In equilibrio precario

di purepura
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In equilibrio precario
- Passeggiando per la vita -
 
   Insieme alla pioggia, cade l’onore. L’onore d’esserci quando occorre, quando si deve, l’onere d’esserci, quando si deve.
   Raggomitolata sulla sedia scomoda, li osservo correre, perché non posso odiarli. È vietato dal buonsenso, dal buonismo, dalla morale oggettiva e personale. Infreddolita, li guardo e so che quel che hanno avuto, l’ho avuto anch’io. Ero solo piccola, e certa che non sarebbe mai finito, quel grumo d’affetto e dolore che mi colpiva il petto quando papà rientrava in casa, o quando giocava, o quando rideva. Invece è finito ancora prima che potessi rendermi conto che lo desideravo ancora. Ora rimane solo l’odio, per lui che ha distrutto tutti noi, e che si è creato un’altra realtà al posto nostro.
   Uno di loro – uno dei bambini, dei fratelli, qualcuno che è mio ma che per la sua nuova donna non è mio – mi si avvicina. È il più grande, quello che bacia nostra sorella e sa d’essere bellissimo, perché si volta e si fa ammirare solo per sentirselo ripetere.
   «Mi guardi?»
   «Certo. Avanti, fammi vedere quanto corri veloce!»
   E si rattrista, quando devo andarmene. E fa sì che nostro padre non si chieda nulla, che si scordi, che non chiami mai. Si fa amare e quasi odiare, da me.
   L’altra cade e ballonzola, per avvicinarsi. L’altra che mangia il mondo e insieme la tristezza. La bimba buona, la secondogenita – ma ne conterò sempre quattro, nonostante qualcuno mi rammenti che proprio non sono in grado di contare. Quella che gioca sola e non chiede compagnia.
   «Pappa».
   La sua parola preferita, la prima che ha imparato, insieme a babbo e Birillo, il cane.
   Sua madre ride. «Hai appena mangiato. Pappa dove?»
    Fuori in giardino, mentre il sole smette di brillare, accomodata sulla sedia scomoda, desidero la sola compagnia di mio padre. Dovrei chiederglielo. Molti mi hanno detto di parlare chiaramente, ma come posso, io figlia devota, rimproverargli tutto ciò quando non ha tempo, è stanco e segnato?
   Non posso. Così mi limito a sedermi più comoda, incrociando le braccia e puntando lo sguardo all’orizzonte. Bacerò i bambini e tornerò lontana, quando sarà il momento. Senza parlare.
 
 
 
 
La storia si ispira a fatti che sono inventati.
[351 parole.
Per ancora il sasso, la scatola e la vita]

 

 





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