Capitolo 7
“Instead of giving
in give it all
All we get to is far gone
Instead of looking up just
look down
And see how far we've
come”
[…]
“You
gotta hold on, hold on
Why do we keep Hold on, hold on
Why do we let it go out our
way?
Why don't we stand up and try
again?
You never know
What you lose by letting go
You gotta hold on, hold on or
letting go?”
( Hold On – Jojo )
Discutevano da ore, ma
non sembrava che si riuscisse comunque a venire a capo di niente.
Axel, dal canto suo,
non sembrava
voler scendere a compromessi, e la sua reticenza nel concedere a Sora
il desiderio di unirsi in un'unico gruppo di viaggio non
facilitava
la coesistenza tra i due gruppi.
Eppure Aerith
non poteva fare a meno di sorridere.
In cuor suo sapeva che
prima o poi
il Nessuno avrebbe ceduto al bisogno di far squadra
con il
salvatore dei mondi per avere maggior protezione, per essere
più preparato nell’eventualità di un
nuovo attacco
da parte dell’Organizzazione, che la sua avversione
in
fondo nasceva dal desiderio di non mettere Roxas a disagio, di non
porlo in una posizione scomoda, di svantaggio.
Per proteggerlo.
Quello era il vero
motivo della sua rigidità sull’argomento.
Era sempre stato
quello.
E se prima Roxas si
era mostrato
diffidente nei confronti di quell’ingiustificata apprensione
nei
suoi confronti, col senno di poi, dopo gli ultimi
accadimenti, aveva cominciato a nutrire l’ombra di
un
affetto
consumato che aveva gettato su entrambi il profumo
di
ricordi dimenticati ma non del tutto svaniti.
Lo intuì
dal fare maldestro
con il quale il ragazzo tentava di camuffare la propria gratitudine
per una protezione che non aveva chiesto, per quel continuo
cercare di renderlo felice, di assicurarsi di non ferire i suoi
sentimenti, sentimenti che per natura non avrebbe potuto provare,
sentimenti dei quali Axel però sembrava tener sempre conto,
nonostante tutto.
Ma non si era mai
trattato di cosa
non si potesse o si potesse provare, perché ogni
creatura,
che fosse fatta d’ombra o luce era stata creata, era nata
per nutrire emozioni, per desiderare
di avere qualcuno
accanto, per desiderare di essere amati da qualcuno, voluti,
da
qualcuno, e lei sapeva quanto in realtà avessero tutti
bisogno
di intessere legami, di crearsi una famiglia, di avere un motivo per
combattere.
Qualcuno da chiamare
quando la solitudine diveniva così straziante da stringerti
la gola e intristirti gli occhi.
- Non abbiamo bisogno
di nessun
aiuto – tuonò Axel d’improvviso, il viso
accartocciato dalla stizza feroce che gli avvelenava la voce
–
sono in grado di proteggere entrambi da solo.
La reazione di Sora in
quel caso
tuttavia non si esaurì in un’esasperata ma
paziente
sguardo comprensivo, perché ci fu l’improvvisa
rigidità delle pupille a inasprire la piega di un dialogo
che
Aerith non potè più definire pacifico.
Non quando
era Sora, il
ragazzino dal cuore gentile a tingere il proprio sguardo di durezza,
smorzando il sorriso amichevole per il quale si trovò lei
stessa
a perdere il proprio.
- Io non voglio
costringere nessuno
di voi a seguirmi, ma ho una responsabilità verso Aerith
–
spiegò loro, attirando con l’inflessione ferma
della sua
voce lo sguardo incuriosito di Riku su di sè–
perciò voi potete anche decidere di non accettare la mia
proposta, ma lei viene con me. È stata già
troppo
coinvolta.
Fu per la rabbia
incontrollata che
gli azzannò il cuore nel cogliere l’errore in quel
“con me” e “Aerith” a farlo
agire a quel modo,
o fu l’improvvisa scossa di panico che lo assalì
nel
pensare che se davvero il custode avesse ingaggiato battaglia per
riportarla indietro, Axel non avrebbe potuto impedirglielo,
ma
bastò scagliarsi con un ringhio sul
prescelto
per far scattare Riku nella sua direzione e far
materializzare nelle mani di Roxas il Keyblade.
E ancor
prima di poter anche
solo provare a quietare gli animi Aerith si trovò
a
guardare dal fusto spezzato della colonna sulla quale era seduta la
violenza di uno scontro derivato dalla tensione di qualche attimo, da
uno sguardo sbagliato, da una parola mal intrepretata,
rimamendo
immobile a pensare su come si fosse passati dal discutere
animatamente a metter mano alle armi.
Ma la risposta giunse
decisa e
rumorosa come il cozzare delle lame nelle quali riflesse lo sguardo che
puntò in basso con rammarico, ritrovandosi a
desiderare di
non dover assistere ad una contesa che l’aveva sempre privata
della libertà di scegliere, di poter mostrare quanto in
realtà fosse capace di decidere da sola, di difendersi, da
sola.
Non voglio coinvolgerti
le spiegava una voce che in passato, quando ancora poteva guardarsi
allo specchio e sorridersi senza doversi sforzare di non mostrare il
peso dei suoi anni, aveva amato più di se stessa.
