La guerra cambia gli uomini, l'amore resta illeso nonostante le bombe

di Kee_styl13
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LA GUERRA CAMBIA GLI UOMINI, MA L’AMORE RESTA ILLESO NONOSTANTE LE BOMBE

 

 

Ottobre 1940.

Inghilterra e U.S.A. sono schierate contro il regime germanico guidato da Hitler in quella che oramai è stata definita “Second World War”.

Siamo stati attaccati per terra, per cielo, per mare nella così detta operazione ‘Leone Marino’ in cui ben 20 sezioni della Wehrmacht, nome affidato alle forze di difesa naziste, sono state impiegate. Se gli uomini di Göring fossero riusciti ad annientare la RAF e a distrarre la Royal Navy dalla Manica, le truppe tedesche avrebbero avuto buone possibilità di sbarcare in Inghilterra senza perdite rilevanti. Difatti una volta a terra, avrebbero dovuto affrontare ben 25 divisioni, sprovviste però di armi moderne, trasporti e mezzi corazzati, sparse dal Kent a Cromarty, ignare di dove il nemico sarebbe sbarcato.

Ed era lì che mi trovavo io.

Harold Edward Styles. Soldato, amico, uomo. Uomo..forse troppo maturo per la mia età.

A 21 anni, di solito, la parola UOMO, è usata solo in relazione alle frasi in cui viene inserita.

Ma io, io avevo visto molte più lacrime, molte più vite stroncate, molto più dolore in soli 2 anni di guerra, di quanti gli altri uomini avessero fatto in tutta la loro pacifica esistenza. Perciò si, ero un uomo ormai. E quello che è certo, era che per quanto avessi voluto, una volta finito questo strazio, dimenticarne gli orrori, sapevo che i giorni della mia giovane innocenza si erano consumati assime alle cartucce dei fucili.

Avevo visto morire il mio migliore amico sotto gli spari improvvisi della notte, quando il nostro accampamento era stato annientato dalla furia straniera, di uomini che provavano gusto nell’uccidere i loro simili.

Liam James Payne. Così si chiamava.

Avevo pianto sul suo cadavere, ancora caldo mentre portavo la sua testa al mio cuore. Gli avevo tenuto la mano durante i suoi ultimi minuti, tra i fieni del campo, gli avevo detto che sarebbe andato tutto bene, mentre esalava i pochi respiri che me l’avrebbero portato via. Avevo premuto la mia benda sulla ferita che si era allargata sul suo torace.

I tre proiettili che lo avevano colpito, gli avevano traforato il polmone sinistro. Uno era arrivato persino a sfiorargli il cuore. Ed ero rimasto con lui, vicino a lui, anche quando la sua attenzione si era spostata su una figura diversa dalla mia.

Zayn Javaad Malik.

Capelli neri, neri come il buio, occhi marroni. Un uomo di 22 anni. Il capitano del nostro comando. L’amore della sua vita.

Malik non mi era mai piaciuto molto con quella sua aria di superiorità che lo contradistingueva. Odiavo prendere ordini da lui, ma era uno dei capi, delle persone migliori che avessi mai conosciuto. Non comandava i suoi soldati, lui li guidava. Nessuno vi si era mai rivoltato contro. Si sarebbero sacrificati per Zayn. Zayn era un leader. Forte, deciso, inscrutabile, determinato.

Zayn morì poche ore dopo.

Zayn morì per vendicare Liam.

‘Sono qui Payne!-le dita incrociate, gli occhi lucidi, il sorriso amaramente consapevole-Non ti vorrai mica liberare di noi..’

‘Mai!’-Sospirava ormai l’altro-‘Z-Zay..as-ascoltami..i-io lo so, che, non mi resta più molto tempo..i-io voglio, che tu-il viso contorto nel dolore, l’anima quasi visibile uscire dalla bocca verso il paradiso-che tu sappia..hhmh’

‘Lo so, Payne! Lo so..-la voce smorzata, tremante-..non lasciarmi..-le lacrime che ne rigavano il volto.

‘Ti sarò sempre vicino Zay….’

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Quelle furono le sue ultime parole. E così, alle 5 della mattina, di quel settembre 1940, Liam si spense, e nel silenzio tombale delle prime luci dell’alba, l’unico rumore udibile, fu il ‘No!’ lacerante di Zayn Malik che squarciò anche il cielo.

