GALLI
Tutti, in
paese, sapevano che Adela Cortés odiava i galli.
Forse solo San
Pietro odiava i galli più di Adela Cortés.
Quindi, quella mattina, non pochi si chiesero come mai ci fosse proprio
Adela, con i suoi tre bambini che le scappavano continuamente in mezzo
ai piedi, a trattare con Pedrito sul prezzo di un gallo da
combattimento che sembrava particolarmente agguerrito.
-È
questo, vero, il gallo più forte di tutti? Quello addestrato?
-Il
più forte, doña Adela.
-Quello che ha
visto mio marito, ma non aveva abbastanza soldi e voi non gli facevate
credito?
-Lui. Non
sapevo che li tenevate voi i soldi, doña Adela.
-Non lo sapeva
nemmeno Antonio.
Pedrito la
fissò per un attimo, in silenzio. Poi non si trattenne.
-E allora
perché, doña Adela? Vado contro i miei interessi,
ma non fate meglio a tenervi ben stretto quel denaro?
-Perché
ha detto che vuole questo gallo per sfidare Azùcar e
vincergli i suoi anelli, e poi smetterà per sempre con le
scommesse e i combattimenti di galli.
Pedrito la
fissò, alzando le sopracciglia.
-Stavolta me
l’ha giurato. Su Gesù e la Madonna.
Lui
alzò le spalle, poi coprì la gabbia con un telo.
-Se l’ha giurato… comunque, ha scelto bene il suo
ultimo gallo. Questo è un campione. Mi raccomando, lo tenga
allenato…
-Certo,
Pedrito.
-E gli dia da
mangiare carne cruda, così sente l’odore del
sangue, e…
-Se ne
occuperà mio marito.
-E se davvero
vostro marito smetterà con le scommesse, tornate a venderlo,
lo ricompro volentieri.
Lei lo
fissò con due occhi che parevano i fulmini di Santa Barbara.
-Se vince
questo incontro, io a questo gallo tiro il collo e lo metto in pentola.
-Come volete.
Se cambiate idea, però, sono qui. Vi farei un buon prezzo.
Pensateci.
-Ci
penserò-, rispose Adela, con un tono che faceva capire
chiaramente che non ci avrebbe pensato nemmeno un secondo.
Radunò i suoi bambini e si incamminò verso casa,
col gallo che gridava il suo disappunto dalla gabbia.
Pedrito
guardò doña Carmen, che vendeva frittelle nella
bancarella accanto alla sua.
-Gliel’ha
giurato, dice. Quella farebbe meglio a farselo giurare su San Tommaso,
e a non crederci finché non lo vede…
Doña
Carmen annuì vigorosamente, poi raccontò la scena
alla cliente che era appena arrivata.
Nonostante la
polvere dell’arena, Roy Elizondo Maria Paredes De las Casas,
meglio noto come Azùcar, riusciva a essere impeccabile anche
indossando il suo elegante completo bianco. Non si sapeva se il
soprannome fosse dovuto al fatto che da quando il vecchio don De las
Casas si era ammalato la gestione di tutte le piantagioni erano passate
sotto il suo diretto controllo, se fosse a causa dei suoi traffici non
troppo segreti di cocaina, o semplicemente perché vestiva
sempre di bianco.
Si diceva che
un giorno, quando un tizio gli aveva chiesto se dovesse fare la Prima
Comunione, con quel vestito bianco, Azùcar si fosse tolto
con estrema calma la giacca del completo e la camicia immacolata,
affidandole ai suoi uomini. Dopodiché si era scrocchiato le
dita e aveva spaccato i denti al tizio, senza che nemmeno uno schizzo
di sangue andasse a macchiargli i pantaloni bianchi, e poi gli aveva
risposto che per mangiare l’ostia i denti non servono.
Dicevano che avesse un tatuaggio della Vergine di Guadalupe sulla
schiena, e che se lo fosse fatto dopo un regolamento di conti durante
il quale era stato gravemente ferito, ma si era rimesso a Lei ed era
guarito. Pareva che si fosse tatuato, avesse ammazzato quello che gli
aveva fatto sparare, e poi fosse andato in pellegrinaggio, in
quest’ordine. Antonio pensò che era un buon
ordine, per farsi perdonare i propri peccati.
Afferrò
il suo gallo e scavalcò il recinto dell’arena con
passo sicuro. Azùcar reggeva il suo con entrambe le mani,
tenendolo discostato dal corpo; forse aveva paura che Rosito gli
macchiasse il completo immacolato. Che nome del cazzo per un gallo,
pensò Antonio.
