LA
REGINA DEGLI ERED MITHRIN
PROLOGO
Lassù
l'aria era fredda e rarefatta benché l'estate fosse
avanzata, eppure
la sentinella parve non farci caso, continuando a puntare gli occhi
vigili verso ovest. All'udire l'ennesimo sbuffo scontento si
voltò,
trascurando il compito assegnatogli, e posò lo sguardo sul
corpo
intirizzito dell'altra vedetta: aveva posato la lancia a terra,
frizionandosi il corpo con le braccia, e batteva i denti sotto la
barba folta.
Era
giovane, molto più di lui, e si trattava del suo primo vero
incarico: era plausibile si comportasse così.
Nonostante
i numerosi anni trascorsi, ancora ricordava la sua prima notte di
guardia sul lato est degli Ered Mithrin: era inesperto ma
elettrizzato, poiché finalmente si rendeva utile per il suo
popolo e
il sovrano. Rammentò anche l'adrenalina crescente man mano
che le
ore si erano susseguite, ma mai una volta si era distratto,
concentrato com'era a scorgere ogni più piccolo particolare
che
l'oscurità gli celava. Il suo compagno – un
vecchio nano che da
tempo aveva raggiunto le Aule di Mandos – gli aveva battuto
affettuosamente una mano sulla spalla, mostrandosi fiero del suo
operato; disse inoltre che, finalmente, d'ora in avanti avrebbe avuto
un valido aiuto.
Il
petto gli si infiammò di calore e orgoglio proprio come
allora, e
batté un solo lieve colpo sulla roccia fredda con il manico
della
lancia, catturando l'attenzione del ragazzo.
<<
Ti chiedo perdono, Bemli >> esordì, sfregando
le mani tra loro
<< Penserai non sia molto efficiente, come sentinella.
Solo
che... non immaginavo ci fosse così freddo
>>.
Il
nano non poté fare a meno di ridacchiare di fronte
all'ovvietà,
scuotendo lievemente la testa coperta dall'elmo << Siamo
quasi
sul picco di una montagna, è assolutamente normale. Anche io
battei
i denti in quella gelida notte d'inverno, Tosur >>.
Il
ragazzo lo guardò sbigottito, non credendo fosse
sopravvissuto così
a lungo per raccontarglielo: lui non credeva nemmeno di resistere
altri venti minuti come ostaggio del vento sferzante! Ma Bemli era
uno dei veterani più esperti e capaci, dedito al lavoro e
terribilmente professionale, e ogni cadetto gli portava un profondo
rispetto; perciò, quando gli avevano comunicato che
l'avrebbe
affiancato, si era sentito soddisfatto e intimorito insieme.
I
numerosi giovani che l'avevano preceduto avevano descritto il vecchio
come silenzioso e burbero, qualche volta dispotico; nessuno si era
mai dato pena di parlarci più dello stretto necessario,
specialmente
dopo ogni tentativo a vuoto di conoscere il suo passato o i suoi anni
di guardia. Il sentirgli confessare quel breve e insignificante
dettaglio su una fredda serata di tempo prima - soprattutto la prima
di servizio - rese Tosur quasi orgoglioso.
Rimase
in silenzio per pochi minuti, non trovando parole adatte con cui
ribattere: tutte quelle che gli si affacciavano nella mente erano a
dir poco inutili e prive di peso.
La
mancata risposta impensierì il nano; forse aveva ferito la
sua
dignità, sminuendone l'operato confrontandolo col proprio?
Lo guardò
di sottecchi tra uno spostamento d'occhi verso l'orizzonte e l'altro,
concludendo che fosse semplicemente intimorito.
Non
poté impedirsi di sogghignare internamente, ricordando
centinaia di
espressioni altrettanto simili; pur così anziano era ancora
in grado
di mettere i novellini in difficoltà e in soggezione davanti
al suo
cospetto? Il suo smalto non si era scalfito né ingrigito,
dunque: al
contrario del suo corpo, ora meno scattante e allenato.
<< Non era mia
intenzione renderti muto come un
pesce, ragazzo >> disse bonario.
Tosur lo guardò
sbigottito, domandandosi dove fosse
finito il nano severo e silenzioso sempre descrittogli: i suoi amici
si erano burlati di lui fin dall'inizio, fornendo quell'informazione
falsa? Oppure era una sorta di esame architettato a suo discapito?
Doveva scoprirlo. E, perciò, avrebbe dovuto affrettarsi a
rispondere.
<<
Affatto, signore. Conservavo il fiato >>
aggrottò la fronte
subito dopo, ripensando alla stupida
risposta
data.
Bemli, stavolta,
lasciò che una bassa risata
fuoriuscisse dalle labbra secche << Parola mia,
è la prima
volta che sento una tale scusante! >>.
Continuò a
ridacchiare facendo sì che le orecchie di
Tosur andassero a fuoco, per sua gioia e maledizione: ma neppure
allora si scaldò a dovere.
Si
strinse nelle spalle e borbottò qualcosa che assomigliava a
“ Non
sapevo che altro dire
“ costringendo l'altro a guardarlo con un leggero sorrisetto.
<< Ecco, questa
verità l'apprezzo di più. E
posso anche intuire i motivi per cui non hai parlato: immagino che
molti ti abbiano messo in guardia da me, non è
così? >>.
Stavolta sarebbero state le
guance a divenire rosate, se
non ci fosse stato quel dannato vento a spazzare il calore. Per un
fugace momento fu tentato di propinargli una bugia, ma sapeva non
l'avrebbe accettata; inoltre, inimicarsi il proprio mentore la prima
notte di lavoro non era propriamente un buon modo di cominciare.
<<
Sì, è così >> ammise a
denti stretti,
preferendo osservare i confini da sorvegliare.
Bemli si era stupito della
facilità con cui aveva posto
la domanda, concludendo che oramai era troppo anziano per arrabbiarsi
o prendersela col ragazzo, unica vittima della situazione; pertanto,
sorprendendosi nuovamente, lasciò la sua postazione per
avvicinarsi
al tondo braciere di rame che li divideva. Tolse gli spessi guanti di
cuoio nero e sfregò le mani tra loro, non preoccupandosi del
colorito violaceo e dell'intirizzimento che le permeava; pose i palmi
ad una lunghezza ragionevole dalle fiamme, beandosi del calore delle
fiamme guizzanti e aranciate.
A dispetto della vergogna e
dell'imbarazzo, Tosur ne
seguì l'esempio facendosi scappare un lieve gemito appagato.
<<
Per tutti questi anni ho lasciato prevalere il senso del dovere, non
curandomi di essere costantemente affiancato da persone.
Buona
parte di colpa è soprattutto mia >>
esordì Bemli, spezzando
il silenzio << Non sono il mannaro feroce che credono e
di cui
ti hanno parlato: sei stato gabbato, giovanotto. Mi dispiace
>>
concluse, con un sorrisetto che la diceva lunga sul rammarico
provato.
<< Siamo stati
imbrogliati entrambi >>
concesse il ragazzo, con una scrollata di spalle << Anche
voi
non avete mai provveduto a parlare con le nuove vedette: forse le
avreste trovate piacevoli >>.
