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Capitolo
XXI
XXII giorno
ore 12:15
- 8 giorni all'alba
Era stata pessima.
Era stata pessima e
meschina.
Era stata pessima,
meschina e crudele.
Meritava quel vaffanculo,
eccome se lo meritava!
E se lui, anche oggi,
le avesse sbattuto la porta in faccia lo avrebbe meritato, ancora.
Intanto, fino a quel
momento, le uniche porte che si erano aperte - e poi richiuse - erano state
quelle dell'ascensore; che poi queste, per i suoi gusti, si fossero aperte
troppo presto, visto che ancora non aveva finito di fare a pugni con la propria
coscienza, era solo un dettaglio.
Aveva passato la notte
in bianco.
La seconda notte in
bianco.
La seconda notte di
fila, in bianco.
E per questo, ne era
certa, le occhiaie dovevano arrivarle sin sotto le ginocchia.
Il mal di testa
dilagava e era stata costretta ad assumere un triptano per evitare di dare di
matto.
Aveva preso una
settimana di ferie, non poteva concedersene di più, per mettere in ordine
vestiti, libri e oggetti vari.
Una settimana per rimettere
ordine nella sua vita. Splendido!
Ed adesso si trovava
davanti le porte spalancate dell'ascensore. Era arrivata al suo piano.
Padiglione quattro.
Terzo piano. Stanza quindici.
Come un deja-vu, aveva
sentito le urla appena imboccato il corridoio stretto e lungo. Più si
avvicinava e più queste aumentavano di intensità riuscendo a distinguere senza
difficoltà la voce di Mamoru ma, stavolta, lui non era da solo nella stanza,
sentiva in modo chiaro anche una seconda voce. Questo secondo interlocutore, al
contrario del ragazzo però, manteneva un tono basso ma deciso, come se non gli
importasse nulla della conversazione; o come se non gli importasse nulla
dell'opinione di Mamoru stesso. Che fosse
più egocentrico di Mamoru?
Davanti quell'anonima
porta, con la targa uguale alle altre e con su scritto il nome Chiba Mamoru, si
era fermata indecisa se bussare o meno. Fu tolta di impiccio perché questa si
era aperta senza preavviso ed ebbe appena il tempo di fare un passo indietro
quando si ritrovò davanti un uomo, poco più basso di Mamoru, con i capelli
striati di grigio, le spalle larghe e il fisico asciutto. Poteva avere al
massino senssantanni, se fossero stati di più se li portava davvero bene. Gli
occhi grandi e blu la guardavano come se non si aspettasse di trovarsela lì
davanti e lei nel suo tubino nero si sentì una perfetta stupida.
- Prego, stavo andando
via.
Un passo di lato e
l'uomo le aveva lasciato libero il passaggio.
- Non abbiamo ancora
finito!
Mamoru si era
affiancato ma non l'aveva degnata di uno sguardo, troppo concentrato ad urlare
dietro il suo interlocutore.
- La questione è
chiusa, non abbiamo altri punti da chiarire.
Senza neanche voltarsi,
aveva risposto così a Mamoru e, senza degnarla di un saluto, si era incamminato
nella stessa direzione da cui era arrivata una manciata di minuti prima.
Egocentrico e
maleducato.
Mamoru continuava ad
ignorarla, come se davvero non avesse realizzato la sua presenza e lei iniziava
a sentirsi stupida, più di quello che era.
- Forse è meglio che
tu vada. Non ho abbastanza pazienza per reggere una discussione anche con te.
Allora l'aveva vista ma
aveva preferito ignorarla!
- Ero qui solo per
chiederti scusa per ieri. Sono stata pessima e meschina... e crudele. Tu sei
stato gentile mentre io...
- Perfetto, scuse
accettate adesso vai.
Se la meritava quella
rispostaccia, se la meritava e doveva tacere. Testa alta, sguardo sicuro e
spalle dritte. Non doveva fargli capire che c'era rimasta male. Salutò con un
'ciao' sibiltante e anche lei, così come lo sconosciuto di poco prima, tornò
sui suoi passi. Mantenendo comunque la sua maschera di indifferenza.
Un passo.
Stupida! Si era
recata sino a lì convinta che tutto si potesse rimettere a posto.
Due passi.
Imbecille! Credeva
davvero che Mamoru non gliel'avrebbe fatta pagare?
Tre passi.
Una presa delicata,
quasi una carezza, e bloccarle il polso.
- Scusami. Non è stata
proprio una bella giornata e non è giusto che me la prenda con te.
- Fa niente.
Gambe di gelatina e
voce strozzata. Oddio, ricominciava la sindrome dell'adolescente innamorata.
Doveva finirla di essere così sciocca. Era una donna, e soprattutto non era
più un'adolescente.
- Ho bisogno di
parlare.
Poteva chiamare uno dei
suoi amici, perché proprio lei? Forse perché... tirava ancora in ballo la
scusa della psicoterapia?
- Mamoru, ti ho già
spiegato un migliaio di volte che io non sono la tua psicoterapeuta e...
- Ho bisogno di parlare
con un'amica, per favore.
No. No. No. Non poteva
guardarla in quel modo. No. Perché riuscivano sempre a fregarla?
- Tecnicamente non
sarei neanche tua amica.
- Ho bisogno di te.
