CAPITOLO 1- A CENTRO CAMPO
È il nostro primo giorno alle
superiori e siamo così agitati! Prendiamo l’autobus alle sette. Per tutto il
tragitto, cerchiamo di tranquillizzarci a vicenda. Elena è così tesa! Per
fortuna che anche quest’anno siamo in classe insieme, andiamo al liceo
scientifico tecnologico. L’autobus si ferma proprio davanti alla scuola e noi
scendiamo. Elena mi chiede se so dove bisogna andare e io le dico che secondo
me, in segreteria. Fortuna che ho ragione, così una donna sulla quarantina mi
chiede la mia classe, le dico prima C e mi porge veloce un foglietto. Sul
foglietto c’è il piano e il numero dell’aula della prima ora. Io ed Elena ci
affrettiamo ad entrare. Ci sono solo tre ragazze che già stanno confabulando,
obbligate ad un’amicizia di sfavore, di minoranza. Ci sono già quasi tutti i
ragazzi e io ho la tentazione di andarci a socializzare, ma mi trattengo. Come
posso lasciare da sola la mia migliore amica? Allora Elena ed io, ci sediamo in
ultimo banco e ci mettiamo a fare delle considerazioni sui nostri nuovi
compagni, sottovoce però, perchè non c’è molto casino per far passare indenne
una frase, magari sconveniente. Qualcuno ci ha notato e parlotta con il
compagno. Penso ci abbiano scambiato per una coppietta. Allora cerco di essere
un po’ più freddo, distaccato e lei fa lo stesso, eravamo d’accordo su questo
fatto. Niente malintesi con i compagni di classe.
Entra un professore e tutti si
affrettano ad occupare un posto. È il prof di lettere: basso, magrissimo, con
occhiali enormi da vista con la montatura in plastica tartarugata e i capelli
grigio-neri-brizzolati sparati. Già mi sembra di sentirlo parlare di Catullo,
Dante, Socrate, Kant, e che sono solo in prima! Elena pensa la stessa cosa,
credo, perchè anche lei pare un po’ delusa e pure annoiata. Forse si aspettava
un altro tipo di prof, magari più giovane, non lo so.
A ricreazione seguiamo la
mandria fuori dalle aule. Giù in cortile non c’è niente da vedere e niente da
fare, così ci mettiamo a chiacchierare. Elena è contenta della classe. Io un
po’ meno. Suona la campanella di nuovo e tutta la mandria si affretta a
rientrare nei recinti, detti anche classi. La classe come spazio fisico è da
buttare, i banchi piccoli e stretti, ma come gente è okay, ma speravo meglio.
Approfittando del momento in cui Elena ha cominciato a socializzare con le
ragazze ho scambiato qualche parola con i ragazzi. Dai, non sono malaccio,
penso, anzi sono piuttosto simpatici. Al ritorno a casa io ed Elena siamo
frizzanti. “Vieni da me oggi?” le propongo. Lei scherza “Ho dei compiti da
fare...” e si mette a ridere. “Alle due e mezzo al campo sportivo?” le chiedo e
lei annuisce. La prima cosa che adoro di Elena è la sua semplicità. Non è come
tutte le altre ragazze, complicate e plissettate, lei è semplice. E la seconda
è che è anche il miglior attaccante di tutta l’associazione calcio della nostra
città! Elena ed io facciamo parte di una squadra di calcio, giochiamo in un
girone misto, ma che comunque sono rare le squadre con delle ragazze. Elena è
davvero brava e ad ogni partita giochiamo sul fatto che sia una ragazza. Prima
deve fare la scema che non sa giocare bene e poi scatenarsi come è capacissima
di fare. Così la maggior parte delle partite le vinciamo noi: avversari
spiazzati! Io e lei facciamo gli allenamenti anche oltre il necessario, per
tenerci in piena forma. Sabato questo ci sarà una partita molto importante, la
finale del campionato estivo contro la Bistratti AC, preso un poco in ritardo
agli inizi di settembre, in effetti. E quel pomeriggio andavamo per allenarci.
Io sono il jolly della squadra. All’occorrenza faccio il portiere, il terzino
destro, il difensore: sono piuttosto bravo come portiere.
Arriviamo insieme e lei smonta
dalla bici.