L'osservò
attentamente, e parve notare solo in quel
momento quanto le rughe sul suo volto fossero profonde; sembravano
scavare la pelle, grazie alla luce tremula del fuoco. Ancora, si
domandò se lui sarebbe stato in grado di perseverare nel suo
compito
così a lungo, e provò la medesima deferenza dei
giorni precedenti.
<<
Probabilmente. Ed è un vero peccato, se molti
di loro erano come te >> si permise di sorridergli
sinceramente, cogliendone la profonda confusione << Sei
un
bravo ragazzo, Tosur. Sarai una buona sentinella >>.
Il cuore del giovane nano
sobbalzò e si riempì di
gratitudine; buffo come sole poche frasi avessero sciolto la corazza
rigida del mentore! Però si sentì in dovere di
schernirsi,
seppellendo il piacevole sentimento d'orgoglio che pompava furioso in
egual misura al sangue.
<< Non penso
d'essere molto qualificato per questo
lavoro. Non vedo l'ora di rientrare e bere qualcosa di caldo!
>>
ammise, grattandosi il naso.
<< E' una
questione d'allenamento, tutto qui >>
disse, agitando una mano << Sapevi a ciò che
andavi incontro
quando l'hai scelto; presumo che nessuno ti abbia costretto
>>.
<< Nossignore.
Era la mia aspirazione fin da
bambino >>.
<< E il fatto di
possedere una buona vista ha
contribuito >>.
<<
Sì, signore >> fece un rigido cenno col
capo, esponendo nuovamente i palmi alle fiamme.
<< Sono
requisiti fondamentali, per una
sentinella. Non è un mestiere da prendere sottogamba; il
regno e
persino Sua Maestà ci sono molto riconoscenti
>>.
<< Sua
Maestà >> borbottò Tosur,
incupendosi << Al sicuro tra il tepore delle lenzuola
mentre
noi siamo qui fuori a tremare >>.
Il vecchio Bemli gli
scoccò un'occhiata di
disapprovazione, sentendo una sorda collera premere all'altezza dello
stomaco << Dorme sonni tranquilli perché sa
che noi osserviamo
e vegliamo >> sbottò seccamente, senza curarsi
di mandare in
malora ogni buonsenso << Fai parte di quel gruppo che
critica
il suo operato e la sua reggenza? >>.
Gli occhi del ragazzo
sfrecciarono allarmati attraverso
l'oscurità, alla ricerca di ombre o movimenti estranei: per
un
attimo gli parve che una tremolasse minacciosa, ergendosi alta e
imponente al di sopra delle altre, simile a una grande mano pronta ad
afferrarli e stringerli con lunghe dita sottili ma letali. Con un
brivido gelido che gli attraversò la schiena già
congelata, però,
constatò che non vi era nessun altro oltre loro due,
là. E sospirò
piano, sollevato.
Mantenendosi comunque cauto
capì che doveva porre
rimedio alla fese detta, sapendo d'essere stato frainteso
<<
Certo che no: apprezzo ciò che sta facendo per il regno e il
popolo.
Non volevo giudicare negativamente >>
sussurrò, voltando il
capo da una parte all'altra, nervoso.
Bemli rasserenò lo
sguardo, alzando le sopracciglia <<
Non c'è motivo di allarmarsi, giovanotto. Le guardie non
entreranno
da quella porticina con l'intento di prelevarti per rinchiuderti
nelle segrete; il tempo di quei gesti si è concluso secoli
fa >>.
Tosur
si morse l'interno guancia, non riuscendo a controllare le parole che
pronunciò immediatamente dopo con voce piatta e bassa
<< Non
sono loro
a preoccuparmi >>.
L'anziano nano si
adombrò, annuendo solamente. Era
stato sciocco da parte sua iniziare impulsivamente quel discorso, se
ne rendeva pienamente conto solo in quel momento. Se Tosur gli avesse
detto che, in realtà, faceva proprio parte dei contestatori,
si
sarebbe cacciato in un grosso guaio. Era da escludere che gli avesse
mentito: il modo in cui si era guardato attorno – spaventato
e
terrorizzato – l'aveva convinto della sua buona fede e, di
nuovo,
fu costretto ad ammettere che era sveglio e accorto, molto
più di
lui.
Si spostò dal
braciere, prendendo una torcia e
accendendola; camminò furtivo verso la porta di ferro
tenendo salda
la lancia tra le mani, sentendo un serpente di paura attorcigliargli
il cuore. Appoggiò l'orecchio alla ricerca di rumori
insoliti come
passi o respiri pesanti, ma non udì nulla; strinse la
maniglia e, di
scatto, abbassò e spinse aprendola con foga.
Illuminò meglio lo
stretto corridoio di pietra, osservando le crepe che percorrevano i
muri come se potessero fornirgli indicazioni rivelandogli se qualcuno
si era appostato a spiarli: ma nulla mostrò un passaggio
umano a
parte il loro, e ciò lo confortò lievemente.
Richiuse
la porta con un sospiro, e si sfregò stancamente la fronte;
ecco, forse era questo
il
motivo principale per cui non aveva mai dato confidenza ai novellini
presentatigli nell'ultimo anno. Il silenzioso sospetto
che aleggiava nel regno non giovava a nessuno di loro popolani, a
conti fatti: troppo presi dalla diffidenza evitavano di parlare
apertamente di certi argomenti, sentendosi al sicuro tra le mura
domestiche dove potevano permettersi il lusso di conversare anche in
piccoli gruppetti. Gli unici che traevano beneficio da quel timore
erano
le alte cariche, la maggior parte delle quali tramavano anche senza
troppi accorgimenti alle spalle del sovrano; non erano un mistero le
discussioni nella Sala del Consiglio, così come erano
risapute le ormai rade
e misteriose sparizioni di nani che avevano osato contestarli
apertamente. Sua Maestà aveva aperto immediatamente delle
indagini
ma le guardie reali non avevano scoperto nulla, e quelle sotto il
comando dei consiglieri – le responsabili di tali atti
– non
avevano collaborato. Era da loro che bisognava guardarsi
costantemente le spalle.
Sentendosi tremendamente
stanco e vecchio sospirò
nuovamente, rialzando lo sguardo da terra e facendolo vagare
sull'orizzonte, verso ovest: e fu allora che lo vide.
Non badò
all'occhiata perplessa di Tosur, procedendo
spedito verso il parapetto naturale della montagna; appoggiò
le mani
guantate sulla roccia, assottigliando lo sguardo nella notte.
Sentì
il suono di passi pesanti, e la figura più alta ma meno
massiccia
del ragazzo gli si affiancò. Lo udì trattenere il
fiato, e la
consapevolezza prese lentamente forma in lui: quei lontani e quasi
indistinti bagliori di fiamma che si scorgevano non presagivano nulla
di buono.
<<
Laggiù... c'è il Monte Gundabad, non è
vero
Bemli? >> gli domandò con paura sempre
più crescente.
Il
nano sentì la gola inaridirsi, e non badò alle
ventate sferzanti e
gelide; volse brevemente gli occhi da sentinella alla volta celeste
colma di stelle pallide, posandoli poi lungo la catena delle Montagne
di Angmar. Cercò di perforarle per arrivare al di
là, dove sapeva
esserci
la fonte di tale paura e sgomento.
<<
Esatto, ragazzo >> si ritrovò a sussurrare,
domandandosi
quando
avesse
concesso il permesso alle parole di fuoriuscire dalle labbra;
tremò,
ma non tanto per il freddo, e Tosur se ne accorse.