Ma  lui, lui lo aveva visto il nazista bruno che aveva riso nel colpire alle spalle il suo ragazzo. E non lo aveva dimenticato. Non avrebbe mai potuto.

E quando lo aveva notato, solo, nascosto dietro un albero, forse a voler sapere come era andata la sua opera, oltre la nebbia insicura che avvolgeva quei giorni freddi, non aveva avuto né la pietà né la ragione in mente. 

Lo aveva preso, si lo aveva preso, nonostante il mio tentativo di fermarlo, era corso da lui, gridandomi in faccia-‘L’ha ucciso Styles!’ e arrendendosi tra le mie braccia, per quanto un ragazzo a cui hanno tolto tutto avrebbe potuto arrendersi.

‘Sono lì. Ti uccideranno.’

‘Non ho più niente da perdere.’-Era una supplica, più che un modo per convincermi a lasciarlo andare.

‘Ne sei sicuro?’

‘Tu non lo saresti?’

E dopo un cenno e un saluto veloce, era sparito nel bianco. Ma io lo vedevo ancora. Lo avevo visto raggiungere l’assassino, picchiarlo a morte, ed essere colpito, anche lui alle spalle, cadendo.

Lo avevo raggiunto. Sicuro che fossero andati via.

Gli avevo chiuso le palpebre. Gli avevo stretto la mano, nella quale c’era ancora una collana col crocifisso che gli aveva regalato Liam. Il suo Liam. Non l’aveva mai lasciata.

Lo avevo preso in braccio, portato all’accampamento, e seppellito accanto all’unica cosa che avesse realmente amato nella sua vita, quella vita tormentata da quando aveva 7 anni.

Non era mai stato felice Zayn Malik. Non lo era mai stato fino a quando aveva conosciuto Liam Payne.

 

E da due settimane a questa parte, ero solo. Irrimediabilmente solo. A leggere lettere sbiadite e consumate dal passare inesorabile dei mesi.

Quelle lettere. Quelle lettere erano la mia unica compagnia.

Quelle lettere erano l’unica cosa che non mi avrebbe fatto mollare.

E così ogni giovedì, ogni terzo giovedì del mese, ero in fila ad aspettare di trovarne una, che non mancava mai.

Quelle lettere, erano la mia vita. Quelle lettere, ciò che mi spingeva a sopravvivere, a sopportare. La consapevolezza che sarei tornato e avrei ritrovato chi me le scriveva lì ad aspettarmi. A baciarmi una volta che avrei varcato la soglia di casa. Che mi avrebbe colpito, per tutta l’ansia insopportabile, l’impotenza di non sapere se la risposta a quelle parole sarebbe mai giunta, o se invece un telegramma avrebbe annunciato la mia morte.

E mi siedevo sempre, su quel sacco grigio, pesante, appena fuori la mia tenda a leggerle. Quelle lettere.

E ogni volta, ogni riga mi trafiggeva il cuore, mi stringeva lo stomaco che avrei voluto vomitare il mio dispiacere, mi annebbiava la vista..e solo tu comparivi nella mia mente.

E allora avevo bisogno di riprendere contatto con la realtà. Quella realtà violenta dove tu eri solo astratezza, carta su inchiosto.

Mi voltai.

Alla mia destra, c’era un’altra persona, un’altra anima troppo pura, troppo giovane per quel posto che le spegneva.

 

‘Chi è?’-Domandai al biondino accanto a me.

‘Si chiama Arianna..è la mia ragazza..Avremmo dovuto sposarci..ma sono stato chiamato sul fronte…’-La foto tra le mani tremanti, seppia strappata agli angoli, di una ragazza bionda con gli occhi di quello che poteva sembrare un verde, risaltato dal vestito bianco, sorridente e malinconica, con l’anello alle dita esili di un fidanzamento posticipato, consapevole del fatto che sarebbe potuto non arrivare mai.

‘Di cosa hai paura?’

‘C-come?’

‘Paura. Te lo si legge in faccia..di non poterla riabbracciare?’

‘..e che si dimentichi di me..’

