CALL ME SENSEI
CALL
ME SENSEI
*
Intorno all’intera vallata
regnava solo la notte.
Densa e consistente si
stagliava sulle montagne circostanti.
Solo un tenue fuoco
sembrava voler controbattere le tenebre che circondavano la zona.
Lì, su una rupe, due figure
restarono immobili attorno allo scoppiettante falò da loro generato.
La sagoma più piccola,
quella di un bambino, sembrava immersa in un sonno profondo data la sua
posizione supina.
Un braccio a fargli da
cuscino e null’altro.
Non una coperta adagiata
sul corpicino del piccolo, né qualcosa che potesse riscaldarlo.
Solo la stoffa della sua
tunica lo riparava dal freddo, oltre al fuoco stesso.
La spada adagiata al suo
fianco sembra essere il suo unico possedimento; eppure, il piccolo guerriero,
non sembrava affatto sofferente per la sua attuale situazione.
Accanto, dall’altra parte
del crepitante fuoco, un’altra figura sembrava assorta in pensieri molto
profondi e, deducendo dalla sua espressione, anche abbastanza impegnativi.
L’uomo dava l’impressione
di essere assopito e, gli occhi chiusi, sembravano confermare questa teoria.
Il dubbio, però, nasceva
dall’insolita posizione che aveva assunto.
Gli occhi sbarrati e, sia
gambe che braccia, incrociate tra loro.
Non si mosse nemmeno
quando, il suo piccolo compagno d’avventura, si issò a sedere.
Il bambino, evidentemente
ancora sveglio, si fermò ad osservarlo con aria ingenua scrutandone
l’espressione.
“Torna a dormire” ordinò
l’adulto senza muoversi di un solo millimetro dalla sua posizione.
Il piccolo, tuttavia, non
sembrò intenzionato a prestare obbedienza alla figura autoritaria che gli stava,
finalmente, tenendo compagnia.
“Il mio papà dice che sei
un grande guerriero, è vero?” esordì il piccolo dai capelli color tenebra senza
battere ciglio.
Seguì un attimo di
silenzio.
Nessuno dei due parve voler
parlare.
Se da un parte, il piccolo,
sembrava in attesa di un’opinione, dall’altra, l’uomo dalla pelle verde, parve
considerare attentamente la domanda in cerca di una risposta.
“Tuo padre farebbe bene a
pensare di più a se stesso” rispose duramente l’uomo col turbante.
Il bambino, Son Gohan, non
sembrò impressionato dalla risposta del demone continuando ad osservarlo come se
davanti a sé ci fosse una persona qualsiasi.
Una delle tante, come
poteva esserlo suo padre, sua madre o suo nonno.
Gohan sbatté le palpebre
più volte ed attese altri secondi prima di riprendere a parlare; “Il mio papà ha
ragione” constatò il piccolo giungendo alla conclusione di un concetto che
girovagava solo nella sua mente.
Piccolo decise, infine, di
aprire gli occhi osservando la figura del bambino quasi con sgomento; in attesa,
forse, di conoscere i pensieri del ragazzino.
Lui, il piccolo guerriero,
gli sorrise nella maniera più genuina che conosceva; “Non sei affatto cattivo
come dicono la mamma e il nonno” spiegò allargando il suo sorriso da orecchio a
orecchio.
Il demone, al contrario, si
ritrovò spaesato dalle parole di un moccioso; sul suo volto, difatti, si dipinse
uno smarrimento visibile persino ad un occhio inesperto.
Ammutolito fissò il ragazzo
senza riuscire a pronunciare una sola sillaba; fu il piccolo Saiyan, appunto, a
riprendere la parola “Quando tornerò a casa dirò alla mamma di prepararti tante
cose buone. La mia mamma cucina bene sai? Ti piace il pesce? La mia mamma…” “Fa
silenzio!” sbottò il demone.
Piccolo, esasperato e
confuso, zittì il ragazzino quasi istintivamente; nello sguardo di Gohan, però,
non si intravide nessun cenno di paura.
Il bambino restò spaurito
solo dall’urlo improvviso.
“Finiscila di chiacchierare
a vanvera! Domani ti aspetta un allenamento ancor più duro rispetto a quello di
oggi, non vorrai morire prima di aver sconfitto i Saiyan?!” s’impose severo il
maestro.