I
combattimenti di galli sono come quelli degli uomini.
I
galli combattono per la terra e per le femmine, e non hanno paura di
versarci sopra del sangue. Di morirne, anche. Come gli uomini, se sono
uomini veri.
I
galli si studiano, girando in tondo.
Poi
si lanciano uno contro l’altro.
Quando
i galli si scontrano è tutto un frullo di penne, di verde
smeraldo e rosso, di polvere dell’arena e di voli.
È come vedere combattere Ogun e sentire le sue
grida di guerra, è come vedere San Giorgio e il drago
avvinghiati, a un metro da terra, in una confusione di piume
iridescenti.
Gli
avversari si separano, atterrano senza cadere, si studiano. Si gettano
uno contro l’altro, ancora. Una volta, tre, cinque. Saltano,
sbattono l’aria con le ali, cercano di raggiungere il collo
dell’altro. Sono feriti, ma non se ne curano. Come gli
uomini, quelli veri.
Allargano
le ali, si lanciano grida di sfida. Hanno i becchi affilati e gli
speroni di più.
Gli
uomini li incitano.
Antonio
da solo incita il suo gallo quanto tutti gli altri messi insieme.
Azùcar no, lui è immobile, una sagoma bianca su
cui si proietta quel frullar di ali.
I
galli si scontrano, di nuovo. Atila incalza l’avversario, lo
spinge contro il bordo dell’arena, lo intrappola.
L’altro non riesce a sfuggire, tenta di difendersi ma Atila
lo becca, lo trafigge.
Antonio
urla, si protende verso l’arena, qualcuno lo respinge con un
braccio o ci finisce dentro.
Rosito
non cede. Ali e petto potenti, svicola.
Svolazza
al centro dell’arena. Svolazza male. Ha un’ala
danneggiata.
Per
un attimo tutto è immobile. I galli si fissano. Tra la
polvere dell’arena, piume verdi e rosse. Dietro, il bianco.
Atila
si getta contro l’avversario, lo carica. Rosito lo aspetta
con le ali aperte.
Si
gioca il tutto per tutto, come fanno gli uomini.
È
questione di un attimo, un battito di palpebre di Azùcar, un
grido di Antonio.
Rosito
si aggrappa alle penne dell’avversario, si regge in aria con
le ali, quella danneggiata lo sbilancia, ma è abbastanza.
Con un colpo di sperone gli taglia la gola…
…E
mentre il suo gallo si accaniva sullo sconfitto, e Antonio riusciva a
liberarsi dalle braccia di chi lo tratteneva per sottrarre Atila dalla
furia dell’avversario, Azùcar non era
più impassibile.
Sorrideva.
Si dice che
quando Azùcar arrivò in casa di Antonio per
riscuotere il debito, Adela mandò fuori i bambini e si
limitò a fissare, immobile e con le braccia lungo i fianchi,
gli uomini di Azùcar che le portavano via tutto. Suo marito
provava a convincerli a lasciare qualcosa, cosa se ne faceva
Azùcar del tavolo dove mangiavano, o del letto dove facevano
l’amore, tentava di muoverli a pietà, gli
ricordava che aveva tre figli. Invece lei stava lì e fissava
e basta.
Pare che
Azùcar ogni tanto guardasse nella sua direzione, un
po’più spesso di quanto sarebbe stato necessario.
Quando la casa fu vuota le si avvicinò, i passi che
rimbombavano lievemente. Lei non si mosse quando lui la
fissò e allungò una mano verso di lei, a
sfiorarle la clavicola. Antonio gli gridò di non toccarla,
fece per scagliarsi contro di lui, ma gli uomini di Azùcar
lo tennero fermo.
Azùcar
la guardò negli occhi, e ancora Adela non disse nulla, ma
nemmeno abbassò lo sguardo.
Chiuse le dita
attorno alla catenina d’oro che portava attorno al collo.
Tirò.
Non si sa bene
cosa si dissero, Adela e Antonio, quando la casa rimase vuota. Di
sicuro Adela non urlò, non lo maledisse, e se pianse lo fece
in silenzio e da sola. Di certo si sa che lei continuò a
fare le sue faccende, ad accudire i figli e a preparare pranzo e cena
al marito, come se nulla fosse successo. Non sembrava dispiaciuta della
perdita; forse perché, ora che suo marito non aveva
più niente da giocarsi, non avevano nemmeno più
nulla da perdere.
Invece Antonio
non riusciva a darsi pace.
