1. I Ribelli
Strisciò attraverso uno sporco condotto ricoperto di
spazzatura ed atterrò in uno scolo d’acqua
putrida, come al solito del resto. Comunque, nulla avrebbe mai potuto
renderlo più sporco di quello che già era.
Camminò per mezzo chilometro con l’acqua dello
scarico che gli entrava negli stivali vecchi e nei pantaloni troppo
piccoli. Dopo molto tempo il giovane si fermò e si protesse
in una conca nel muro. Si accostò le lunghe dita affusolate
alla bocca e ci soffiò sopra, cercando di scacciare il gelo
che gli era entrato nelle ossa. Respirò a fondo e
ricominciò a camminare, ormai non faceva nemmeno
più caso al fetore delle fogne. Finalmente
cominciò ad incontrare altre persone, vecchie e giovani,
ridotte peggio di lui che, tutto sommato, riusciva sempre a mangiare
almeno due volte alla settimana. Di nuovo, il giovane si
fermò. Era tutto infagottato di stracci, un grande berretto
gli cadeva sugli occhi coprendogli metà viso.
L’altra metà era avvolta in un altro straccio,
solo un po’ più lungo, che gli faceva da sciarpa.
Si soffiò ancora una volta sulle mani, anche queste
rivestite di un paio di guanti bucati che non arrivavano a coprirgli la
punta delle dita. Il giovane si frugò sotto i vari strati di
stracci e dopo poco estrasse un pezzo di pane vecchio e rattrappito.
Con una mano si abbassò la sciarpa e mise nella minuta
bocca, due bocconi. Era come mangiare marmo, ma non sembrava
accorgersene. Masticò a lungo e ingoiò, lo fece
per altre tre volte, poi prese la pagnotta e la fissò per
alcuni istanti. Alzò le spalle e la gettò in un
angolo, su un cumulo di cenci, prima di voltarsi.
- Grazie, Zahan! – il giovane alzò una mano, senza
dire una parola, e continuò a camminare. Quello che sembrava
un altro sporco ammasso di drappi, erano in realtà tre
bambinetti di cinque e sei anni che tentavano di tenersi caldo sedendo
vicini.
Zahan non si voltò indietro. Stringendo i pugni sotto gli
stracci si avvicinò ad una piccola costruzione fatta di
cartone e lamiere. Senza una parola, oltrepassò la porta
fatta di pezzi di tessuto, che prima forse erano stati dei vestiti, ed
attraversò l’unica stanza fino ad arrivare a
quella piccola zona che doveva rappresentare la cucina. Intenta a
strofinare con una stoffa alcuni piatti, gli unici che stavano ancora
insieme, c’era una donna minuta; i capelli biondi, resi quasi
grigi dallo sporco e dall’età, erano legati con
uno spago sulla nuca, creando una stretta crocchia. Zahan le si
avvicinò cautamente alle spalle e
l’abbracciò da dietro. La donna si
voltò di scatto, dal principio allarmata, poi sul suo viso
si dipinse un’espressione di sollievo.
- Zahan! – e l’abbracciò con slancio.
– Come stai? Dove sei stata tutto questo tempo?
- Sono stato via solo una settimana – sorrise il giovane,
inclinando gentilmente la testa di lato.
- Una settimana, tre giorni, un mese! Non so mai se tornerai a casa!
Per me, anche un giorno è troppo!
- Ma se non stessi via – la riprese Zahan, senza smettere di
sorridere, - cosa mangeresti tu?
- Patirei tutta la fame del mondo, sapendoti qui vicino a me, al
sicuro. Cos’hai fatto nel frattempo, oltre che straziare il
cuore di una povera madre apprensiva?
- Cinque giorni li ho passati a Simava, la città a nord
– spiegò il giovane, frugandosi nelle mille tasche
dei suoi indumenti. – Avevo sentito ci sarebbe passata una
carovana di mercanti… il lavoro non ha fruttato quanto avrei
sperato, ma è comunque meglio di quel che si racimola qui!