‘Niall, giusto?-Annuì-‘Sono qui da prima che i nostri eserciti venissero uniti. Il corpo può perire, sotto i colpi di bombe, spari, granate..anche per i graffi sulle braccia quando spostiamo i rami sul sentiero, ma l’amore..L’amore resta illeso, Horan. Sempre. E se il fisico si indebolisce, l’amore non fa che rafforzarsi. E sarà questo-piegai involontariamente gli occhi sulla lettera-..che ti porterà avanti..e se non ci riesci da solo, sarà lei a darti la forza..’

‘Deve essere una persona speciale allora, quella che spinge te.’-Sorrisi nel pensarti, con quelle fossette che adori a incorniciarmi il volto.

‘Lo è.’

‘Bene… Allora credo che spedirò questa-aveva una busta in mano, due francobolli, destinazione Irlanda. Sorrise alzandosi, mi superò con qualche passo.

‘Hei..-Si fermò-hai una penna?’

‘E’ lì-Un suo cenno, indicò lo sgabello. Un mi0, lo ringraziò.

La presi, la penna, e su un pezzo di carta, irregolare, sbiadito..

 

 

“Tornerò da te, Lou. Te lo prometto.”

 

 

Inghilterra 1941.

Erano passati mesi da quando avevo ricevuto quella lettera. L’ultima.

E oramai cominciavo a temere che non l’avrei rivisto più.

Che non l’avrei riabbracciato più. Che non avrei più poggiato la mia testa nell’incavo del suo collo. Che i suoi ricci non mi avrebbero più solleticato le guance, le braccia.

E ancora quelle parole le rileggevo. Ancora la mia mano si posava sulle labbra, quasi a mantenerne i respiri, a controllare i battiti del cuore, che aumentavano o saltavano, convinti che le prossime informazioni che avrei ricevuto, sarebbero state di un qualche cadavere, che segnava questo come indirizzo sulla piastrina di riconoscimento.

E sempre mi fermavo a guardare quell’albero del nostro giardino, quel sedile di legno dove spesso ci eravamo addormentati abbracciati guardando le stelle.

 

E il parquet alle mie spalle ora cigolò.

E mi girai di scatto; e quando lo vidi-‘Non volevo spaventarti, scusami.’

Un fantasma, uno scherzo della mia mente. Così verosimile, in ogni aspetto, in ogni dettaglio.

Dovetti regermi allo stipite, quando accanto a quella figura, due borsoni a terra, collegai-‘H-Harry?’

‘Lou..’-Sorrise. Il suo sorriso, il suo sguardo.

Era lui.

Dopo qualche attimo di silenzio, momenti in cui dovetti ricordarmi di avere la capacità di muovere le gambe, lo raggiunsi.

E scoprendolo, il mio mondo riprese a girare, l’aria a circolare, il sangue a fluire nel corpo. 

‘Harry, Harry, Harry!!’-Non riuscii a smettere di dire il suo nome, lanciandomigli addosso, e toccandolo, stringendolo, baciandolo, per confermare a me stesso che non fosse un altro miraggio. Fin troppi ne avevo avuti in quei mesi.

‘Mio Dio, Harry! Sei proprio tu..’-Gli occhi chiusi, la mia fronte contro la sua, la punta dei nasi che si sfiorava, le mie mani attorno al suo viso.

Li riaprii.

Le iridi, perse le une nelle altre.

‘Te l’avevo detto che sarei tornato..’

 

Il bacio dopo. Le labbra umide, le lingue che si cercvano, bramandosi dopo troppa attesa. Io in piedi sui suoi. Le dita dietro al collo, i capelli spettinati, il fiatone.

Quanto mi era mancato quel sapore. Quel sapore di lui.


‘Dimmi che non mi lascerai più Harry!’

‘Non ti lascerò più Louis. E’ una promessa!’

‘Ti amo Harry!’

‘Ti amo Louis!’

 

 

 

 

 

SPAAAAIO AAAAUTRIIICE :


Saaalve a tuutte! 

Non so perchè ma era da un po' che volevo cimentarmi in una OS, e soprattutto avere come protagonisti i Larry *0*

Non me ne vogliano a male, quelle che non ci credono, ma io li adoro *-*

Well...non ho idea di come sia..(forse un po', ma poco, tragica), ma spero buona :3 

Spero, vi piaccia sul serio <3 

Quuuuiiindi, fatemelo sapere, e chissaà, se l'adoriate, magari mi verrà l'ispirazione per un'altra :33

xx 





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