Pronti, partenza, via di Trick (/viewuser.php?uid=21078)
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Note:
Mi scuso in
anticipo perché
per me è ancora impossibile riuscire a capire la logica che
regola
la storia fra Eleven e River. No, dico davvero, c'è qualcuno
in
questo universo che l'ha capita? Nel caso dovessi aver scritto
qualche allucinante stupidaggine, vi sarei grata se me le faceste
notare... questo telefilm non smetterà mai di confondermi.
So
che è più corretto scrivere la
Tardis,
ma purtroppo ho iniziato a guardare Doctor Who in italiano e
l'abitudine di chiamarlo il
Tardis
non mi è ancora passata. Chiedo scusa. (:
Pronti,
partenza, via
*
All'inizio
è sempre una questione di occhiate.
Il
Dottore è un Signore del Tempo – l'ultimo
– ma nemmeno lui ha
fatto eccezione. L'ha osservata di sottecchi compiere le azioni
più
ordinarie – scostarsi un ricciolo dal viso, sorseggiare un
goccio
di tè, aggiustarsi il polsino della camicia.
Fremiamo
tutti nell'attesa di scoprire se siamo a un passo dalla
verità o
dall'illusione, davanti a qualcosa di straordinario che
cambierà per
sempre la nostra vita o davanti a un nessuno che si scosta i capelli,
che beve e si aggiusta la camicia e che si rivelerà essere
soltanto
qualcuno di passaggio.
Innamorarsi
è una corsa a ostacoli molto interessante.
Qualcuno
raggiunge il traguardo, qualcuno si ferma, qualcuno inciampa
all'inizio e qualcuno alla fine; qualcuno parte già stanco,
qualcuno
arriva rinato, qualcuno fa il contrario e spreca ogni forza nel
tentativo di rimediare. Prima o poi corriamo tutti in milioni di gare
diverse su cui non abbiamo il coraggio di scommettere.
Il
Dottore non voleva correre – correva da secoli, correva da
troppe
vite, avrebbe solo voluto fermarsi - ma quando aveva capito di non
avere altra scelta se non quella di partire era già arrivato
al
traguardo e la gara si era già conclusa.
Correre
all'indietro è come gettarsi in un dirupo a braccia aperte.
Sai
che cadrai.
Non
sai ancora quando, non sai ancora come, sei quasi certo di sapere
perché e sei fin troppo certo che farà
più male di ogni altra
precedente caduta... ma lui ha corso lo stesso.
Era
il solo modo in cui poteva sbirciarla scostarsi un ricciolo, bere il
tè o aggiustarsi la camicia.
Washington
D.C.
1969
Non
dovrebbe essere lì, ma non è riuscito a
impedirselo.
Si
sporge per scrutare nel vicolo e si sistema distratto il cravattino.
A River piace che lui sia in ordine – anche se è
oggi è solo una
bambina sperduta che cerca aiuto sotto le luci dei lampioni, anche se
ha paura e non sa né chi sia lei né che sia lui,
anche se ogni cosa
è appena terminata e ogni cosa è appena iniziata.
«Aiuto».
Il
Dottore serra gli occhi e sbatte la nuca contro il muro alle proprie
spalle. Non fa abbastanza male, non quanto restare fermo nell'unico
tempo che non ha mai avuto il potere di cambiare.
«Per
favore, aiutatemi...».
Per
la mente gli passa il folle pensiero di prenderla con sé e
regalarle
tutti gli universi che merita. Potrebbe portarla in Scozia e farle
sentire l'abbraccio dei genitori che crede di non aver mai avuto;
potrebbe regalarle le stelle, gli astri, ognuna delle vite che gli
sono rimaste. Potrebbe crescere con lui e diventare la donna
straordinaria che è destinata a diventare – a chi
mai importerebbe
cos'è mutato e cosa no?
Essere
il Signore del Tempo costretto ad assecondarne le leggi è
tremendamente ingiusto.
“ Guardaci
correre”.
Il
Dottore la sbircia un'ultima volta – ha le calzette bordate
di
pizzo bianco, i capelli biondi scompigliati, il piccolo viso pallido
e spaventato – e la lascia andare.
Berlino
1938
Non
dovrebbe essere lì, ma lei sta dormendo.
La
osserva dall'altro capo della stanza, seduto su una scomoda sedia. Il
diario nuovo di zecca che le ha appena regalato è appoggiato
sul
comodino, in attesa che ogni cosa inizi e finisca per l'ennesima
volta.
River
mormora nel sonno. Il Dottore sospira – è come
avere cento
coltelli piantati nei cuori – e si avvicina a passo felpato.
Le
sfiora una mano, intreccia le sue dita con le sue e resta
lì, fermo,
in un altro dannato secondo che non può essere cambiato.
Eppure
sarebbe facile. Ci pensa ancora, pensa a quanto sarebbe semplice
svegliarla e trascinarla in una delle tante mirabolanti avventure che
lei deve ancora vivere, e lui potrebbe accompagnarla ancora una
volta, ancora cento e mille volte, perché lui è
il Signore del
Tempo e non è giusto che alla fine debba sempre uscirne
sconfitto.
«D-Dottore...».
La
fissa con una smorfia triste – ha un ricciolo davanti al
viso, le
labbra appena dischiuse e non gli è mai sembrata
più fragile e sola
– e la lascia andare.
Università
Lunare
5123
Non
dovrebbe essere lì, ma ci sono centinaia di giovani attorno
a lui e
dubita di poter essere visto.
La
guarda mentre risponde con incredibile prontezza alle domande del
professore, senza alcuna incertezza, senza sbagli. Sagace, decisa,
perfetta.
«Ne
sa più del professore».
