si era avvicinato inavvertitamente,
mentre stringeva a sé la scatola con più convinzione.
Arthur fu bellamente ignorato, ma un’altra certezza si stava
spandendo in lui.
Quell’attesa sarebbe
stata infinita.
***
Si rendeva conto da sé che il cane avrebbe colto il proprio
nervosismo e questo avrebbe peggiorato il tutto, ma era più forte di lui.
Spostando la scatola sul ginocchio destro, si mise a
dondolare l’altro come un tic, sbuffando insofferente. Un’ora e mezza di vita sprecata!, inveì mentalmente, osservando,
distratto, l’avvicendamento dell’ennesimo paziente – arrivato dopo di lui, ma entrato prima di lui.
“Il dottor Emrys merita tutta
questa pazienza!” gli confidò una signora di mezza età, al suo fianco,
facendogli l’occhiolino. “Non c’è nessuno più bravo di lui, parola mia!”
rincarò, dando un’occhiata affettuosa al criceto che teneva in gabbia.
Arthur si limitò ad annuire col mento, per farle capire che
aveva inteso, ma non aveva nessuna intenzione di intavolare qualsivoglia
discussione lì dentro.
“Senta, gli sta facendo venire il mal di mare!” gli appuntò
un vecchiaccio ficcanaso, puntando il suo bastone da passeggio contro di lui.
Pendragon smise all’istante di
scuotere lo scatolone, ma pensò di non dargli la soddisfazione di una risposta.
Di colpo, invece, ci ripensò.
“Lo stavo cullando!” sbottò, saccente. “Si dà il caso che
gli piaccia!”
“Oh, sì. Come no?” replicò l’uomo, polemico. “È per questo motivo che
quel povero cane si lamenta da un quarto d’ora!”
Oh, cazzo.
Forse quell’impiccione non aveva tutti i torti… ormai, lui
si era persuaso che il mugolio fosse una specie di costante, un mantra che quel
cucciolo guaiva all’infinito, ma se non fosse stato così? E-e se avesse vomitato?
Rallentò subito il movimento traballante e, in pochi
secondi, cessò del tutto.
Il cucciolo lo guardò, sembrando sorpreso – forse sconvolto?
–, sbattendo la coda per comunicargli qualcosa.
Nah!, il topo-cane-pecora stava benissimo e Arthur si intestardì
nella convinzione che fosse lui ad avere ragione e non quel vecchiaccio: tutto
quel ballonzolare era un divertimento, altroché! Ma,
per buona misura, preferì smettere e, per distrarre la bestiola nell’attesa, si
rassegnò ad accarezzarla, lasciandosi mordicchiare le dita.
***
“Signor Pendragon!
È il suo turno! Finalmente! Ora può entrare!” lo avvisò Freya,
l’assistente, con un’enfasi nella voce che lo irritò, perché grondava
sottintesi.
Era l’ultimo degli ultimi (cosa inaudita!), e le avrebbe
quasi risposto a tono, ma la saletta era deserta, fatta eccezione per lui, il
cagnaccio e la frigida.
Con un sospiro esausto, quindi, accantonò la piazzata e si
fece introdurre nell’ambulatorio.
Per fortuna, l’interno
dello studio era molto più sobrio, registrò automaticamente, perché un
ambiente rispecchiava di solito la qualità di chi vi lavorava. Niente quadri traboccanti cuccioli, per
carità!
C’erano giochini sparsi ovunque,
ma non in disordine, e un sacco di diplomi e attestati appesi alle pareti. D’accordo, sulla carta, poteva anche sembrare un veterinario preparato, ma
era tutto da vedere!
Forse Arthur s’era distratto un po’
troppo, perché finì per cozzare contro l’oggetto delle sue riflessioni.
“Sei sempre così mattiniero, Arthur?” si sentì apostrofare, in modo del tutto inaspettato.
Fu un sorriso gioviale ad accoglierlo, e una mano allungata,
pronta per essere stretta.
Dio, ma quelle
orecchie erano finte, o cosa? Servivano per distrarre gli animali durante le
visite?!
Arthur si prese il tempo di sondare il tizio davanti a lui.
Quella voce calda e roca, per colpa del sonno, gli aveva dato l’idea fuorviante che appartenesse ad un uomo di
mezza età.
E che diamine ci
faceva, invece, quel ragazzino? Era un tirocinante?
“Il dottor Emrys?” domandò, certo
di ottenere una risposta negativa.