Vogliamo solo assicurarci di
sapere dove trovarti
le rammentava il tono accondiscendete di un uomo
dall’elegante
completo scuro che vegliava su di lei per monitorarla,
perché era stato deciso che fosse così.
Che lei venisse
controllata da chi
aveva gettato l’ombra ingombrante del suo egoismo, del suo
desiderio di potere su di lei e su sua madre Ifalna.
Eppure, alla
fine di tutto,
quando il mondo si era trovato sul punto di pagare per l’odio
di
chi da questo era stato tradito, quando si era decisa ad accettare il
suo compito, il suo destino, aveva capito cosa fosse giusto fare.
E giudicare chi
meritasse la salvezza e chi no, non lo era mai stato.
Distogliere lo sguardo
da quelle
ombre che la guardavano e tapparsi le orecchie per divenire sorda alle
voci che la chiamavano non lo era mai stato.
Decidere di salvare,
di proteggere, di aiutare lo era stato.
Lo fu gettare un
incantesimo
elementare sulle figure che si trovarono a fissare il proprio riflesso
nella spessa lastra di ghiaccio prima di accorgersi finalmente della
voce che nessuno di loro aveva udito, dell’ arrendevolezza di
uno
sguardo che Aerith rivolse alla polvere che si scrollò di
dosso
con un gesto nervoso della mano.
- Sono davvero troppo
vecchia per
assistere ancora a queste cose – cominciò, la voce
vibrante di un’indignazione che le segnò
il viso
tornato a sollevarsi – se il problema riguarda chi
si debba
accollare o meno la mia protezione, allora posso liberarvi da questo
senso del dovere, perché sono sempre stata capace di
difendermi
da me.
- Io non volevo-
- Lo so Sora, ma
parlare di me come se non fossi presente non è stato molto
carino.
Il custode
raggrumò le
labbra in un moto di dispiacere che Roxas specchiò mentre
Riku
faceva svanire la propria arma in un abbraccio d’ombre e
Pippo si
scusava per la mancanza di educazione.
Solo Axel non si
mostrò
rammaricato da quanto detto, dall’insensibilità
dimostrata, e non perché non si fosse risentito della
propria
mancanza, ma perché era ancora scosso
dall’apparizione del
ghiaccio che si trovò a toccare con le sopracciglia
aggrottatesi
gravemente.
- Non sapevo che le
fioraie
sapessero controllare il ghiaccio – soffiò,
fissando
assieme al proprio riflesso il sorriso appena comparso sul viso di
Aerith.
- Da dove vengo io una
fioraia sa fare molte cose.
Piccola e enigmatica
donna.
Avrebbe voluto
dirglielo, porle le
domande che non aveva mai potuto rivolgerle perché non
c’era mai stato un momento adatto, ma Axel aveva colto
l’ombra calata sul suo sguardo, un velo impalpabile che
riluceva
di qualcosa che non andava scoperto, di un vaso che non andava aperto,
e la rabbia evaporò, il bisogno di sapere anche
mente
l’irritazione lo portava ad afferrare Roxas per
l’avambraccio e raggiungerla, un gesto che segnò
la sua
resa.
Una concessione per la
quale Aerith
lo ringraziò in silenzio, invitando Sora a tornare alla
Fortezza Oscura per chiedere notizie su Re Topolino e
decidere il da farsi,
su come prepararsi per quella che si prospettava come una nuova
avventura alla quale ognuno di loro avrebbe dato il proprio contributo.
Promisero a Hercules
di fare
ritorno per un nuovo combattimento una volta che l’arena
fosse
stata ricostruita, e mentre Sora si lasciava colpire amichevolmente con
una pacca sulla spalla dal semidio Riku seguiva con la coda
dell’occhio gli sguardi che di sottecchi Axel lanciava ad una
pensierosa e silenziosa fioraia.
- Allora? Vecchia hai
detto –
gettò lì con finto disinteresse, sentendo su di
sé
gli occhi verdi della donna farsi attenti e curiosi
– quanto vecchia?
Roxas si
trovò a tendere le
orecchie pur pentendosi di mostrarsi così poco fiducioso, ma
era curioso al pari del compagno di scoprire qualcosa in
più sulla misteriosa compagna di viaggio.
E non
perché volesse
informarsi di una possibile ed improbabile
pericolosità
della donna, ma per potersi sentire parte del bizzarro e nutrito gruppo
di strani eroi ed anti-eroi nel quale Aerith, pur non
ricoprendo
un ruolo ben definito, ne era divenuta la colla.
Lei che sembrava aver
salvato
ognuno di loro da qualcosa, da qualcuno, e poter riuscire a ricambiare
il favore era divenuto uno degli obbiettivi che Roxas si era prefissato
di raggiungere.
Quando Sora
attivò il
portale tra i mondi si strinsero l’uno all’altro
per non
venire sbalzati via dal campo di forza ed essere divisi durante il
viaggio, una possibilità della quale Axel
impedì il
riverificarsi allacciando un braccio attorno alle spalle della donna
per impedirle di andare a innervosire qualche altra divinità
vendicativa.
E fu mentre la luce li
bagnava che
Aerith si decise a rispondergli, afferrando la mano che Riku aveva
inconsciamente fatto veleggiare attorno al suo avambraccio
con
titubanza senza realmente afferrarla.