Il
Dottore si volta verso il ragazzo di colore seduto accanto a lui. Ha
i capelli scuri e folti, l'espressione ammirata – e l'ha
già
visto, ne è certo, ma è difficile ricordare in
quale angolo e in
quale momento dell'universo.
Il
ragazzo scrolla le spalle.
«Sei
nuovo? Non ti ho mai visto».
«Sono
solo un tipo curioso».
Lui
annuisce divertito.
«Ti
capisco. River incuriosisce sempre tutti. Hai sentito della sua
ricerca sulle convergenze dei buchi neri nella dimensione Gamma
Centauri? Geniale»
aggiunge con enfasi. «Vorrei poter lavorare con lei, un
giorno».
Il
Dottore lo osserva con un cipiglio pensieroso.
«Come
ti chiami?».
«Dave».
È
come un lampo.
“ Altro
Dave”.
Vorrebbe
ridere – o forse tutto il contrario – ma non
aggiunge altro e
torna a concentrarsi su River. Quanto gli costerebbe alzarsi il piedi
e farle un fischio? Lui potrebbe portarla dentro
i
buchi neri di Gamma Centauri, alla fine e all'inizio del mondo,
stando ben attento a non portarla mai alla fine del loro. Ma la
lezione ormai è terminata, il tempo scocca e sibila e lo
irrita. E
vince ancora lui, sempre il tempo, barando sempre alla stessa
maniera. Che senso ha essere il Signore del Tempo?
La
scruta con orgoglio – ha i capelli raccolti in una crocchia
che
ricorda un Big Bang di riccioli e schiocca le dita per enfatizzare un
concetto che deve sembrare elementare solo a lei – e la
lascia
andare.
Pianeta
Uno
Inizio
dei tempi
Non
dovrebbe essere lì, ma nell'intero universo c'è
solo una persona
che potrebbe accorgersi della sua presenza.
Ed
è proprio lì a qualche metro, e fin tanto che non
si volterà il
Dottore sarà tranquillo. La osserva rimirare soddisfatta il
lavoro
appena compiuto – la sente ridere e fa più male di
quanto non
avrebbe mai potuto pensare.
“ Ciao,
dolcezza”.
Le
prime parole dell'universo sono tutto il suo universo e non ha mai
potuto dirglielo. Spoiler,
spoiler, spoiler...
sempre quei dannati spoiler a frenare ogni altra parola che avrebbe
dovuto seguire le prime.
Cambierebbe
qualcosa se corresse da lei e la portasse da qualche parte? Niente di
pericoloso per una volta, niente che rischi di far esplodere
l'interno Commonwealth a causa di un pesce rosso... un hamburger,
magari. O un altro concerto di Stevie Wonder.
Odia
essere il Signore del Tempo.
Le
rivolge una labile occhiata – lei si sta allacciando una
scarpa e
non ha ancora smesso di ridacchiare – e la lascia andare.
La
Biblioteca
51°
secolo
Non
dovrebbe essere lì, perché un solo sbaglio, un
solo errore,
qualunque cambiamento di un qualunque istante potrebbe condannare
ogni suo futuro istante – o passato, o magari pure presente.
Distinguere il tempo trascorso con River ha smesso da molto di avere
importanza: contano solo gli attimi. Contavano,
in effetti, perché ormai il passato è solo
passato e quello conta
eccome.
La
scruta mentre suggerisce ai suoi compagni di infilare i caschi
protettivi, mentre aiuta la signorina Evangelista con il suo...
probabilmente lo fa con una battuta di spirito, perché gli
altri
scoppiano in una risata nervosa.
Il
Dottore si lascia scivolare contro la porta del Tardis e resta seduto
a terra, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e le dita fra i
capelli.
Conta
solo l'attimo – ed è
quello,
è quello che fa più male di tutti, quello dal
quale non riesce più
a rigenerare nulla.
Vorrebbe
gridarle di non farlo, di non andare avanti da sola, di non lasciarlo
indietro, ma sta lì, fermo e immobile nell'occhio del
ciclone mentre
il suo universo esplode.
La
sbircia fra le lacrime un'ultima volta, l'ultima
davvero
– ed è meravigliosa e per un attimo, l'attimo che
conta, lei si
volta verso di lui e si acciglia davanti al fantasma di un Tardis che
svanisce nel nulla.
Ma
lui la lascia andare.
Alla
fine della corsa, lei si era rivelata quella giusta. Era quella
giusta anche all'inizio, ma lui non lo sapeva ancora e aveva scelto
di correre.
Aveva
corso in qua e in là, c'erano stati ostacoli sui quali era
caduto e
altri che era stato abile a evitare. Non era stata una gara lineare,
la sua. Aveva cercato di tenersi lontano dal traguardo per quanto
più
tempo possibile, di non farla mai terminare –
perché il traguardo
era un'esplosione, era il dolore, era la fine dell'inizio –
ma
aveva fallito.
Camminare,
correre, scappare... le aveva provate tutte, ma sempre all'indietro,
sempre cadendo.
Non
si era accorto che lei lo aveva visto.
Se
sei il Signore del Tempo, il tempo può essere riscritto
anche se ne
sei succube, anche se hai appena perso la battaglia più
importante... basta saltare l'ostacolo giusto per sistemare ogni
cosa.
River
si era voltata e si era detta di averlo solo immaginato – ma
forse
sarebbe potuto bastare, forse quello
era
l'attimo giusto
che
avrebbe potuto cambiare ogni cosa.
Il
Dottore non se ne era accorto. Stringeva rabbioso i comandi del
Tardis in preda a un pianto disperato, gli occhi serrati, la schiena
curva e tremante, mormorando “spoiler, spoiler...
spoiler”
come se stesse maledendo ogni attimo di quel tempo che lo aveva fatto
cadere.
«Guardami
correre, River».
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