Oh. Questo era un colpo
basso.
- Hai bisogno di me in
qualità di cosa?
- Sei un'ottima
ascoltatrice e la sola a portata di mano.
- Come scusa?!
- Be' sì! Con i tuoi
sorrisi e i tuoi occhioni da cerbiatta metti a proprio agio le persone!
- Prima o poi, la mia
parcella ti arriverà direttamente a casa!
- E prima o poi
renderò pubblico il contenuto del tuo diario...
- Non lo faresti mai...
- Tu dici...
- Sai che questo è
giocare sporco, vero?
- No, semplicemente
salvaguardo le mie finanze!
- Mi spieghi perché se
fino a cinque minuti fa urlavi come un indemoniato adesso sei qui tutto sorrisi?
- Sei tu a trasmettermi
il buon umore!
- Ah! Ecco dove era
finito il mio! Sai è da circa due giorni che non riesco a trovarlo! Ti
dispiacerebbe restituirmelo?
- Come hai dormito
stanotte?
- Non ho chiuso occhio,
non lo intuisci dalla mia faccia? - Il repentino cambio di argomento l'aveva
sorpresa.
- Mi chiedo perché tu
ti sia intestardita ad andare da Shingo e non restavi da me!
Perché dopo ciò che
le aveva confessato non sarebbe riuscita a dividere, ancora, un letto con lui.
Ma questo era un segreto.
- Perché non volevo
abusare troppo della tua ospitalità. Shingo aveva casa vuota ed era il minimo
che andassi da lui.
- Non è che per
qualche assurdo motivo hai pensato che ci stessi provando con te, vero?
A dire il vero il
pensiero non l'aveva neanche sfiorata...
- Avrei dovuto?
- Certo che no!
- Già, che stupida! Io
non sono il tuo ideale di donna!
- E quale sarebbe il
mio ideale di donna?
Perché gliele serviva
su un piatto d'argento?
- Quelle da una botta e
via, ovvio!
La faccia di Mamoru le
fece scappare un sorriso, o meglio, un ghigno.
- Mia piccola Usako,
tu non sai un bel niente di me... in ogni modo, mi ascolterai oppure no?
Ancora! Ancora cambiava
argomento e ribaltava la situazione a suo piacere, ah gli uomini! Erano i
migliori nella sottile arte dell'arrampicarsi sugli specchi.
- E cosa ti fa pensare
che io sia ben disposta nei tuoi riguardi?
- Il fatto che tu sia
qui... e poi faccio leva sul tuo carattere da crocerossina!
- Sono troppo buona, è
questa la verità.
- Dovrei assaggiarti
per dirlo...
No. Non era possibile.
Mamoru non stava flirtando, la sua era stata una stupidissima battuta e nulla di
più.
- Vuoi parlare qui, in
questo squallidissimo corridoio, oppure mi inviti ad entrare?
Un passo di lato, un
mezzo inchino. Lo odiava quando era così cerimonioso.
- Allora, di cosa vuoi
parlare?
- Sai chi è l'uomo che
è uscito da quella porta?
Il diniego era arrivato
immediato.
- Masao-kun.
Doveva aver compreso l'espressione confusa sul viso perché subito si era
impremurato a precisare.
- Chiba Masao, mio
padre. L'uomo che, secondo la tua analisi, è alla base di tutte le mie
sciagure.
- Ah!
- Ah!? E' tutto qui
quello che hai da dirmi?
Era quasi oltraggiato
dalla sua risposta. Era tutto lì quello che aveva da dirgli? No, certo che no,
ma cosa si aspettava? Che saltasse dalla sedia? Che la sua mandibola toccasse il
pavimento? O che gli prendesse la mano tra le sue iniziando ad accarezzargliela?
Lei era una professionista nell'ascoltare gli altri, aveva i suoi tempi, le sue
pause e le sue battute al vetriolo.
- Adesso ho capito da
chi hai ereditato il tuo egocentrismo!
Battute al vetriolo che
con Mamoru si rivelavano sempre una mossa sbagliata perché, anche se per un
attimo, aveva visto benissimo le sopracciglia di lui inarcarsi ed i suoi occhi
sbarrarsi. Forse era il caso di rimediare.
- Non fare quella
faccia! E' normale ereditare tratti caratteriali dei propri genitori: è
genetica. Tu prendi me! Ho ereditato la cocciutaggine di mio padre e la mania
per l'accostamento dei colori di mia madre. Non sono certo due qualità eppure
ci convivo pacificamente.
- Se è per questo hai
ereditato anche le gambe di tua madre!
- L'unica cosa decente!
Ma tu spiegami cosa ne sai delle gambe di mia madre!?
- Lunga storia...
- Ti prego! Il solo
pensiero che tu e mia madre... ho la nausea.
- Mi vuoi tutto per
te?!
- No grazie, ma
torniamo al punto della questione: cosa voleva tuo padre?
- Manipolarmi, come fa
sempre!
Troppo arrendevole,
aveva risposto alla sua domanda senza perdere tempo come se non aspettasse altro
che poter parlare, confidarsi. Non aveva avuto modo di analizzare oltre il
comportamento di Mamoru perché aveva ripreso a parlare.
- Hai presente Boston?!
Aveva presente Boston?