Fu solo capace di guardarlo
con occhi sgranati e colmi
di una verità che non voleva essere confermata.
Non disse nulla,
perciò l'arduo compito di tramutare i
pensieri in parole costernate toccò al vecchio
<< Quelle luci
non provengono dal Monte, ma dal di là: dalla Piana
>>.
Una folata a dir poco potente
sembrò accompagnare la
sua frase, gelida come la voce di Bemli; le fiamme delle torce si
spensero quasi all'unisono, rimase solo quella tremolante del grande
braciere. Nessuno dei due si voltò, poiché
trattenuti da una forza
invisibile verso occidente, ad osservare quell'orrore. I loro cuori
parvero battere in sintonia, aumentando i colpi potenti come martelli
su un'incudine con una velocità spaventosa.
Era da sciocchi illudersi
inutilmente: chiunque si
stesse preparando ad una marcia dalla Piana di Angmar costituiva un
serio e reale pericolo, in qualunque luogo si dirigesse.
Negli
anni, Bemli aveva pensato spesso alla fortuna di non aver mai provato
sulla pelle il significato del termine “attacco”,
e non avrebbe mai immaginato di doversi rimangiare tutto proprio
adesso, quando ormai la vecchiaia era già avanzata e il suo
tempo
stava per volgere al termine.
Rammentava bene l'anno
precedente, quando i fuochi
nemmeno troppo lontani a sud l'avevano fatto tremare e, d'altra
parte, confortare per non essere presente al massacro.
<< Non
è detto vengano verso di noi. Potrebbero
incamminarsi dalla parte opposta >> sussurrò
lentamente.
Tosur
si risvegliò dall'intontimento, notando il volto teso e
preoccupato
quanto il suo a dispetto della debole rassicurazione <<
Siamo
in tempo di pace >> ricordò, con un brivido
<< Però un
numero elevato
di torce può significare solo una cosa >>
concluse, la voce
strozzata.
<< Mi rammarica
concordare. Ciò che proviene da
quel luogo è maledetto e porta con sé solo morte
e distruzione >>.
Tosur deglutì a
vuoto, la lingua sembrava esserglisi
annodata << Cosa suggerisce, dunque? >>.
Bemli non ebbe bisogno di
pensarci: strinse solo i palmi
ora fin troppo sudati << Corri nella montagna, e avverti
il
Capitano delle Guardie di Sua Maestà >>.
CAPITOLO UNO
Il nano richiuse la pesante
porta di quercia decorata
con intarsi dorati con un tonfo sordo, e poggiò la torcia
accesa sul
sostegno di ferro attaccato alla roccia liscia.
Fu con immensa
difficoltà che si voltò e posò gli
occhi azzurri al centro della camera in penombra; prese un profondo
respiro tenendo le labbra serrate e, quasi per farsi coraggio,
portò
le braccia dietro l'ampia schiena. Mosse un primo passo lento e
restio, poi un altro, e un altro ancora, non potendo immaginare la
spontaneità meccanica con cui gli arti avevano eseguito
quell'ordine
impartito dal cervello.
Infine si fermò,
espirando pesantemente a bocca
socchiusa; uno sbuffo di fiato si disperse nell'aria, data la poca
temperatura presente. Quella zona era sempre stata piuttosto fredda
nonostante si trovasse in profondità, lo ricordava bene: le
poche
volte in cui vi era stato da ragazzo gli ritornarono nitide nella
mente.
All'epoca,
però, non avrebbe mai immaginato di provare una tale angoscia,
una
tale sofferenza,
come
accadeva da un anno a quella parte.
Posò la mano destra
sulla lastra di marmo freddo,
percorrendone la superficie con i polpastrelli finché non
raggiunse
le incisioni; anche l'altra mano si mosse a sfiorare una lastra
marmorea praticamente identica e a nemmeno un metro dalla prima,
compiendo gli stessi gesti nell'accarezzare quei segni dolorosamente
famigliari.
Gli
sfuggì un sospiro depresso, mentre il dolore minacciava di
invaderlo. Chiuse gli occhi con forza, ma le tanto odiate e note
immagini che vide lo afferrarono e trascinarono con violenza,
tentando di ghermirlo. Chinò il capo, le mani tremanti a
premere sul
piano in un inutile tentativo di poter ancora toccare,
e
abbracciare,
coloro
che riposavano all'interno di quelle tombe bianche.
Nulla sembrava più
avere un senso: né il suo ritrovato
regno, benché meno l'esserne il sovrano. Anzi, ora quel
ruolo gli
risultava anche troppo stretto, come un cappio attorno al collo; lo
soffocava, gli schiacciava il petto con una potenza inaudita al pari
delle grosse manacce fetide dei tre Troll, o delle fauci possenti del
bianco mannaro.
Il
pensiero di saperli morti per difenderlo,
poi, acuiva il suo stato d'animo. Ricordava indistintamente gli
ultimi atti della battaglia, così come i suoni che gli
avevano
riempito le orecchie facendole ronzare persino una volta che si era
svegliato. Eppure... eppure... immagini sfocate di stoffe turbinati,
lacere e sporche di sangue, premevano per uscire dalla voragine in
cui le aveva rinchiuse; bagliori di spada e suoni sibilanti di frecce
le accompagnavano, in un gioco mortale e perverso che l'avrebbe
condotto alla pazzia.
Ogni giorno si domandava
perché avesse permesso la loro
presenza nella Compagnia. Sua sorella era stata perentoria, e il suo
iniziale rifiuto ora gli risuonava troppo spesso come una dolorosa
ammissione di colpevolezza, una maledizione che difficilmente
l'avrebbe risparmiato.
Rammentava
bene i loro volti eccitati al pensiero della Riconquista di quel
regno che mai avevano avuto occasione di vedere, di quella casa
che
mai avevano sentito tale. Ripensandoci, non sarebbe stato in grado di
rifiutare il loro entusiasmo e la loro grande volontà. E
anche Dìs
l'aveva capito: per questo aveva acconsentito dopo innumerevoli
raccomandazioni e ammonizioni, facendogli promettere di prendersi
cura di loro come aveva fatto in tutti quegli anni da quando il
marito era morto.
Il giorno della Battaglia dei
Cinque Eserciti aveva
infranto quel giuramento.
Erano
stati loro a difenderlo, fino alla fine. Non lui.
Troppo impegnato
nella sua personale missione di vendetta, talmente cieco
da non accorgersi di altri nemici al di là del
più potente,
immensamente ottuso
per capire ciò che i suoi nipoti stavano sacrificando.
Era a causa sua se quelle due
giovani vite si erano
spezzate per sempre. Il rimorso non l'abbandonava mai, rendendogli
insopportabile ogni dannatissimo momento da quando era accaduta la
tragedia.
L'andare
nelle cripte ogni qual volta poteva era una sorta di punizione, un
tentativo alquanto misero di espiare i propri orrendi peccati: ma
tutto rimaneva statico, nulla mutava ogni qual volta tornava in
superficie. Ogni qual volta tornava alla vita.
Vita. Una parola ormai quasi
priva del suo significato.
La trovava tremendamente ingiusta, specie nei suoi riguardi: avrebbe
scambiato ogni singola moneta d'oro della Stanza del Tesoro per
tornare indietro nel tempo e salvarli entrambi.
