“Ehi,
signore, perché mi guardi?”
“Somigli
tanto alla mamma”
“Ma
tu la conosci?”
“Sì,
l’ho conosciuta tanto tempo fa”
La
bimba che lo stava guardando doveva avere intorno ai cinque anni, aveva i
capelli biondi come il grano e gli occhi di un incredibile color smeraldo ed
un’aria furba ed impertinente; si era fermata davanti a lui in un atteggiamento
che lo fece sorridere, gli ricordava proprio la sua mamma, con le manine sui
fianchi e l’aria impettita.
“Perché
ridi? Mi prendi in giro?”
“No
che non ti prendo in giro…”
“Rose!
Rose!”
“Sono
qui mamma, c’è un signore che ti conosce!”
L’aveva
osservata a lungo, seduto su una panchina nel parco. Non era cambiata molto,
non portava più i buffi codini di quando l’aveva conosciuta, aveva una coda
morbida che le raccoglieva i riccioli dorati, stretta con un piccolo nastro
rosso. Indossava un abito rosa e bianco, senza maniche, che lasciava scoperte
le braccia. Il tramonto stava tingendo d’oro e rosso il cielo settembrino di
New York, il parco era molto frequentato a quell’ora da giovani coppie, mamme con
bambini, anziane signore a passeggio. Lei spiccava tra tutti per quella risata
argentina: la ricordava molto bene anche se erano passati tanti anni.
Lei
si voltò verso la piccola, aveva in braccio un bimbo biondo che aveva gli occhi
azzurro scuro, aveva circa un anno, si stava dimenando perché voleva scendere
per sgambettare. Lei lo mise giù e lo lasciò andare da solo, il bimbo camminò
incerto sulle gambe e alla fine si attaccò ai suoi pantaloni fissandolo con uno
sguardo attento.
“Ciao”
gli disse sorridendo Candy.
“Ciao”
le rispose lui con un nodo in gola, no, decisamente non l’aveva dimenticata,
aveva avuto altre storie, alla fine si era sposato anche lui, era felice ora,
ma quell’emozione, quel nodo che gli stringeva i visceri, solo lei era in grado
di suscitarlo.
La
guardò attentamente: il tempo non sembrava davvero essere passato per lei,
sembrava solo essere diventata più sicura, sembrava aver perso quella pena che
lui lesse in fondo ai suoi occhi tanti anni prima, la pena di non appartenere
ad una famiglia. Ora era raggiante.
“Mamma,
è vero che conosci questo signore?”
“Sì,
Rose, è vero” le rispose dolcemente, la testa bionda inclinata da un lato.
“Dice
che ti somiglio”
“Sì
amore mio, è vero, mi somigli, ma te lo dicono sempre anche gli zii”
“Ma
lui non l’ho mai visto..”
“Hai
ragione…”
“Come
ti chiami signore?” chiese la bimba guardandolo negli occhi.
“Terence,
piccola”
“Non
sono piccola!”
“Adesso
somigli ancora di più alla mamma..”le rispose ridendo, lei aveva messo il
broncio, Candy rise sua volta.
Quanto
tempo: lui e Candy si guardarono a lungo, Candy lo osservò con attenzione.
Terence era ancora bellissimo, i capelli scuri erano sempre lunghi,
l’espressione più serena negli occhi blu, era diventato un uomo.
Rivederlo
le aveva fatto sentire una morsa nello stomaco: sapeva che aveva fatto la cosa
giusta, sapeva che Albert era l’unico uomo della sua vita, la roccia su cui
poggiava la sua esistenza, ma quell’amore terribile, forte, drammatico, anche
se lontano, le era rimasto dentro, un pezzo della sua anima che lei non aveva
saputo domare.
Non
si sentiva in colpa per quello che provava, non toglieva nulla all’amore
infinito che aveva per il suo principe: il sentimento che la stava sconvolgendo
era un misto di gioia, tristezza, rimpianto, tenerezza, malinconia.
Il
piccolo era rimasto attaccato ai suoi pantaloni ed aveva continuato a guardarlo
serio. Terence lo prese in braccio e lo guardò meglio: somigliava tutto al
padre, gli stessi occhi attenti e limpidi, gli stessi tratti splendidi, solo i
capelli sembrava averli presi da Candy, piccoli riccioli ribelli color
dell’oro.
“Lui?”
“Anthony”
……un
attimo di imbarazzo………
“Come
stai?”
“Bene,
signorina tutte lentiggini..”
Il
piccolo iniziò a divincolarsi, chiamando “Pa..papà…papà..”
A
Terence si strinse il cuore per un attimo: “Io non sono papà”, -Avrei potuto
esserlo, forse avresti avuto anche lo stesso nome, chissà…-
Il
piccolo continuava a chiamare “Papà” e lui si rese conto che guardava oltre la
sua spalla; si voltò, Albert era dietro di lui, sorridente che guardava
teneramente il figlio.