Li strinse tutti a sè in un moto di commozione,
tirando con la mano libera la casacca di Sora e guardando il lampo di
luce che le illuminò il viso di una consapevolezza
che le
ricordò che nonostante tutto, nonostante gli sbagli commessi
e
le perdite subite, valeva la pena soffrire per circondarsi di tanto
amore.
Ne sarebbe sempre
valsa la pena.
- Non ti hanno
insegnato che è maleducazione chiedere
l’età ad una signora?
°°°
Leon non si era sempre
chiamato così.
Un tempo, quando
ancora aveva un
orgoglio e un nome del quale andare fiero, quando ancora
poteva
definirsi un guerriero, il suo nome era stato un altro, lui,
era
stato qualcun altro.
Un
uomo forte, coraggioso, e invincibile, un tempo.
Ma poi non
lo era stato più.
E quando era successo,
quando si
era trovato in ginocchio a guardare impotente la distruzione della sua
città, della sua casa, quando era stato sconfitto, era
fuggito
per salvarsi la vita senza più guardarsi indietro.
Come un codardo
avrebbe fatto.
Come l’uomo
che era stato, lo Squall che la gente conosceva, non si sarebbe mai
permesso di fare.
Eppure lo
aveva fatto, era
fuggito, e il disonore lo aveva spogliato di un nome che non era stato
più quello di un eroe, ma di un vigliacco che non era
riuscito a
difendere la propria casa.
Aveva vagato a lungo
senza sapere
dove stesse andando, da quanto stesse camminando,
da quanto
non mangiasse o bevesse, quanto ancora mancasse per potersi sentire
meglio, per potersi guardare allo specchio, per poter alzare lo sguardo
da terra.
E quando era successo, quando
si era ritrovato a fissare dopo mesi di silenzio e
freddo
gelido la tonalità calda di uno sbuffo di capelli profumati
che
gli aveva frustato il viso, lo aveva alzato per
sibilare al
malcapitato di fare più attenzione prima di
sentire il
passante fermarsi ad osservarlo e decidere poco dopo di toccargli la
spalla per chiedergli se stesse bene.
L'aveva guardata a
lungo, in
silenzio, preso in contropiede dall’abbraccio
morbido di un
sorriso che la giovane donna gli aveva rivolto con gentilezza,
tendendogli al contempo una mano che lui aveva poi guardato diffidente,
come sempre era stato.
Come non aveva mai
smesso d’essere.
Lui che guardingo era
stato
costretto ad esserlo, fino a divenire paranoico, fino a nutrire
sospetto per un’innocua e innocente ragazza dal sorriso
gentile
che pareva solo volergli dare aiuto, ma lui non ne aveva bisogno.
Tutto ciò
che voleva era
dimenticare l’orgoglio ferito e fingere di non esistere, di
non
aver bisogno di un’inopportuna e stupida donna che gli
offriva
qualcosa che lui non aveva chiesto, e le cose sarebbero andate
diversamente, se non si fosse deciso a guardarla negli occhi per
consigliarle di farsi gli affari suoi.
Forse non si
sarebbe trovato dove era ora.
Non avrebbe avuto una
casa.
Non avrebbe
costruito una famiglia della quale assumersi la protezione.
Non
sarebbe tornato ad essere qualcuno al quale valesse la pena
dare un nome.
Ma lo aveva fatto.
Era stato tratto in salvo, era stato liberato dal peso di una vergogna
che il verde acceso di quelle iridi aveva ripulito come un
sorso
d’acqua fresca che lava via il dolore, l’amarezza,
il
rimorso e i rimpianti.
Perché
Aerith lo era stata per lui.
La mano da stringere
per poter tornare in piedi.
La voce da seguire per
poter trovare la strada di casa.
Lo sguardo in cui
poter ritrovare se stesso.
Ed era colpa sua se
ora si trovava
a rovistare tra i libri di Merlino con l’ansia di scoprire un
modo alternativo per viaggiare tra i mondi, per andare a cercarla.
Perché era
stato lui, lui e
il suo stupido e ossessivo bisogno di lottare, di trovare qualcuno da
punire per quello che aveva passato, ad averla allontanata da lui, ad
averle segnato il viso di delusione, di rammarico, e non sarebbe
bastata una vita a cancellare il dolore di quell’aria ferita.
Non se lo sarebbe mai
perdonato.
Avrebbe pagato il suo
errore per la
vita, e lo avrebbe fatto, ma dopo averla trovata, dopo essersi
assicurato che quel Nessuno non le avesse fatto del male, che stesse
bene, che fosse al sicuro.
Quando la porta e il
suo cigolio lo
avvisarono dell’arrivo di qualcuno Leon non si
diede pena
di alzare il viso dal libro che sfogliava da giorni, un libro che
parlava di porte segrete e passaggi che avrebbero potuto condurlo da
lei.
- Leon? –
chiamò
Yuffie nel precedere le figure che invitò a
rimanere
nell’ombra mentre Sora accostava la giovane ninja e posava
dopo
tanto tempo lo sguardo su quello che fin da bambino aveva preso come
esempio da seguire.
Un eroe, uno di quelli
che solo guardandoli ti facevano sentire al sicuro, protetti dai
pericoli.
- Ci sono delle visite.
- Merlino è
tornato? –
chiese il soldato con urgenza, ringhiando di frustrazione nel
richiudere il tomo e gettare uno sguardo esasperato al soffitto
–
ancora nulla – mormorò poi tra sé e
sé.