Gohan osservò il demone
dalla pelle verde per alcuni istanti, “Ma io non ho sonno” piagnucolò
capriccioso.
Piccolo, ancora una volta
sgomento dalla sua reazione, benché, questa volta, riuscisse a nasconderlo,
osservò l’allievo aggrottando severamente le sopracciglia.
“Ti ho detto di dormire”
ribadì l’uomo; contando, tra le altre cose, sul suo aspetto fisico non
incoraggiante, nella speranza di incutere almeno un po’ di timore nel ragazzino.
Gohan, però, si limitò a
sdraiarsi piegando la bocca verso il basso, dispiaciuto, semplicemente, di non
poter dialogare col maestro.
Infondo, a lui, questo
tizio piaceva.
Piccolo brontolò
sommessamente qualcosa d’incomprensibile.
Tra mille borbottii la
parola moccioso fu l’unica ad essere chiaramente udibile.
Il Saiyan, invece, si
limitò a chiudere gli occhi nella speranza di riprendere sonno al più presto.
*
Un tremendo frastuono lo
costrinse ad aprire gli occhi.
Di svegliarsi, però, non
sembrò intenzionato, infatti richiuse le palpebre un secondo dopo.
Si rigirò dall’altra
parte, come se nulla fosse, tornando nel suo mondo di fantasia.
“Svegliatevi!” strepitò
una voce dallo stampo severo costringendo, il giovane Son e il suo migliore
amico, a destarsi una volta per tutte.
Goten e Trunks aprirono
contemporaneamente gli occhi focalizzando, lentamente, la sagoma che si presentò
loro con sguardo severo.
Piccolo osservò i due
ragazzini dall’alto verso il basso, le braccia incrociate al petto e lo sguardo
inflessibile, per non dire arrabbiato.
Fu Trunks il primo a
dare cenni di vita.
Si issò in posizione
seduta grattandosi, svogliatamente, la testa, “Altri cinque minuti” farfugliò
seguito da un sonoro sbadiglio, col risultato d’innervosire ulteriormente il già
irrequieto maestro.
Ormai al culmine della
sopportazione, il namecciano, optò per le maniere forti, pur di destare i due
piccoli, ed indisciplinati, guerrieri.
Un pugno ben assestato
sulle teste dei ribelli bastò a svegliare, dolorosamente, i giovani Saiyan.
“Ahi che male!” si
lamentò il bimbo dai capelli lilla massaggiandosi la parte lesa, “Ahia!” fu
invece la protesta del piccolo Goten.
“Forza, muovetevi, è ora
di riprendere l’allenamento” ordinò l’alieno tornando ad incrociare le braccia.
Trunks gli rivolse uno
sguardo imbronciato e seccato, “Perché dobbiamo allenarci subito? Non rendiamo
al meglio se non siamo riposati” cercò di giustificarsi il ragazzino,
spalleggiato dal frenetico annuire del compagno di giochi, “Non è giusto” gli
diede manforte il bimbo dai capelli corvini.
Piccolo digrignò i denti
nervoso, era stufo di ripetere le stesse cose ogni mattina, possibile che questi
bambini non capissero?
Troppo piccoli, forse,
per comprendere la grandezza della missione che era stata loro affidata.
Troppo piccoli per
capire che la salvezza di tutti era nelle loro mani.
Troppo piccoli per aver
già perso delle persone a loro care.
Semplicemente, troppo
piccoli.
Gli occhi del namecciano
si posarono sul più giovane dei due.
Fratello del suo primo
allievo scomparso con la quale condivideva lo stesso destino: essere guerrieri
troppo piccoli.
“Ve lo ripeto per
l’ultima volta. Il vostro nemico è Majin-Bu, non è un gioco. Dovete imparare la
tecnica della Fusion entro pochi giorni. Non stiamo scherzando” rammentò loro
ansioso, senza preoccupasi di nasconderlo.
Goten e Trunks si
scambiarono uno sguardo d’intesa, condividendo lo stesso pensiero, pensiero che
fu Trunks, il più intraprendente dei due, a rendere noto.
Alzò la mano in segno di
dover parlare ed attese.
