Berretti rossi
Jessica Boyle si
trovava già a letto quando udì il suono delle cornamuse. Si alzò di scatto e
raggiunse la finestra della sua modesta casupola, restando in ascolto: sì, non
si era sbagliata.
La giovane
indietreggiò, inquieta, e cercò d’ignorare quel suono: sapeva bene che la
maggior parte degli abitanti dell’Ayrshire evitava di suonare ancora i loro
tradizionali strumenti, per evitare d’incorrere nelle severe sanzioni imposte
dalla Corona.
Soltanto i Redcap,
i sanguinari folletti che abitavano sia le Highlands che le Lowlands, si
sarebbero permessi un tale affronto all’autorità inglese. Certo, la fanciulla
dai capelli rossi sapeva benissimo che erano solo leggende, ma era comunque
spaventata ed era a conoscenza del perché: si diceva che i Redcap festeggiassero
soltanto quando mietevano una vittima.
O quando ne
attendevano una.
Il mattino
seguente la ragazza si trovava nel piccolo giardino della sua dimora, intenta a
stendere i panni: era raro che ci fossero giornate così belle nell’uggioso ottobre
scozzese ed era meglio approfittarne, soprattutto per dimenticare il sinistro
concerto della notte precedente.
Assorta nella
propria mansione, non si accorse immediatamente del rumore degli zoccoli che si
dirigeva verso di lei e notò il giovane purosangue bianco soltanto quando
attraversò, al galoppo, la strada davanti alla sua casa. Alla fanciulla fu
sufficiente una rapida occhiata per accorgersi di chi cavalcava quello splendido
destriero: Charles Rosewood, l’inglese amico di Lord Boyle, conte di Glasgow.
Non era solo, saldamente allacciata ai suoi fianchi vi era una cavallerizza
assai giovane, con i biondi capelli che ondeggiavano al vento. Jessica
trattenne a stento un gesto di stizza e ritornò ai suoi panni: ciò che faceva
Charles non la riguardava più, ormai, anche se un sottile timore si era fatto
largo nella sua mente.
Anche il giovane
Rosewood aveva osservato rapidamente Jessica Boyle, prima di tornare a
concentrarsi sulla cavalcata. Doveva ammettere, suo malgrado, che la ragazza
scozzese era ancora bellissima, nonostante gli abiti popolani e il viso
arrossato dal fulgido sole di quel giorno era sempre un piacere osservare i
suoi lunghi capelli ramati e immaginare il verde scuro di quegli occhi.
Talvolta si
sentiva in colpa per averla sedotta e abbandonata, ma era una sensazione che
perdurava solo qualche istante: era una contadina scozzese, un’eventuale unione
tra loro non era minimamente concepibile, anche se lui non fosse stato già
fidanzato. D’altronde, al momento non aveva alcuna intenzione di dedicare altro
tempo a miss Boyle, si stava recando con la sua compagna ufficiale presso la St.
John’s Tower per un picnic e non voleva turbare in alcun modo quella splendida
giornata.
Charles e la sua
promessa sposa, miss Amanda May, raggiunsero in pochi minuti il verde prato che
circondava la torre e i resti della vicina chiesa dedicata Saint John ed
entrambi rimasero colpiti dalla romantica bellezza di quegli edifici diroccati
e dalla quiete del luogo. Si trattava di edifici antichi, risalenti al periodo
romanico, realizzati nella scura pietra locale. Le condizioni delle torre erano
decisamente migliori, rispetto alle spoglie delle chiesa, ormai ridotte al solo
pavimento e qualche brandello di mura.
Scherzosamente,
l’uomo osservò che la torre poteva quasi essere abitato e strappò una breve
risata a miss May, che gli ricordò delle leggende che popolavano la Scozia.
“Magari qualche grazioso abitante dei boschi ha trovato rifugio nella torre!”
ipotizzò la giovane, facendo sorridere il suo compagno.