Yuffie soppresse un
sorriso – no, ma è qualcuno che sono sicura sarai
contento di rivedere.
- Davvero? E chi-
- Hey Leon!
Il tono era stato
amichevole, allegro e tanto familiare da
convincerlo ad abbandonare le
ricerche e cercare con lo sguardo quello che tempo
prima
aveva considerato un piccolo moccioso sulle cui spalle gravava un peso
troppo grande, troppo importante.
Il bambino inesperto dal sorriso buono che stentò a
riconoscere quando si voltò.
Perchè era cambiato, Sora.
Era diventato un uomo.
Era diventato
un eroe.
L’eroe dei
mondi al quale concesse uno sguardo colpito, orgoglioso.
- Guarda chi si
rivede. Ne è passato di tempo.
-
Già –
concordò il custode in preda all’imbarazzo,
grattandosi la
nuca con fare impacciato mentre Paperino e Pippo lo accostavano e
salutavano il temibile e silente guerriero della Fortezza
Oscura con
meno enfasi – ho avuto molto da fare.
- Tutti hanno sempre
qualcosa da
fare – lo riprese con il solito tono inflessibile,
abbandonando
lo sgabello scomodo che occupava da ore per raggiungerlo a braccia
conserte e sopracciglia aggrottate – ma il tempo per fare un
salto dai vecchi amici e far sapere loro se si è ancora vivi
lo
si trova sempre.
La battuta
colpì lì
dove doveva colpire, e il rossore che gli tinse le guance
mostrò
quanto davvero Sora si sentisse in colpa per averli fatti stare in
pensiero, ma soprattutto, per non ricordarsi abbastanza
spesso
che qualcuno ad aspettarlo ci sarebbe sempre stato.
- Lo so e mi
dispiace –
mormorò impacciato, schiudendo un sorriso largo per
sopperire al
disagio – ma Aerith mi ha già rimproverato a
sufficienza
per questo.
Quello Leon non lo
aveva visto arrivare.
Ma quando quel nome
lasciò
le labbra del custode Yuffie non poté che lanciare
un’occhiata indignata all’amico,
colpevole di aver
rovinato la sorpresa mentre il soldato pareva aver subito una paresi
facciale per la quale l’aura minacciosa che
già lo
rendeva temibile si accentuò tanto da far sobbalzare
Paperino e
Pippo per la paura.
- Cosa hai detto?
– lo sentirono sussurrare con un filo di voce.
- Ecco io-
-
Dov’è? Dov’è
lei? – cominciò a ringhiare
irritato, avanzando minaccioso di un passo –
dov’è quella piccola-
Il passo frettoloso di
quello che
pareva un piccolo cerbiatto sovrastò il sibilo che avrebbe
rischiato di far perdere a Sora altro colore al viso, e quando le assi
del pavimento accolsero i piccoli piedi di una donna dal sorriso
ampio e le guance spruzzate di rosso Leon non potè
fare
altro che tacere e stare a guardare.
Aerith si
sistemò una ciocca
di capelli dietro l’orecchio nel nascondere dietro la propria
schiena le figure spaventate di Pippo e Paperino, studiando in silenzio
l’espressione sorpresa del soldato dallo sguardo divenuto
improvvisamente vitreo.
- Sono tornata
–
esclamò, le braccia schiuse nell’accenno di un
abbraccio
nel quale Leon avrebbe anche potuto lasciarsi stringere se
l’irritazione non lo avesse reso tanto inavvicinabile.
Perché
Aerith gli
sorrideva come se non fosse scomparsa per settimane senza dare notizie
di sé facendolo sprofondare in un baratro di disperazione e
paura, e avrebbe voluto urlare quanto fosse stato in pensiero, quanto
si fosse sentito in colpa per averla trattata a quel modo, per non
averle dato modo di spiegarsi, di farsi ascoltare, ma tutto
ciò
che fece fu rimanere immobile e silente sotto lo sguardo curioso della
donna.
- Credo stia
elaborando di
chiuderti in uno scantinato e buttare via la chiave – le
bisbigliò Yuffie in un orecchio, adocchiando
l’espressione
granitica dell’amico – non faceva che brontolare
che quando
ti avesse trovato ti avrebbe chiuso da qualche parte per
impedirti di raccogliere per strada qualche altro brutto ceffo.
Ma Aerith che
conosceva il linguaggio del corpo del soldato poteva vedere il sollievo
in fondo agli occhi chiari di Leon.
Leon che non era bravo
a mostrare i propri sentimenti.
Leon che proteggeva e
amava in modo
sottile, in un modo che il più delle volte non si riusciva a
cogliere, né a vedere.
Ma amava, e lei aveva
passato
troppo tempo a leggere le anime degli esseri viventi per non
notare come quella di Leon fosse di un colore
sgargiante,
il rosso vivo di un leone dalla folta criniera capace di ruggire di
fronte un nemico e soffiare dolcemente su chi sceglieva di proteggere.
Di amare.
Quando la vide
andargli in contro
Leon non seppe come reagire, cosa aspettarsi, se indietreggiare o
lasciare che lei lo toccasse, un’indecisione che fu lei a
tramutare in azione allacciando le braccia attorno alla sua vita per
stringerlo in un abbraccio che sapeva di casa, che sapeva di Aerith.