Ma non sarebbe stato
possibile, né vi sarebbe stata
salvezza, per lui. La sua anima era marcia, sudicia del sangue dei
suoi nipoti: a volte, gli pareva di scorgere del liquido rosso cupo
sui palmi delle mani, e udiva il fastidiosissimo suono di piccole
gocce che si infrangevano sul pavimento di pietra.
Gli pareva di udirle anche in
quel momento.
Un rumore alle sue spalle lo
riscosse e, rapido, mosse
la testa verso l'entrata riconoscendo la figura della sorella, ancora
con le mani appoggiate al legno. Dìs si mosse piano,
respirando
l'aria umida e solenne della stanza, e gli si avvicinò;
lanciò una
rapida occhiata alle rune, distogliendo lo sguardo per timore di
venir sopraffatta dal tormento e dalle lacrime che le pungevano
già
gli angoli degli occhi.
Le dita della mano destra si
posarono su un braccio del
fratello, stringendo di poco la stoffa della camicia blu; a fatica,
Thorin staccò la sua dalla tomba di Kili, accarezzandogliela
in un
muto ringraziamento per il gesto: una mano tesa che l'avrebbe
riportato alla luce, un prezioso aiuto per allontanare la follia. Un
atto di solidarietà fraterna, e di chi aveva perso persone
fin
troppo importanti.
Dìs
l'osservò, notando quanto fosse invecchiato in poco
più di un anno:
i capelli grigi sembravano aumentati tra quelli neri, nuove e
profonde rughe scavavano il suo volto dai tratti induriti e stanchi;
gli occhi azzurri, un tempo ardenti di un orgoglio senza pari, erano
spenti e vuoti, oltre che sofferenti. Il portamento autorevole e
retto si era leggermente incurvato, come se un enorme peso invisibile
fosse sceso sulle spalle forti ed esse non fossero più in
grado di
sostenerlo. Le si strinse il cuore, non lo negò: da un lato
avrebbe
desiderato abbracciarlo e consolarlo finché non avesse
versato
anch'ella tutte le sue lacrime, ma dall'altro avrebbe voluto
scuoterlo, chiedergli di riprendersi e pensare a lei
che aveva perduto due figli,
non due nipoti. Il sangue del suo sangue. La carne della sua carne.
Li aveva protetti e nutriti per nove lunghi mesi, amandoli
visceralmente come solo una madre poteva amare, volendo donare tutta
se stessa per loro. Volendo sbucciarsi le ginocchia o i gomiti al
loro posto, come quando erano piccoli e le correvano incontro
singhiozzanti e sanguinanti. Volendo cullarli per tranquillizzarli
quando gli incubi li tormentavano non facendoli dormire. Volendo
addossarsi tutti i problemi e le responsabilità che la
crescita
comportava. Volendo offrirsi per quell'impresa gloriosa ma pericolosa
che li avrebbe allontanati da lei, e condotti bruscamente alla
mercé
di bestie immonde e luoghi insidiosi. Volendo morire,
per loro.
Deglutì e strinse
le labbra, ricordando il motivo del
suo viaggio tortuoso nelle viscere della Montagna Solitaria;
cercò
parole adatte con cui iniziare una qualche frase, riuscendo a parlare
seppur con tono roco.
<< Sei atteso
nella Sala del Consiglio, fratello.
Pare sia giunta una lettera di nostro cugino >>.
Non le rispose, limitandosi a
fissare con sguardo vacuo
i nomi di Fili e Kili; avrebbe voluto cadere in un oblio nero e
denso, ma la mente iniziò a lavorare e a chiedersi il motivo
di
quella missiva inaspettata, creando possibili congetture che
attendevano solo di essere smentite o confermate.
<< Thorin?
>>.
La voce bassa di
Dìs lo raggiunse, e respirò
pesantemente << Immagino tu non ne conosca il contenuto
>>.
Sua sorella scosse la testa
<< Ti attendevano >>.
<< Bene
>>.
Si scansò rudemente
dal suo lieve tocco, avanzando
spedito verso la torcia ancora accesa; l'afferrò, stringendo
convulsamente il legno tra le dita, e attese che Dìs lo
raggiungesse
per uscire. Ma lei non si mosse, donando un lungo sguardo a
ciò che
rimaneva dei suoi ragazzi: una semplice lastra bianca, e delle misere
rune incise.
<< Un genitore
non dovrebbe mai seppellire i
propri figli. Avrei voluto vederli invecchiare, almeno
finché non
avessi lasciato questo mondo >> sussurrò,
sapendo d'essere
stata udita.
Thorin
alzò lo sguardo da terra e lo posò sulla sua
schiena, vestita con
un abito nero a ricami geometrici argentati; i capelli erano
intrecciati e raccolti sulla nuca in segno di vedovanza, e mostravano
il collo sottile e bianco. Osservandola meglio, notò quanto
fosse
dimagrita: si chiese quando
fosse
accaduto, e se fosse stato ancora così cieco da non
accorgersene.
Evidentemente sì, dato che l'aveva appena appurato.
Un
vago sentore di rabbia,
il
primo da innumerevoli mesi, sembrò sprigionare una debole
scintilla
nel suo petto; non poteva rischiare di perdere anche lei, non
l'avrebbe sopportato.
L'affiancò,
circondandole le spalle con il braccio
libero; dopo qualche iniziale titubanza, Dìs gli
poggiò il capo
sulla spalla e si lasciò sfuggire il medesimo sospiro - che
molto
aveva in comune con un singhiozzo - che l'aveva scosso non appena era
entrato.
Rimasero così,
abbracciati, cercando conforto
nell'altro finché la frase del Re di Erebor non
riempì il silenzio.
<< Darei tutto
ciò che ho dolorosamente
conquistato per poter prendere il loro posto >>
confessò,
attirandola inconsciamente a sé.
Dìs
sentì qualcosa incrinarsi all'altezza del cuore e, in
risposta,
portò una mano al petto del fratello << Sai
che non lo
permetterei >> disse, rimproverandolo <<
Avrei preferito
avervi tutti e tre con me, però non possiamo cambiare
ciò che è
stato. Tu sei rimasto per governarci, Thorin. Devi tornare quello che
eri, e fare in modo che il sacrificio dei tuoi nipoti non sia stato
vano. La tua gente ha bisogno di te. Io
ho
bisogno di te, della tua forza e determinazione, del tuo intrepido
coraggio e fiero orgoglio >>.
Si guardarono, scavando a
fondo negli sguardi dell'altro
fino a raggiungere l'anima, dicendosi parole che non sarebbero
riusciti a pronunciare ma che aleggiarono e si depositarono sui loro
cuori. Dìs aveva ragione: si stava lasciando andare, aveva
perso la
sua vitalità. Ciò che lo fece ripugnare di
sé fu la dolorosa
constatazione che non la stava consolando come meritava né
che, per
quanto disperato, non sarebbe riuscito a riportarli in vita. Nulla di
tutto quello che stava patendo li avrebbe risvegliati; eppure, non
poteva fare a meno di autocommiserarsi, ripensando mille e
più volte
alle colpe che l'affliggevano.
<< Mi dispiace
>> mormorò, non riuscendo a
sostenere il suo sguardo << Ora mi risulta difficile
lasciarli
andare >>.
