Un ultimo Natale
Un Ultimo Natale
Un clacson suonò per strada seguito dal luccichio dei fari che
attraversarono per un secondo i vetri della stanza vuota di Camilla .
Il freddo condensato contro le finestre rendeva difficile scoprire come
il mondo si stesse muovendo fuori, eppure non era importante. Quello
che contava era ancora tutto in casa. Dietro le porte scorrevoli della
camera da letto dei suoi; dentro gli scatoloni ammassati in ogni
stanza, avvolto nella carta di giornale.
Era tutto pronto. L’ultimo Natale in questa casa era passato da poche
ore. L’ultimo regalo aperto. L’ultimo pacchetto dalla mamma scartato.
“Mil?” le dita di suo padre che le passarono tra i capelli sottili
scossero Camilla dal ricordo di ieri. “Che fine ha fatto il calzino
destro, cipollina?”
La bambina abbassò gli occhi verso il piedino premuto contro quello di
Mattia, scoprendolo nudo e improvvisamente freddo: mosse le dita, come
a controllare che fossero ancora vive, mostrando poi un sorriso timido
e bellissimo. Come quello di Mattia, solo con qualche dentino in meno.
“L’ho regalato alla mamma per Natale.”
Il respiro sfuggì alle narici di Mattia più lento e sofferente del
voluto, mentre sua figlia sgusciava le mani nelle tasche dei suoi jeans
e affondava il naso contro la sua gamba.
“Amore, i regali li abbiamo aperti ieri. Anche quelli della mamma. Te
lo ricordi? Li hai messi tu sulla finestra così che mamma potesse
prendere i suoi dal cielo.” Camilla sbirciò dal suo nascondiglio contro
i pantaloni del padre “Te lo ricordi?”
La piccola annuì insicura: “Sì, ma non li ha presi!”
Mattia rimase perplesso di fronte alla risposta della bambina; era
sicuro di aver recuperato ogni oggetto e biglietto dalla finestra prima
che sua figlia si svegliasse quella mattina.
“Certo che li ha presi.”
“No, papi. Li hai presi tu ieri sera e lei non sapeva dove cercarli.”
Mattia deglutì a fatica, rammaricandosi di non essere stato più attento
e rimpiangendo di aver portato via tutto prima di andare a letto:
conosceva bene Camilla, la sua curiosità e la sua testardaggine. Si
sarebbe dovuto aspettare che la figlia sarebbe sgattaiolatta nella
notte a controllare l’evolversi degli eventi.
“Non l’ho vista, papà.” il pollice infilato tra i denti in un gesto di conforto e una domanda dipinta negli occhi.
Mattia fece un passo indietro, accarezzò la testa di sua figlia,
rivivendo nel tocco leggero dei suoi capelli quello identico di
Stefania, poi la prese in braccio.
“Lo so, cipollina.”
Non sapeva che altro dirle; chi l’ha detto che se sei un genitore hai
una risposta per tutto? Lui non aveva una risposta per il 70% delle
domande di Camilla. E al restante 30% sapeva rispondere Stefania.
Stefania, che però ora non era più qui.
“Non dovevi farmelo questo, Ste.” sussurrò tra sé mentre Camilla cercava di liberarsi dalla sua presa.
“Ho freddo al piede, papà!” il pollice ancora tra le labbra e il palmo dell’altra mano che spingeva contro il petto di Mattia.
Il campanellò suonò e nel cuore gli si diffuse un sollievo leggero,
velocemente rimpiazzato dal senso di colpa: stavano lasciando la loro casa, la casa di Stefania.
Un ultimo Natale: l’ultimo insieme, l’ultimo con Stefania nell’aria.
“Mattia? Siete pronti?” la voce di suo padre giunse potente dal piano
di sotto e sua figlia riuscì a divincolarsi dal suo abbraccio per
correre da basso.
“Nonno, la mamma non è venuta! Non possiamo andare…”
Stringendo l’interno del proprio labbro inferiore tra i denti, Mattia
lottò contro l’amore per sua moglie che dal fondo dei polmoni lo
implorava di piangere ancora. E ancora.
Avrebbe voluto altri mille giorni di Natale con loro. Con lei. In questa casa e in tante altre.
E invece avrebbe dovuto tenersi per sempre stretto il ricordo di
quest’ultimo, perché Stefania il primo giorno d’autunno era salita
sulla scala per sistemare una tenda. Era salita ridendo e spiegando a
Mattia che questa sarebbe sempre stata casa loro.
“Abbiamo fatto noi l’amore in ogni stanza per primi, Mattia. L’abbiamo battezzata noi. È marchiata.”
“Cos’è fatto l’amore,
mamma?” aveva chiesto Camilla, rotolandosi sul divano. I piedini in
aria, la testa a penzoloni e gli occhi puntati sulla madre.
“Attenta che ti cascano tutti i capelli a terra se stai così.”