Aerith che amava, e
che quando lo faceva amava troppo anche chi
quell’amore non se lo meritava.
Aerith che non aveva
paura di
lasciare il fianco scoperto, ma che aspettava di essere accettata, di
essere vista per quella che era.
Una donna che non
faceva distinzioni di razza e origine.
Una donna che quando
decideva di salvare, salvava tutti indistintamente senza
differenze di sorta.
Ma quando ti salvava,
quando tendeva la sua mano verso di te, non si poteva dirle di no.
E Leon non lo fece.
Smise di pensare a
cosa dirle, a
come spiegarle il perché delle sue azioni, a come
chiedere
perdono per i suoi sbagli, perché lei aveva
capito, e
nonostante tutto, lo aveva già perdonato, lo aveva
salvato
ancora una volta dalla sua incapacità di mostrare che oltre
al
viso inespressivo e lo sguardo duro c’era un uomo qualunque.
Un uomo come gli
altri, capace di ferire ed essere ferito, come gli altri.
Perciò si
arrese
all’idea di trovare parole complicate delle quali comunque
non avrebbe capito pienamente il significato, e si
limitò
ad agire come sempre aveva fatto, a esprimere in gesti quello che non
riusciva a dire a parole.
L'
abbracciò forte,
sorridendo debolmente nel sentirla rafforzare la presa attorno alla sua
schiena, dimentico di chi avesse davanti, di essere guardato e magari
giudicato, ma non gli importava, e si abbandonò a quel
momentaneo silenzio prima che il suono di una voce che non
conosceva, che non ricordava di aver mai sentito lo portasse
a
schiudere le palpebre poco prima serrate.
E ciò che
trovò gli
causò un brusco aggrottamento di
sopracciglia
per il quale Roxas, che non era riuscito a non tollerare quel
silenzio, si aggrappò istintivamente al braccio di Axel,
incupitosi a sua volta nel cogliere lo sguardo duro del soldato che nel
riconoscerlo si abbandonò a un basso sibilo di sconcerto.
- Cosa ci fa quello qui? E chi
è quel ragazzino?
Aerith comprese con un
sospiro
rassegnato di non poterlo più blandire,
sciolse
dunque l'abbraccio per seguire gli occhi cupi dell’amico
puntati
alle sue spalle, sulle tre figure appena uscite dall’ombra
una
volta capito di non aver più bisogno di rimanere nascoste.
- Che hai da guardare?
–
latrò Axel in un eccesso di irritazione, rafforzando la
presa
attorno alle spalle del compagno mentre Riku reggeva con sfida lo
sguardo feroce con il quale Leon si trovò a fissarlo,
inasprito
dall’aura cupa che se da bambino aveva reso Riku sbagliato e
pericoloso, ora che era adulto pareva aver persino
incattivito
quegli occhi di un gelo che ghiaccia il cuore e il respiro.
- Lui è
Roxas –
intervenne Aerith con voce calma, rigirandosi nell’abbraccio
per
indicare il ragazzino biondo che faticò a mantenere
l’occhiata feroce del soldato – lui invece
è Axel e
ti ricordi di Riku vero?
- Credo che sia
difficile
dimenticare uno come lui – si ritrovò a sibilare
cattivo,
cogliendo il modo in cui il ragazzo pareva averlo frustato con lo
sguardo incupito da una rabbia fredda che gli vomitava addosso con le
pupille strette e sottili.
- Ma - ma siamo di
nuovo tutti
insieme, ed è questo ciò che conta –
esclamò Yuffie nel vano tentativo di
stemperare la
tensione nelle spalle del compagno e nei suoi nuovi amici.
- Yuffie ha ragione
–
soggiunse Sora con entusiasmo, accostando l’amico
d’infanzia per rimarcare la sua posizione al riguardo
–
l’importante è che siamo riusciti a trovarci di
nuovo.
Leon
ammorbidì la piega
delle labbra a quell’ultima frase, toccato anche lui dal
ricongiungersi della vecchia squadra, tuttavia rimaneva il
fatto
che ancora non capiva cosa ci facessero quelle tre figure lì
con
loro, ma in fondo sapeva già a chi era dovuta quella visita
inaspettata.
Perché
Aerith aveva sempre
avuto la pericolosa abitudine di portare a casa personaggi di dubbia
provenienza, a partire dal migliore amico di Sora che in lui aveva
sempre lasciato un retrogusto amaro, una diffidenza che non aveva
potuto che acuirsi col passare del tempo e con il tradimento compiuto
da questo.
Ragionamenti che una
persona con un
minimo senso del pericolo avrebbe formulato, sfortunatamente
per
lui, l’amica sembrava aver maturato negli anni un metro di
giudizio che riteneva tutti bisognosi di aiuto, di un posto in cui
stare, di una persona in cui confidare.
E Leon odiava che lei
si rivestisse sempre di quel ruolo, come se si sentisse in dovere di
aiutare l’umanità intera.
Come se non avesse
fatto altro per tutto la vita.
Un pensiero che non
poteva sapere,
non si discostava così tanto dalla realtà, ma in
fondo
Aerith aveva trovato il suo posto nel mondo, una stanza nella
quale avrebbe cercato di far entrare quante più persone
possibili per essere loro d’aiuto, di sostegno, per mostrare
che
tutti avevano bisogno di amore.
