Allora allora allora… tempo fa cheesecake94 mi
aveva chiesto una long dedicata al personaggio di Kelsi
che spiegasse il perché del suo carattere così chiuso e introverso. Bene, io la
long ancora non sono riuscita, vuoi per l’ispirazione un po’ carente (mi scusi
chi segue double tent… sono
a corto di idee ma continuerò, promesso! Titty chiede
scusa, ma non ha la connessione per un po’…Destiny
continuerà non appena lei tornerà) vuoi per il tempo che non c’è.
Quindi ho pensato di scrivere un shot basata su una canzone che io, personalmente,
trovo molto bella ma che è di difficile interpretazione.
Vitto ora dirà che ci mancava solo
questa ai drammi della vita di Kelsi Nielsen…e io rispondo, se mancava, perché non aggiungerlo?
La canzone è “Gioco di bimba” delle Orme, ma io vi consiglio
di ascoltarla cantata dai Pooh.
Cheesecake, terrei particolarmente
ad un tuo commento!
Besos,
Temperance
Gioco di
bimba
Come d’incanto lei si alza
di notte
“Mamma, mamma, dai, vieni con me!”
Sussurrò la bambina dai lunghi riccioli scuri, gli occhiali tondi un po’
sbilenchi sul nasino, scuotendo una spalla della madre addormentata.
“Kelsi, sono solo le cinque! Torna
a dormire.”
“Ma io voglio giocare! Voglio
giocare con l’altalena nuova!”
“Tesoro, l’altalena sarà ancora lì tra un paio d’ore.
Lasciami riposare, per favore.”
“Ma io…”
“Kelsi, va’ di là!”
Senza discutere oltre, la piccola si voltò, stizzita, e
corse nella propria camera.
Affacciandosi alla finestra, vide il tanto agognato gioco,
rosso fiammante, alto e fiero in mezzo al giardino, dove era stato piazzato
solo quella sera, in occasione del suo decimo compleanno.
Aveva sempre avuto una passione per le altalene. Con quel
loro ondeggiare ritmico, sempre uguale a se stesso, le ricordavano la sua
musica, la sua migliore amica.
Sapeva che la scenata fatta alla madre era da bambina
dell’asilo, se non meno, ma non poteva fare a meno di accorgersi, ogni giorno
di più, che la sua infanzia stava scivolando via, leggera e cristallina e non
avrebbe più fatto ritorno.
E di questo, Kelsi
Nielsen aveva paura.
Aveva paura perché non voleva lasciare tutto ciò che
conosceva e amava per andare in qualche college lontano, per
essere sola in una nuova scuola, perché già lo sapeva che non avrebbe
trovato amici nemmeno in quell’East High dove sarebbe
andata a settembre.
Voleva continuare ad andare in altalena senza essere
giudicata da nessuno.
Cammina in
silenzio con gli occhi ancor chiusi
Non poteva lasciare andare via tutto così.
Voleva andare in altalena e voleva
farlo ora.
Piano piano, uscì dalla stanza e
chiuse con cura la porta alle proprie spalle, per poi fermarsi per qualche
istante in corridoio, col fiato sospeso, quasi aspettandosi di veder comparire
uno dei genitori.
Nessuno.
Come seguisse un magico canto
Sorridendo, si avviò giù per le scale, quasi ballando al
ritmo che già sentiva sotto i piedi e nel cuore.
Il ritmo allegro e veloce di una piccola donna.
Il ritmo eccitato di chi infrange le regole.
Il ritmo dell’altalena.
E sull’altalena
ritorna a sognare
Si sedette delicatamente sul listello di legno, stringendo
le corde con la stessa gentilezza che riservava ai tasti del pianoforte.
Piano piano, i suoi piedi presero
a spingere contro il terreno, per far muovere quel suo piccolo, personale mezzo
di trasporto verso un mondo tutto diverso, verso un mondo
che era solo suo.
Quando era sull’altalena le sembrava di volare, di essere invincibile, troppo veloce per chiunque e per
qualunque cosa, escluso il vento, che l’accarezzava con le lunghe dita sottili.
Già di giorno era una sensazione meravigliosa quel farsi
portare senza pensieri, ma all’alba…
All’alba, con la luce tenue del sole che iniziava appena a
mostrarsi oltre la linea dell’orizzonte, sembrava quasi di essere
l’unica persona rimasta al mondo.