Certo che sì, lo ricordava benissimo quel dolore immenso, era stato come se le
fossero state strappate le braccia così di netto. Quello era il dolore della
separazione, del dover far finta di nulla anche se dentro moriva giorno dopo
giorno.
- Vagamente. - E lei
era diventata una perfetta attrice dopo quel periodo allucinante, e doloroso.
- Sono partito perché
Masao-kun aveva organizzato tutto, senza neanche chiedere un mio parere.
Non avrei accettato se non fossi stato certo che l'esperienza sarebbe stata
utile per il mio curriculum.
- Ma lo aveva fatto per
il tuo bene, per assicurarti un'ottima preparazione.
- Vuoi fare la
psicologa o no?
- Tu hai detto che
avevi bisogno di me in qualità di amica!
- E tu mi hai risposto
che non sei una mia amica!
- Sei esasperante, lo
sai vero? Comunque, vuoi o non vuoi il mio parere? Da psicologa, da amica e pure
da donna, se ci tieni tanto! Tuo padre fa quel che fa semplicemente perché
cerca di assicurarti il meglio per il futuro...
- Quindi fammi capire:
tuo padre ti impone il matrimonio con quell'ameba semplicemente perché è il
meglio per te?
- Non stiamo parlando
di me e comunque non mi hai fatto finire il discorso!
- Perché non ti
ribelli?
- Vedo che non occorre
un mio parere quindi tolgo il disturbo. Scusa ancora per ieri, è stato un
piacere, a mai più rivederci!
- Scappi!
- No, ti salvo la vita
perché credimi, mi stai portando all'esasperazione e rischierei di farti
davvero male!
Ed era vero, non
tollerava quel suo 'volare di fiore in fiore'. Si parlava di lui, del suo
rapporto con il padre e basta...
- Ti invito a pranzo
così forse a stomaco pieno riesco ad essere meno esasperante.
- Non è il caso, ho
molto da fare. Adesso vado...
- Per quanto tu abbia
da fare dovrai pur mangiare, o no?
- Non ho fame!
- Ok, sono un cretino
che ti fa perdere di continuo la pazienza, ti chiedo immensamente scusa ma ti
prego, non farmi pranzare da solo...
Lo meritava quel pranzo
da solo, lo merita solo per la libertà che si era preso: come aveva osato
poggiare le sue mani grandi, calde, perfettamente modellate tanto da sembrare
scolpite dallo stesso Buonarroti, sulle sue di spalle così esili e tremanti?
- Giuro che è l'ultima
volta: poi scordati altre seconde opportunità, chiaro!?
- Cristallino!
E mentre rispondeva con
un sorriso da schiaffi aveva già tolto il camice e l'accompagnava alla porta.
- E' stato merito del
mio fascino, vero?
- Perché mi sto
pentendo di aver accettato questo ennesimo pranzo?
La mano di Mamoru nella
regione lombare della sua schiena le aveva procurato un piccolo, impercettibile,
brivido. Si era scansata facendo finta di nulla mentre percorrevano quella
decina di metri che li avrebbe condotti agli ascensori e, strano ma vero, ne
avevano trovato uno in attesa.
- Perché non si può
mai scherzare con te? Sei in un perenne stato di crisi pre-mestruale?
- Al momento sì, sono
in crisi pre-mestruale!
- Secondo me dovresti
cercare una volva di sfogo, sei troppo stressata!
- E secondo te, con una
casa in fiamme non dovrei essere leggermente stressata?
- Sarà questione di
una paio di settimane e tutto tornerà come prima, ti darò una mano io... se ti
va.
Sorridergli era stato
inevitabile. Quando aveva questi slanci di altruismo Mamoru diventava... dolce.
Le porte dell'ascensore
si erano aperte al piano terra dell'edificio.
- Accidenti! Devo
salire un attimo, ho dimenticato il cellulare in stanza, aspettami qui e non
scappare, ok?!
- Muoviti prima che
cambi idea!
- Vado e torno!
Era stato nuovamente
inghiottito dall'ascensore e si era ritrovata a sorridere come una sciocca.
Doveva darsi una regolata o sarebbe impazzita dietro gli sbalzi di umore di
Mamoru... ma anche lei non scherzava con i suoi alti e bassi. Doveva parlare con
qualcuno che l'avrebbe ascoltata senza giudicarla e che non avrebbe tratto
conclusioni affrettate.
Perfetto, Minako era da
evitare.
Il vibrare del suo di
cellulare la fece quasi spaventare...
*****
***** *****
XXII giorno
Ore 12:53
- 8 giorni all'alba
La visita di suo padre
lo aveva innervosito; ancora di più, lo avevano innervosito le sue pretese.
Prima la proposta di
lasciare il suo impiego in ospedale e seguirlo in clinica ed adesso un master
negli USA per affinare le sue capacità operatorie. Ma cosa credeva? Che si
ritrovasse ad avere ancora a che fare con un ragazzino di vent'anni? Era un uomo
dannazione, era un uomo e voleva prendere le sue decisioni per conto proprio!
" ... Tuo padre
fa quel che fa semplicemente perché cerca di assicurarti il meglio per il
futuro... "
Usagi si sbagliava di
grosso, suo padre era solo un manipolatore! Era sempre stato così, sin dalla
sua infanzia. Sua madre finché aveva potuto, lo aveva tutelato in qualsiasi
modo; scegliendo medicina, però, si era dato la famigerata zappa sui piedi. Si
era buttato in pasto al lupo, da solo.