Anche chi non si
credeva capace di provarlo.
E la prova era sotto
gli occhi di tutti, nei cuori di quei compagni che Aerith era riuscita
a riunire ancor una volta.
- Loro sono con me
Leon –
spiegò pratica, abbracciando con lo sguardo i nuovi
arrivati prima di sorridere e alzare il viso verso il
compagno
che per un’attimo, avrebbe potuto giurare di aver
visto
masticare una maledizione a mezze labbra – ti avevo promesso
che
avrei trovato nuovi membri per il nostro Comitato
di
Restaurazione di Hollow Bastion. Non sei contento?
Gridarle contro a quel
punto
sarebbe stato sciocco, perché tanto lei non avrebbe
ascoltato,
non avrebbe accettato un rifiuto da parte sua, si sarebbe opposta con
tutte le sue forze affinchè lui li accettasse, e il terrore
di
vederla andare via con quella stramba squadra di salvataggio lo
atterriva.
Il pensiero di non
poterle andare contro, lo atterriva.
Ma si arrese con un
blando cenno del capo.
Perché
era tornata, e
Leon aveva sempre saputo che quando l’avesse vista
entrare
da quella porta, quando si fosse decisa a tornare a casa dopo le sue
lunghe e solitarie passeggiate non l'avrebbe mai trovata
sola,
ma in compagnia di qualche anima persa che lungo la
strada
si era decisa ad aiutare, a salvare.
Perché lei
era Aerith, era
luce, e nessuno poteva impedirsi di seguire quell’unico
barlume
di speranza in un mare di oscurità.
Neanche lui.
°°°
Quando Aerith si
chiuse la porta
alla spalle tentò di non far scricchiolare l’asse
del
pavimento che Leon non si era mai deciso a cambiare, convinto di
poterlo adoperare come eventuale segnale dall’arme
nel caso
qualcuno avesse tentato di coglierli di sorpresa nella pace dei loro
letti.
Un pensiero da Leon
aveva risposto lei quando lo aveva udito la prima volta, ma con il
passare degli anni si erano quasi affezionati a quel lieve
scricchiolare, perché sentirlo avrebbe voluto dire che chi
era
stato di turno quella sera per la ronda era tornato sano e salvo a
casa, e ciò era bastato a lasciarlo lì
dov’era
sempre stato.
Tuttavia, svegliare
Sora e i
compagni dopo la lunga ed esasperante lotta verbale tra Leon e Axel
avrebbe impedito a tutti di avere il giusto riposo dopo un viaggio
lungo come il loro, perciò si premurò di
scavalcarla in
silenzio e discendere in punta di piedi le scale che
portavano
allo studio.
Aveva riposato per un
paio
d’ore, e benchè Cid le avesse sempre ripetuto che
una
ragazzina come lei aveva bisogno di più tempo per recuperare
le
forze, spiegargli che lei in passato aveva dormito anche
troppo a
lungo avrebbe sollevato domande alle quali non voleva dare una risposta.
Perché era
complicato.
La loro situazione,
era complicata,
e sarebbe stato doloroso riportare alla memoria ricordi dei quali
Yuffie e Cid avevano perduto cognizione.
Prima magari, quando
li aveva
ritrovati e non l'avevano riconosciuta aveva provato il desiderio
di confessare loro che lei li aveva conosciuti, in
una
vita passata, che avevano viaggiato e lottato insieme prima che il loro
mondo scomparisse, prima che lei andasse a raccoglierli per condurli
nel lifestream, ma quando aveva letto la pace nei loro volti, quando
aveva colto la felicità nei loro occhi non aveva avuto cuore
di
rivangare il passato.
In fondo, era passato
davvero tanto tempo da allora, da quando
il loro pianeta aveva ceduto ed era stato inghiottito dalle tenebre che
avevano divorato i cuori di chi ancora era rimasto.
Da quando era stato permesso solo ad alcune anime di salvarsi
e
di ritornare in vita, da quando solo ai cuori più
forti, a
chi nel futuro sarebbe potuto tornare a combattere una nuova
guerra era stato concesso di poter avere un’altra
possibilità, di poter rinascere, e lei invece, lei aveva
dormito
fino a quando qualcuno non l’aveva trovata e risvegliata.
Il suo compito,
più di tutti
gli altri, non era mai finito in verità, perché
lei era
l’ultima dei Cetra, l’unica che potesse
attraversare
il ponte tra morte e vita per condurre le anime alla luce, alla pace, e
quando il suo mondo era venuto meno, quando la salvezza non era stata
più possibile, un altro mondo aveva richiesto il suo aiuto,
il suo
potere.
- Bentornata bambina.
Non si era aspettata
di trovare
qualcuno, ma quando sentì la voce e il calore del
camino
acceso lambirle il viso riconobbe l’uomo abbandonato sulla
poltrona a fiori intento a rimirare le fiamme e bere una tazza di
tè.
Bambina.
L’aveva
chiamata così la prima volta che l’aveva vista,
quando era andato a svegliarla, a chiederle aiuto.
Merlino era un mago
potente, molto
più potente di quello che le apparenze lasciavano intendere,
ed
era forse il suo fare maldestro che ingannava i più sul suo
vero
ruolo in tutto quello.