Ci sarebbe rimasta tutta la vita così, seduta su una
tavoletta di faggio nel bianco del sole nascente in mezzo a
un giardino deserto, dimenticata da tutti, da quelli che le volevano bene e da
quelli che la odiavano, da chi la amava e da chi non la sopportava… lei, solo
lei, Kelsi.
Kelsi, felice di
essere bambina.
Kelsi, la piccola musicista.
Kelsi, che, per qualcuno, una
bambina non era affatto… o, per lo meno, non nel senso
che di solito tutti intendono.
La lunga
vestaglia, il volto di latte
I raggi di luna
sui folti capelli
Bella.
Semplicemente, meravigliosamente e irrimediabilmente bella.
Non c’erano altri modi per definirla.
Aveva un sentore, come un grido nella testa che gli diceva che era sbagliato, ma non era più di un formicolio
fastidioso e decise di non ascoltarlo.
D’altronde, come poteva qualcosa di così tremendamente
simile ad un’apparizione divina essere sbagliato?
Doveva averla, doveva essere sua…
Quel corpo sottile e acerbo che la camicia da notte delineava appena.
Quel viso bambino nascosto da un paio di occhiali
troppo grandi. Chissà di che colore erano i suoi occhi…
Forse scuri, come quei ricci sui quali gli ultimi bagliori
della luna e i primi raggi di sole creavano strani disegni, o forse azzurri,
come il cielo che sarebbe di lì a poco uscito dal suo nero lenzuolo, o ancora
verdi come l’erba del prato, bagnata dall’umidità della notte.
Senz’altro belli.
Come lei.
La statua di
cera s’allunga tra i fiori
Folletti gelosi
la stanno a spiare
Kelsi volse velocemente lo sguardo
indietro, verso la casa ancora immersa nel sonno.
Le era sembrato di scorgere un movimento, un fremito appena
accennato ma reale e pericoloso come un grosso animale nascosto nell’ombra e
pronto ad attaccarla.
Lì, però, addossata al muro bianco c’era, come sempre,
soltanto la vecchia statua che sua nonna, una donna nata anziana e ringiovanita
con l’esperienza, aveva regalato a sua madre per le nozze. La
statua di cera col volto di Grace Kelly
e un corpo più simile a quello della Venere di Milo.
Le aveva sempre fatto paura, da piccola…
ma a sua madre piaceva, quindi era rimasta lì per tutti quegli anni,
nascosta sotto un portico, lontana da sguardi indiscreti che di certo
l’avrebbero derisa.
Intorno a lei, un gruppo di scanzonati nani da giardino la
guardava da sotto in su, con una certa riverenza per
quella Biancaneve un po’ inquietante e non privi di rancore per quell’altezza che loro non avrebbero avuto mai.
Ecco, Kelsi come quei nani si sentiva.
Sempre inferiore, sempre superata da qualcun altro.
Solo nella musica era lei la regina.
Nella musica e sull’altalena.
Dondola dondola il vento
la spinge
Cattura le
stelle dei suoi desideri
Un sottile alito di vento freddo le scompigliò i capelli,
portandole un ricciolo ribelle davanti alle lenti spesse e tonde e mandandole
un brivido lungo la schiena.
E desiderò di essere leggera come
quel soffio, libera come ogni respiro che veniva esalato, voluta, come le
parole sussurrate alle stelle da un giovane innamorato.
Ecco, questo era sbagliato in lei, quei pensieri troppo
pesanti da reggere per una donna ancora bambina, troppo difficili perché
qualcuno potesse capirli, perché qualcuno le diventasse amico.
Gli occhi nelle stelle pallide, Kelsi
Nielsen desiderò per un attimo di non essere più se
stessa, di essere chiunque altro, qualunque altra
cosa, ma non lei.
Un’ombra
furtiva si stacca dal muro
Di nuovo.
Qualcos’altro si era mosso vicino alla casa e questa volta
non era Grace Kelly, ma
qualcosa di più alto, massiccio e decisamente più
vivo.
“C’è qualcuno?” Chiese la bambina fermando l’altalena, la
voce un po’ tremante.
“Posso giocare con te?”
L’uomo era più piccolo di quanto non le fosse sembrato, ma
niente affatto rassicurante.
I capelli lunghi erano stretti in un codino che cadeva di
lato, sulla sua spalla coperta dalla camicia un po’ aperta di un completo che,
visto in un altro contesto, sarebbe forse stato
elegante.
Ma quello che davvero faceva paura
erano gli occhi.