Scegliere una strada
così simile a quella del padre, per certi versi identica, era stato forse
l'unico errore della sua esistenza ma era un errore del quale non si era mai
pentito.
In sala operatoria, con
i bisturi in mano, sentiva di essere nel posto giusto. Il trasferimento a Boston
era stato importantissimo, era inutile negarlo. Tra le altre cose lo aveva
accettato anche di buon grado perché così si sarebbe scrollato di dosso l'aria
da raccomandato e perché era stato merito delle sue capacità, anche se Masao
aveva dato la giusta spinta affinché fosse stato proprio il figlio a vincere
qualla borsa di studio. Era tornato con un bagaglio culturale che difficilmente
avrebbe potuto apprendere se fosse rimasto a Tokyo. Era riuscito a sbaragliare
la concorrenza con il suo curriculum, ma per i suoi colleghi questo non era
abbastanza. A trent'anni si ritrova ad avere l'esperienza di un collega con
almeno quindici anni più di lui ma, agli occhi degli altri, restava comunque il
figlio raccomandato di Chiba Masao. E questa cosa non gli andava per nulla bene.
Aveva lottato per
potersi affermare nel mondo della medicina, per essere solo Chiba Mamoru. Per
essere un chirurgo bravo, se non il migliore. Aveva studiato giorno e notte e
mentre i suoi coetanei erano fuori a divertirsi, lui restava a casa a studiare,
a preparare un esame o approfondire un qualche argomento che lo affascinava.
Ancora oggi, ormai specializzato, passava gran parte delle sue serete nel suo
appartamento, a studiare, anche quando i suoi amici si convincevano che, in
realtà, fosse fuori con qualche ragazza.
Gli piaceva apparire
sicuro, determinato, anche strafottente, ma in realtà la sua era solo una
maschera. Una maschera dietro la quale nascondersi perché non gli andava che
gli altri lo vedessero per ciò che era realmente: un trentenne solo.
Solo.
Stare troppo tempo da
solo gli faceva male.
Con il cellulare in
tasca, e cercando di tornare sereno aveva raggiunto Usagi che parlava in modo
alquanto animato al suo telefonino.
- ...ti raggiungo
subito, no. Ti prego!
- Problemi?!
Il modo in cui Usagi
era saltata in aria appena avvertita la sua voce gli fece comprendere che, quasi
di sicuro, non si era neanche accorta del suo ritorno.
- Un imprevisto di
lavoro. Devo andare... il nostro pranzo lo trasformiamo in una cena. Stasera da
me, ok? Io vado, ci vediamo alle venti! Scusami ancora, ma è urgente!
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XXII giorno
Ore 17:19
- 8 giorni all'alba
- Allora?
La bottiglia di
plastica contenente acqua, il suo pranzo di quel giorno, era stata maltrattata a
sufficienza nel corso di quell'attesa.
- Allora c'è che
stavolta non ti basterà un invito a cena! Per fortuna, sono riuscito a
convincere il giudice!
Il sospiro di sollievo
era seguito immediato, così come l'abbraccio stritolatore per Jadeite.
- Sei... sei... mi
mancano le parole!
- Certo, certo.
Comunque, dovrebbe uscire a momenti, sta finendo di firmare la documentazione e
con lui c'è la direttrice dell'istituto.
- Quale documentazione?
Hideyoshi è ancora minorenne!
- Lo so ma vedi... è
decaduta l'accusa di offesa a pubblico ufficiale ma non quella per atti
vandalici. Dovrà scontare una pena di trenta giorni. Trenta giorni di lavori
socialmente utili, mi dispiace.
Trenta giorni di lavori
socialmente utili. Era davvero misera cosa se raffrontato alla gravità
dell'accaduto.
- Non fa nulla. Merita
comunque una punizione!
- Usagi, questo
ragazzino ha bisogno di attenzioni, di affetto.
Lo sapeva, lo sapeva
benissimo. Hideyoshi era un ragazzino problematico era vero, ma era stato il
passato a renderlo tale. L'abbandono da parte della famiglia.
- Affetto Jadeite, non
pietà.
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XXII giorno
Ore 17:19
- 8 giorni all'alba
Era
fermo in macchina da quasi tre ore. Iniziava a sentire i crampi alle gambe e la
gente lo aveva guardato in modo strano, come se fosse un poco di buono. Ma quale
delinquente restava fermo di vedetta davanti la stazione di polizia? Solo un
imbecille.
Usagi aveva fatto
avanti ed indietro per tutto il tempo consumando la suola delle scarpe, ne era
sicuro. Si era assentata giusto un paio di minuti per poi tornare dove si
trovava adesso e dove stava abbracciando, con troppo affetto, Jadeite.
Erano stati raggiunti
da una donna anziana e da un ragazzino che non poteva avere più di quindici,
sedici anni al massimo.
Jadeite era andato via
ed adesso restavano i tre che si dirigevano dalla parte opposta rispetto
l'amico. Non restava che aspettare Usagi passare con la sua macchina e poi
seguirla. Moriva dalla curiosità di sapere cosa stava succedendo.
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XXII giorno
Ore 19:38
- 8 giorni all'alba
- Miki-chan! Che
succede, perché piangi!?