La
principessa gli lanciò un'occhiata truce, notando il suo
rifuggirle
<< Avresti dovuto pensarci prima,
ti pare? >> sibilò, malevola: si rese conto
troppo tardi del
significato della frase, e si rimproverò duramente; d'altra
parte,
però, si rese conto d'aver aspettato anche troppo tempo per
esternare i suoi reali
pensieri.
Ricevette attenzione, e un
paio di occhi chiari si
posarono sconcertati sul suo volto. Non attese altro, continuando
quell'imprevedibile sfogo.
<<
Ti avevo chiesto di non portarli con te, ti avevo pregato...
>>.
<< E' stata una
loro scelta >> l'interruppe,
brusco << Erano adulti, sapevano a cosa andavano
incontro...
>>.
<<
Erano solo dei ragazzi,
Thorin, partiti per seguire te!
>> il tono si alzò notevolmente, le guance si
imporporarono <<
A loro non importava nulla di Erebor, o del drago che custodiva un
inutile
tesoro!
>> inspirò violentemente, ma il tremore non
cessò; tacque per
brevi secondi e lo sguardo volò a terra, rialzandolo poi
lucido di
lacrime << Mi hai portato via i miei figli, per sempre. E
ora
sei qui a
compiangerti,
non adempiendo ai tuoi obblighi! Da quando permetti un tale
comportamento? >> scattò, furiosa.
Thorin schiuse le labbra e
aggrottò maggiormente la
fronte, attonito. Non disse nulla, e Dìs
abbandonò qualsiasi
razionalità: lo afferrò per le spalle,
scuotendolo così come era
scossa la sua anima; desiderava reagisse in qualche modo, perlomeno.
<<
Perché ti ostini a non voler vivere? Loro non
torneranno indietro, lo sai! >>.
Thorin scattò
veloce e le artigliò i polsi in una
morsa, gli occhi azzurri scintillanti: di rabbia o tristezza, non
avrebbe saputo dire.
Nel
frattempo, quelli di Dìs si riempirono di lacrime: prima che
potesse
anche solo tentare
di contrastarle, brucianti lacrime scesero sulle gote, e piccoli
singhiozzi scossero quel corpo un tempo florido.
<<
Così giovani...
così... >> non riuscì a completare
la frase, assoggettata dal
dolore che rischiava di farla precipitare nella stessa pazzia del
fratello. Ma, di nuovo, una forza inaspettata eruppe nel petto
facendole assottigliare lo sguardo, ora brillante di una luce
pericolosa.
<<
Sei stato tu
ad
ucciderli >> sibilò, pur pentendosene nel
profondo <<
Meriti di vivere nel rimorso, fratello, e meriterai qualsiasi
punizione vorranno infliggerti i Valar >> era spossata,
però
le braccia spinsero rudemente un silenzioso e sconcertato Thorin che
le teneva ancora fermi i polsi in una stretta via via sempre
più
flebile.
Ormai
fuori di sé, pronunciò quella frase dal sapore di
una condanna <<
Potrà perdonarti l'intera Terra di Mezzo. Potrai perfino
perdonarti
e trovare una sorta di felicità. Ma io
non
ti perdonerò mai
>>.
Sentì di soffocare
in quella cripta spaziosa e aerata;
il fiato le mancò improvvisamente, così come il
coraggio e la
disperazione con cui si era accanita. Rimase solo il tremore e
l'accompagnò un dispiacere tale da renderle opprimente la
vista del
corpo e dei tratti granitici del fratello. Come prima non disse nulla
né reagì, accrescendole l'impotenza e l'ira.
Doveva uscire, o le
sue azioni sarebbero state imperdonabili; si sciolse facilmente dalla
stretta e gli diede le spalle correndo fuori, tanto era il tumulto
interiore del cuore.
Il
re rimase solo coi fantasmi, udendo le frasi piene di dolore della
sorella come se gliele stesse urlando nuovamente. Non la biasimava.
Non poteva. Sapeva perfettamente che aveva ragione, e il senso di
colpa tornò più vivido che mai rendendogli
insostenibile qualsiasi
pensiero e la solitudine della sua anima. Strinse le mascelle e,
rabbioso, scagliò un pugno al muro scorticandosi le nocche;
un
fastidioso bruciore lo raggiunse ma era lontano, troppo
lontano dal mare d'ira in cui nuotava. Guardò distrattamente
le
piccole bolle di sangue sulla pelle, espirando rumorosamente dal
naso. Se ne andò, irrequieto, tornando in quel mondo di vivi
che
prima aveva tanto disprezzato: forse, stavolta, l'avrebbe accolto
quasi come una benedizione.
<< Dunque? A
cosa devo questa convocazione? >>
esordì burbero, sedendosi pesantemente sulla sedia del re.
Balin, alla sua destra,
estrasse da una tasca della
casacca un foglio ripiegato, porgendoglielo << E' giunta
una
lettera dai Colli Ferrosi, e il messo ha insistito perché ti
fosse
consegnata personalmente. Nessun altro avrebbe dovuto leggerla
eccetto te >>.
Thorin non
commentò, accigliandosi solamente per il
modo segreto con cui gli era stata inviata, e l'aprì con
movimenti
secchi e decisi; riconobbe la calligrafia arzigogolata e decisa del
cugino e, man mano che procedeva nella lettura, aggrottò le
sopracciglia fino a trasformarle in un'unica linea scura. I
consiglieri si guardarono tra loro, attendendo con impazienza di
conoscere il motivo di tanto turbamento; Dwalin, con le braccia
strette al petto, esternò i pensieri comuni.
<< Ebbene? Di
che parla? >> chiese, senza
neppure dargli il tempo di terminare la lettura.
Thorin non gli rispose,
arrivando finalmente alla firma
e al sigillo regale di Dain. Ancora stupefatto gliela tese, senza
parlare. Lo osservò scorrere silenziosamente le righe ed
assumere lo
stesso cipiglio che gli aveva percorso i tratti, per poi esternare il
suo pensiero tramite un verso incredulo.
<< Allora?
>> chiese Balin, innervosendosi.
<< Leggi tu
stesso >> borbottò il fratello.
Balin gli lanciò
un'occhiata in tralice e prese le
lenti: come gli altri arrivò alla conclusione, sbalordito
quanto
loro.
<< Per Mahal
>> borbottò.
<< Saremmo
curiosi anche noi, sapete >> si
intromise Bofur, alzando eloquente le sopracciglia scure.
Thorin si appoggiò
meglio allo schienale dell'alta
seggiola in attesa che il suo amico più fidato parlasse.
<< Questa
lettera giunge dai Colli: ci informano
che una colonna di orchi si sta muovendo a ovest e che, molto
probabilmente, si sta dirigendo qui >>.
Il silenzio scese sui
rimanenti membri della Compagnia,
e si osservarono preoccupati.
<< Non hanno
ancora imparato la lezione? >>
domandò sarcastico Oin, sistemandosi il corno acustico
accanto
all'orecchio.
<< A quanto pare
no >> commentò Thorin,
incrociando le dita sotto il mento << Ma c'è
dell'altro >>.
<< Che
può esserci? >> chiese petulante
Dori, scuotendo la testa.
<< Pare che in
tutti questi anni ci sia sfuggito
un Regno >>.
<< Sfuggito?