- Zahan! Tesoro, metti subito via quel denaro! –
sibilò atterrita la donna appena vide quel che il ragazzo si
era rovesciato sulla mano. Cinque corone! Cinque monete
d’argento! Con quelle la povera donna avrebbe potuto vivere
per un‘intera stagione. L’unica moneta
più importante delle Corone erano le Aquile, tozze monete
dell’oro più puro. Se tra le persone che vivevano
nelle loro stesse condizioni si fosse saputo che donna Livia possedeva
quattro monete d’argento, una l’aveva tenuta Zahan,
l’avrebbero derubata anche della biancheria che non
possedeva. Erano tutti ladri laggiù, Zahan non faceva
eccezione, era solo più abile degli altri. Erano una
numerosissima comunità di persone, costituivano quasi la
maggioranza della popolazione. Non era corretto chiamarli ladri,
perché non erano solo quello. Non era corretto chiamarlo
zingari, perché erano molto diversi e certamente gli zingari
se la passavano meglio. Non era corretto chiamarli mendicanti,
perché andava contro il loro orgoglio andare in giro a
elemosinare carità a quelle stesse persone che li
disprezzavano e sputavano loro addosso quando passavano. Insomma, tutte
quelle persone che si rifugiavano laggiù avevano un nome
particolare, come vanivano chiamati dalla piccola borghesia e dalla
gente comune: Ravusisch. Significava topo, spazzatura nella loro
lingua. Nonostante fosse un appellativo dispregiante, tutta quella
gente lo accettava, sebbene non avessero bisogno di un nome specifico.
Tra di loro si conoscevano tutti, dal primo all’ultimo.
Poteva sembrare strano, tanto erano numerosi, qualunque Ravusisch ne
incontrasse un altro, sapeva come si faceva chiamare, conosceva i suoi
genitori, se non di persona, almeno per sentito dire.
Il motivo per il quale così tanta gente potesse vivere in
una tale situazione catastrofica, quando a qualche centinaio di metri
di distanza, sopra le loro teste, si estendeva una vasta
città con nobili borghesi e aristocratici che con un
millesimo del loro denaro avrebbero potuto sfamare un’intera
famiglia per un anno intero, era un mistero. O meglio, per alcuni era
un mistero ma per altri, come Zahan, la verità era chiara e
palpabile: chi li governava era un tiranno. Un dittatore che aveva
assoggettato con l’inganno il loro paese. I Grandi Sacerdoti
erano corrotti e lo seguivano senza esitazione, i guerrieri e i nobili
erano ricchi e non traevano che vantaggi dalla sua politica parziale. I
mercanti, invece, si adattavano a qualunque tenore di vita nonostante
tutti avessero preferito quello antecedente il dittatore, il cui nome
era Kuuner. Re Kuuner. Però… la gente comune se
la passava molto male. Una famiglia dopo l’altra finiva sul
lastrico a causa delle tasse troppo alte, agli sproporzionati
favoritismi verso chi era di rango più elevato. Una dopo
l’altra, erano sempre di più le persone che
vendevano la loro casa e i loro ultimi averi per saldare i debiti. Da
quel momento in poi, acquisivano il nome di Ravusisch. Venivano
marchiati a fuoco e andavano a vivere nelle lunghissime e vaste
gallerie che rappresentavano le maleodoranti fogne della
città. Ormai nessuno badava al cattivo odore
perché, insieme a quello, giungevano le malattie, con le
malattie venivano i morti e le infezioni, con le infezioni le epidemie
e con le epidemie migliaia di morti. Ma per quanto forti potessero
essere gli stenti e le malattie, molte persone sopravvissero e sempre
più persone arrivavano. Nessuno aveva il coraggio o
solamente la forza di reagire, di opporsi. Nessuno tranne un contenuto
gruppo di uomini, non più di una ventina. Erano un semplice
corpo di resistenza, ma il popolo intero li chiamava orgogliosamente
ribelli.