Aveva tentato un
contatto con Hideyoshi cercando di capire davvero cosa fosse successo in quel
parco cittadino, ma il ragazzo non ne aveva voluto sapere di parlare. Si era
trincerato dietro al silenzio e lei, non volendo rischiare di incrinare ancora
di più i rapporti tra loro, aveva deciso di desistere, almeno per il momento.
Cercando di capire come
instaurare un dialogo con Hideyoshi, non aveva badato all'arrivo di Miki che
correva a testa china e con le spalle tremanti a causa dei singhiozzi che non
riusciva a trattenere, ed alla fine ne era stata investita in pieno. Gli occhi
colmi di lacrime e dolore la fecero sentire ancora più frustrata di come era.
- Sei una bugiarda! Sei
cattiva!
Ed era scoppiata a
piangere ancora più forte. I lacrimoni sgorgavano dai suoi occhi castani e lei
non sapeva cosa fosse successo e non aveva idea di come calmarla.
Come sempre, aveva
fatto affidamento sul suo istinto e si era abbassata all'altezza della piccola,
accarezzandole i capelli bisbigliandole parole di conforto nel tentativo di
calmarla ma, al contrario, l'effetto sortito era opposto aumentando ancora di
più i singhiozzi della bambina.
Sato-san le
aveva trovate sedute sul pavimento di pietra bianca, con Miki che si guardava
insistentemente le punte delle scarpe, i singhiozzi placati ma le lacrime che
continuavano a scendere irrefrenabili. Non aveva più aperto bocca dopo averla
assalita poco prima.
Davanti quella scena la
direttrice dell'orfanotrofio non aveva potuto fare altro che chiedere
spiegazioni; tra l'altro il mutismo della piccola era qualcosa di inusuale,
almeno per il suo modo di essere.
- Non saprei. Adesso io
e Miki-chan parliamo un po' e poi le faremo sapere, va bene?
Aveva cercato di far
apparire Miki padrona della questione. Come se le scelte dell'adulto
dipendessero da quelle della piccola; forse c'era riuscita visto che, con la
coda dell'occhio, aveva notato la bambina girarsi in sua direzione per poi
tornare subito a fissarsi le scarpe non appena lei aveva smesso di parlare con
la direttrice.
Rimaste sole aveva
fatto un profondo respiro e poi aveva chiesto alla bamina cosa fosse successo.
Miki non aveva risposto
subito ed aveva messo su un broncio che le aveva fatto sciogliere il cuore. In
tutto ciò, con suo grande sollievo, le lacrime si erano arrestate.
- Tu sei una bugiarda,
e sei pure cattiva!
- Questo già me lo hai
detto. Ma sentiamo, quale bugia ti ho detto?
La bambina aveva posato
i suoi occhi rossi su di lei e la guardava come a valutare la possibilità di
parlare.
- Mi avevi detto che
saresti rimasta con me...
- Ed infatti sono qui,
con te.
A quelle parole la
bambina aveva alzato gli occhi e l'aveva guardata indecisa: crederlo o no?
- Resterai con me?
- Fino a che non
troverai una mamma ed un papà che ti vogliano bene come io ne voglio a te!
- E tu... tu non vuoi
essere la mia mamma?
Aveva bisbigliato
quelle parole come se avesse avuto paura della risposta.
La storia di Miki era
simile a quella di molti altri bambini che si trovavano nell'orfanotrofio ma,
per qualche strano motivo, Usagi le si era affezionata in modo quasi viscerale.
Forse era merito della fervida immaginazione della piccola, o semplicemente si
era legata a lei per mera simpatia, non lo sapeva ma era certa che quella
bambina occupava un posto speciale nel suo cuore, un posto riservato solo a lei.
Ancora non era stata
adottata. Miki aveva tutto ciò che un genitore potesse desiderare. Era dolce,
ubbidiente, calma... aveva solo un piccolo difetto, la sua età le impediva di
essere una bambina 'adatta'. I suoi cinque anni, in un modo che ancora le era
difficile comprendere, la rendevano inadatta al ruolo di figlia. Troppo 'grande'
agli occhi di presunti genitori. Troppo indipendente. Troppo per ciò che
cercavano loro.
Adesso, tra le altre
cose, si ritrovava costretta a sbatterle in faccia un'altra triste verità.
- Non posso essere la
tua mamma.
- Perché?
Perché?
Perché le voleva un gran bene ma non poteva adottarla, non bastava l'affetto
per adottare un bambino: la legge lo impediva. Era una donna sola, senza un
compagno... e non era pronta per fare la madre.
La verità era che non
si sentiva pronta ad essere madre.
Perché aveva solo
venticinque anni e non era pronta ad una vita di rinuncie perché aveva già
rinunciato a tanto, a troppo nell'arco della sua vita.
Perché era cresciuta
senza i genitori - anche se lei i genitori li aveva! -
troppo impegnati per seguire la sua trasformazione da crisalide a farfalla.
Perché non voleva lo
stesso per i suoi figli, per loro desiderava l'affetto di un padre e la carezza
di una madre. Immaginava serate insieme, giocando, ridendo. Immaginava
quell'infanzia che non aveva avuto mai, per loro desiderava il meglio, anche se
ancora non erano qui.
Adesso il difficile era
spiegarlo a Miki.
