Chrysantemum Hill

di Ilarya Kiki
(/viewuser.php?uid=164698)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Alla ricerca di Edvard

Image and video hosting by TinyPic

“..e quindi Florence mi ha detto che mi avrebbe aiutato a cercare questo Edvard Qualcosa Kalashnikov, che è un esperto dei Demoni e sicuramente può darmi una mano ad organizzare il mio piano!”
Appena finito di parlare, la rossa principessa demoniaca fece un ampio respiro, avendo parlato per un quarto d’ora tutto d’un fiato, e pure saltellando sulla sedia. Amy sbatté le palpebre e si ficcò in bocca una grossa cucchiaiata di brodo, stiracchiando le labbra sottili in un malcelato sorrisetto.
Sì, era decisamente soddisfatta, ed era una bellissima sensazione di calore che riempiva lo stomaco, insieme con il brodino anti-raffreddore di Davey. Non sapeva se era dovuto al merito del fatto che era finalmente riuscita a far guadagnare qualche soldino alla sua ospite, oppure solo perché era riuscita a farle trovare una linea d’azione. E non le desse più quella fastidiosa impressione di essere una bambina inerme senza spina dorsale.

In quel momento, la porta si spalancò ed entrò Davey, reggendo tra le braccia il suo aerosol, e sorrise notando che Tarja era finalmente tornata dal suo primissimo giorno di lavoro.
Si era praticamente trasformato in un corridoio di casa, il pianerottolo, visto che lo studente passava la maggior parte del suo tempo libero insieme alle sue amorevoli vicine, soprattutto quando una delle suddette di buscava una bronchite per eccesso di freddo e pioggia –ovviamente, la suddetta era Amy ed i suoi stivali bucati-.
“Allora Tar-Tar, com’è andata in quel negozio esoterico?” chiese allegro, “…tutto bene?”
Benissimo!” cinguettò la rossa, balzando in piedi, e ricominciò daccapo tutto il dettagliatissimo racconto del pomeriggio, causando un ingente dose di sbuffi ad Annette ed Amy, che avevano appena tirato un sospiro di sollievo per la fine del primo lungo, lunghissimo resoconto.
Era una serata tranquilla, quella: Cherì se ne stava accovacciata sul divano con il suo libro sulle ginocchia, leggendo assetata, ed Annette era seduta a terra che ripuliva tutti i pezzi della sua pistola, così per passatempo. C’era una piacevole atmosfera familiare.
“…e poi, Davey, Florence mi ha indicato una persona. Ah, ma tu non lo sai…”
“…non so cosa?”
“Quello che ho detto ieri sera alle altre.”
Davey rimase un po’ perplesso, vedendo che l’espressione di Tarja si era fatta un po’ più seria e più complice.
Naturalmente nessuno aveva detto nulla al ragazzo dal ciuffo piastrato sugli occhi, per discrezione, e anche perché non ne avevano avuto il tempo materiale, dato che aveva passato tutta la giornata in università.
“Cioè?”
“Tarja vuole distruggere tutti i Diavoli!” esclamò Annette finendo di montare il caricatore, senza permettere a Tarja di finire la frase, “…perché vogliono corrompere l’umanità! E così renderà il mondo più puro, e la guerra tra peccato e virtù finirà! Alleluja! Non è bellissimo?!”
Terminò la frase gettando le braccia al cielo e gridando, mentre Amy le intimava voce bassa soffiando tra le labbra, ma nel contempo sorrideva anche lei.
In effetti era un obbiettivo estremamente nobile, soprattutto visto sotto quest’aspetto così religioso, si ritrovò a pensare: era come se nelle mani di Tarja si stesse materializzando una sorta di “giorno del Giudizio” in positivo…la finale sconfitta del male. Non l’aveva ancora pensata sotto questo punto di vista.
“Ma…si può fare una cosa del genere?”
Davey non sembrava entusiasta come le ragazze, piuttosto era ancora più perplesso di prima. Aveva afferrato il bordo del tavolo e lo teneva stretto, sbiancandosi le nocche delle dita magre.
“…beh, è quello che spererei!” disse finalmente Tarja, con gli occhi che le brillavano.
“Tu non sai come sono i Demoni, Davey, e non sai che cosa farebbero se dovessero per caso vincere la guerra…è terribile. Per l’umanità sarebbe la fine.”
“Immagino di sì.” Convenì Davey, “…ma…comunque mi sembra strano.”
“Fidati di me! Florence mi ha indicato una persona che potrebbe aiutarmi, ora bisogna solo riuscire a contattarla.” Tarja sorrise, ed Amy trovò che il suo sorriso fosse davvero bellissimo, illuminato di speranza e fiducia.
“D’accordo.” Disse Davey, ancora non molto convinto. Il discorso finì lì, e non fu più ritirato fuori per quella sera.