“Cosa c’è?” domandò
l’uomo prossimo ad una crisi di nervi.
Trunks abbassò la mano,
si schiarì la voce ed infine riprese la parola, “Ci scusi, maestro, noi vorremo
fare colazione” richiese il bambino, nuovamente supportato dall’annuire
dell’altro.
L’espressione del
namecciano si fece ormai esasperata.
Avrebbe più volentieri
negato ai due ribelli la possibilità di svagarsi perdendo così altro tempo, ma
il rumore di un piede sbattuto ripetutamente al suolo gli fece comprendere che,
quella, non era un’ottima situazione.
Le madri dei piccoli
guerrieri lo scrutarono attentamente in attesa di una risposta e, qualora fosse
risultata negativa, si sarebbe dovuto preparare ad una sfuriata.
Quelle due erano
pericolose, non per niente erano riuscite, rispettivamente, ad ammansire i
guerrieri Saiyan più forti dell’intero universo.
A Piccolo non restò che
acconsentire, malvolentieri, alla richiesta.
“D’accordo, ma che sia
una cosa veloce” concordò dopo un sonoro sbuffo richiudendo, esasperato, gli
occhi.
*
“…colo” gli sussurrò
accanto una voce costringendolo ad aprire le palpebre.
Piccolo osservò la figura
che gli si materializzò davanti.
Due occhi neri, coperti
dalle lenti di un paio di occhiali, e un sorriso genuino che occupava gran parte
del volto gioviale del suo interlocutore.
“Ciao, Gohan” lo salutò il
namecciano appena riconobbe il ragazzo che lo aveva destato dalla sua usuale
meditazione.
L’uomo dalle orecchie a
punta si alzò dalle mattonelle bianche sulla quale era seduto tornando a
guardare il suo allievo dall’alto verso il basso.
Gohan non smise ma di
rivolgergli un sorriso, “Ti ho disturbato?” s’informò cordiale osservando i
lineamenti, non più duri, del maestro.
Piccolo ricambiò il
sorriso, “No” stabilì incrociando le braccia, come sempre aveva fatto.
“Bene” gli rispose il
giovane cominciando ad assumere un atteggiamento un po’ impacciato, “Vorrei
presentarti una persona” gli rivelò infine il motivo della sua visita.
Lo sguardo dell’alieno si
fece curioso, soprattutto nel denotare un certo imbarazzo nelle movenze
dell’altro.
Ormai lo conosceva,
letteralmente, da una vita.
Gohan si grattò la nuca
impacciato e, senza aggiungere altro, girò i tacchi raggiungendo un’altra figura
poco distante, tutto sotto l’occhio vigile del namecciano.
Ad attenderlo una donna,
Videl; in braccio un piccolo lenzuolo saldamente sostenuto dalla ragazza.
Si scambiarono poche parole
che, nonostante l’udito, Piccolo non riuscì ad ascoltare dato il tono, molto
basso, con la quale parlarono.
Gohan si fece carico di
afferrare, molto delicatamente, il lenzuolo, tornò a voltarsi e raggiunse il
namecciano vicino alle scalinate davanti al tempio.
“Lei è Pan, mia figlia” la
presentò orgoglioso mostrandola a quello che era il suo più grande amico, “Pan,
saluta Piccolo, lui è il maestro del tuo papà” parlò delicatamente
rivolto alla neonata, come se lei potesse capire.
Piccolo osservò la
creatura, domandandosi, se anche lei avrebbe condiviso lo stesso destino del
padre e dello zio.
Il suo istinto gli disse di
fare un passo indietro, niente più lezioni a bambini capricciosi; ma, il suo
buonsenso, gli impedì di farlo.
Fece un passo avanti,
adagiò la mano sulla spalla al giovane e gli sorrise “Congratulazioni, Gohan”
disse delicatamente sentendosi, almeno un po’, nonno.
Pan osservò lo strano uomo
per pochi secondi, sbadigliò e chiuse gli occhi appisolandosi placidamente.
*
FINE
*
*
Sensei,
dal giapponese Maestro.
*
Da diverso tempo volevo
scrivere qualcosa su Piccolo, dunque ecco a voi il risultato. Spero sia stato di
vostro gradimento.
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