“Davvero?” aveva domandato allarmata la bimba e sua moglie aveva riso.
“No. Ora scendi dal divano e porta papà al supermercato mentre io finisco di sistemare qui.”
“Sì, ma cos’è fatto l’amore?”
“Te lo spiega papà in macchina.”
Lui le aveva guardate in silenzio, come faceva ogni giorno, bevendo
ogni suono che gli regalavano, amandole come non sapeva di poter amare.
L’aveva baciata un’ultima volta; leggero, veloce, frizzante. Avrebbe rimpianto quel bacio per sempre.
L’avrebbe dovuta baciare più a fondo, più a lungo, con più intenzione.
Ma Mattia non poteva sapere. Non sapeva che Stefania sarebbe scivolata
su quel maledetto scalino in alto. Non poteva sapere che avrebbe
battuto la testa troppo forte e in un punto troppo delicato. Non poteva
immaginare che quel bacio sarebbe stato l’ultimo.
L’ultimo, come questo Natale.
“Ancora glielo devo spiegare, Ste. Ancora non gliel’ho detto cos’è
fatto l’amore.” sussurrò Mattia nell’aria della camera, come se sua
moglie fosse davvero lì. “Forse non glielo riuscirò a spiegare mai.”
Poi scese le scale e trovò i suoi fratelli intenti a sollevare la vita
della sua famiglia - impacchettata negli scatoloni - mentre Camilla
spiegava alla nonna che il suo calzino l’aveva portato in cielo la
mamma.
Forse l’aveva fatto davvero.
Le lacrime che gli bruciavano nelle palpebre e il cuore sembrava più pesante ad ogni passo.
“Capito, nonna? Non possiamo andare ancora. Mamma non è passata.”
Mattia raccolse l’album delle fotografie che aveva preparato la scorsa
estate per Stefania e che aveva lasciato sul tavolo da pranzo: fece
scorrere le dita sulla pelle della copertina premendo contro la
rilegatura e inspirando profondamente. Si sedette sul penultimo scalino
e lasciò vagare lo sguardo attorno a sé, memorizzando ogni angolo di
quella che sarebbe stata sempre la loro casa.
“Mamma, c’è un cambio di Camilla nella mia borsa. Puoi prenderle delle
calze?” si rivolse alla madre, trovando il suo viso dolce e
ringraziandola silenziosamente. Poi si voltò verso la figlia:
“Mil, vieni qui.”
La piccola sembrò dimenticarsi rapidamente del suo lungo discorso con
la nonna e fece una piccola corsa, i suoi talloni morbidi che
picchiavano pesanti sul parquet. Quando raggiunse Mattia, Camilla si
infilò tra le sue ginocchia: appoggiò la guancia contro la spalla del
papà e strinse la camicia di lui in un piccolo pugno.
“Papi, la mamma. Deve venire lei, non possiamo andare.”
Mattia le baciò la fronte, accarezzandole la schiena e aprendo l’album:
Stefania era già lì. In ogni fotografia. In ogni ricordo. In ogni
giorno passato insieme. Con lui. Con Camilla.
Quando voltò la prima pagina sentì lo stomaco contrarsi: il sorriso di
sua moglie fu la prima cosa che i suoi occhi trovarono. Era una foto di
Stefania il giorno in cui erano entrati in quella casa, insieme.
Era il giorno di Natale.
“Mami…” biascicò Camilla appoggiando il palmo sull’immagine della madre.
“Lo sai che giorno era questo?” le sussurrò contro la tempia, cercando
di sorridere mentre le sue dita si intrecciavano con quelle della sua
bambina e, insieme, accarezzavano il viso di Stefania.
“No…”
“Quello in cui io e mamma siamo venuti a vivere qui.”
Camilla non rispose. Si limitò ad ascoltare il battito del cuore di Mattia mentre i suoi occhi studiavano l’album.
“Il giorno dopo la mamma mi ha detto che presto saresti venuta anche tu a vivere con noi.”
Voltò pagina e mostrò alla figlia altre foto scattate a poche ore di distanza: la casa vuota, solo un divano e due seggiole.
E un albero di Natale.
Camilla iniziò a sfogliare l’album da sola, curiosa di rivedere la
mamma e di scoprire di quel giorno: Mattia glielo raccontò. Le disse
del primo passo nella casa, di Stefania che aveva portato l’abete di
plastica, di come insieme avevano decorato l’albero. Di quando avevano
acceso le luci dell’albero e di come Stefania l’aveva baciato
sussurrando “Dove ci siamo noi sarà sempre Natale.”
E di come lui l’aveva presa in giro per una frase tanto strana.
“La mamma era strana.” mormorò contenta Camilla.
“Lo era, vero?” e la bimba annuì.
Poi arrivò all’ultima foto di quel 26 Dicembre. Le stanze ancora
spoglie e l’albero che troneggiava in un angolo del salone: Mattia con
una scopa in mano e un secchio in testa in una posa statica in piedi ad
un lato dell’albero; all’altro Stefania, con un festone di Natale
argento legato attorno alla vita mentre cercava di assumere la
posizione di una ballerina.