Il giorno seguente iniziò presto per tutti, con Amy e Tarja che si recavano al lavoro facendo un pezzo di strada insieme, e Davey che spariva per le sue solite sei ore nella biblioteca della sua università. Annette e Cherì rimasero a casa da sole, per la prima mattina di quella serie che a quanto sembrava sarebbe presto diventata un’abitudine, almeno per un po’.
Il campanello non tardò a suonare, e alla porta di casa si presentò una ragazzina bionda vestita di nero, che non dimostrava più di quattordici anni, con i capelli raccolti in due codini in cima alla testa. Annette non si stupì di trovarla, dato che era arrivata anche il giorno prima, alla stessa ora, precisa.
“Ciao Andrea, vado subito su a chiamarti la tua amica. Ma per favore, la prossima volta asciugati gli stivali prima di salire, perché quella rompipalle della padrona di casa se no fa di nuovo una scenata!”
La mora corse di sopra, e trovò Cherì che stava finendo di spazzolarsi i capelli, tentando di tenere a bada le ciocche ondulate e sbarazzine del cortissimo caschetto, inutilmente. Sembrava molto frustrata da ciò. Annette le tolse di mano la spazzola con una certa rudezza, le infilò la mano in testa e strofinò, rendendo vani tutti i precedenti tentativi della povera fanciulla inerme. In un secondo Cherì si voltò e riversò un’occhiataccia di furia gelida contro la mora, con gli occhi neri e silenziosi che lanciavano saette.
“C-così sei molto più carina, Cherì…”
La rossa rimase a fissarla infuriata ancora per qualche secondo, poi sembrò riscuotersi ed il suo sguardo volò a terra, mentre scattava verso la porta ed afferrava la maniglia. Probabilmente le era sovvenuto che c’era Andrea ad aspettarla davanti al portone.
“Emh…” farfugliò Annette, bloccandola mentre apriva la porta, “…scusami. Devi tenerci molto ad apparire graziosa.”
Cherì sembrò avere un singulto silenzioso, e si voltò lentamente verso la mora. Si stava tormentando il labbro inferiore, in quel modo così simile a quello di sua sorella, e le sue palpebre scattavano nervose, cercando di nascondere un’espressione irritata.
“Ti p-prego di non dirlo a nessuno, Annie.” Nonostante tutto, la sua voce era quella dolce e gentile di sempre. “Ma per favore, lasciami in pace. Tu mi s-stavi facendo arrabbiare e arrabbiarsi è peccato. Non voglio essere dannata più di quello che sono già.”
E sparì giù per le scale, dopo essersi chiusa la porta alle spalle.
Annette rimase lì in piedi basita, con la spazzola ancora in mano, a cercare di sbrogliare gli echi che le strane parole di Cherì le avevano lasciato nella testa. Certo che quella era proprio una pazza, era inutile tutto quello che diceva Tarja per giustificare le sue strambe convinzioni. Decise di fasi un caffè.
Una tazza con qualcosa di caldo dentro era proprio quello che ci voleva, per togliersi via dalle ossa quell’inspiegabile terrore, freddo come la morte, che le avevano lasciato addosso gli occhi terribili del furore di Cherì.