Perché
ancor prima che il
keyblade fosse stato scoperto, prima ancora che un prescelto fosse
stato scelto, era a lui che i mondi si erano rivolti per
ricevere
aiuto.
Lui che viaggiava nel
tempo con
fare svampito e brontolava quando qualcosa andava storto, un eroe
avrebbero detto alcuni, un eroe strano e dimenticato visto
tutto il
tempo trascorso da allora, ma lei non aveva dimenticato niente, e
quando lui aveva deciso di prenderla sotto la sua ala protettrice e
farne sua allieva, anche lei aveva potuto avere la sua
seconda
possibilità.
- Una tazza di
tè con un
vecchio brontolone? – la invitò il mago con voce
gentile,
allungando una mano per indicarle la poltrona accanto alla sua.
Aerith gli sorrise con
calore,
raggiungendolo in silenzio mentre le fiamme del camino disegnavano un
gioco di luci e ombre sulla lunga vestaglia che sollevò da
terra
per non sporcarla con la cenere che si era depositata ai piedi del mago.
- Non declinerei mai
l’invito di un uomo tanto galante.
Merlino si
abbandonò ad una
risata soffice, raddolcendo le pieghe attorno agli occhi quando
l’ebbe tanto vicina da poterne percepire il profumo di fiori
e
bagnarsi della luce di uno sguardo che anche nella penombra
tingeva ciò che la circondava di un mite
e dolce
bagliore.
- Allora, ho
saputo della tua piccola avventura. Un Nessuno quindi?
- Axel – lo
corresse
istintivamente – Si chiama Axel. E non
è stata
una vera e propria avventura. Ho solo aiutato un amico nei guai.
Con un sorriso bonario
il mago fece
comparire una tazza di tè tra le mani della pupilla,
allungando
uno sguardo alla scala in ombra nel cogliere un lieve
scricchiolio dal quale Aerith, catturata dal movimento sinuoso delle
fiamme non sembrò esserne stata attratta.
- Molti farebbero
fatica
persino a considerare un Nessuno una persona,
mentre tu lo
hai appena definito un amico – le
fece notare
con voce indulgente, un sorriso sottile in viso.
Aerith
sollevò su di lui uno
sguardo sinceramente stupito, quasi non avesse colto la lieve nota di
orgoglio e sorpresa nel suo dire puntiglioso.
- Ma Axel è
una persona. Una brava persona
oltretutto, un
po’ bellicoso alle volte – e lì si
lasciò
sfuggire l’accenno di una risata – ma è
un buon
amico.
- Da come lo descrivi
non sembra uno di quei Nessuno pericolosi di cui Leon parla
sempre – constatò.
- Axel non
è
pericoloso, non metto in dubbio che vi siano
personaggi
pericolosi tra loro, ma essere un Nessuno non equivale ad
essere
una creatura pericolosa e crudele. Ho conosciuto uomini ben
più
terribili di loro.
E non mentiva.
Aveva conosciuto
uomini capaci di
mostruosità irripetibili, esseri umani capaci di calpestare
la
vita di un loro simile pur di raggiungere i propri fini, uomini tanto
crudeli e meschini da lasciare una bambina orfana di madre dopo averla
tormentata come il peggiore degli incubi.
- Non hai mai pensato
di
condividere il tuo passato con altri? Sai che Leon ha sempre sofferto
di questo tuo silenzio– mormorò Merlino
sovrappensiero, le
rughe del viso che si inspessivano nel cogliere l’ombra
calare
crudele sull’espressione ferita di Aerith.
Seguì
con la coda
dell’occhio il breve guizzare di un profilo che scomparve
subito
dietro l’angolo, un movimento del quale la giovane
donna,
presa com’era dal vortice di ricordi che le intristiva il
viso
non prese coscienza, ed era meglio così.
Perché
Merlino era vecchio,
tanto vecchio, più di quanto volesse credere lui stesso, e
sapeva che Aerith era circondata da persone che la amavano, persone che
avrebbero sacrificato se stessi pur di renderla felice,
compagni
che si struggevano per conoscere il motivo di quel breve ma sordo
dolore che alle volte feriva gli occhi della maga.
Un lampo di sofferenza
che lui stesso avrebbe voluto catturare tra le dita per liberarla da
ciò che la tormentava.
E c’era
qualcuno dietro
quell’angolo che si sarebbe voluto caricare di quel dolore,
qualcuno che avrebbe potuto amarla come avrebbe meritato,
perchè lui aveva
visto brillare negli occhi di quel bambino senza luce il desiderio di
proteggerla, di poter essere per lei un giorno
l’uomo al
quale affidarsi.
L’uomo dal
quale lasciarsi amare.
- E a quale scopo. Non
farei altro
che farlo soffrire – sussurrò a se stessa, il viso
inghiottito dalle fiamme nelle quali per un attimo rivide una figura
femminile che correva, che non aveva mai smesso, una figura che alla
fine di tutto, nonostante la distanza guadagnata, veniva sempre
raggiunta – credo che ognuno di noi abbia già
qualcosa per
cui essere tristi. Ed aggiungere dolore al dolore non sarebbe giusto.
- Ma neanche sminuire
il proprio
per il bene altrui lo è Aerith – e nella voce di
quel
vecchio mago si potè percepire la tristezza di un padre
incapace
di consolare il dolore di una figlia afflitta da un male incurabile.
