Il
mio nome è Yuri e diventerò una guerriera! Il mio
maestro... ma cominciamo dall'inizio!
01.
Prologo
Era
il centesimo anniversario della caduta della Meteor invocata dal demone
albino, come veniva ormai chiamato. Sephiroth.
Odiavo
partecipare ai festeggiamenti, e a quel tempo non credevo che la storia
potesse ancora influenzare la vita delle persone, tanto meno la mia.
Forse
voi siete degli esperti conoscitori della storia di quel periodo, la
dittatura di Migdar, la Shinra e tutto quel che viene citato nei libri.
In
questo caso vi domanderete quel'è il mio villaggio... Forse
quello stesso villaggio che aveva visto l'infanzia di alcuni degli eroi
che sconfissero Sephiroth, il luogo dove ebbe inizio tutto?
No,
mi dispiace deludere le vostre aspettative.
Forse
credete di stare per leggere una storia fantastica, creata da me con il
solo scopo di divertirmi, ma non è così.
In
quest'avventura ho sofferto molto, ho gioito, ho pianto. Ho provato
paura, odio, rabbia, gioia, felicità e ogni altro sentimento
vi possa venire in mente, ci sono stati anche momenti in cui mi sono
divertita, ma ho sofferto molto, e vorrei che lo teneste bene a mente.
Il
nome con cui veniva chiamato il mio villaggio era Nacom.
Piccolo
e insignificante, un po' come me.
Sorgeva
poco distante dalle rovine di Midgar. La città non era mai
stata ricostruita e costituiva solo un misero ammasso di macerie.
Mi
trovavo nella mia camera, sola e annoiata.
"Bisogna
rispettare le tradizioni!" sentivo ancora gli echi dell'ultima
discussione con mia madre.
-
Certo! Noi siamo le tradizioni! - sbuffai osservandomi allo specchio.
Cercavo invano da quasi un'ora di acconciarmi decentemente i capelli in
una crocchia, ma questi continuavano ostinati a cadermi sulle spalle.
-
Ah! - gridai alla fine lanciando lontano il fermaglio a forma di
giglio. Alla fine mi arresi e lasciai i capelli sciolti sulla schiena.
Neri, lunghi, lisci e...perfettamente monotoni!
Avrei
tanto voluto avere la chioma di fiamma di mia madre. Lei sì
che sarebbe figurata alla festa! Chissà io, invece, da chi
avevo preso...
Mi
lasciai cadere pesantemente su uno sgabello. Ma cosa mi ostinavo a
fare? La odiavo pure, quella festa... E odiavo il kimono.
Cioè...lo
ritenevo uno degli abiti più belli del mondo, con i loro
raffinati decori e l'elegante forma... questo finché non ero
io quella costretta a indossarlo. Oltre a
sentirmi legata in una camicia di forza, sembravo un'abat-jour fatta
male.
Non
che fosse una novità... avevo un corpo da maschio, un
atteggiamento da maschio, un modo di pensare da maschio...
perché mai il modo di muovermi non sarebbe dovuto essere
quello di un ragazzo?
Inevitabile
tra l'altro, essendo cresciuta in una famiglia con otto figli, di cui
ero l'unica ragazza!
Sentii
scoppiare il primo fuoco d'artificio, dopo un lungo fischio.
Mi
affacciai alla finestra e osservai per un istante il cielo venire
illuminato da tutti i colori che conoscevo. Era uno spettacolo
fantastico...
E
sarebbero stati tutti impegnati a guardarlo! Di certo nessuno si
sarebbe accorto se mancava una singola ragazza.
Uscii
lentamente dalla camera e sgusciai di soppiatto sul retro, senza che
nessuno mi vedesse.
Dove
potevo andare, aspettando che la festa finisse?
Non
so bene cosa mi spinse in quella direzione.
Chissà,
forse un presentimento. Il destino o il caso...o forse era
più semplicemente l'Inevitabile.
Fatto
sta che mi avventurai per un sentiero che, sapevo benissimo, conduceva
tra i monti.
Alla
mia destra si alzava la parete rocciosa e alla sinistra c'era uno
strapiombo da cui potevo avere una perfetta veduta aerea del mio
villaggio.
Forse
per il buio, perché non prestavo attenzione o
perché doveva semplicemente accadere, riuscii a smarrirmi
per quei sentieri che percorrevo ogni giorno da quando avevo cominciato
a camminare.
Non
ho mai raccontato a nessun altro la storia di quel giorno,
perciò ripensandoci provo ancora abbastanza imbarazzo per
alcune cose che sono successe.
A
tratti riuscivo ancora a sentire la festa, la musica e i fuochi
d'artificio, ma in quel reticolo infinito di sentieri che iniziavano e
finivano in vicoli cechi cominciavo a perdere la speranza.
Vagai
per diverse ore, alla fine ero esausta.
Il
mio abito era logoro e strappato in più punti, i capelli
pieni di rami e polvere e gli scomodi zoccoli di legno abbandonati
già da tempo: mi avevano ricoperto i piedi di vesciche.
Sconsolata
appoggiai la schiena al tronco di un albero e alzai lo sguardo verso il
cielo. Dal punto in cui mi trovavo non riuscivo più a
scorgere i fuochi d'artificio.
-
Così imparo a fare sempre di testa mia! - mugugnai
chiedendomi cosa fare.
Ormai
era notte fonda e la luna formava un cerchio perfetto nel cielo.