Il bello di Elena è che non è
un maschiaccio come potresti immaginare, ma è piuttosto femminile, porta anche
le gonne! È fuori da ogni possibile stereotipo. È giusta sotto tutti i punti di
vista, i capelli castani, lunghi fino a metà schiena, tutti ricci, e spesso li
raccoglie in una coda di cavallo; ha un viso normale, forse il naso un po’
troppo “importante” rispetto al resto. Molti la trovano una ragazza strana. La
squadro un attimo sotto il sole cocente. Non è brutta, anzi, sarebbe quasi
carina soprattutto se non fosse tanto così di carattere e pensasse così tanto
al calcio, ma è la mia migliore amica, e il miglior attaccante eccetera, dunque
a me piace così. “Oh?” mi sventola una mano sotto al naso “Che si fa?”
Mi calcia la palla e cominciamo
subito. Lei è così: non perde tempo.
Dopo un po’ ci stanchiamo.
“Eli?” la chiamo. Lei sbuffa e mugugna, un qualcosa di simile ad un ‘si?’,
credo, colpa del fiatone. Si accascia a terra, ansima. Mi butto anch’io
sull’erba del campo.
“Se sabato vinciamo.... è
troppo stupendo!” dico. Lei mi guarda sorridendo come scherno “Ma va?!” mi prende
in giro. “No, davvero non scherzo: io non ci credo ancora che possiamo
farcela!” dico e lei annuisce. Già lo so che adesso cambia discorso. “Sai, ho
una notizia per te!” mi dice e gioca a fare la misteriosa. “Cosa? Che notizia?”
e sa già che mi ha in pugno. La torturo, penso riguardi il calcio. Poi si stufa
e andiamo a sederci nella panchina a bordo campo. “Sai la tipa che si chiama
Alice? Quella in classe nostra? Quella magra con i capelli neri lisci?” mi fa
alla fine, un po’ seccata perchè l’ho tormentata fino ad adesso. “Si, ho
presente” le rispondo, non capendo dove vuole arrivare. “Ecco, ha detto che sei
un gran figo e che vorrebbe uscire con te venerdì. Io ho provato a dirle che
razza di idiota... ma non m’ascoltava...” ha provato a dire e io le ho dato un
finto cazzotto al braccio. “Beh, dille che non posso...” le dico, dopo poco.
Lei mi guarda confusa “Cosa? E perchè no?”. Io scoppio a ridere, non ci credo
che non capisca il perchè. Poi mi faccio serio “Come perchè?! E la finale la
lasciamo vincere a quei stronzi della Bistratti AC, solo per uscire con una
tipa, sei scema tu! Ma per favore!” le ribatto. E allora succede una cosa che
capita raramente, per dire mai. Elena mi tira una sberla. E, cacchio se fanno
male le sue sberle! “Ma che t’è preso?” le urlo tenendomi la guancia in fiamme.
“Sei un tale idiota egoista quando pensi solo al calcio che t’ucciderei! Quella
povera ragazza in fin dei conti ti ha solo chiesto di uscire con lei, mica di
rinunciare alla partita!” mi urla lei in tutta risposta. “Senti chi parla! Sei
tu quella che come unico interesse ha il calcio. Sei una ragazza, cacchio,
dovresti pensare anche ad altro! Tipo ai ragazzi o per caso hai tendenze
strane?”le urlo addosso. Non mi accorgo di esagerare, lo giuro, se non quando
lei si gira di scatto e corre via. Le corro dietro con lo sguardo, incapace di
muovermi. Inforca la bici e si allontana veloce. Chino gli occhi sul pallone
che ho in mano. Veloce, lo lancio in aria e lo colpisco col piede destro più
forte che riesco, lo lancio lontano. Cazzo, mi dico, che stronzo che sono! Mi
risiedo nella panchina. Nella foga di parlare non mi sono nemmeno accorto di
essermi alzato di scatto. Appoggio i gomiti sulle ginocchia e prendo la testa
tra le mani. Cazzo, mille volte cazzo! Ma perchè ho detto così? Vorrei proprio
saperlo. Dopo cinque minuti mi alzo e torno a casa. Ma che le è preso?, mi
chiedo, e cosa m’è preso a me!, mi fisso nello specchio del bagno dopo avermi
fatto la doccia. Come posso chiederle scusa e non rovinare tutto? Vado a letto
presto, ma non dormo, rimugino su quella pietosa scena. Più ci penso, più
particolari saltano fuori dalle immagini che rivedo mille volte nella mia
testa. Mi è parso persino che i suoi occhi fossero lucidi quando è scappata
via. Ma è impossibile, non sarebbe da lei. L’avrò vista piangere solo due
volte: la prima a sei anni, quando con la squadra dei pulcini abbiamo perso il
nostro primo campionato, la seconda quando l’Italia ha vinto i mondiali,
quest’anno. E una volta per delusione, una volta per felicità. E sai cosa, mi
dico, sei uno stronzo! Cosa ti costa uscire con una tipa? È pure carina! Credo
di essermi addormentato a questo punto.
