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Capitolo Sei
C’era un piccolo
balcone, in camera di Nyven, che sporgeva sul lago. Gli intrecci che ne
delimitavano il perimetro sembravano rampicanti vivi, nonostante fossero in
marmo. La balaustra era sufficientemente larga per sedersi: Nyven scoprì presto
che quello era il posto che preferiva in tutto il palazzo.
Quanti giorni
erano passati dal mercato?
Un paio, secondo
il ragazzo, ma probabilmente molti di più. Non aveva visto più nessuno, se non
qualche piccolo castorino che, di tanto in tanto, gli portava da mangiare.
Altrimenti, la maggior parte delle volte, si trovava il cibo già pronto: doveva
solo allungare la mano e mangiare. Era troppo stanco per fare altro.
Sospirò, più
dormiva e più i suoi capelli crescevano. Il padrone lo faceva dormire sempre.
Non era annoiato dalla cosa, il torpore che aveva addosso era così profondo che
sapeva non avrebbe avuto la forza per fare altro. Inoltre non poteva permettersi
di essere annoiato, quando il suo dovere era semplicemente quello di fare ciò
che Irìyas gli aveva detto di fare.
Forse,
semplicemente, si sentiva un po’ solo.
Sospirò di
nuovo.
Aveva le gambe
accovacciate e il mento appoggiato alle ginocchia. I suoi capelli gli lambivano
le orecchie e si disfacevano al soffio del vento. Probabilmente tra un po’
avrebbe dormito di nuovo.
Guardò verso il
basso, anche l’acqua del lago era increspata dal vento: pareva che non ci fosse
anima viva né lì né fin dove il suo occhio arrivare.
Forse non si
sentiva solo, forse, semplicemente, si stava adattando a quell’atmosfera di
solitudine e pace che circondava quel luogo così poco abitato. E pensare che a
poca distanza da lì c’era un mercato traboccante di vita…
Gli venne in
mente nuovamente la vecchia e le sue parole.
Una voce in lui
gli diceva che l’avrebbe incontrata nuovamente. Non sapeva dove, né quando, ma
l’avrebbe rincontrata e lei gli avrebbe spiegato le sue parole.
Sventura… Come
può portare sventura qualcuno che non fa niente e non dice niente. Nyven
eseguiva solo quello che gli veniva richiesto, la sua volontà era quella del
padrone. La sventura viene se chiamata, lui di certo non l’avrebbe fatto.
Si chiese anche
se il padrone fosse nuovamente venuto a parlargli. Si augurò di no… o forse di
sì.
La compagnia del
padrone lo inquietava, ma ugualmente avrebbe voluto ricordarsi delle cose dette,
e non parlare con lui solo nel sonno.
Al terzo
sospirò, Nyven scese dalla balaustra del balcone, stanco di sé.
Non gli era
stato impedito di uscire dalla sua camera, era inutile quindi segregarsi
volontariamente.
Decise di andar
a cercare Zir. Nonostante il carattere un po’ scorbutico del coniglio, l’Eclage
era quello che gli aveva sempre dato una risposta e che, più di ogni altro,
s’era preso cura di lui.
Camminò lungo il
corridoio, sapeva che era inutile tentare di ricordarsi quale fosse la strada
che l’avrebbe riportato da Zir: l’architettura del palazzo era in continuo
mutamento.
In effetti, non
avrebbe saputo neanche dire dove potesse trovarsi Zir.
Si diresse dove
gli parve più ragionevole dirigersi: scese una scalinata che lo portava ad un
enorme anticamera dai soffitti altissimi. C’era una porta a vetri enorme che
dava su un patio che Nyven non aveva mai visto – sorrise al pensiero: quante
cose non aveva visto di quella casa! – quando un rumore catturò la sua
attenzione.
Si diresse verso
una porta chiusa, di legno. Il rumore si ripeté. Poteva essere il rumore di
qualcuno che sistemava delle posate, o forse dei piatti. Nyven si ricordò che il
giorno in cui era stato portato al palazzo, Zir era intento a sistemare alcuni
barattoli in una bacheca. Spero di aver trovato la stanza del coniglio.
Si affacciò
dalla porta, cautamente, in parte curioso e in parte intimorito di chi o cosa –
avrebbe potuto trovare in quel luogo.