“Ciao
Terence” e prese il bambino in braccio dandogli un bacio.
Un
tempo avrebbe voluto odiarlo, per quello che rappresentava, per quello che
aveva avuto ma non ci era riuscito: non sarebbero più stati amici ma sapeva che
lui era stato leale, che non c’erano stati inganni, che era stata lei a
scegliere, nessuno dei due avrebbe potuto mutare quella decisione. Gli faceva
comunque ancora male, aveva ancora un pezzetto di cuore che talvolta si
domandava come sarebbe stata la sua vita se Candy non se ne fosse andata. Non
ci pensava quasi mai: quelle poche volte che accadeva una malinconia dolce come
l’autunno gli prendeva il cuore per un po’.
“Ti
trovo molto bene” gli disse Terence.
“Anche
tu sei in splendida forma”, il piccolo non ne voleva sapere di stare fermo in
braccio e lo mise giù.
“Sei
qui per affari?”
“Come
sempre…ormai sono condannato” gli rispose sorridendo a metà, “niente più
vagabondaggi”
Ancora
imbarazzo…
“Beh,
è ora di andare, tra poco devo essere a teatro…”, sorrise.
“Arrivederci
Terence” gli disse Albert, dandogli la mano.
“Ciao”
con un grande sorriso dolcissimo fu il saluto di Candy.
“Ciao”
Se
ne andò guardando il cielo sopra di lui che diventava sempre più rosa, pensò ai
suoi figli che l’attendevano a casa e sorrise, gli avrebbe portato una torta
dopo lo spettacolo, l’avrebbero atteso ancora svegli, solo per farsi raccontare
la fiaba della buonanotte da lui. Uscì fischiettando una canzone che aveva
quasi dimenticato, anche se non aveva più usato l’armonica la ricordava
ancora…sorrise di nuovo guardando i propri passi lungo il marciapiede.
Candy
lo seguì con lo sguardo velato finche poté, Albert le aveva circondato le
spalle con un braccio e le aveva dato un bacio sulla tempia; sapeva che un
pezzo del cuore di lei era andato via con Terence già molto tempo prima, sapeva
che era ciò che accadeva ogni volta che qualcuno che si ama immensamente va
via, era accaduto anche a lui, con i suoi genitori, con la sorella, quando
aveva capito l’inganno di Carol, quando era morto Anthony. Faceva parte della
vita stessa. A Candy era accaduto con Anthony, con Terence forse era stato
ancora più doloroso.
“Ho
ricevuto il biglietto in albergo, come mai sei qui? Sarei tornato tra meno di
una settimana”, aveva lo sguardo attento, leggermente preoccupato.
“Beh,
mancavi tanto a Rose che ho pensato di raggiungerti …”
Le
diede un bacio lieve ma l’espressione indicava che era ben poco convinto e
piuttosto ansioso.
“Poi
Rose ti deve dire una cosa..”
“E
cosa? “ Guardò prima la moglie poi si accucciò per guardare negli occhi la
figlia “Cosa mi devi dire di così urgente?”.
Candy
lo osservava attentamente, talvolta si accorgeva che non riusciva a smettere di
guardarlo, era un padre meraviglioso, i piccoli lo adoravano e lui era un
compagno di giochi che non aveva eguali.
Anche
ora stava guardando Rose con occhi attenti, sorridente e radioso, lei scopriva
di amarlo di più ogni giorno che passava.
“Papà,
lo sai che la mamma mi ha detto che avremo un fratellino nuovo?” L’espressione
che si dipingeva sul viso di Albert a quegli annunci era sempre la stessa:
gioia, commozione, stupore, per lui ogni figlio era una scoperta, un miracolo.
Si girò a guardarla con le lacrime negli occhi, perdeva sempre le parole in
quei casi, era accaduto con Rose, con Anthony ed ora di nuovo.
Candy
sorrise dolcissima e si ritrovò tra le braccia di Albert che la stringeva
piano: aveva paura di farle male, la trattava sempre come fosse di porcellana
quando era in gravidanza.
I
piccoli protestarono perché si erano sentiti esclusi ma quel momento fu
soltanto loro, le teste che si toccavano, gli occhi incatenati, "Ti amo tanto, principessa">
Poi Albert
prese a cavalcioni Anthony, Rose dette la mano a Candy.
“Chi
vuole un gelato?”
“Io
papà!” disse Rose.
“Anche
io papà!” le fece il verso Candy, lei le rispose con una linguaccia. Si
avviarono lungo il sentiero cosparso di ghiaia lungo il laghetto ridendo e
giocando.