>> ripeté Nori << In che
senso? >>.
Balin sospirò
<< Avete mai sentito parlare del
Regno degli Ered Mithrin? >>.
<<
No, perché non c'è niente,
tra quelle montagne >>.
<< Qui ti
sbagli, Gloin. Dain ce l'ha confermato
proprio qui >> il vecchio nano picchiettò
sulla lettera ancora
spiegata << La richiesta d'aiuto non proviene dai Colli
Ferrosi, ma dagli Ered Mithrin: le loro sentinelle hanno notato
bagliori sospetti durante le scorse notti di pattuglia, e temono si
tratti di quei mostri; chiedono rinforzi in vista di una possibile
battaglia... >>.
<< Aspetta un
attimo >> si intromise Bofur,
con un cipiglio serio mai visto sul volto << Siamo sicuri
non
sia una frottola? Voglio dire... abbiamo sempre saputo che le
Montagne Grigie erano disabitate! >>.
<< Dubiti delle
parole di un Durin? >>
chiese Dwalin, stringendo battagliero un pugno.
Il giocattolaio scosse
frettolosamente la testa, e
Thorin decise di intervenire << Lascialo parlare. Le sue
domande sono lecite >>.
L'amico sbuffò
sprezzante, ascoltando la questione
successiva.
<<
Perché la lettera non è giunta dai diretti
interessati? >>.
<< Questo non lo
sappiamo, ma Dain scrive che non
può accorrere in loro aiuto, perciò l'ha inviata
a noi >>
rispose Balin, scoccando un'occhiataccia al fratello che aveva
roteato gli occhi al cielo, già impaziente e pronto per la
guerra.
<< Quanto tempo
ci rimane prima dell'invasione?
>>.
<< Il messaggero
è giunto stamattina partendo tre
giorni addietro dai Colli Ferrosi, mentre gli Ered avevano inviato un
corvo imperiale un paio di giorni prima >>.
<< Cinque giorni
>> borbottò Gloin,
lisciandosi la barba fulva << Possono essere
un'enormità >>.
<< Ammesso
partissimo domani, servirebbero altri
due giorni di marcia >> rincarò Bombur,
pensoso come mai gli
era capitato << Potremmo non arrivare in tempo
>>.
Molti annuirono d'accordo, e
numerosi borbottii invasero
la stanza finché non vennero quietati da una vocetta acuta.
<< Ma non sono
arrivati altri messaggi >>
obiettò Ori, parlando per la prima volta <<
Gli orchi – se
di loro si trattava – potrebbero aver preso un'altra strada
addentrandosi nel Reame di Angmar >>.
<<
Tu credi sia andata così? >> chiese Dwalin,
ben scettico <<
Abbiamo sbaragliato il loro esercito, ucciso il loro condottiero
più
feroce e ripresi il nostro regno. Sveglia, Ori: quelli
vengono per noi >>.
Il giovane scrivano
balbettò qualcosa e gli si
imporporarono le guance, facendo sì che Nori prendesse le
difese del
fratello minore << Stiamo valutando ogni
possibilità >>
disse calmo, benché gli occhi mandassero lampi di rimprovero
<<
Anche quelle che paiono meno probabili >>.
<<
Questa è
improbabile!
>> esclamò il guerriero << La
piana ai piedi delle
Montagne di Angmar è infestata solo da quelle odiose
creature; non
procederanno verso ovest perché là non vi
è nulla per cui valga la
pena di combattere. Come è certo che il sole spunta a est
avanzano
contro di noi, probabilmente per vendetta >>.
<< Poco
più di un anno è un tempo assai lungo
per meditare una rivincita >> borbottò Dori,
scuro in volto.
Dwalin sbuffò
<< Forse si sono riorganizzati
trovando un nuovo capo >> rispose, sarcastico
<< Non so
voi, ma non intendo scoprirlo quando ce li troveremo alle pendici
della Montagna. Prima partiamo e meglio è >>.
<< Concordo
>> disse Balin, annuendo <<
Se riusciremo a fermarli agli Ered Mithrin non tenteranno un'avanzata
e comprenderanno che i Nani sono ancora un popolo vigoroso che si
protegge a vicenda >> passò in rassegna i
volti dei compagni e
amici, fermandosi infine su quello cupo di Thorin <<
Dobbiamo
prendere una decisione, ragazzo, e in fretta. Il destino di un popolo
è appeso a un filo troppo sottile per attendere oltre
>>.
Undici teste si voltarono
verso il re, seduto a
capotavola; si massaggiò le tempie col pollice e l'indice,
cercando
una soluzione al dilemma che lo dilaniava: l'onore e la vendetta lo
stavano contendendo brutalmente, spaccandogli il cranio in mille
pezzi. Per quanto pensasse, però, rimaneva solo una
soluzione.
<< Erebor
risponderà >> decretò, con voce
vibrante e occhi scuri di rabbia << Rispediremo quel
lerciume
nel buco da cui è fuoriuscito >>.
Nonostante
la contentezza, i cuori si appesantirono al vivido ricordo dei
giovani eredi al trono morti in battaglia proprio a causa dello
stesso nemico e, a fatica, non posarono lo sguardo sulle due sedie
vuote all'altro capo del lungo tavolo di legno; Thorin, invece,
assecondò quell'impulso sentendo un desiderio di morte
e
sangue
premere sullo stomaco e propagarsi in ogni dove, tanto potente da
fargli stringere spasmodicamente le mani, nascoste a occhi
indiscreti.
<< Balin,
avrò bisogno della tua presenza qui:
Dìs non riuscirà a governare da sola. Dwalin,
avverti i soldati: li
voglio pronti entro domani mattina, anche se un contingente
rimarrà
a protezione del popolo e in caso di pericolo; decidi tu chi
partirà
o meno. Dori, Nori, Ori voi... occupatevi delle cavalcature: voglio i
pony più freschi e veloci per ogni membro di questo
Consiglio. Oin,
Gloin, procuratevi delle mappe del territorio. Bifur, Bofur e Bombur:
provvedete alle provviste e agli utensili per il viaggio: fatevi
aiutare da altri nani ad impacchettarle con cura. Alle prime luci
dell'alba vi voglio pronti a partire, o verrete lasciati indietro
>>.
Thorin era nel suo studio,
concentrato nello sfogliare
alcune vecchie carte e lettere del cugino o del precedente Signore
dei Colli Ferrosi alla ricerca di un qualche indizio su quel regno
misterioso e improvvisamente comparso dal nulla; ancora stentava a
credere alle parole vergare con l'inchiostro nero che l'informavano
di questa fantomatica richiesta d'aiuto.
Sbuffò quando
posò anche l'ultimo foglio; non vi era
alcuna informazione o menzione agli Ered Mithrin, ed era impensabile
prolungare la marcia fino ai Colli Ferrosi per richiedere una
spiegazione soddisfacente: perciò l'avrebbe ottenuta
direttamente
dal re del regno.
Incapace di star seduto a
lungo si alzò, percorrendo
con passi lunghi e pesanti l'intera stanza, le mani costantemente
dietro la schiena. Fu così che lo trovò Rella:
perso in complicati
e tortuosi pensieri a cui se n'erano aggiunti altri.