Passava le
giornate senza curarsi dei suoi affari, girovagando senza senso tra il
cortile e la casa vuota; poi, appena scendeva la sera, andava a bere,
ma senza bere, aspettando che qualcuno si impietosisse e gli offrisse
qualcosa. Se la gente si impietosiva parecchio, tornava a casa ubriaco.
Poi una sera
fu Azùcar a offrirgli da bere. Non si sa se
l’avesse visto e gli fosse venuto in mente di fargli la
proposta che gli fece in seguito, o se avesse aspettato come un gatto
che punta la preda, per poi scattare al momento giusto. Ad ogni modo,
ebbe successo.
Trovò
Antonio come si trovava sempre in quel periodo, seduto al bancone con
la testa tra le mani. Dicono che sorrise, e gli si avvicinò
per salutarlo.
Antonio lo
smicciò; forse gli sarebbe saltato al collo, se fossero
stati soli.
-Ti diverti,
Azùcar, a venire qui e ridere di me? Ti danno soddisfazione
i mobili di casa mia?
-Non me ne
faccio nulla dei mobili di casa tua.
-E allora
ridammeli. Ho tre figli.
-Eh, no,
Antonio. I debiti di gioco si pagano. Però, che non si dica
che Azùcar rimane insensibile davanti a tre bambini. Se vuoi
provare a vincere indietro i tuoi mobili, sono disposto ad accettare la
sfida quando vuoi.
Antonio fece
una risata sprezzante.
-E come? Non
ho denaro. Non ho più niente. Le ultime cose che avevo te le
sei prese tu. Non posso nemmeno prendere da bere.
-Oh, ma a
tutto c’è rimedio. Se vinci, oltre ai tuoi mobili
ti do i miei anelli, come l’ultima volta. Per quanto riguarda
il bere… due, qui.
Il barista
riempì di rum due bicchieri e glieli mise davanti. Il rum
era di quello buono, costoso; Antonio affondò gli occhi in
quel colore ambrato.
-Forse ti
sfugge un particolare. Non ho niente da giocare. Niente che vorresti.
Azùcar
prese il suo bicchiere. Annusò il liquido, gli anelli
baluginarono nella penombra del locale.
-Sì
che c’è qualcosa che vorrei. L’ho vista
a casa tua, ma non ho potuto portarmela via. Non era nei patti.
Antonio ci
mise un attimo a capire a cosa si riferisse Azùcar. Poi
comprese.
-Potrei
ammazzarti per quello che hai appena detto…
-Potresti
provarci. Ma moriresti.
-Morirei con
l’onore intatto!
Antonio aveva
dato un pugno al bancone. Il rum dentro al bicchiere
sussultò.
-Calmati,
amico. Sono un gentiluomo: non toccherò tua moglie nemmeno
con un fiore, senza essere nel mio diritto.
-No. Vai a
farti fottere, Azùcar. La mia risposta è no.
-Come vuoi.
Potresti riavere la tua casa, la ricchezza, e tua moglie per una volta
sarebbe fiera di te. Ma ti capisco. Hai già perso una volta,
magari non…
-Anche se
volessi accettare, non ho un gallo da far combattere. O per caso
saresti disposto a darmi tu anche quello?
Il tono di
Antonio era mellifluo. Azùcar rise.
-Io potrei
anche farlo, ma non accetteresti perché sapresti che il
migliore l’ho tenuto per me. Però è
tornato Pedrito, pare che stavolta i suoi galli siano campioni sul
serio… io dico che se uno volesse davvero, in qualche modo
potrebbe procurarsene uno. I miei anelli valgono molto. E se dovessi
vincere, mi accontenterei di una notte sola. Non sono un uomo avido.
Antonio
fissò il bicchiere di rum che non aveva toccato, pensieroso.
–No-, disse alla fine.
-Io domani
sera sarò là. Non devi dirmi nulla. Se verrai,
combatteremo. La posta è stata decisa.
-Non
verrò. L’ho promesso.
-Le tue cose,
la ricchezza, il rispetto. Pensaci. E bevi quel rum, è tuo.
Antonio bevve.
La sera del
combattimento, Adela era fuori dalla porta a vedere il cielo che si
imbruniva, mentre i suoi figli continuavano a giocare nel cortile. La
cena era pronta da un pezzo, apparecchiata sul tavolo di fortuna che
avevano ricavato usando vecchie cassette. Antonio tardava.
Quando la
vicina la guardò con quello sguardo strano, quello tra
preoccupazione e compatimento e una sorta di piacere perverso, Adela
capì che qualcosa non andava.
-Posso fare
qualcosa per voi, doña Manuela?