Si guardò
intorno: una cucina. C’erano pentole appese ai muri, cucciai e mestoli che
pendevano dalla cappa sopra il tavolo al centro della stanza.
E c’era Irìyas.
Nyven s’immobilizzò.
Il mago leggeva
qualcosa, sostenendosi la testa con una mano e con l’altra giocando con una
ciocca di capelli. Per un istante sembrò una persona qualunque che stava
leggendo un libro.
Il suo volto era
calmo e attento, Nyven si ritrovò a fissarne i lineamenti e a curiosare lungo il
collo e i capelli corvini che risaltavano sulla camicia bianca..
Non avesse
saputo chi era, Irìyas gli sarebbe parso un poeta intento a rileggere un suo
scritto, con le sopracciglia leggermente corrugate e attente, nella cucina di
una casa di campagna. La luce giocava col rame delle pentole, colorando l’aria
di un colore tenue e morbido.
Nyven ringraziò
la sorte che l’aveva condotto lì.
“Non entri?” la
voce di Irìyas non spezzo il silenzio, semplicemente lo accompagnò.
Nyven si studì
di non sussultare.
“Preferisci
rimanere lì immobile a fissarmi?”
Senza
accorgersene Nyven arrossì.
“Mi piace” disse
il ragazzo in un filo di voce. Gli piaceva rimanere lì a fissarlo? Gli piaceva
cosa? Chi?
Ma entrò nella
cucina, cercando di non far rumore.
Irìyas gli
indicò uno sgabello vicino a lui.
“Volevi mangiare
qualcosa?”
“No, signore. Mi
annoiavo in camera e …” Devi stare attento” sorrise Irìyas “ rischi di perderti”
Nyven abbassò gli occhi imbarazzato: “A dire il vero, signore, è da quando vivo
qui che mi perdo in continuazione”
“L’altra sera
m’hai chiamato Irìyas, perché non lo fai più?” c’era pura curiosità nella voce
del mago, e Nyven s’irrigidì di colpo. L’aveva sentito piangere, e l’aveva
sentito pronunciar il suo nome in quel modo troppo intimo per poterselo
permettere.
“Scusatemi”
“Non scusarti, ti
ho chiesto io di chiamarmi per nome”
“Ma…”
“La giornata al
mercato dev’essere stata molto complicata per te…”
Nyven si lasciò
ingannare da quel tono pieno di comprensione. Non avrebbe dovuto e lo sapeva,
perché un padrone non è mai comprensivo senza un motivo. Ma Irìyas, in quella
luce di rame, coi suoi occhi verdi mai visti prima era troppo seducente perché
Nyven non ci credesse.
“Lo è stata.”
sospirò “A dire il vero non è la prima volta che vengo accusato di qualcosa che
non ho fatto o che non capisco. Ma quella donna… La Bianca…” Scosse la testa
alla ricerca delle parole
“Imparerai che
la Bianca dice spesso cose che non hanno senso alle orecchie di chi ascolta”
“La rivedrò
ancora?”
Irìyas sorrise e
non rispose. Indicò il cesto al centro del tavolo.
“Prendine una” e
lui stesso mangiò una delle sferette color ambra che lo riempivano.
“Che cosa sono?”
“Acini di uva
d’oro”.
Nyven ne prese
in mano uno, guardandolo “E’ trasparente”
“Mettilo in
bocca”
Nyven obbedì. Il
succo era dolcissimo e fortemente alcolico. Irìyas scoppiò a ridere alla smorfia
di stupore e felicità del ragazzo.
“E’ buonissima”
“Mangiala pure”
Nyven non se lo
fece ripetere due volte.
“Posso chiedervi
una cosa, signore?”
“Di nuovo, l’hai
appena fatto. Chiedimi pure quello che vuoi”
Nyven si mise
una mano fra i capelli, leggermente a disagio per la sua goffaggine.
“Chi è
Gyonnareth?”
“Perché me lo chiedi?”
“Perché avete detto che l’importante per voi è
catturarlo e…”
”Hai buona memoria, è un nome complicato da ricordare”
“Lo ricordo perché la Gyo è il suffisso per…”
Irìyas lo interruppe: “Conosci molto bene la lingua ufficiale”
“Ricordo di aver letto un libro a riguardo, a Droà.