Si odiò per quel
dolore che stava procurando a quella bambina, ancora di più odiò la propria
immaturità.
- Non avresti un papà
e tu non vuoi una mamma senza un papà, no?
Quella piccola bugia le
era sembrata il suo faro nella notte, la via d'uscita da un intrigato labirinto
ed il sorriso di Miki le aveva dato un minimo di fiducia, forse aveva toccato le
corde giuste...
- Un papà...
- Sì, un papà. Serve
anche un papà per formare una famiglia.
- Io conosco un
papà... e lo conosci pure tu!
No, non aveva toccato
le corde giuste.
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***** *****
XXII giorno
- 8 all'alba
ore 20:40
- Finalmente! Riesci ad
essere in ritardo anche quando inviti la gente a casa tua!
L'aveva vista
trasalire, la borsa caduta sul pavimento ne era la dimostrazione.
Sapeva di terrorizzarla
se avesse parlato senza palesare prima la sua presenza, ma era stato più forte
di lui, era da quando aveva saluto Arisa-kun che sognava quel momento:
spaventarla.
- Chi diavolo ti ha
fatto entrare! Sei un imbecille, per poco non ci restavo secca! Ma dico sei
scemo o cosa? Mi hai fatto saltare le coronarie razza di deficiente che non sei
altro...
Si era versata un
bicchiere d'acqua e lo aveva buttato giù in una sola volta. Lo sbattere, poi,
del povero bicchiere sul piano in marmo della cucina gli aveva fatto capire che
la sua sfuriata non era ancora finita.
- Tu... - L'indice
puntato contro il suo viso era come la canna di un mitra pronto a fare fuoco. -
Tu, piccolo uomo senza un briciolo di cervello, che ragiona con le palle invece
di usare la testa. Tu, razza di idiota che quando parla lo fa solo per dare aria
alla bocca. Tu, sei la mia rovina!
- Non ti sembra di
esagerare, era solo uno stupido scherzo!
- Uno stupido scherzo,
dici?! Per te si riduce tutto ad uno stupido scherzo, è così?! È così?!?
C'era qualcosa che non
andava perché quella non poteva essere la reazione ad uno scherzo, stupido sì,
ma pur sempre una innocua presa in giro.
- Usagi, di cosa stai
parlando?
Lo sguardo tagliente di
lei, gli fece capire che no, quella reazione, non era dovuta al suo innocuo
scherzetto.
- Miky Masaki, cinque
anni. Abbandonata in ospedale subito dopo la nascita, è ospite della 'Casa del
sorriso' da tutta la vita ormai! Ho impiegato due anni, dico due!, per
instaurare un rapporto con lei ed ottenere la sua fiducia e poi arrivi tu e
butti tutto alle ortiche in meno di cinque minuti! In questi due anni mi sono
dedicata anima e corpo a quella bambina. Le sono stata accanto quando stava male
perché gli altri bambini veniva adottati e lei scartata perché o troppo calma,
o troppo vivace o troppo silenziosa. Ho asciugato le sue lacrime, ho raccolto i
suoi singhiozzi, ho medicato le ferite del suo animo... e poi, poi arrivi tu e
rovini tutto! Ho perso la fiducia di quella bambina per un tuo stupido
capriccio. Adesso dimmi cosa volevi e perché mi hai seguita sino
all'orfanotrofio!
D'un tratto, gli era
passata la voglia di scherzare, si sentiva uno stupido e non era poi così
contento di trovarsi lì con lei. Non valeva la pena restare lì se doveva
vederla così abbattuta.
- Io... mi spiace, è
meglio che vada...
- No! Dannazione no!
Ogni maledettissima volta che abbiamo una discussione uno dei due batte in
ritirata, e sai una cosa: odio questo atteggiamento così... idiota! Adesso
dimmi una volta per tutte cosa vuoi da me perché io ho esaurito la pazienza!
Cosa voleva?
- Te.
Lo aveva detto, ad alta
voce. E dopo quella confessione imprevista e spontanea, quel male che lo stava
divorando dall'interno alla fine aveva trovato la via ed era emerso, lasciandolo
piacevolmente rilassato.
- Cosa vuoi dire?
Era ovvio cosa volesse
dire, cosa c'era di poco chiaro? Guardandola direttamente negli occhi aveva
ripetuto quella confessione in modo calmo ma deciso.
- Ho detto che voglio
te.
- Me? Io non sono un
trofeo di caccia! Io non sono un nome da aggiungere alla lista delle tue
conquiste. Io sono una persona!
In qualche assurda
maniera, Usagi traeva sempre il lato negativo in ciò che lui le diceva.
- So perfettamente chi
sei! È per questo che ti voglio! Perché nonostante il tuo carattere di merda,
nonostante i tuoi sbalzi di umore, nonostante i tuoi difetti, nonostante tutto
io voglio te perché so che non mi giudichi nonostante il tuo lavoro. Non mi
costringeresti a fare qualcosa contro la mia volontà. Perché sai ascoltarmi!
- È questo che vuoi?
Una psicanalista?
O forse, preferiva non
capire.
- Voglio te,
dannazione! Voglio Tsukino Usagi! Voglio la ragazza che quando è stanca gonfia
le guance come fosse ancora una bambina. Voglio la ragazza che per non prendermi
a pugni litiga di continuo con i suoi capelli. Voglio la donna che quando
cammina per strada fa girare tutti gli uomini nel raggio di un chilometro.