Si diressero poi
vero il cavallo e presero dal cestino che avevano assicurato al dorso della
cavalcatura una tovaglia, dei sandwich e una bottiglia di vino, per poi
iniziare il lieto pasto: mentre conversava con Amanda, mister Rosewood non
poteva fare a meno di ringraziare mentalmente Lord Boyle, che gli aveva
consigliato quel posto così suggestivo come meta del picnic. Charles apprezzava
molto il fatto che, nonostante la sua morale molto rigida, il conte di Glasgow
non lo biasimasse per aver tradito miss May e che, anzi, si fosse reso
disponibile nell’aiutarlo con dei buoni consigli.
Troppo concentrati
sulla piacevolezza di quella scampagnata, i due giovani non si accorsero dei
tanti, minuscoli, occhi che li scrutavano torvi dagli anfratti della torre.
Il pomeriggio
stava trascorrendo nel migliore dei modi, tuttavia Charles si sentiva inquieto,
e avvertiva la strana sensazione di essere osservato da qualcuno. Più volte gli
occhi scuri del nobile avevano vagato nel paesaggio circostante, concentrandosi
sulla St. John’s Tower, ma sempre l’allegra risata di Amanda lo distraeva da
quei cupi pensieri, portandolo a perdersi in quegli azzurri quanto il terso
cielo di Scozia.
Non videro i Redcap che strisciavano
silenziosamente nell’erba con i piccoli
dirks già sguainati e pronti a colpire
gli stolti che avevano osato avventurarsi nel loro territorio.
Non fu difficile
per i folletti raggiungere l’ignara coppietta, troppo concentrata in un giocoso
inseguimento per notare i propri aguzzini che li avevano ormai raggiunti e, prima
ancora che i due se ne accorgessero, i Redcap avevano attaccato: miss May
cacciò un urlo di dolore e paura quando il primo dei corti pugnali le trafisse
le caviglia e cadde a terra, divenendo facile bersaglio per le pugnalate
successive.
Mister Rosewood
accorse in soccorso della sua dama, ma venne anch’egli rapidamente ferito alle
gambe dalle precise coltellate di alcuni agguerriti folletti.
Amanda urlava,
terrorizzata e dolorante, mentre cercava disperatamente di alzarsi e fuggire
dagli attacchi dei minuscoli nemici, che l’attaccavano senza sosta e con una
ferocia inaudita: ormai i pantaloni da cavalerizza e la candida camicia della
giovane erano impregnati di sangue vermiglio e a nulla servivano i calci e gli
schiaffi con cui tentava di colpire l’orda di minuscoli assassini, che
continuavano imperterriti nel loro attacco.
Charles udiva le
urla della fanciulla ma non poteva far nulla per soccorrerla, dato che i Redcap
lo avevano ormai sopraffatto, sentiva le forze venirgli meno a causa delle
numerose e profonde ferite provocate dall’affondo dei dirks e di alcune
claymore nelle sue carni. L’ultima cosa che il giovane udì prima perdere i
sensi di fu l’urlo straziante di Amanda quando l’occhio sinistro della giovane
venne trapassato dall’ennesimo colpo di un barbuto Redcap, poi fu il buio.
Mister Rosewood si
riprese a fatica e aprì lentamente gli occhi, rendendosi conto che si trovava
in una stanza piuttosto buia, illuminata soltanto da alcune fiaccole. Era
incantenato a un muro e, poco distante da lui, si trovava una piccola vasca in
pietra circolare ricolma di un liquido rosso e vischioso, dall’inconfondibile
olezzo ferroso, in cui erano immersi
numerosi cappelli in stoffa, che il giovane riconobbe come quelli dei Redcap.
Preso dal panico,
Charles cominciò a cercare con lo sguardo Amanda e a chiamarla a bassa voce,
temendo che i suoi aguzzini potessero sentirlo, ma non ottenne alcuna risposta.