- Zahan! Sei tornato finalmente, diavolo bastardo! –
enfatizzò un ragazzo circa dell’età di
Zahan. Salutò la madre del ragazzo con un buffo inchino di
scherno e trascinò via l’amico. –
Fratello, sei tornato e non sei nemmeno passato a salutarci?
- Prima sono andato da mia madre – rispose il giovane,
rimanendo serio.
- Ma adesso sei qui con noi – esclamò uno dei suoi
compagni. Erano Kir, Aisan, e Meldon. Il ragazzo corso a salutare Zahan
e sua madre, con la sua lunga chioma di capelli neri, era stato Kir.
- Siiiiiiiii beve! – gridò Aisan facendo apparire
due belle bottiglie piene di raffinato belgrem, un liquore prodotto con
il midollo delle capre.
- Alla salute – assentì Zahan, concedendosi un
sorriso.
- Sei troppo serio, fratello! – lo sgridò Meldon.
– Scommetto che hai avuto interessanti notizie
laggiù, dove sei andato a imbucarti.
- No davvero – assicurò Zahan passando ad Aisan la
bottiglia di liquore. – Nulla di nuovo, e certamente per
nulla preoccupante. Me ne sono andato a Samiva per un paio di giorni.
- E dici che non c’era nulla di interessante? –
domandò Kir, poco convinto.
- E’ impossibile, Samiva è la città
più pettegola esistente dalla costa fino a qui!
Zahan continuò a sorridere ermetico, poco partecipe
all’entusiasmo dei suoi compagni. Si bagnò ancora
una volta le labbra con il liquore e un dolce calore gli invase tutto
il corpo, riscaldandolo finalmente. – Forse – disse
dopo un po’, dopo averci pensato su –
l’unica cosa che ho sentito con un minimo di rilevanza,
è che pare che il capo della resistenza sia stato visto a
Samiva ma, cosa più importante, che fosse diretto qui.
- Nella capitale commerciale del regno?
- Sei serio, Zahan?
- Ma certo che è serio, hai mai visto Zahan scherzare?
- Ma, se lo catturassero?
Zahan rimaneva in silenzio, non era sua abitudine parlare troppo, se
non aveva nulla da raccontare. Forse perché la maggior parte
del tempo lo passava da solo, o forse solamente perché
trovava troppo divertente vedere i suoi amici esaltarsi.
- Il capo dei ribelli non può essere catturato –
disse una voce rauca e profonda alle spalle dei giovani. I ragazzi si
voltarono e si trovarono a faccia a faccia con Frekum, una delle
persone più anziane nell’intera
comunità.
- I miei omaggi – salutò immediatamente Zahan,
balzando in piedi.
- Ciao nonno!
- Ehilà, nonno! – si limitarono invece Meldon e
Aisan. Kir, dopo un po’ e con notevole calma, fece un cenno
con la testa per poi ripetere il saluto di Zahan.
- Ragazzi sconsiderati – sospirò il vecchio
scuotendo la testa. – Stavate parlando dei Ribelli, ho
sentito.
Zahan annuì mentre gli offriva il liquore da assaggiare.
– Del loro capo.
- Ahh – sospirò il vecchio. – Quello non
è un uomo, è una leggenda!
- Raccontaci di lui, nonno – supplicò Meldon,
posando da parte la bottiglia di belgrem.
- Ma prima – avvertì il vecchio, tirando fuori una
vecchia pipa, - cercatemi un fiammifero.
- Dovrei averne io un paio – esclamò Kir
frugandosi nelle tasche. – Chissà dove li ho
ficcati…
- Ecco, signore – disse Zahan, porgendo al vecchio una
scatola di fiammiferi.
- Ehi, Zahan! Quelli sono i miei!
- Sempre il solito, Zahan – risero Aisan e Meldon.
- Non ridete, idioti! Dannazione, un giorno riuscirò a
beccarti con le mani nel sacco! – ringhiò Kir.