Aprì la porta
– lasciata socchiusa – facendola
cigolare un poco, e Thorin si fermò spostando il capo nella
sua
direzione; la fronte si spianò leggermente, ed un angolo
della bocca
si piegò di poco verso l'alto in un debole sorriso.
<< E' tardi, non
dovreste essere ancora alzata >>.
Rella gli si
avvicinò, posandogli una mano
sull'avambraccio << So perfettamente quando è
tempo di
ritirarmi. Tu, piuttosto, dovresti dormire >>.
<< Non vi riesco
>> mormorò, osservando il
gioco di luce e ombra sul volto della nana; le prese una mano tra le
sue, sospirando affranto senza vergogna: chi meglio di lei poteva
conoscerlo e comprenderlo?
<< Ho saputo
della lettera di Dain >> disse,
optando per tergiversare l'argomento di cui inizialmente voleva
parlare << Raccontami tutto >>.
Thorin l'accompagnò
alla poltrona accanto al focolare
acceso, e prese la sedia sulla quale si era seduto; si perse a
contemplare la mensola sulla quale stavano i suoi effetti personali
insieme a vecchi ricordi d'infanzia, e decise di raccontarle del
popolo degli Ered Mithrin.
<< Ne eravate a
conoscenza? >> domandò, una
volta che ebbe terminato.
Rella era semplicemente
sbalordita, ma lo nascose molto
bene sotto la solita maschera di compostezza che la
contraddistingueva << No. Certo che no. Se
così fosse stato te
ne avrei parlato immediatamente. Ciò che mi affligge
maggiormente,
però, è questo nuovo scontro imminente...
>>.
<< Ho deciso di
aiutare questo sovrano volendo
combattere nel suo regno piuttosto che qui, appunto per tenervi al
sicuro. Non dovete preoccuparvi >> assicurò,
stringendole le
dita con affetto.
La
nana scosse piano la testa, restituendogli la stretta <<
Non mi
preoccupo certo per me >> ribatté, severa
<< Sono
preoccupata per te
>>.
<< Non dovete
>> ribadì.
<< Non posso
perdere anche te, Thorin >>.
<< Madre...
>> tentò, ma lei lo interruppe.
<< No,
ascoltami. Sono contenta ti sia lanciato in
questa nuova impresa, benché pericolosa; ma, figlio mio, ho
paura
che la tua ira possa trascinarti in luoghi bui da cui non potrai
fuggire >>.
Nuove rughe si formarono sulla
fronte del nano e, senza
volerlo, si trovò a socchiudere minacciosamente le palpebre
<<
Più oscuri di quelli che sto percorrendo ora? Ne dubito
>>
ribatté, sprezzante.
Rella sospirò,
volendo trovare parole adatte con cui
scuotere quell'unico figlio che le rimaneva, quel forte e determinato
uomo diventato l'ombra di se stesso. Ma lei era nata dalla roccia,
temprata dalle preoccupazioni e sofferenze che l'avevano segnata nel
profondo; orgogliosa come poteva essere solo una giovane nana
promessa in sposa al futuro Re di Erebor, era divenuta prima fredda
Regina sotto la Montagna e poi severa madre dei Principi. Il
carattere duro era servito a renderli ciò che erano
attualmente, e
di questo era estremamente orgogliosa oltre che particolarmente paga:
Thorin, poi, le assomigliava più di Dìs, o del
povero Frerin morto
molti anni addietro. La vecchia Regina Madre aveva riposto tutte le
sue più accanite e devote speranze nel nuovo Re sotto la
Montagna;
finalmente aveva potuto assistere al ritorno in auge del loro potente
popolo grazie a quella dolorosa Riconquista che, d'altra parte,
l'aveva privata degli eredi diretti.
Questo era stato il prezzo da
pagare.
Una
minima parte dell'anima inorridì a quel pensiero, eppure non
fece
nulla per scacciarlo poiché giusto. Il Fato richiedeva sempre
delle
vite in cambio: Frerin e Thror nella Battaglia di Azanulbizar e di
conseguenza anche suo marito, fuggito chissà dove preda
della
pazzia; i nipoti nella Battaglia dei Cinque Eserciti, morti per
permettere a Thorin di sopravvivere e governare come indetto dai
Valar.
Purtroppo
però il loro sacrificio non portava frutti, al momento,
giacché suo
figlio non mostrava il benché minimo accenno a voler ricominciare
allontanando
il senso attanagliante di colpa. Per quanto gli avesse detto che non
c'entrava nulla con la tragedia continuava a rimuginarci senza sosta,
come in quel momento. Lo capì guardandolo in quegli occhi
così
diversi dai suoi per colore, ma non per profondità.
Così come comprese
che era accaduto qualcosa <<
Raccontami quel che ti angustia >>.
Thorin si mosse a disagio,
ricordando le parole della
sorella << Dìs >> disse
solamente, prendendo un profondo
respiro prima di continuare << Sostiene che sia
responsabile
della morte di Fili e Kili >>.
Rella
alzò gli occhi al cielo, stringendogli spasmodicamente la
mano <<
Sai che non è così! Sono stanca
di vederti in questo misero stato, Thorin: è pietoso per un
re, e lo
è ancor più per il Re sotto la Montagna
>> borbottò secca.
Il
nano si ritrasse dalla presa ferrea, gli occhi che mandavano lampi
furibondi << Ricordare i nipoti defunti è pietoso
per voi? >> domandò, contenendo a stento la
rabbia << Li
ho cresciuti come figli, rimproverandoli per la loro negligenza ma
riempiendomi d'orgoglio per gli uomini che erano diventati! Ora non
potranno godere dei privilegi che la loro posizione comporta,
né
potranno sposarsi né invecchiare perché si sono
battuti con
coraggio e sono deceduti difendendomi coi propri corpi! Come potete
dirmi che sono pietoso
ai vostri occhi? >> ripeté, calcando
volutamente l'aggettivo.
Rella non si scompose, o non
lo dimostrò com'era solita
fare. Le emozioni trovavano difficilmente accesso tra quei tratti
granitici e profondi come pietra. Thorin, invece, in quegli sporadici
scatti d'ira dimostrava anche troppo bene i suoi pensieri; incapace
di star seduto si era alzato con foga, portandosi ad alcuni metri di
distanza dalla madre, indignato e furente con la sua imperturbabile
freddezza.
<< Non vi
sconvolge saperli morti? >>.
La domanda accusativa la
sferzò con brutalità <<
Naturalmente >> rispose, abbassando il capo
<< Erano pur
sempre gli eredi al trono >>.
Thorin si lasciò
scappare un'amara risata << Gli
eredi al trono >> ripeté con un sussurro,
appoggiando
l'avambraccio sulla mensola del caminetto; i suoi occhi chiari si
persero tra le fiamme guizzanti, lungo quelle lingue di fuoco dalle
sembianze di asce, spade, vessilli e corpi contorti dal dolore.
<<
Dimenticavo che nulla vi importa al di fuori del potere
>>.
Rella sentì una
furia cieca montarle in petto e, senza
rendersene conto, si alzò avvicinandoglisi; accadde tutto
talmente
in fretta che nessuno dei due poté far niente per fermare il
corso
degli eventi: né la mano che, rapida, volò con
ferocia e uno
schiocco sonoro sulla guancia destra del Re.