La carta frusciava veloce fra le dita, accumulandosi pian piano in pile di foglietti sul tavolo di legno chiaro, illuminato a malapena dalla luce poco soddisfacente dei molti strani lampadari appesi al soffitto del retro del negozio. Erano le dieci del mattino, e Tarja aveva sonno.
Florence quel giorno le aveva affidato un incarico più veloce –a suo dire- di quello del giorno prima, ossia rimettere un po’ in ordine tutta la parte burocratica della sua attività, che era stipata in un armadietto chiuso a chiave in un angolo dell’ampio salone pieno di roba che fungeva da magazzino dietro al negozio. Aveva detto che sarebbe stata una cosa leggera, perché tanto c’era solo da impilare fatture e infilarle in cartellette.
Peccato che non appena il fatidico armadietto fu aperto, una specie di valanga cartacea aveva investito la principessa demoniaca non dandole nemmeno il tempo materiale di salvare qualcosa del precedente “ordine”, che si era sfracellato completamente sul pavimento.
Che idiota, aveva pensato, cos’altro avrebbe potuto aspettarsi da una cieca…? E a proposito, come diavolo aveva fatto per tutto quel tempo a cavarsela senza un’assistente…? Da quanti anni continuava a ripetere l’annuncio senza che nessuno avesse il coraggio di presentarsi…? Bah. Probabilmente si faceva aiutare dai suoi poteri paranormali a rimettere a posto le carte. Bello schifo, facevano un po’ cilecca, allora. In effetti, lei, proprio la discendente vivente di Lucifero, era stata scambiata per un’umana capace di parlare agli Angeli…chissà quali altri disastri aveva combinato, allora, magari casa sua aveva tappeti al posto della carta da parati e nella sua vasca da bagno navigavano ranocchie…
Scosse la testa e sbatté le palpebre, riportandosi alla realtà.
Stupida, stava divagando di nuovo, e non poteva farlo, nonostante la penombra ed il silenzio e il sonno. Allungò la mano verso il mucchio di fatture in fondo al tavolo per prenderne un’altra, e la sua mano incontrò solo la superficie liscia del tavolo. Aveva finito prima ancora di accorgersene, ed esultò mentalmente, facendo un piccolo saltello sulla sedia. Prese un paio di cartellette di plastica trasparente, le aprì con delicatezza e dopodiché imbustò le ultime due pile che aveva fatto. Poi si alzò e andò a sistemare tutto dietro le ante del piccolo armadio, dove tutti gli incartamenti sembravano finalmente contenti di aver trovato qualcuno che si occupasse di loro, tutti belli impacchettati e in fila.
Mise via le cartelle, chiuse le antine e girò la chiave nel lucchetto, soddisfatta.

“Ottimo lavoro cara!” Esclamò Florence, non appena Tarja comparve da dietro il drappo vermiglio, come se avesse sentito i suoi passi avvicinarsi dal momento in cui aveva chiuso l’armadio.
“Ed ora passiamo a quello che ci interessa di più, il vecchio Edvard! Credo proprio di sapere dove iniziare a cercarlo!”