-Lo sapete
dov’è vostro marito?
-Sarà
rimasto a bere con gli amici e non si è accorto del tempo
che passa.- Mentre lo diceva, era evidente che non ci credeva nemmeno
lei.
La vicina non
riuscì a nascondere del tutto un sorriso soddisfatto.
–E invece no. È all’arena.
-All’arena?
-A far
combattere un gallo contro quello di Azùcar.
-Ma non
può essere all’arena. Non ce l’ha un
gallo!
-Pare che
abbia rubato uno di quelli di Pedrito, e glielo voglia ripagare con i
soldi che vincerà all’incontro. Non so,
doña Adela, di incontri ne ha già perso uno, ma
magari stavolta…
-Ma non aveva
nulla da giocarsi! Cosa si è giocato, che non abbiamo
nemmeno le sedie per stare attorno al tavolo?
Dona Manuelita
fece una faccia strana, come se avesse appena mangiato un limone.
–Non vorrei davvero essere io a dirvelo, ma ecco, qualcosa da
giocarsi vostro marito ce l’aveva ancora…
Adela rimase
immobile per qualche istante. Poi pregò la vicina di dare
un’occhiata ai bambini e corse in strada senza nemmeno
mettere lo scialle, a rotta di collo per le strade, fino a vedere le
luci dell’arena. Sgomitò tra la folla,
insinuandosi tra gli uomini che cercavano di vedere meglio, urtandoli e
spingendoli. Arrivò al bordo del recinto appena in tempo per
vedere il gallo di Antonio che veniva sopraffatto
dall’avversario. Azùcar, in mezzo alla polvere e
ai corpi sudati e agitati di chi guardava, scommetteva e incitava il
proprio campione, era una macchia immobile e immacolata.
La vide
dall’altra parte del recinto, con gli occhi sgranati e il
volto tra le mani. La fissò. Si portò una mano al
collo.
Adela vide
qualcosa baluginare tra le sue dita, tra il fumo e la luce delle torce.
Era la sua
catenina.
Pare che il
giorno dopo il combattimento Adela avesse passato tutta la giornata a
farsi bella per Azùcar, sedando le proteste del marito con
un semplice –Taci, Antonio.
Alla sera,
quando alla fine fu pronta per uscire, lui la prese per il polso.
–Adela, non devi farlo. Se non lo fai Azùcar mi
ucciderà, ma non importa. Sono sempre stato una rovina per
te… lascia almeno che muoia per difendere il tuo onore!
Lei per la
prima volta in tutta la giornata lo guardò davvero, fisso
negli occhi.
-Lo sai,
Antonio? Tutte le donne sposate prima o poi desiderano di andare a
letto con un altro. Però non lo fanno, a meno che non siano
delle sciocche o delle puttane. Perché onorano il marito,
per amore dei figli, e per il timor di Dio. Tu invece, con quello che
hai fatto, mi hai dato la possibilità di andare a letto con
un altro uomo e di apparire come una martire. Non sarò
colpevole di adulterio né davanti a Dio né
davanti agli uomini, e tu non avrai ragione di arrabbiarti, ma potrai
soltanto ringraziarmi, perché l’ho fatto per
salvarti la vita e perché l’hai voluto tu. Adesso
lasciami andare.
Antonio
aprì la bocca per parlare, ma poi tacque. Non sapeva cosa
dire.
Adela
uscì di casa con il suo vestito rosso, le scarpe col tacco e
il profumo. Tornò all’alba, senza dire una parola.
E da quella
volta, Antonio non giocò mai più.
Note: Eeee BUON ANNO!
Seguo la tradizione
del “chi pubblica il primo dell’anno pubblica tutto
l’anno”, sperando mi porti fortuna. Questa storia
sedimentava nel pc per un po’, l’ho tirata fuori
dalla naftalina ed eccola pronta! Sì, è becera.
Ma becera forte. Però a me piace; lo so, non è
perfetta, ma le voglio bene lo stesso. È la classica cosa
orribile che però mi piace, ecco… magari piace
anche a qualcuno di voi!
Ringrazio la mia ex
coinquilina Ludovica che mi ha suggerito il nome per il gallo di
Azùcar, le mie insostituibili beta OttoNoveTre
e vannagio,
che sono anche delle insostituibili amiche, e naturalmente tutti quelli
che hanno letto questa storia e l’hanno apprezzata nel suo
essere così becera. Grazie di cuore a tutti, e che il vostro
2014 sia meraviglioso e sereno e pieno di cose bellissime e storie
degne di essere raccontate.
Auguri a tutti!
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