Occhi chiari come una lastra di ghiaccio
ma velati da un sottile e terribile strato di pazzia.
O di alcool.
Nel gioco di
bimba si perde una donna
“Non posso giocare con te…non so nemmeno come ti chiami.”
“Puoi chiamarmi papà, se ti piace.”
L’uomo le accarezzò piano i capelli morbidi, anche se un po’
appiccicati dal sonno.
L’uomo le accarezzò piano i capelli e, in quel momento, Kelsi Nielses seppe che il suo
desiderio si sarebbe avverato e che lei non sarebbe mai più stata lei, così
come non sarebbe mai più stata bambina.
Un grido al
mattino in mezzo alla strada
Non poteva averlo fatto davvero.
Non di nuovo.
Aveva giurato che non ci sarebbe cascato mai più, che non
avrebbe più toccato una singola goccia di birra.
Lo aveva giurato, sì, ma allora perché era lì, in ginocchio
in mezzo a una strada vuota, in un vicolo sporco come
il suo cuore ad aspettare che lo venissero a prendere, che lo trattassero come
il mostro che era?
Non aveva capito nulla, nulla, finché la bambina non si era
accasciata tra le sue braccia, immobile, come morta e lui era
scappato, perché non aveva avuto la forza di consegnarsi, perché non voleva
vedere il dolore sul volto di quella madre che aveva perso per sempre
l’innocenza di sua figlia.Che
l’aveva persa per colpa sua.
Avrebbe voluto davvero non avere un cuore, davvero essere
quel crudele maniaco che la gente dipingeva, ma lui non era
così.
Un uomo di
pezza invoca il suo sarto
Lui era solo un pupazzo alla completa mercè di quel tremendo
burattinaio che era il vino.
Quel Mangiafuoco in bottiglia che muoveva i suoi fili sempre
nella direzione sbagliata, sempre più lontano da una vita che vita fosse degna di essere chiamata.
Dov’era Dio in tutto questo?
Dov’era il buon pastore quando
avrebbe avuto bisogno di lui?
Dov’era il Signore, quando le sue stesse mani avevano
portato via l’infanzia a una bambina che non avrebbe
mai potuto vivere una vita normale?
“DOV’ERI???” Strillò, rivolto al
cielo, mentre la volante della polizia si fermava all’imbocco della strettoia.
Con voce
smarrita per sempre ripete
“Io non volevo
svegliarla così.”
Il sogno era finito.
Ora solo le sbarre di una prigione l’attendevano.
Una prigione che sarebbe stata comunque
migliore di quella in cui lui aveva costretto quella ragazzina così bella e
delicata in nome di una notte all’insegna di chissà quale perversa passione.
Nessun prode principe azzurro sarebbe mai
venuto a salvarla, così come nessuno avrebbe avuto pietà di lui.
Ed ecco che vittima e carnefice
erano una cosa sola, costretti in un destino troppo stretto per loro da una
forza maggiore.
Un uomo vestito elegante per la piccola Kelsi.
Una bottiglia di liquido rosso per il mostro di Albuquerque, come tutti lo
avrebbero ricordato.
“IO non volevo
svegliarla così!”
Kelsi, seduta al pianoforte del
teatro della East High,
suonava quella musica troppo allegra per le parole che vi sarebbero state
cantate.
Parole che narravano la fine di un’esistenza.
Parole che spiegavano il perché di quella sua assurda paura
degli uomini, del suo rifuggire ogni forma di affetto.
“È la musica per la canzone nuova?”
La ragazza annuì, senza alzare gli occhi. Si vergognava
troppo per incontrare quei piccoli laghi azzurri pieni di un
desiderio che lei non avrebbe mai potuto soddisfare.
Beh, almeno lui ora sapeva il perché.
“Ho letto le parole… non sono sicuro di aver capito proprio
tutto, ma una cosa la so, Kels.”
Una mano gentile afferrò il suo braccio e un dolce ordine la
costrinse a voltarsi.
Lacrime e amore furono ciò che
vide.
“Dovessi aspettare un milione di anni
a te non rinuncio.”
“Voglio tornare ad andare in altalena” Sussurrò lei, mentre
il suo fiato iniziava a tremare.
“Ci tornerai. E, questa volta, non ci saranno statue di cera
a minacciarti.”
E quell’abbraccio
fu per Kelsi qualcosa di conosciuto e nuovo al tempo
stesso.
L’inizio o, meglio, il ritorno di un sogno.