Una seconda valanga cartacea investì Tarja, non appena la signora Florence aprì la credenza.
“Ops! Temo di non averle sistemate bene, cara!” attestò con una risatina, mentre la rossa si toglieva i fogli dalla faccia e li respingeva indietro nel loro vano con una certa insofferenza. Ne prese uno a caso e lo esaminò.
“Sono lettere!”
“Sì, io ed Edvard abbiamo tenuto una corrispondenza per un certo tempo, ma neanche per così tanto. E’ un tipo volubile e si è stancato presto di me che tentavo di mettergli la testa a posto.”
“Poco tempo, già…” mormorò Tarja raccogliendo il mucchio di lettere che era caduto per terra.
La signora Florence aveva accompagnato la sua nuova dipendente nella sua abitazione, che si era rivelata essere un piccolo appartamento al piano di sopra del negozio. Non c’erano tappeti alle pareti né rane nella vasca da bagno, ma l’arredamento un po’ all’antica e la miriade di soprammobili ricordavano molto l’atmosfera disordinata del negozio.
Il piccolo Gregory sonnecchiava sul divano sotto una copertina ricamata.
“Di solito me le facevo leggere da uno degli adepti della nostra congrega, e dettavo le risposte. Direi che è un buon punto per cominciare a cercare informazioni, magari trovi scritto qualcosa tra le righe. Di tutte le discussioni che ho fatto con lui, sinceramente, non ricordo tutti i particolari, solo il fatto che continuava a non ascoltarmi quando gli dicevo che le sue ricerche erano blasfeme, e che mi riportava un sacco di giustificazioni inutili. Non mi ha mai parlato molto di sé nel privato, d’altronde, quindi non posso dirti molto di più di quello che ti ho detto già. Ma direi che è meglio dare bando alle ciance, e darsi alla lettura!” Florence sorrise. “Ah…e se sei così gentile da riordinare un po’ anche qui, quando hai finito, mi faresti un favore graditissimo!”
“Sì, certo…” sbuffò Tarja, riempiendosi le braccia di carta e preparandosi a scendere le scale per tornare alla sua scrivania.

Le ore passarono lente nella totale immersione nella lettura. Edvard Arcibaldovic (Tarja aveva finalmente imparato a dirlo) Kalashnikov era un sedicente ricercatore dell’occulto, testardo e decisamente invasato.
La maggior parte delle righe che Tarja scorreva col dito trattavano infatti di esperimenti strani e concetti pretenziosi per giustificarli: in particolare, Edvard sembrava convinto di essere entrato in possesso di un paio di piume di Arcangelo (cioè un Angelo della schiera dei guerrieri), ed aveva intenzione di applicare a queste piume candide ogni sorta di rito o incantesimo che gli venisse in mente per sfruttare il loro “potere benefico”. Si era dimenticata tutti i particolari delle prove che aveva fatto, ma le era rimasta impressa quella con gli uccelli, che a quanto pareva sembravano particolarmente adatti allo scopo. Era rimasta inorridita quando aveva appreso che Edvard era arrivato a strappare tutte le bianche piume di una colomba, per vedere se reagivano con la vicinanza di quelle d’Angelo, asserendo come scusa qualcosa riguardante lo Spirito Santo o chissà cosa…
A quanto pare l’esperimento era fallito, e la giustificazione era che le piume perfette sarebbero state quelle di Albatros. Le tornò in mente la foto che le aveva mostrato Florence, con quell’uomo e quella colomba. Sperò che quel triste destino non fosse stato il suo…
Per il resto, Edvard passava il tempo a difendersi dicendo che per sconfiggere il “male” era necessario qualsiasi sacrificio. A volte citava una donna, Galina, invocandola come si fa con qualcosa di sacrosanto: doveva essere sua moglie. Diceva che gli era stata portata via da Satana, e Tarja pensò che molto probabilmente tutta la sua ossessione doveva nascere da quella morte.
Ma a parte questo e poche variazioni, Tarja continuava a non trovare nulla d’interessante.
Ed erano già passare due ore, si stava annoiando a morte, nonostante l’impegno. Ed era anche frustrata, ecco.
Staccò gli occhi dall’ennesima manfrina svitata e ripose la lettera nella sua busta sbuffando. Poi l’occhio le cadde sul retro liscio di carta ingiallita della suddetta, e si accorse di non aver tenuto conto della cosa più ovvia: l’indirizzo.
“Cretina!” esclamò a voce alta, dandosi una pacca sulla testa, e lesse attentamente la dicitura: “Torre est, Berryfield.”
Le sembrò molto strano come indirizzo, anche perché non c’era scritto assolutamente nient’altro.
Ripescò altre buste e scoprì e avevano tutte indirizzi simili: “Torre ovest, Berryfield”, “Veranda, Berryfield”, “Salone, Berryfield”, “Segrete, Berryfield”…
C’erano anche indirizzi più normali, con nomi di città e vie, ma la maggior parte rimandava a quella misteriosa “Berryfield”.
Decise di andarlo a chiedere a Florence, se per caso sapesse di cosa si trattasse, e si diresse con passo deciso verso il bancone del negozio, chiedendole spiegazioni.
“Oh” rispose lei, “Non saprei proprio dirti. Non pensavo nemmeno che ci fosse scritto un indirizzo…di solito le lettere arrivavano via volatile.”
“…cosa?!” esclamò la rossa con gli occhi fuori dalle orbite. “Si usa ancora quel metodo medievale da queste parti? Pensavo che fosse superato…e non pensavo che tutti quei piccioni per le strade fossero adibiti alla posta, ora capisco…”
“Ohohoh, Simonetta cara, no, non si usa più. È che il vecchio Edvard è un po’ strano, tutto qui!”
A quel punto, qualcuno bussò alla porta di vetro del negozio e dopodiché si udì il rombo allegro e scoppiettante del motorino di Amy, venuta a portare a casa Tarja all’ora di pranzo.
“Temo che tu debba andare, cara…ci vediamo domani mattina!”