- Sei l’unico a cui si riesce sempre a fregare qualunque cosa
– lo schernirono gli altri due ragazzi, continuando a
rotolarsi per terra dalle risa.
- Ah, sì? – ghignò allora Kir, - e
quelle cosa sono?
Il giovane aveva puntato il dito contro Zahan, che già da
qualche minuto stava facendo dondolare con la mano una fascia di
tessuto che fungeva da cintura, una moneta di bronzo, chiamata veliero,
e un pugnale.
- Ehi! – esclamarono mortificati i giovani. –
Quella è la nostra roba!
- Dannato ladruncolo, quando smetterai di fregarci la roba sotto il
naso?
- Ringraziamo il fatto che ce la restituisca sempre, ragazzi
– sospirò Aisan, riallacciandosi la cintura in
vita.
- E’ colpa vostra che non ve ne rendete conto – li
dileggiò Zahan, ridacchiando leggermente. – Potrei
sfilarvi i pantaloni e nemmeno ve ne accorgereste.
- Oh, oh, oh – rise il vecchio, divertito da quel buffo
teatrino. – Zahan, ragazzo, sei forse il miglior ladro di
queste parti!
- Dai nonno – gemette Meldon– raccontaci dei
ribelli!
- Sono solo un gruppo di resistenza – sbuffò Zahan
stendendosi sulla schiena, coprendosi gli occhi col cappello.
- Non capisci nulla, Zahan!
- Non è dei ribelli che vi voglio narrare -
precisò il vecchio, – io desidero solamente farvi
capire chi è il loro capo. Il suo nome lo conoscono in
pochi, anche il suo aspetto è sconosciuto ai più.
Ma è giovane, un giovane leader di ventitré anni.
Io non ho mai avuto la fortuna di incontrarlo, perciò quel
che vi sto raccontando è frutto di racconti altrui. Si dice
sia un uomo freddo e coerente, ma anche responsabile. Una
volta…
Zahan ascoltava distrattamente le montagne di favole che narrava il
vecchio, certo erano interessanti, erano belle da ascoltare, ma il
giovane dubitava altamente che tutto quello che gli veniva raccontato
combaciasse al vero.
- Sai come decise di diventare un membro della resistenza? –
domandò solamente, levandosi a sedere qualche racconto dopo.
- Sono ribelli! – ringhiarono i compagni del ragazzo,
testardi sul punto.
- Ahimé! Quell’uomo è un mistero
ma… una cosa ve la posso dare come sicura. Un tempo era un
nobile, ma ha abbracciato la causa trovandosi in disaccordo con la
nuova politica. A questo proposito, mi hanno riferito che…
Zahan sbuffò, mentre sentiva che le persone vicino a loro
cominciavano ad allontanarsi verso le proprie cucce per passare la
notte, un nobile che fa il lavoro dei contadini… come
mettere un gatto a tenere insieme un gregge di pecore.
Dopo un altro po’, finalmente il vecchio
s’allontanò verso la cuccia della famiglia di sua
nipote e scomparve. Zahan rimase indeciso qualche istante: si chiedeva
se dormire con la madre o con i suoi amici, ma alla fine Kir decise per
lui. Gli afferrò il giubbotto e lo trascinò a
terra sugli stracci che formavano i letti di quei tre, passarono pochi
secondi e tutti e quattro si addormentarono, così
com’erano, uno sopra l’altro. Zahan detestava avere
un eccessivo contatto fisico con i suoi amici o con chiunque altro, ma
quella notte si abbandonò nelle braccia del sonno e si
addormentò. Non sognò nulla, da quando era nato
poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva sognato.