Voglio la donna che la notte scorsa non mi ha fatto chiudere occhio
semplicemente perché riposava tra le mie braccia. Ti basta o vuoi che continui?
Era stato quasi
catartico riuscire a dirle tutto quello che gli era passato per la mente in quel
mese... in quegli anni. Era come quando una ferita infetta trovava da sola la
via per drenarsi. Ok, non era il massimo come esempio, non era poetico o
romantico ma rendeva al meglio l'idea. Il peso che gli gravava sul cuore era
improvvisamente svanito e lui era tornato a respirare, dopo tanto tempo era
tornato a percepire i colori e sentire gli odori.
L'aveva guardata e non
aveva potuto fare a meno di intenerirsi di fronte alla sua espressione sorpresa,
intimorita per certi versi.
- E ti prego, smettila
di morderti il labbro perché, forse non te l'ho detto, ma lo trovo estremamente
erotico.
A quel punto lei aveva
indietreggiato come scottata, come se la portata di quella rivelazione le
giungesse solo in quell'istante. Aveva portato una mano ai capelli ed era quasi
certo che si stesse per tirare la solita ciocca dietro l'orecchio, ma a metà
del gesto si era bloccata ricordando, forse, ciò che le aveva confessato pochi
istanti prima.
*****
***** *****
XXII giorno
ore 21:00
- 8 giorni all'alba
- È uno scherzo? Certo
come ho fatto a non capirlo prima! È uno scherzo organizzato da te e Minako!
Benissimo, scherzo riuscito ed adesso esci fuori Mina-chan! Non ho tempo
da perdere! Coraggio, dove sei?!
Non poteva essere che
uno scherzo, uno stupido scherzo. Non c'era altra spiegazione alle parole di
Mamoru. Non poteva essere diversamente, Mamoru non poteva davvero pensare quelle
cose di lei, non poteva sentirsi attratto da lei.
È ancora attratto,
le diceva una vocina interiore, ma lei non voleva neanche ascoltarla, era fuori
questione. Lei e Mamoru erano due amici, no: lei e Mamoru erano due semplici
conoscenti, e basta.
- Non è uno scherzo.
La voce sicura di lui
le aveva tolto il fiato e giusto per un secondo l'aveva costretta a interrompere
la ricerca dell'amica.
Non è uno scherzo.
Quattro parole che decretavano la fine di un'illusione.
- Ok, è meglio che
vada.
Era stato naturale
cercare la via di uscita, non riusciva a rimanere lì con lui un secondo di
più. Pochi minuti prima aveva bloccato la ritirata di Mamoru, ed adesso era lei
quella che scappava perché non voleva affrontarlo. Convinta di poter andare, di
poter scappare, non aveva fatto i conti con la presenza - oppressiva! - di
Mamoru.
Come quella mattina, la
mano calda di lui le aveva avvolto il polso in una morsa stavolta, però, non
riusciva a comprendere se fosse piacevole o meno.
Lo aveva guardato in
viso e le era sembrato di scorgere un sorrisetto ironico, come da presa in giro.
- Usagi, siamo a casa
tua.
- Ah.
Perfetta idiota.
È questo che si ripeteva da quando Mamoru le aveva fatto notare che sarebbe
stato da imbecilli uscire dalla propria abitazione per fuggire da lui. Avrebbe
voluto prenderlo a pugni per quel suo sorriso divertito. Aveva ripreso a parlare
cercando di trattenere l'iralità che però rimaneva lamapante nell'espressione
dei suoi occhi e nei muscoli contratti del suo viso.
- Non è uno scherzo,
perché non provi a credermi?
Provare a crederlo? A
che pro?
- Non è neanche una
scommessa con uno dei ragazzi, vero?
Al diniego con la testa
di Mamoru, non le era restato che chiudere gli occhi sconfitta.
- Come fai a dire di
amarmi se neanche mi conosci?
- Non ho detto di
amarti, solo che...
A quel punto lei non ci
aveva visto più ed era esplosa.
- No! Io non sono una
di quelle... ragazze! Non sono il giochino erotico di una notte e via! Ti è
chiaro il concetto!
E solo in quell'impeto
di rabbia si era liberata dalla stretta di lui.
- Io non ho parlato di
giochi erotici... e sì, sono attratto da te, mi piaci, ma non ho parlato di
amore.
- Sei bravo con le
parole...
- E non solo con
quelle.
Il suo sopracciglio si
era sollevato ed adesso lo guardava con espressione irritata.
- E dimmi, questa non
è forse un'allusione sessuale?
- Non lo nego.
- È assurdo! Tu ti
stai prendendo gioco di me! Non puoi...
Ma non era riuscita a
finire il discorso perché... lui l'aveva baciata.
Come nei suoi sogni di
adolescente spensierata, lui aveva fermato sul nascere le sue proteste
baciandola.
Come nei romanzetti
rosa da quattro soldi, lui aveva bloccato la sua invettiva baciandola.
Come non doveva fare,
stava ricambiando quel bacio che aveva desirato da tanto, troppo tempo.
Era persa in delle
stupide riflessioni rischiando di perdersi il bacio che aspettava da
tutta una vita.