Il sole illuminava fiocamente il pallido pulviscolo vicino alla finestra, danzando a ritmo con le folate di brezza che entravano dalle imposte spalancate. La stanza necessitava di un po’ d’aria fresca, perché ad ogni giorno che era passato l’aria si era fatta sempre più irrespirabile, ed ora il puzzo di chiuso, sudore e sangue se ne stava volando fuori insieme con il ricordo della sofferenza passata lì dentro.
Diodor respirò il venticello, stiracchiandosi con precauzione.
La sua ferita continuava a fargli male, ma era più che sicuro che il peggio era passato, e principalmente si considerava quasi guarito. Coi mezzi di cui disponeva lui, era abbastanza normale che un foro da proiettile si fosse già per la maggior parte cicatrizzato.
Si volse verso l’uscita ed acchiappò il suo giaccone nero appeso di fianco alla porta, gettandoselo poi sulle spalle a coprire la pelle, coperta solo dalle rudimentali fasciature fatte coi pezzi strappati dalla camicia. Aprì la porta ed il sole lo accecò.
Non era più abituato alla luce del sole, era la prima volta che usciva, di giorno.
Si affrettò a dare un’occhiata intorno a sé, spaziando la vista nei vasti campi che lo circondavano: campi deserti, con un po’ di boscaglia in fondo, ad ovest. E poi ad est, al centro della proprietà, il lontano maniero velato dalla nebbia che esalava dalle spighe mietute. Bene, non c’era nessuno.
Doveva affrettarsi.
Cominciò ad incedere velocemente sul sentiero trascinandosi un po’ i piedi, ancora deboli, strizzando gli occhi chiarissimi all’orizzonte, e lasciandosi alle spalle la sua casetta di legno.
Doveva muoversi, aveva una missione da portare a termine: sapeva che i loro occhi, quegli occhi gialli e demoniaci, lo stavano osservando, e seguivano ogni suo passo. Se li sentiva addosso, gli incidevano la pelle. Non poteva fallire questa volta, c’era in gioco la sua anima.
Quelle presenze minacciose l’avevano accompagnato in tutti i suoi incubi di malattia, lo punzecchiavano ogni secondo, e lui sapeva di non potersi permettere di sprecare nemmeno un secondo: doveva catturare Lady Tarja Lucifer.
Stava andando a prepararsi, non avrebbe mai potuto affrontarla in quello stato.
Un barbagianni volò fuori dalla boscaglia ed emise il suo acuto grido nel vento.
La prossima volta, la principessa non avrebbe avuto scampo.


Buonasera a tutti! ^^
Chiedo perdono per l'immane e smisurata pausa, causata da eventi di forze maggiori (mancanza di ispirazione, khem khem...)
Da oggi riparto!
Al prossimo capitolo!

Kiki




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2194240