Si svegliò abbastanza presto, a causa del ginocchio di Aisan
conficcato nella sua schiena. Zahan si levò con uno
sbadiglio, stirando le braccia e allungando le lunghe gambe davanti a
sé. Il giovane recuperò alcuni parti dei suoi
indumenti e si allontanò dal gruppo di amici. Avevano
passato una bella serata, erano stati al caldo, ma Zahan non aveva
altro tempo da perdere. Passò davanti alla casa della madre,
di certo stava ancora dormendo. Il ragazzo sorrise pensando a lei e si
sistemò meglio il cappello sulla testa, non
l’aveva tolto nemmeno per dormire. In verità, non
toglieva mai quel cappello, tanto che chi lo conosceva sapeva che i
suoi capelli erano castani quasi per un semplice atto di fiducia. Era
quasi impossibile vedere il ragazzo con la testa scoperta. Zahan
ripercorse le lunghe gallerie che aveva attraversato il giorno prima,
chiedendosi per quale motivo non si fosse girato dall’altra
parte per rimettersi a dormire. Dopotutto, era solo l’alba!
Come facesse a saperlo, era un mistero. Uno dei tanti che circondavano
Zahan, in pochissimi riuscivano a capirlo, tra tutti i suoi amici, a
parte sua madre, solamente Kir riusciva ad intuire qualcosa.
Finalmente uscì all’aria aperta. Nonostante non
gli desse più fastidio l’odore dei sotterranei,
ogni volta che usciva all’aria aperta e vedeva il cielo si
sentiva come se stesse nascendo di nuovo. Zahan respirò a
pieni polmoni, attraversando lentamente la piazza del mercato,
semideserta. Avrebbe cominciato a riempirsi entro due ore,
né prima né dopo. Decise di attendere che ci
fosse più vita e fece per allontanarsi dalla strada
principale, ma all’improvviso Zahan si sentì
urtare e prendere per i vestiti. Un ragazzo, un po’
più grande di lui, tentò goffamente di gettarlo a
terra frugandogli nelle tasche. Zahan non gli lasciò
continuare, gonfiando i muscoli afferrò a propria volta gli
abiti del ragazzo, allontanandolo da sé e sbattendolo con
violenza contro un muro.
- Che diavolo hai intenzione di fare, stronzo? – gli
ringhiò contro, fissandolo col suo inquietante sguardo.
- Z-zahan? – gemette il ragazzo terrorizzato. – Io
non sapevo… dicevano che fossi partito!
- Sono tornato – lo informò allora Zahan, mentre i
suoi occhi si gelavano sempre di più. – Non
accetto che nessuno cerchi di taccheggiarmi. Capito?
- Sì! Sì! Chiedo scusa! –
supplicò il giovane.
Zahan lo lasciò andare, spingendolo lontano da
sé. Gente come quello la detestava, e detestava chi era
terrorizzato dai suoi occhi. In verità… per molto
tempo avevano spaventato anche lui. Zahan rifletté anche su
quello, mentre aspettava che il mercato si animasse. Aveva detestato a
lungo i suoi occhi, il suo sguardo magnetico ma, soprattutto, detestava
il loro colore. L’occhio destro era color lavanda, per
mancanza di pigmento, l’altro era dello stesso colore
dell’ambra. Ecco! Quello sarebbe dovuto essere il colore dei
suoi occhi, sebbene sarebbe rimasto un colore insolito, con le sue
profonde ramificazioni marroni, quello era il colore dei suoi occhi!
Non lavanda!
Una lacrima solitaria solcò il viso del giovane. Zahan la
raccolse sulla punta di un dito e continuò a fissarla,
sapeva di avere le ciglia bagnate in quel momento. Anche le ciglia
erano particolari, lunghe e nere, incurvate verso l’alto. La
pelle chiara e liscia, le labbra sottili e rosse, il naso minuto e la
fronte alta. Troppo femmineo era il suo aspetto, troppo per quello che
Zahan pretendeva di essere. Il ragazzo si risvegliò dai suoi
angoscianti pensieri quando, accidentalmente gli pestarono i piedi.
Finalmente la piazza stava cominciando a riempirsi. Zahan si
levò dal gradino su cui si era seduto, e camminò
fino al centro della piazza. Un ragazzetto, che non riusciva nemmeno ad
arrivare al bacino di Zahan, si stava sgolando come un matto cercando
di distribuire il giornale locale. Zahan gli si avvicinò e
gli lanciò un veliero, il ragazzetto lo prese al volo e gli
porse il giornale in cambio.