Le coprì la
mano con la
propria in un gesto affettuoso che lei ricambiò debolmente,
inghiottita da immagini che nella sua testa divenivano sempre
più cupe, tristi, dolorose.
- Io non sminuisco
ciò che
ho subito, ma li amo troppo per potermi
permettere di condividere il mio passato con loro. Voglio che
mantengono la visione che hanno di me.
La stretta si
rafforzò sulla
sua mano, quasi a darle un conforto di cui Aerith non aveva bisogno,
perché non era per orgoglio che non voleva scoperchiare il
vaso
dei propri ricordi, non era per la paura di essere commiserata che non
parlava, ma era per difenderli da un dolore che era suo dovere reggere
da sola.
Lei che le sue
responsabilità se le era assunte fin da bambina.
Fin da
quando lo sguardo stupito di sua madre Elmyra le
aveva fatto capire di essere diversa.
Di avere un compito da
assolvere, un dovere che forse mai avrebbe smesso di portare a termine.
Perché ci
sarebbe sempre
stato bisogno di una guida in quel mare di oscurità, e
avrebbe
sempre teso la sua mano quando fosse giunto il momento di accogliere
una nuova anima sola.
Lo doveva ai
suoi antenati.
Lo aveva voluto per se
stessa.
Aiutare chi non
chiedeva aiuto. Salvare chi non voleva essere salvato.
Essere le braccia in
cui potersi abbandonare ad un sonno pacifico e sereno che niente
avrebbe più turbato.
- Ma loro conoscono
solo
l’Aerith gentile e caritatevole, mentre l’altra
parte di te
stessa rimane nascosta in quell’ombra che anche se non te ne
accorgi, qualche volta si riesce ad intravedere – le
mormorò con un filo di voce.
- E lì deve
rimanere –
si trovò ad affermare lei con durezza, alzando sul suo
mentore
uno sguardo che sapeva divenire più forte di un uomo con la
spada in mano, più saggio di un vecchio dalle rughe pesanti
come
coltri di sabbia, e in quel momento, più triste di un ultimo
respiro spirato nelle braccia di chi si sta per lasciare.
- Perché
anche se sono stata
braccata come un animale, anche se sono stata trattata come una cavia
da laboratorio da dissezionare e accoppiare ciò
non ha mai
cambiato quello che sono sempre stata.
- Cosa?
Attese Merlino.
Attese per secondi nei quali potè percepire i due respiri
strozzati in fondo alla stanza, e su per le scale, fermi ad attendere
assieme a lui un’affermazione che ripulì lo
sguardo di
Aerith dalla tristezza e della rabbia che le aveva scavato il viso.
- Una
fioraia.
La risata che
cavò dal petto
del vecchio mago fu dolce, una cascata di zollette di zucchero che
continuarono a galleggiare nel flusso dorato del tè che
ripresero a bere in silenzio, le mani strette in un abbraccio che
sapeva di un amore filiale che né l’uno
né
l’altra avevano avuto la possibilità di provare
fino in
fondo.
E mentre le prime luci
dell’alba rischiaravano le strade di un' assonnata Fortezza
Oscura Axel chiudeva in silenzio la distanza tra
le
scale e la stanza da letto, il viso prosciugato dal colore che la luce
filtrata dalla finestra del corridoio gli donò con
gentilezza.
Toccò
l’asse che
scricchiola, quello che aveva svegliato lui e l’altra
figura scivolata assieme a lui fuori dal letto
per
tendere l’orecchio e ascoltare ciò che non doveva
essere
udito, ciò che Aerith aveva fatto bene a non raccontare.
Perché
faceva male.
A lui, fece male.
Un dolore che se in
Axel aveva
risvegliato il desiderio di correre sotto le coperte e stringere al
petto Roxas nella speranza di aver solo sognato tutto quello, nel
ragazzo fermo sugli ultimi quattro scalini aveva ucciso la
luce
nello sguardo.
E fu quando i raggi di
una nuova aurora
raggiunsero lentamente il primo scalino, fu quando il passo
soffice
di piedi piccoli e la voce sottile toccò le corde di un
cuore
che nessuno prima d’allora era anche solo riuscito a sfiorare
che
Riku si convinse a muoversi, scendendo gli ultimi scalini in due e
celeri falcate che lo portarono lì dove il suo cuore gli
aveva
sempre sussurrato di voler essere.
Lì dove si
fermò a
guardare il sussulto di sorpresa con il quale Aerith alzò su
di
lui uno sguardo perso prima di riconoscerlo e augurargli il
buon
giorno con un sorriso mentre lo sguardo tornava ad illuminarsi
e
in fondo, lì dove la luce non arrivava,
un’ombra
ancora più terribile e crudele si annidava come un serpente
in
attesa di mordere e infettare del suo veleno chi quella stessa luce
aveva provato a smorzare.
Un veleno nero come il cuore che quelle piccole
mani pallide aveva raccolto da terra, divenendo inconsapevolmente una
prigione di dita dalla quale Riku non era
più riuscito a liberarlo.
Continua…
Dopo una vita, ecco un nuovo capitolo.
Ringrazio chi ha letto, e dedico questo capitolo a kalea95
per essere stata ancora una volta
così gentile da farmi sapere la sua sulla storia, davvero,
grazie di cuore.
Cercherò di aggiornare per quanto possibile, un saluto
Gold Eyes
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