Sbigottito, Thorin si
ritrovò col capo voltato di lato
dalla forza con cui era stato percosso e, lentamente, portò
la mano
sulla guancia offesa sentendola calda; la nana, invece, aveva
lasciato penzolare il braccio lungo il fianco senza mai distogliere
lo sguardo dal suo volto, benché l'addolorasse.
Però avrebbe
ripetuto il gesto un'altra volta se se ne fosse presentata
l'occasione.
<<
Il potere
che tanto disprezzi ti permette di sedere sul trono che era di tuo
nonno! Il potere
ti rende temibile e autorevole agli occhi della gente, e degno del
loro rispetto! La strada per ottenerlo e mantenerlo è irta
di
insidie e comporta inevitabilmente delle perdite, ma non per questo
bisogna scoraggiarsi. Un Re non si mostra
mai
debole.
Un uomo sì, ed è ciò che lo rende inferiore
>>.
Thorin espirò,
riconoscendo le frasi che udiva sin da
quando aveva memoria, anche se ora storpiate per enfatizzare le sue
convinzioni.
<<
Sei tenuto a rendere onore alla Casa dei tuoi Padri finché
non
esalerai l'ultimo respiro, Thorin Scudodiquercia. Se essi potessero
parlarti esprimerebbero la loro vergogna nel vederti in questo
momento >> sibilò, arrabbiata e... disgustata?
Così gli parve. << Perciò, marcerai
con convinzione e
combatterai con coraggio alzando al cielo lo stendardo dei Durin,
facendolo garrire al vento. Se la codardia
o qualsiasi altro sentimento inadeguato
prevarranno sul tuo cuore come accadde a tuo padre... >>
lasciò
volutamente la frase in sospeso, trafiggendolo con uno sguardo
rovente e ghiacciato insieme, acuendogli la sensazione dello stridere
di due lame tra loro << ...puoi risparmiarti la fatica
del
viaggio di ritorno, e morire sul campo di battaglia >>.
Per la seconda volta, Thorin
udì una sentenza tagliente
come la lama di un'ascia pendergli minacciosa sul capo: oscillava
pericolosamente di qua e di là, minacciando di staccarsi da
quel
sottile lembo che la sosteneva per conficcarglisi brutalmente sul
cranio, uccidendolo atrocemente. Al contrario di prima,
però, non
sarebbe rimasto in silenzio: l'orgoglio – o ciò
che ne rimaneva –
gli impedì di tacere e mostrarsi vile. Proprio quello che
Rella si
aspettava da lui.
<< Tornare o
morire sul proprio scudo. La scelta
mi pare facile >> constatò ironico, portando
meccanicamente le
mani dietro la schiena.
<< Dipende da te
>> replicò lei, con tono
più ammorbidito; gli diede le spalle, incamminandosi verso
la porta.
Prima di varcare la soglia, però, si fermò e lo
guardò un'ultima
volta, alzando di poco un angolo della bocca sottile <<
Sono
certa che sarai saggio e saprai trovare la risposta. Riposati,
figlio. Domani sarà un grande giorno per il popolo di Durin
>>
se ne andò senza riuscire a dirgli quanto, in
realtà, le
dispiacesse per le tremende perdite.
Non rivelandogli quanto le
sanguinasse il cuore a causa
delle pesanti parole dette. Non confidandogli quanto l'amasse, e
quanto temesse per la sua incolumità.
L'ultimo
lembo di seta dell'abito sparì in uno svolazzo nero come
pece. Come
quell'oblio che lui tanto anelava ma che avrebbe dovuto abbandonare.
O forse avrebbe dovuto accoglierlo per impedire ad altro
di insinuarsi nel cuore eludendo le barriere alte e insormontabili.
Si risedette, appoggiando i
gomiti sul legno scuro della
scrivania, portando entrambe le mani a coprirgli il volto stanco e
dolente, lacerato e confuso, collerico e triste, impotente e
battagliero.
Proprio non riusciva ad
abbandonare gli ultimi dialoghi,
pur desiderando con tutta l'anima di dimenticarli. Di nuovo,
innumerevoli sentimenti esplosero nel cuore, confondendolo e
devastandolo: primi fra tutti, rabbia verso la sua condizione e
amarezza profonda per quel che non sarebbe mai cambiato. Non
indirizzò l'ira verso la madre poiché
ciò che aveva detto, per
quanto meschino e crudele, doveva servire unicamente per il suo bene,
per farlo tornare come un tempo. A modo loro, sia Dìs che
Rella
cercavano di aiutarlo. Ma lui in che modo poteva aiutarsi?
Non trovò risposte.
Rimase in quella posizione a
lungo, o forse gli parve
tale; improvvisamente, come quando un lampo bianco si scaglia a terra
durante un violento temporale, la soluzione gli apparve nitida e
chiara. Era talmente semplice che rimase qualche istante come
sospeso, immobile come la pietra che lo circondava.
E proprio come pietra
sarebbe dovuto diventare.
Permettendo a quel che lo
rendeva così debole di
indurirsi.
Riversando il suo furore e la
sua smania di vendetta
verso il nemico.
Immergendosi totalmente in
quella nuova impresa che
l'avrebbe sciolto dai propri spettri, dalle sue paure. O che
l'avrebbe ucciso. Sinceramente, non avrebbe saputo scegliere tra
l'una o l'altra; anzi, forse attraverso la morte avrebbe finalmente
riavuto la sua libertà.
Non gli importava vivere, o
morire.
Ciò che contava era
la vendetta. Solo questo. E,
per Durin, l'avrebbe ottenuta.
Tirò un ultimo
sospiro sentendo la stanchezza
martellargli insistentemente sulle tempie, decretando fosse giunto il
momento di coricarsi. Lo desiderava immensamente, e
ringraziò il suo
buon intuito per aver già preparato ogni fagotto per
l'indomani
all'alba.
Quando riabbassò le
mani, nessun sentimento traspariva
dal suo viso, né dagli occhi.
Se Rella avesse potuto vederlo
sarebbe stata fiera di
lui.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Buonsalveeeeeeeeeee!!!
Hahahahahaha, ero convinta di
rimanere fuori dai giochi per un po' di tempo, e invece mi sono
ritrovata impaziente di pubblicare questo primo capitolo con prologo
della nuova storia XD!!!
Che ne pensate, vi
è piaciuto ^^? Iniziamo già con
un'atmosfera pesante per tutti, dalle sentinelle ai nostri Durin
rimasti; chiedo umilmente perdono alle fans di Fili e Kili, non
potete immaginare il dolore provato nello scrivere questo capitolo
ç____ç: lo sapete, è dura che la vena
tragica mi abbandoni! Qui
abbiamo anche un Thorin devastato dalla perdita dei nipoti, con una
sorella che lo “odia” – comprensibile,
direi – e una madre
molto ambiziosa e forte. Secondo me quel povero nano non vede l'ora
di andarsene, anche se al momento accoglierebbe la morte con gioia
:'(! Ma ci pensiamo NOI a dargli l'ammmmore che vuole ;)))
Al momento non ho altro da
dire, perciò vi chiedo
gentilmente di farmi sapere i vostri pareri tramite le vecchie
recensioni ;))) ve ne sarò moooolto grata <3!
Alla prossima, un abbraccio a
tutti quelli che
commenteranno, leggeranno e decideranno di seguirmi :D!
Ciaooooooooooo
Anna <3
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