E quindi ho capito bene. Volete catturare…”
“Esatto” Lo interruppe di nuovo e sorrise,
enigmatico.
Gyonnareth, un
drago.
A quella nuova certezza, Nyven fermò la mano a metà strada fra il cestino
d’uva e la sua bocca, impietrito. Non capiva né sapeva tante cose. Ma catturare
un drago non solo era estremamente pericoloso e probabilmente impossibile, era
anche blasfemo.
Irìyas rise di questa sua reazione
“Vi prendete gioco di me?”
“Non dovrei?”
Nyven si rese conto che il tono di Irìyas era
leggermente cambiato alle sue orecchie, che i suoi sensi si ottundevano.
“Sono piuttosto alcolici gli acini che stai
mangiando…”
Nyven annuì, ma mangiò ancora un paio d’acini:
erano troppo buoni per smettere.
“Voi volete catturare un drago…” si accorse che
c’era ammirazione in quelle parole. In effetti, nessuno poteva vantare fra i
suoi trofei la testa di un drago.
“Un drago si cattura solo se si uccide…”
“Sei ingenuo, Nyven. Sei così ingenuo da suscitare
tenerezza”
Il ragazzo arrossì, abbassando gli occhi. Aveva le
guance in fiamme, aveva davvero bevuto troppo.
“E’ che vorrei capire…”
“Capire cosa?”
“Capire questo posto e capire voi.” Doveva
fermarsi, quello era il suo padrone, ma l’alcol gli aveva sciolto la lingua
“Sono stato comprato e venduto molte volte, ho conosciuto padroni diversi,
alcuni mi hanno insegnato il loro mestiere, altri mi hanno fatto rimpiangere i
padroni precedenti ma…” si passò la lingua sulle labbra per umettarsele, aveva
la gola riarsa. Continuò a mangiare l’uva. “io vorrei capivi. Ci sono così tante
cose che vorrei chiedervi e sapere. Mi limito a guardare, ma sembra non essere
sufficiente”
“Sapere non è compito tuo”
“Lo so” lo sapeva davvero, e non voleva che il
mago lo fraintendesse, ma lì con lui avrebbe dato qualunque cosa per un solo dei
pensieri del mago.
“Vorrei sapere quello che pensi” si sentì dire
prima di riuscire a fermarsi. I fumi dell’alcol gli avevano completamente
annebbiato la capacità di giudizio. Chiuse le palpebre appesantite, Irìyas si
sarebbe sicuramente arrabbiato.
Invece non sentì nulla, non un grido, non una
percossa.
Riaprì gli occhi ed incontrò quelli verdi del
mago. Illeggibili.
“Scusatemi, io…”si mise in piedi per scappare
dalla stanza. Straparlava.
“Non dovrei assolutamente parlare in questo stato.
Perdonatemi…” fece un passo ma vacillò “Non volevo offendervi con la mia stupida
curiosità, avete ragione ad essere arrabbiato, a non parlare…”
Perché non taceva? Con la voce impastata, le sue
parole uscivano come una supplica, supplicava il mago di dire qualcosa. Pochi
erano stati i suoi incontri con Irìyas. Pochi giorni prima era scoppiato in
lacrime sperando che il mago lo aiutasse, ora non voleva altro che sentire la
sua voce che lo rassicurasse dicendogli che la sua audacia non era stata
offensiva.
Sorrise amaramente della sua stupidità.
Barcollò, perdendo l’equilibrio.
Non cadde, perché Irìyas lo sostenne.
“Sei proprio ingenuo”
Lo sollevò da terra prendendolo in braccio e
Nyven, per un attimo, non capì quello che succedeva. Poi si ritrovò col viso
sulla sua spalla, gli occhi incollati dall’alcol ma un odore nuovo che lo
accompagnava fuori dalla cucina. Si strinse al mago per non cadere.
Irìyas lo portò fino in camera sua, adagiandolo
sul letto e coprendolo con le coperte pesanti per non fargli soffrire la notte,
lontana dal tepore del sud.