Quel bacio che aveva
desiderato da sempre era arrivato e lei non poteva ancora crederci.
Per un qualche assurdo
mistero della fisica, le sue mani erano finite tra i capelli scuri di Mamoru e
adesso li accarezzavano in modo delicato come se il tutto - come se lui! -
potesse sfuggirle da sotto il naso.
Le labbra di lui,
morbide e vellutate, erano leggere come ali di farfalla e ciò nonostante le
lasciavano scie infuocate perché, la dove si fermavano, lei bruciava. Il loro
sapore poi...
Era ancora intenta a
metabolizzare quel bacio - ad assaporarlo! - ed ecco che Mamoru lo
interrompeva.
Riaprire gli occhi era
stato imbarazzante perché si era ritrovata il suo viso ancora a portata di
baci.
- Adesso può essere
vero?
- Tu... usi il
burrocacao...
Tra tutte le cose che
poteva dire dopo quel bacio, aveva detto l'unica che avrebbe distrutto la
virilità di qualsiasi uomo. Qualsiasi uomo tranne Mamoru.
- È forse un problema?
- Perché mi hai
baciata?
Si sentiva una stupida
a porre quell'unica domanda che era riuscita a formulare nella sua mente.
- Perché mi piaci.
Oh.
- E baci tutte quelle
che ti piacciono?
- Se posso, sì.
Sbruffone!
- Assurdo!
- Andiamo Usagi, non mi
sembra che a te sia dispiaciuto!
No, dannazione!
Non le era per niente dispiaciuto.
- E questo che vuol
dire?
- Perché devi
complicare sempre tutto? Ti prego di non fare la vergine del santuario depredata
della sua castità!
- Ma come ti permetti?!
- Ma perché una volta
tanto non ammetti quello che ti dice il tuo corpo? Io ti ho baciato e tu hai
risposto senza perdere tempo! Tremavi tra le mie braccia e le tue mani erano
completamente senza controllo! Vuoi forse negarlo?
- Vedi? Stiamo
litigando anche dopo avermi baciato! Dimmi come potrebbe funzionare tra di noi!?
- Per un attimo
potresti concentrarti sul bacio che ti ho appena rubato e dirmi cosa hai
provato?
Dirgli cosa aveva
provato? Mostrare il fianco con il rischio di essere ferita? Ne valeva la pena?
No, non poteva rischiare, non ancora.
- Non posso, mi
dispiace!
- Perché?
Bella domanda! La
verità è che non lo sapeva neanche lei cosa aveva provato. Era ancora in piena
metabolizzazione e le gambe le tremavano ed era pure difficile stare in piedi e
non sapeva come riusciva ancora respirare.
- È qualcosa di
personale, non voglio condividerlo con te... io...
Non aveva finito la
frase perché aveva visto l'espressione mortificata negli occhi di Mamoru.
Inconsciamente si era morsa il labbro inferiore e lui, a quel suo gesto, aveva
risposto chiudendo gli occhi - quasi strizzandoli tra loro - ed inspirando
rumorosamente, per poi allontanarsi di un paio di passi.
- Come preferisci... ti
do una settimana. Otto giorni e tornerò qui e ti chiederò di dirmi cosa hai
provato. Adesso è meglio che vada.
Senza dire altro se ne
era andato. Si era diretto alla porta ed era uscito. Senza sbatterla.
Minako, una quantità
imprecisata di tempo dopo, l'aveva trovata ancora ferma in mezzo la cucina;
aveva posato sul ripiano di marmo la copia di chiavi che aveva avuto quella
mattina tramite Shingo, e si era avvicinata ad Usagi in modo sospetto.
- Usa-chan che
è successo?
Come risvegliatasi da
un sonno millenario, Usagi aveva fissato il viso di Minako e in un soffio aveva
risposto.
- Mi ha baciata. Mamoru
mi ha baciata.
Una settimana. Otto
giorni per mettere ordine nel suo cuore e capire quale sarebbe stata la strada
da seguire.
L'angolo
dell'autrice
Ok!
Ditelo che non ci speravate in questo capitolo! Lo so, avevo detto che avrei
aggiornato presto ed invece ho fatto passare un altro anno, perdonatemi!
Questo
è il penultimo, il prossimo sarà l'epilogo... forse.
Non ho
molto da dire. Preciso da subito che la situazione di Miki sarà ripresa nel
prossimo capitolo e che anche la questione 'bacio' sarà approfondita più
avanti.
Alla
fine ho rispolverato la soluzione 'interrompo il litigio con un bacio', scontata
e forse superata, ma se mi sforzavo di trovare un'alternativa valida passavano
altri dodici mesi e poi, scusatemi, ma mi sembra molto una reazione alla Mamoru!
Usagi, in questo ultimo paragrafo vi sembrerà un po' svampita ma cercate di
capirla! Si è ritrovata a ricevere una pseudo-dichiarazione da quello che è
stato il suo sogno per tutta la adolescenza, abbiate pietà per lei!
Ho
cercato di entrare nella mente dei personaggi e di smussare le mie carenze,
spero di esserci riuscita, adesso non mi resta che darvi appuntamento al
prossimo capitolo che arriverà nonsoquando e che sarà l'ultimo!
Grazie
ancora per la vostra infinita pazienza e...
Alla
prossima!
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