Si lasciò scivolare a terra e, preso dallo sconforto e dal disgusto, vomitò per poi abbandonarsi a un pianto sconsolato.
Scosso dai brividi
e con gli occhi velati dalle lacrime,
l’inglese impiegò parecchio tempo per notare che rare gocce vermiglie cadevano
nella vasca in pietra, con un lento e osceno tichettio.
Alzò lentamente lo
sguardo, senza riuscire a fermare l’urlo di puro orrore che scaturì dalla sua
bocca: appeso al soffitto, infatti, c’era il cadavere di Amanda May. La giovane
era nuda e sulla sua candida pancia era presente un profondo taglio. Alcuni
pezzi d’interiora, sfuggiti dalla ferita, penzolavano nel vuoto, lasciando che
il sangue gocciolasse tetramente nella vasca sottostante.
Le urla
terrorizzate di Charles attirarono l’attenzione dei folletti, che raggiunsero
rapidamente il loro prigioniero. Il giovane prese a piangere e supplicare i
Redcap, ma le sue suppliche non ebbero alcun effetto, se non quello di
divertire i piccoli assassini, che si lanciarono in una sguaiata risata.
Il capo del
piccolo manipolo si avvicinò al prigioniero, sfoderando la propria claymore e
puntandola al collo dell’inglese, che si limitò a urlare più forte che potè,
prima che la spada affondasse nel suo cuore, provocando degli schizzi di sangue
che parvero scatenare l’ilarità dei Redcap.
L’assassino
estrasse rapidamente la propria arma dal petto dello sventurato e fece un cenno
ai suoi sottoposti, i quali si affrettarono a liberare il cadavere dalle
catene.
Il cadavere di
mister Rosewood sarebbe presto andato incontro alla medesima sorte di quello
della sua fidanzata e il suo sangue avrebbe tinto di vermiglio i cappelli dei
suoi assassini.
Quella notte, poco
prima di coricarsi, Lord Boyle udì il suono di alcune cornamuse in lontananza.
L’uomo rabbrividì, realizzando che il suo piano era riuscito e i Redcap stavano
festeggiando le nuove vittime.
Sospirò. In parte
si pentiva di ciò che aveva fatto a Charles Rosewood ma, d’altro canto, non
aveva avuto alcuna scelta: quello sciocco inglese aveva osato disonorare una
donna del suo clan e non poteva permettere che l’onta non venisse lavata con il
sangue.
Certo, in qualità
di conte di Glasgow non poteva esporsi, ma sapeva bene che i folletti non
avrebbero gradito un’invasione del loro territorio, così aveva lasciato a loro
il lavoro sporco, limitandosi a decantare il romanticismo delle rovine della
St. John’s Tower davanti a mister Rosewood.
Un ultimo brivido
percorse il Conte, mentre l’immagine dei sgargianti berretti rossi dei folletti
balenava nella sua mente, accompagnati dall’idea dei sinistri bagliori lanciati
da quei piccoli e micidiali dirks che rilucevano al chiarore lunare.
L’angolo dell’autrice
Salve a tutti!
Eccomi di ritorno al genere horror dopo un sano periodo di astinenza, anche se
questo lavoro è piuttosto particolare.
La
storia che avete appena letto avviene nei pressi della cittadina
di Ayr (situata nell’Ayrshire scozzese), dove si trova la St. John’s Tower e la
residenza dei conti di Glasgow, intorno al 1730.
I termini dirks e claymore indicano
rispettivamente il pugnale scozzese e la spada. Tutte le informazioni sono
state tratte da Wikipedia e da “La Grande Enciclopedia dei Folletti” di Pierre
Dubois.
Questo racconto,
inoltre partecipa al contest A bit of creepy indetto da Lucetta Streghetta
sul forum di Efp.
Tornerò presto a
parlare di folletti, anche se in chiave decisamente più classica, non prima di
aver risolto una faccenda riguardante i
miei cari amici succhiasangue.
A presto,
Carmilla Lilith.
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