Gli spostò i capelli dal viso e chiuse poi la
porta-finestra del balcone, rimanendo per un attimo a guardare l’acqua del lago
colorata dal sole.
Ritornò da Nyven e rimase fermo uno, due, istanti
che non seppe quantificare. Poi si abbassò, portando le labbra vicino al suo
orecchio:
“Non voglio ucciderlo”
Se ne andò dalla stanza sorridendo.
***
N.d.A: In
questo capitolo mi sono divertita a prendere un po' in giro Nyven (ora che posso
ancora). La tentazione è stata troppo forte. Spero che non me ne si voglia ^_-
(comunicazione di servizio) Il prossimo capitolo, dato che c'è Pasquetta a breve e quindi un po' di
vacanza in più, pensavo di caricarlo lunedì.
Un saluto a
tutti.
***
Rodelinda:
Quando ho letto la tua recensione sono rimasta senza parole, per 5 minuti
imbarazzata a guardarmi i piedi: grazie mille! Davvero, mi sono quasi commossa.
Sono contenta che Cremisi ti piaccia e che ti abbia spinto non solo a leggere un
genere (purtroppo) così inflazionato e parecchio bistrattato, ma anche a
trovarlo una bella storia. Sinceramente, io ho un amore intenso per la lingua
italiana, perciò con me troverai una porta spalancata, se si parla di attenzione
per la grammatica, per la sintassi o per l'ortografia! Diamine, questi
dovrebbero essere i mezzi che ci appartengono sin dalle scuole elementari. Ma so
che per molti non è così e che spesso ciò che si trova in giro è scritto proprio
male. La "storia", invece, è altro argomento. Per quanto mi riguarda, il
raccontare storie è sempre stata una mia passione e il dare tridimensionalità ai
personaggi anche. Qualunque sia il "genere" della storia, cerco sempre di fare
emergere la personalità di chi descrivo. Poi devo essere sincera, c'è un po' di
sforzo e studio dietro ogni mio racconto. L'ispirazione mi serve per crearlo, ma
tutta la trama è già viva e completa quando il racconto prende forma scritta e
inizio con la prima pagina. Non dirò mai "non so come andare avanti", perchè la
fine è già insita nell'inizio '^_^ . Ciancio, come al solito, e qui mi placo. Di
nuovo grazie per le tue parole. Davvero. Un bacio
Vocedelsilenzio: Ah Ah Ah. Mi hai fatto ridere con "vortice di
dubbi", e sono contenta che ti ci lascerai cadere. Ora, non credo che questo
capitolo te ne sciolga qualche d'uno. Tutt'al più li aumenterà '^_^ Ma che ci si
vuol fare? *me ride sotto i baffi. Grazie ancora. Baci
Aphrodite:
Somma Sorellona? Wow XD Il punto di vista di Nyven (e del lettore, fin ora), mi
rendo conto sia un po' confuso (anzi, direi che è volutamente confuso). Ma piano
piano verranno chiarite molte cose. Mamir avrà il suo spazio, magari non subito,
ma l'avrà. E' un lupo burbero, ma alla fine, è solo facciata. Un bacio grande
Francesca
Akira89: Deve faticare per avere i suoi spazi, ora che è appena
arrivato, è proprio confuso ^_-
Manny_chan: Ciao e grazie mille per la tua recensione (e benvenuta
^*^). Nyven non è quel che sembra... Non farò spoiler, ma posso dire che la
Bianca tornerà su queste pagine. Vecchiuccia e bisbetica sì, ma... Un bacio
silencio
Ciao. Grazie per le tue parole ^_^ La Bianca, in effetti, è vissuta a lungo (e
ciò basti, altrimenti svelo parte di trama a venire) e sicuramente ricomparirà
fra queste pagine. Le vecchiette bisbetiche, del resto, non riescono a stare
lontane da ciò che interessa loro. Credo che neanche questo capitolo chiarirà
molto dell'intreccio, anche se dà un piccolo input (ma mai troppo grande,
altrimenti perdo tutto il divertimento). Sono anche felice del fatto che Nyven
si dimostri sì essere il nuovo arrivato in balia degli eventi, ma che dia una
qualche impressione di profondità caratteriale. Il povero Nyven ha proprio
bisogno di ambientarsi.
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