Fuori il cielo è diventato di
quell’azzurro pallido, distante, che
precede l’alba.
Oltre il vetro gelido riesce a
vedere i grattacieli, riesce a
pensare alle altre migliaia di
persone che dormono ancora in quella
mattina. Quella mattina che è sorta
per guardare la sua ultima traccia
di umanità scomparire per sempre.
Scosta le
lenzuola bagnate e si mette a
sedere. Sente già l’odore di quello
che ha fatto che le si insinua nelle
narici, ma decide di dimenticare.
Dimenticare e sparire.
Seduta sul bordo del letto fissa lo
sguardo sulla superficie spettrale
di quei mostri di ferro e specchi…
E dice addio a se stessa.
La sua anima terrorizzata scioglie
le catene e vola via, oltre quella
finestra, oltre quella stanza, oltre
quella vita.
Scappa.
Scappa via da lei.
Il suo corpo rimane immobile.
Svuotato. Gli occhi scuri ancora
persi nel nulla, i capelli che le
cadono sulle spalle, in lucide
ciocche corvine.
Appoggia le mani sulle ginocchia,
palme all’insù.
…e i suoi occhi si abbassano…
È ancora li, sulla pelle candida,
tra le sue dita sottili.
È ancora li, di quel rosso così
scuro, tanto più scuro di quello che
s’immaginava.
Sospira e si solleva.
C’è bisogno che si sbrighi, oggi è
martedì. E come tutti i martedì il
turno inizia prima.
Ignora il letto e si sofferma per un
attimo davanti allo specchio.
Un involucro
sgonfio ricambia la sua occhiata.
Osserva il suo corpo nudo.
Dappertutto sulla pelle diafana sono
rimaste tracce della sera prima.
Il sangue è ovunque, bellissimo.
Sulla guancia che ha appoggiato al
cuscino, sulle labbra, sul collo...
E tutto ha quell’odore, quell’odore
inebriante di bestialità e
degenerazione.
Esce dalla stanza, i piedi nudi che
affondano nella moquette fradicia.
Non presta attenzione al corpo
straziato riverso nel letto, non
presta attenzione al coltello che
luccica nella semioscurità della
stanza. Fa finta di non vedere le
lenzuola, una volta così bianche,
divenute ormai scarlatte.
A terra, sulla porcellana brillante,
rimangono le sue impronte, rosse.
Ogni passo le ricorda piacevolmente
che quella è la realtà. Che lui
adesso non esiste più. È scomparso,
finalmente.
Arrivata nel salotto spalanca la
finestra.
Ecco che il sole sorge.
Ammira i tentacoli grigi che si
espandono a vista d’occhio. Non
esiste né fine né inizio.
Tutto troppo grande per un essere
umano. Tutto troppo grande per lei.
Si appoggia piano alla ringhiera
fredda. Avverte la scossa e
rabbrividisce.
Non lo amava. Il suo amore era
abitudine. Con il tempo aveva
imparato ad odiarlo. Odiarlo come
mai aveva odiato nessuno.
Socchiude gli occhi.
È libera.
E quella libertà ha un sapore
inaspettato.
Ritorna in quella camera per
l’ultima volta. Lui non esiste più
ormai. Ormai la sua vita sarà
un’altra.
Il sole è sorto. È una di quelle
rare giornate limpide. Si vede il
cielo fuori da quella stessa
finestra in cui nessuno guardava la
sera prima, quando il coltello
affondava e il cuore esultava.
Prende la
biancheria, scivola in una gonna
nera e stretta.
La camicia bianca che ha indossato
si è sporcata si sangue.
Ma a lei non importa.
Infila le scarpe con quel tacco a
spillo che non ha mai messo e
raccoglie la borsa e la valigetta di
ogni mattina.
Un ultimo sguardo nello specchio
dell’ingresso.
Quella è lei.
Quella che sarebbe dovuta diventare
tanto tempo prima.
Finalmente.
Sorride dolcemente alla sua gemella
riflessa, la guarda ancora
imbrattata e sporca com’è, con
quella camicia dalle macchie
macabre.
E poi via.
Non le importa.
Che tutti vedano, che tutti
sappiano.
Che tutti scoprano chi e cosa è lei.
O chi è stata, di nascosto… sempre.