Questa mattina sono salito in
autobus. Elena è seduta al posto di ieri, guarda fuori dalla finestra. Mi vede
un secondo prima che mi sieda e mette la cartella sul posto “È occupato!”
sibila. Che colpo basso! La guardo incredulo. Il conducente mi richiama
“Siediti, giovanotto!” così raggiungo il primo posto libero che trovo. A scuola
lei si siede accanto a una compagna, Carla, credo si chiami.
Io mi siedo nel primo posto
libero che trovo. Alle lezioni non bado gran chè, mi volto a squadrare ad ogni
campanella la ragazza, Alice. All’ultima campana mi illumino: per far sì che le
cose tornino come prima devo chiedere alla ragazza di uscire. Così, esco per
primo e mi metto in un angolo ad aspettarla. È con un gruppetto di amiche.
Chissenefrega, penso, la chiamo lo stesso, sono disperato! “Alice?”. Lei si
volta e mi sorride. Saluta le amiche che ripartono da sole e si avvicina. “Che
c’è?” mi chiede limpida, imbarazzata anche lei. “Ah, ecco, ...”comincio ad
avere le orecchie di fuoco e le guance in fiamme, maledizione! “... volevo
chiederti se domenica verresti al cinema con me...” riesco a dire, tutto ad un
fiato come dopo aver fatto venti giri di corsa veloce intorno al campo da
calcio. Lei annuisce “Va bene. Dove ci troviamo? Al parcheggio o dentro al
multisala?”
“Parcheggio, vicino al
parchimetro, la panchina. Io sarò là.” Dico tipo robot. Poi lei mi saluta e
s’affretta a raggiungere le amiche, quelle che pensavo fossero andate via, ma
invece l’aspettano in fondo al cortile, al cancello e chiaccherano
ridacchiando. Bella figura di merda!
Mi avvio verso casa, non
pensarci, mi dico. Dopo i compiti, alle cinque, mi faccio un giro al campo.
Decido di raggiungere il mio posto preferito, lo conosciamo solo Elena e io. In
fondo al campo da calcio, al di là della porta da calcio c’è la recinzione
metallica, e una porta. Si esce per di lì e appena dietro c’è un piccolo
stradino con tanti alberi che corre parallelo alla recinzione chiuso tra questa
e un muro di pietra. L’albero proprio dietro alla porta ha una nicchia grande,
e anche se ormai non ci sto quasi più, ma a volte mi piace rimettermi lì a
pensare, come quando ero piccolo. Ma, appena arrivo lì, il cuore mi balza in
gola. Elena solleva lo sguardo, fa un cenno. “Ciao, come va?” mi dice. Non ha
l’aria allegra, ma nemmeno proprio triste, forse abbattuta. “Ciao, tutto okay,
credo, tu?” rispondo e mi siedo accanto a lei. “Mi dispiace per ieri che ho
insistito, non so perchè l’ho fatto, non ero arrabbiata con te.” Mi dice,
mordicchiandosi il labbro inferiore. “Anche a me dispiace. E non penso
seriamente quelle cose. Era solo perchè in quel momento volevo dirti qualcosa
di cattivo.” Le dico. Lo so che non sarebbe molto intelligente dire così ad una
qualsiasi ragazza, ma è veramente il motivo per cui le ho detto tutte quelle
cose. E poi lei è speciale, lei capisce. Infatti annuisce e mi fissa con i suoi
occhi verde-castano: “L’avevo capito. Comunque lo so che hai chiesto ad Alice
di uscire.” E mi fa un piccolo sorrisetto. Poi si fai seria e alza un
sopracciglio, guarda per terra. “Beh, sì, ma ho intenzione di uscirci
domenica.” La guardo. Lei mi sorride “ Ci esci, però dopo la partita!” e mi tira
un finto pugno. “Prima hai detto che non eri arrabbiata proprio con me. Ma
allora con chi?”, le chiedo. Lei si volta verso al campo “Arrabbiata con me,
ero. Ma adesso non importa.”, mi risponde. L’aiuto ad alzarsi, l’accompagno
fino a casa. Mi invita ad entrare. Saluto sua madre, appena entro in casa. Sua
madre ha un aspetto tipico da donna in carriera, non so se mi spiego. Ha sempre
i capelli raccolti e un completo elegante addosso, fa l’avvocato. “Ciao, Luca!”
mi saluta frettolosa. Rispondo educato. “Elena, io adesso devo uscire e non so
quando ritorno. Marco ha già preparato dei sandwich e un piatto di verdure così
mangiate (a proposito, Luca, ti vuoi fermare a cena?) Bene, adesso devo proprio
scappare. Credo che anche papà farà tardi. Non aspettateci alzati. Ciao.” E
scappa. Devo chiarirvi alcune cose. Il padre di Elena fa l’avvocato anche lui.