“Sì, ma preferisco Merlin”,
lo corresse, con un altro sorriso dannatamente accattivante. “Per
favore, niente formalismi. Come regola generale,
ci diamo del ‘tu’ coi miei utenti. Un ambiente amichevole e
un clima confidenziale aiutano a mantenere gli animali più sereni e rilassati…”
motivò.
“Oh, beh, sì… mh…” farfugliò
Arthur, alquanto sconvolto, di rimando. E
se lui non voleva?
E il Codice di
Condotta Deontologica dove finiva? Sotto alle scarpe?
E il distacco professionale?
Che assurdità! A
volte, Arthur dava del ‘lei’ anche a suo padre,
durante le riunioni del Consiglio d’Amministrazione!
“Ciao, dolcezza”,
riesordì il veterinario, ignorando i suoi turbamenti
e prendendo in consegna il cucciolo festoso dalla scatola.
Dolcezza? Oh, ma
andiamo!, Arthur
lo trovava zuccheroso e fuori luogo.
Poi, però, rifletté che, beh… il cane non aveva un nome.
E in qualche modo, quell’idiota doveva pur rivolgersi a lui.
Sentendosi in dovere di fare un ragguaglio, premise: “Ho
trovato questo cucciolo sulla porta di casa mia, ieri sera, e-”
“Ma non è un cucciolo!” lo corresse
Merlin, osservando la bestiola adagiata sul tavolo medico, tutta fremente.
“Come no? È grande come… come un topo!” sbottò, quasi che
evidenziasse l’ovvio ad un demente.
Sì, doveva essere davvero demente, perché quell’imbecille
scoppiò a ridere.
“Vedi, Arthur, esistono cani di piccola taglia…” fu la replica divertita del medico. “Small, come le
magliette… Hai presente?”
Pendragon trattenne a stento il
fumo dalle orecchie.
Chissà quali altre magiche
rivelazioni aveva in serbo per lui questo ciarlatano da strapazzo!
Continua...
Disclaimer: I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Nella storia c’è un riferimento al film ‘Gremlins’, adorabili creature pelose che diventano piccoli
mostriciattoli, e Ciuffo Bianco è il loro leader.
Ringraziamenti:
Un abbraccio alla mia kohai che subisce le mie
paranoie. X°D
E a Laura, che si sciroppa le
anteprime con un entusiasmo che mi commuove.
Note: Come già
detto, ho volutamente evitato di mettere immagini sul cane che ho scelto, per
facilitarvi l’immedesimazione con la descrizione di Arthur. Al momento
opportuno, vi mostrerò tutto.
Arthur è un asino, sì. Ma presto
capirete perché.
Due anticipazioni del
prossimo capitolo:
Qualche istante dopo, la bestiola era zitta e seduta
composta, completamente a suo agio.
“Co-come ci sei riuscito?!” sbottò allora il giovane Pendragon,
stupefatto. “No, aspetta, non dirmelo. Sei una specie di Patch Adams?”
lo accusò quasi.
“Semmai, dovresti citare il dottor Dolittle,”
lo contraddisse Merlin, sorridendo a tuttotondo. “Comunque, no. Niente abracadabra!” dichiarò, alzando
le mani a mezz’aria per sfarfallare le dita. “La mia magia si chiama ‘feromoni’”.
Arthur sgranò gli occhi: “Vuoi dire che puzzi da cane?!”
(...)
“Ma se questo cane ha scelto te, un
motivo ci sarà”, disse fatalista.
“Sì,” concordò Arthur. “È perché ha
un senso di sopravvivenza molto basso”, ironizzò con una smorfia. Ma il veterinario sorrise, mostrando una chiostra di denti
perfetti e bianchissimi, e Arthur si ritrovò ad arrossire, come non succedeva
da… da secoli.
“Secondo me, stai solo sottovalutando il tuo potenziale…” lo
lusingò Merlin, ammiccando. “Magari, quando ha cercato rifugio alla tua porta… aspettava proprio te”.
“Allora ha sbagliato indirizzo!” lo freddò, dopo un attimo
di distrazione.
Mi ha piacevolmente stupita la
risposta all’inizio di questa fic. Ringrazio i 10
utenti che l’hanno messa fra i ‘preferiti’, i 3 ‘da ricordare’ e i 40 ‘seguiti’.
Su, non siate timidi! Mi piacerebbe davvero sapere cosa ne
pensate, ora che la storia sta ingranando! ^_=
Avviso di servizio
(per chi segue le altre mie storie):
- Linette
79 è stata aggiornata qualche giorno fa.
- Nei
prossimi giorni caricherò anche storie nuove.
Campagna di Promozione Sociale -
Messaggio No Profit:
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del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede)
Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche costruttive.
Grazie (_ _)
elyxyz