Sarebbe
stato impossibile tornare al villaggio, avrei corso il rischio di
smarrirmi ancora di più, e magari cadere in un fosso, o
comunque ferirmi.
Sì,
senza dubbio la miglior cosa da fare era trovare un rifugio per la
notte e aspettare che facesse luce.
Stranamente
non conoscevo il luogo dove ero giunta, non assomigliava a nessuna
delle radure dove spesso avevo giocato con i miei fratelli. Mi guardai
intorno irrequieta.
Non
riuscivo a vedere quassi niente, i miei non erano mica gli occhi di un
gatto!
Dopo
un po' di tempo però scorsi, poco lontano, una specie di
sperone di roccia che offriva un ottimo riparo. Senza indugiare oltre
corsi in quella direzione, provocandomi nuovi tagli e ferite.
-
Maledizione... - sussurrai rannicchiandomi là sotto. Stava
anche cominciando a piovere.
Avrebbero
interrotto i festeggiamenti per questo? I fuochi d'artificio venivano
ancora lanciati nel cielo, da dove mi trovavo riuscivo a vederli bene.
All'inizio
continuai a osservali attraverso le fronde degli alberi, poi decisi di
riposare e, tastando con le mani, cercai di portarmi più
sotto la roccia, in un punto più riparato.
Inaspettatamente
le mie dita sfiorarono qualcosa di diverso dalla fredda terra e le
roccie: era qualcosa di morbido e caldo. Qualcosa di vivo...
Balzai
in piedi con un urlo, sbattendo la testa contro la pietra, ferendomi.
Ignorai
il sangue che mi colava caldo dalla ferita sulla fronte e strisciai
velocemente via. Lontano dal punto in cui mi trovavo fino a un secondo
prima.
In
quel momento avevo di certo molte alternative ma la mia mente si
fermò alla prima: la fuga.
Correndo
a piedi scalzi, in un bosco, durante una tempesta , non posso dire di
aver vissuto un'esperienza gradevole. Scivolai diverse volte bagnandomi
dalla testa ai piedi e ricoprendomi interamente di fango.
Cos'era
quella cosa laggiù?
In
realtà il mio comportamento era stato un po' esagerato.
Me
ne resi conto solo dopo essermi calmata presso una sorgente.
Mi
inginocchiai a terra, vicino alla pozza d'acqua limbida che si era
venuta a formare e cominciai lentamente a pulirmi. Nel breve tempo in
cui ero fuggita il sangue si era magicamente rattrappito, mescolandosi
al fango e incollandosi ai capelli.
-
Maledizione - ripetei per la seconda volta quella notte.
Nonostante
tutto non sapevo bene cosa fare. Ero troppo agitata per pensare in
maniera razionale.
Certo,
tutto poteva essere stato un falso allarme... come poteva non esserlo!
Chi mi poteva assicurare che la cosa che avevo sfiorato non fosse una
volpe, per esempio, o peggio, un mostro?
Mi
costrinsi a calmarmi, almeno in parte. Rallentai il respiro e immersi
la testa nell'acqua gelida. Il gesto mi aiutò a schiarire un
po' le idee, almeno in parte.
Probabilmente
la cosa che avevo sfiorato a quell'ora doveva già essersi
allontanata e io potevo tranquillamente tornare a ripararmi sotto la
roccia.
In
realtà questo ragionamento l'ho fatto solo col senno di poi.
Credo di aver avuto in testa due soli concetti, quella notte: il primo
era che quello sperone di roccia era il migliore dove trascorrere la
notte.
Il
secondo, il quale probabilmente è anche il fattore
determinante che mi spinse a ripercorrere i miei passi, era che ero
incredibilmente curiosa.
Curiosa
di scoprire di chi, o cosa, avevo avuto paura.
Così
feci ritorno.
Sembrava
tutto tranquillo, da quando ero scappata non era cambiato nulla.
Sempre
sul chi vive, mi accovacciai silenziosamente a terra scrutando
intimorita nell'ombra del piccolo rifugio. Probabilmente mi aspettavo
che una belva mi saltasse alla gola...
Dal
principio non scorsi nulla.
Solo
in un secondo momento mi parve di scorgere un movimento.
Sobbalzai,
pronta a darmi nuovamente alla fuga, ma non successe niente.
Non
capivo, quindi frugai nelle numerose tasche interne del mio vestito ed
estrassi fuori una scatoletta di fiammiferi.
Ne
accesi uno e utilizzai la fievole luce della fiammella per rischiarare
il buio e finalmente vidi.
Vidi
lì, sdraiato a terra, un uomo addormentato, rivestito
solamente di un paio di calzoni di pelle.
Riposava
immobile sulla fredda terra.
Doveva
essere stato lui quella cosa calda e liscia che avevo sfiorato prima, e
che mi aveva tanto spaventato.
Che
stupida! pensai, farsi spaventare da questo poverino.
Forse
in un'altra situazione avrei cercato un altro luogo per riposare, o
forse avrei addirittura tentato di ritrovare la strada di casa.
Molti
in seguito mi dissero che qualunque scelta sarebbe stata meglio di
quella che presi quel giorno: mi stesi accanto a lui e dopo pochi
secondi mi addormentai.
Non
sono d'accordo con tutte quelle persone che in seguito mi hanno
biasimato o mi hanno additata come folle, credo che la mia vita
iniziò solamente in quel momento, quando mi addormentai
accanto a un angelo caduto vestito di nero.