I suoi si sono conosciuti in tribunale: lei avvocato in accusa e lui in difesa.
Elena ha anche un fratello maggiore: Filippo.
Ha un anno più di noi (é in
seconda) e gioca a pallavvolo. È un playboy snobbatore, le ragazze gli muoiono
dietro, è alto come me e a volte scemo, ma ci andiamo d’accordo, Elena ed io.
Ci siediamo a tavola e azzanniamo i sandwich. Arriva lui e ci saluta “Ciao,
Liuc! Ciao, sorellina! Come vi va? State ancora lì lì per mettervi
insieme?”dice. Ah, avevo dimenticato, Filippo fa sempre battute di questo
genere. Ma il bello è che sembra pure preoccupato. E noi scoppiamo sempre a
ridere per il suo modo di dirlo. Ci racconta un po’ del campionato scolastico
di pallavvolo. Dice che dà crediti in più e di andare anche noi, tanto è
facile. Lui ha il ruolo in attacco. Lui la fa facile perchè fa pallavvolo
proprio come sport, io e Ele no, però.
Se ci fosse un campionato di
calcio, allora si che ci saremmo iscritti e poi se davano anche crediti in più,
meglio. Ma niente.
Filippo si è chiuso in camera
due minuti, poi è uscito con il borsone da pallavvolo e l’ha posato sul
pavimento della cucina accanto all’Eastpack azzurro, pronto per il giorno dopo.
“Che partita è?” gli ho chiesto sbocconcellando il mio sandwich. “Domani? La
prima del campionato scolastico, se la vinciamo è un miracolo. Ci sono quelli
di quinta, sega ossa da strapazzo, dicono. Voi sabato avete la finale, no?
Fategli un fondo schiena così, a quei stronzi! Nessuno può battere mia
sorella!”, urla sfottendo un filo, col pugno alzato in minaccia. Mi volto verso
Elena “Che faccio? Dico a tuo fratello di smetterla di fare il deficente e di
non portare sfiga come al solito?”, scherzo. “Proprio, bravo!” ride Elena, così
sghignazziamo tutti e tre. Poi con mezzo panino in bocca Filippo fa: “Raga, ci
sarò anch’io a fare il tifo! Semprechè ci siano un bel po’ di ragazze!”. Elena
gli tira una occhiataccia da incenerire anche una cosa non infiammabile. Dopo
aver finito di mangiare ci sediamo davanti alla tivù e ci guardiamo la partita.
“Esci stasera?” chiede Elena a Filippo, che annuisce. Si alza e va in cucina.
Apre il frigo e si apre una birra. “Che genere di programmi hai?” chiede Elena.
“Porto La Daisy a fare un giro e poi l’accompagno a casa.” Dice Filippo. La
Daisy in realtà è la sua fidanzata che si chiama Margherita, ma si fa chiamare
così, che poi è la stessa cosa, ma suona meglio in inglese.
Comunque nè io nè Elena ci
beviamo il fatto che si limita ad accompagnarla a casa. Secondo me l’accompagna
anche fino in camera sua eccetera, comunque non sono fatti miei. Ma sembra che
siano fatti di Elena, invece. Di solito gli chiede ogni volta se c’è andato cauto. Mica vuole essere zia,
gli dice. Lui ride ma non spiccica parola.
Comunque Filippo esce quasi
subito e decido che me ne vado alla fine del primo tempo. Elena mi si siede
vicino. “Se marcassero di più sul 18 magari bloccherebbero la loro azione e
farebbero quel maledetto pareggio!” mi dice. Guardo il campo ha ragione in
pieno. Sarebbe una Mister fantastica, lei. Ma allora non si dovrebbe chiamare
Mister, no? Finisce il primo tempo “Elena, devo andare” le dico. Lei si alza e
mi accompagna alla porta, guarda fuori, non è ancora buio. “ Ti accompagno” mi
dice. “Okay”, dico, e penso ‘tanto sono tre passi’.