“Perché siete così?”
“Facevamo i personaggi de Lo Schiaccianoci.”
“Il cartone?” domandò Camilla voltandosi entusiasta verso il padre, che si limitò ad annuire.
Mattia chiuse l’album e lo poggò sul gradino, facendo ruotare Camilla tra le sue braccia finché non trovò i suoi occhi scuri.
“Mil, ti va se lo facciamo anche tu ed io?” le chiese cercando un
sorriso dentro di sé e il viso della piccola si controse in una smorfia
di confusione.
“Che cosa?”
“I personaggi de Lo Schiaccianoci.”
le spiegò fissandole i capelli dietro un orecchio e lei si strofinò un
occhio con un pugno. “Vuoi fare la foto come quella che abbiamo fatto
io e la mamma, amore?”
“Uguale?”
“Sì, uguale Mil. La stessa foto di quel S. Stefano. Noi due oggi proprio come abbiamo fatto io e mamma quel giorno.”
Lo fecero: lui si mise un secchio di latta in testa oggi come sei anni
fa, imbracciò la scopa vecchia rimasta e restò in piedi come un
soldatino accanto all’albero, mentre Camilla copiava la posizione di
sua madre.
Mattia si sentì esplodere il petto: non capì mai se di gioia o di dolore.
Quando tutto fu caricato in macchina, suo padre lo avvicinò e gli accarezzò la nuca:
“È per quello che l’albero era ancora qui, Mattia?”
“Sì, papà.”
“E adesso cosa ne facciamo? Lo smontiamo?”
Mattia fissò l’abete di plastica e un po’ traballante: lo studiò a
memoria, lo sovrappose ai giorni nei suoi ricordi e lo rinchiuse nel
suo cuore.
“No. L’albero resta. È entrato con lei e con lei deve restare.”
Suo padre non discusse la sua scelta: annuì e lo abbracciò
delicatamente mentre il resto della famiglia entrava nel salone per
l’ultima volta. Camilla cercò la mano del papà e si guardò attorno:
“Ciao mami." gridò con l’entusiasmo che solo i bambini posseggono “Ora sei nella foto con noi. Non rimani qui da sola.”
La madre di Mattia soffocò un singhiozzo, coprendosi le labbra con una mano mentre suo marito chiedeva:
“Perché oggi, Mattia? Perché hai voluto che oggi fosse l’ultimo giorno?”
Lui prese in braccio Camilla e guardò la loro casa per qualche minuto.
“Perché è il suo onomastico e la casa è sua. Perché Stefania ama il
Natale. Perché il Natale è stato l’inizio di noi inisieme e perché S.
Stefano è stato l’inizio della nostra famiglia.” rispose trovando il
viso della figlia “Il nostro primo giorno in tre è stato quello. Voglio
che sia anche l’ultima volta che siamo noi tre insieme qui dentro.”
“Santa Stefania!” ridacchiò Camilla e Mattia sorrise, baciandola.
Quando staccò la corrente dal quadro esterno e vide le luci dell’albero
spegnersi, affidò per sempre a sua moglie il ricordo dei Natale insieme
in quella casa e le sussurò:
“Dove ci siamo noi sarà sempre Natale.”
A/N:
l'idea è nata a causa di un articolo che ho letto online e che - appena
riesco a fare pace col mouse- linkerò qui sotto. Non so bene come, mi
sono ritrovata a scrivere qualcosa di triste per la prima volta in vita
mia. E ultima, credo.
È una shot Nataliza che - immagino - verrà considerata tutto tranne che
Natalizia: abbiate pietà, sono più pratica con le risate. Non so come
mi è uscita questa.
Ah, ecco, il nome della moglie: non è un autoinsert (tocca ferro e
batte due volte sul tavolo), chiaramente... Purtroppo, il Santo dopo il
Natale è precisamente il mio santo e quindi mi sono trovata costretta a
chiamarla Stefania; va da sé che è stata una spiacevole coincidenza -
non essendo io, tra l'altro, particolare fan del mio nome -. Era giusto
per precisare.
Non so che altro dire: immagino che in genere le OS Natalizie siano più
allegre. Io, invece, vado al contrario: faccio ridere durante l'anno e
piangere a Natale (e pena sempre).
D'accordo, ho finito. La mia amatissima Beta non è stata interpellata
per questa storia (come si potrà notare dal mio uso sconsiderato delle
virgole), ma era malatissima e non mi è parso proprio il caso.
Questa OS mi è servita (spero) per sbloccarmi almeno un po': la mia
priorità resta "L'imbarazzante piacere del TuttoTondo" e credo di
poterla aggiornare a breve. Nel frattempo spero di non essermi meritata
troppi pomodori in faccia.
Buon Natale, sigh.
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