- Grazie Zahan! – ringraziò il piccoletto.
Il giovane fece un cenno con la testa e si allontanò
stringendo il rotolo di carta sotto il braccio, cercando un posto
tranquillo dove mettersi a leggere. In realtà, Zahan non
capiva per quale folle motivo continuassero a distribuire giornali
laggiù visto che, probabilmente, lui era l’unica
persona nel raggio di mezzo miglio a non essere analfabeta. Sulla scia
di questi pensieri, Zahan s’infilò in un vicolo di
collegamento e pochi attimi dopo si ritrovò nella strada
principale parallela a quella che portava al mercato. Il giovane rimase
sbalordito per qualche secondo, mezza città si era riunita
laggiù, spingeva e urtava, urlava e imprecava. Cosa stava
succedendo? Zahan cercò di vedere oltre le teste delle
persone, non riuscì a vedere nulla a parte un enorme
cappello di paglia con uno strano uccello impagliato sopra. Il giovane
sospirò, scuotendo la testa, doveva essere accaduto davvero
qualcosa di grosso! Si guardò attorno e il suo sguardo
s’incrociò con quello di un soldato. Per un attimo
ebbe un tuffo al cuore ma si riprese immediatamente e si
avvicinò cautamente all’uomo in divisa.
- Scusatemi - chiamò, sfoderando tutto il suo ambiguo
fascino, - saprebbe dirmi cosa sta succedendo?
La guardia lo studiò a lungo prima di rispondere. Certamente
era stato combattuto tra la possibilità di arrestarlo oppure
no, i Ravusisch erano tutti ricercati. Certo, quell’uomo non
poteva esserne sicuro, ma non aveva un grande margine
d’errore, quella gentaglia si assomiglia tutta! Tuttavia,
alla fine abbandonò quella scomoda idea, non gli avrebbero
dato nessuna ricompensa e la soddisfazione che provava era troppo
grande.
- Finalmente, è stato catturato quel cane del capo dei
ribelli! – spiegò l’uomo.
Zahan strabuzzò gli occhi, incredulo. Non aveva certo
creduto alle storielle di Frekum, ma era convinto che non sarebbero,
davvero, mai riusciti a catturare il capo della resistenza. –
Buon per voi – disse allora il ragazzo, riuscendo velocemente
a mascherare lo stupore, quindi si allontanò, ficcandosi le
mani infreddolite nelle tasche. Il capo dei Ribelli…
sbuffò Zahan tra sé e sé, arrendendosi
all’idea di chiamarli “ribelli”
così come, pareva, fossero chiamati da tutti.
Bah… evaderà nel giro di tre giorni. Molto prima
che pensino solamente a trasferirlo alla capitale. Le prigioni di
questa città sono le più scadenti che abbia mai
visto.
Zahan, come tutti i Ravusish, era finito un paio di volte in prigione
ma, a contrario di quello che si potesse pensare, c’era
andato per salvare quell’impiastro di Kir. Zahan era troppo
abile per farsi catturare, o almeno, così credette fino a
qualche giorno dopo. In ogni modo, le celle e le loro sbarre erano
scadenti, poste abbastanza distanziate da permettere ad una donna molto
piccola e magra di passarci attraverso. Siccome di donne, di solito,
non ne avevano, non era un problema, ma consisteva comunque di una
grave pecca. Per loro fortuna, però, ogni cella era
costruita ad un piano diverso delle prigioni. Queste, in effetti, erano
una semplice ex-torre di vedetta, costruita al centro della
città. Forse essere rinchiusi nella cella in cima alla torre
sarebbe stato un bel problema, per chi avesse intenzione di scappare.
Probabilmente avrebbero rinchiuso lì il capo dei ribelli, ma
Zahan rimaneva della sua idea: nel giro di pochi giorni sarebbe evaso.
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