Il figlio di Laufey profuma di neve e di notte, di ghiaccio e d’ombra. Della creatura che ha visto in sogno, non possiede alcun dono.
È brutto, pensa sgomenta. Eppure dovrà amarlo comunque.
Cauta, gli accarezza con il polpastrello la guancia. I marchi della razza si dissolvono come neve al suo tocco. Sbatte le palpebre e il neonato la imita, restituendole uno sguardo verde.
Ipnotico.
“Cosa sei?” mormora – e la voce è un velo inconsistente.
Il piccolo tende la mano e strofina le sue labbra.
Non ha parole per dirlo, ma ha scelto comunque.
Tuo.
Sarò per sempre tuo. |