Windigo

di Mariam Kasinaga
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Capitolo 3-Windigo

Un mese dopo...

La donna si riscosse dai suoi pensieri, rivolgendo un ultimo sguardo verso la foresta che lambiva il lato nord del villaggio. Da un paio di giorni, quasi senza accorgersene, i suoi piedi sembravano portarla sempre lì, in quel luogo maledetto, quasi sperando in una sorta di miracolo. Si sfiorò la guancia con un dito e si accorse che era bagnata: dalla notte in cui Naj le era stato strappato dalle braccia le lacrime le scendevano all’improvviso, senza lasciarle il tempo di cercare inutilmente di ricacciarle indietro. Si lasciò cadere in ginocchio a terra, lasciando che quel fiume inesorabile si estinguesse da solo, mentre urlava tra i singhiozzi il nome di suo figlio.
Era la sua consapevolezza che la portava a disperarsi ogni giorno, a farla svegliare nel cuore della notte senza fiato, prima di ricominciare a singhiozzare affondando la testa nel cuscino: sapeva che il suo Naj non era riuscito a raggiungere il villaggio dei bianchi, ma vagava da qualche parte in mezzo agli alberi, solo ed affamato, trascorrendo le notti all’agghiaccio. Probabilmente era per quello che i suoi piedi sembravano condurla ogni giorno in quel luogo, mentre i suoi occhi vagavano tra gli alberi: quella notte avrebbe dovuto difendere Naj, ma non era stata in grado di impedire che lo esiliassero in quell’inferno gelido di neve ed abeti.
Si asciugò furiosamente il volto con il dorso della mano, maledicendosi per la sua debolezza di fronte a quel dolore talmente grande da sovrastarla completamente, facendola quasi annegare nella sua stessa sofferenza. Diede l’ennesima occhiata ai fusti contorti degli alberi centenari che si trovavano ad un centinaio di metri da lei, poi si voltò per raggiungere il villaggio.
Non le era sfuggito il movimento tra i bassi arbusti, ma aveva preferito ignorare quel corpo umano ridotto ad uno scheletro e ricurvo su se stesso, ricoperto di una rada peluria ispida incrostata di sangue. C’erano stati dei giorni in cui i suoi occhi si erano posati sugli arti simili a quelli di un animale e sulle lunghe corna che ricordavano quelli di un alce. Era riuscita, qualche volta, a sostenere lo sguardo di quegli occhi iniettati di sangue che si posavano su di lei, quasi volessero accusarla di una colpa che non sarebbe mai riuscita ad espiare. Dalla foresta si levò un gemito gutturale, una nota bassa e profonda che sembrava esser stata prodotta dalla creatura più immonda della terra, ma la donna continuò a camminare, mentre le lacrime avevano ripreso a scorrerle copiose sulle guance.
Era per quello che si spingeva ogni singolo giorno fino al limitare della foresta: per tentare non solo di mondare un peccato che non sarebbe mai riuscita a cancellare, ma per punirsi nel vedere cosa era diventato suo figlio per colpa sua.

“Possono scegliere di non ucciderti. Possono morderti e lasciarti morire dissanguato sulla neve.
Si muore, ragazzo, e si rinasce come uno di loro. Un Windigo” 





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