Davanti a casa mia ci fermiamo.
“Vieni un attimo a salutare mia sorella?” le chiedo, e lei accetta. Mia sorella
si chiama Jessica, Jee, la chiamo di solito, ed ha un anno meno di me. È una
buona sorella. Andiamo d’accordo, tutto sommato. Ha gli occhi castano scuro, i
capelli lunghi, lisci e... biondi! La mamma le ha lasciato fare le meches ma il
parucchiere ha sbagliato a farle e adesso invece di avere i capelli castano
chiaro come i miei, ha una chioma bionda grano. Quando mamma l’ha riportata a
casa quella volta, che cacchio, ho riso come un deficente e lei che
singhiozzava. Il giorno dopo però è tornata da scuola con un sorriso smagliante
perchè i ragazzi le avevano detto che stava benissimo. E in quel momento ho
capito che già da tempo era a caccia di ragazzi. Ed io che pensavo fosse troppo
piccola. Scemo no?
Ah, lei gioca a pallavvolo, ma
le piace il calcio.
“Ciao, Jessica!” la saluta
Elena, Jee è in cucina con la sua amica, comesichiama, ...Linda, mi pare. “Sara
dorme qui, stanotte” mi comunica. Ah, ecco si chiama Sara e non Linda, vabbè.
“Mamma dov’è?” le chiedo. Lei fa spallucce “Mamma è uscita con papà, una
cenetta romantica e sdolcinata a lume di candela e seguito, cose per sfigati”
dichiara. Io annuisco, poi accompagno in soggiorno Elena e accendo la tivù. Sta
cominciando il secondo tempo. La tipa, Sara, si lamenta con Jee per il fatto di
guardare la partita e mia sorella le risponde “Se non vuoi guardare vai pure in
camera, ti raggiungo più tardi” e così la fa stare zitta. Sara è una delle
amiche più rompiballe che ha Jee. Si lamenta per tutto! Non capisco perchè
cacchio sono amiche. Boh, comunque non è sempre rompiballe, è anche
lontanamente accettabile a volte.
Stanno finendo la partita quando
suona il cellulare di Elena. Lei risponde: è Filippo, è già tornato, vuole che
lei torni subito a casa, e le dice anche per favore. Ele è talmente sorpresa
che si precipita a casa.
La partita finisce in pareggio.
Poi andiamo a letto. Stavo pacificamente dormendo quando sento un rumore forte
e minaccioso. Mi sveglio e esco in punta di piedi dalla mia camera. Di solito
in estate dormo con solo i pantaloncini e non la maglia. Faceva freddino in
corridoio perchè le due finestre erano aperte. Non c’era la luna e vedevo poco.
Ad un tratto BUM.
Sono finito addosso a qualcosa,
o meglio, qualcuno. Ha lanciato un piccolo grido strozzato. Mi ha puntato una
torcia contro. Coprendomi dalla luce ho visto che era Sara, l’amica di mia
sorella. Sono arrossito. Mi sono alzato e l’ho aiutata ad alzarsi. Per fortuna
sono riuscito a sfilarle dalle mani la torcia prima che si accorgesse che ero
diventato rosso. L’ho spenta. Che figura del cazzo. Che faccio adesso? Lei non
dice niente e io neppure. Dopo un minuto la prendo per mano e l’accompagno in
cucina. “Tutto bene?”le chiedo accendendo la luce della cucina. Allora mi
accorgo che è rossa in viso ed evita di guardarmi. “Dai siediti” le dico e le
indico gli sgabelli davanti al bancone della cucina. “Si, va tutto bene” mi risponde
e si siede. “Perchè te ne andavi in giro?” le sorrido. Sembra diversa dal
solito. Lei evita ancora di guardarmi. “Niente... non riuscivo a dormire...”mi
dice, mi lancia un piccolo sguardo e riprende a fissare il piano del tavolo. Le
offro un bicchiere di acqua fresca e mentre glielo porgo le chiedo “Stavi
cercando qualcuno?”e accidentalmente lei fa cadere un po’ dell’acqua del
bicchiere sul tavolo. “Scusa!”mi dice dispiaciuta. Io prendo lo straccio e
asciugo. “Ma si può sapere che ti prende?” le sorrido. Lei beve tutto di un
fiato, poi dice: “Niente. Buonanotte” e scappa dalla cucina. Io me ne torno a
letto e mi addormento subito. E sogno Elena che fa goal. E io che l’abbraccio.
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