Dio mio.
Sono tipo due o tre anni che non aggiorno questa storia
ed è un qualcosa di imperdonabile. Merito tutte le maledizioni che mi avete mandato, merito
anche che i miei lettori non mi seguano più, sì, sono un
po' una merdina secca spiaccicata sul marciapiede. Merito anche di essere pestato.
Scusatemi, scusatemi tanto.
Non starò qui ad
accampare scuse che non sussistono, del resto ho pubblicato altre cose e nel mentre il
mio stile è cambiato e anche per questo mi scuso: c'è una
netta differenza tra questo capitolo e i precedenti, sono pure passati più
di due anni.
Sono molto contento di aver pubblicato questo capitolo, però, che
è stato un po' cambiato in corsa e per il quale certo
non vale tutta l'attesa che avete dovuto sopportare. Ma spero vivamente di
tornare in carreggiata.
Vi ringrazio ancora molto del vostro supporto e ringrazierò chiunque
continui a seguirmi.
Grazie della pazienza e buon 2014 a tutti.
Overleven
Capitolo Undici-
Goede Jongen
«Kurogane?» sussurrò con un filo
di voce, allungandosi piano per carezzargli il viso con la punta delle
dita. «Dovremmo partire, sai?» bisbigliò. Il ninja aprì gli occhi,
stancamente e lo fissò fiacco. «Mh.» mugugnò stiracchiandosi piano. Fay
continuò a guardarsi in silenzio Kurogane, che con quella smorfia strana
sembrava proprio un bambino appena svegliato, senza nemmeno accorgersi di che
cavolo di faccia gli stesse proponendo di rimando. Il moro restò immobile con
tanto di bocca semiaperta e gli occhi fissi su di lui. L’idiota sorrideva, in un
modo talmente strano da sembrare quasi stralunato, anzi era proprio un bel
sorriso quello. «Mh.» mugugnò di nuovo. «Dai, riesci ad alzarti, Kurogh...
Kuro-tan?» gli sorrise, scivolando fuori dal piumone e alzandosi in piedi. Il
ninja sospirò. «Dubito fortemente di riuscire ad alzarmi, sai?». Non era affatto
arrabbiato, anche se evidentemente quella era una stupidissima domanda. «Ti
posso aiutare io?» domandò Fay, goffamente e con gli occhi bassi, per non
incontrare quelli vermigli di Kurogane. «Secondo te come possiamo andare via
sennò, mh?» brontolò poco convinto. Il mago ridacchiò chinandosi e
accogliendolo tra le braccia, delicatamente. «Prometto solennemente di non
raccontare a nessuno che mi hai permesso di abbracciarti, mh?». Proprio in
quel momento, mentre Kurogane gli si stringeva con le braccia attorno alle
spalle, la porta si aprì scivolando lungo la parete. Tomoyo era lì. «Il
nostro passaggio è arrivato, Kuro-tan.» gli bisbigliò Fay tirandosi su. Il
ninja ruotò gli occhi verso la sua principessa. «Viene anche lei con
noi?». Quell’idiota scosse il capo. «No, semplicemente aiuterà il nostro
trasferimento». Kurogane non domandò niente, non aveva la forza di capire le
stranezze che si celavano dietro la magia. «Fai attenzione, Fay-san.» mormorò
lei avvicinandosi a loro, e poi diede un leggero scappellotto dietro al collo
del moro. «E tu non farlo ammattire, eh!» si raccomandò. «Sei tu quello che
fa ammattire me e a detta sua devi stare attento!» brontolò Kurogane, con uno
strano tono, quasi divertito. Il mago sorrise. «Evidentemente devo fare
attenzione alle tue reazioni, Kuro-tan». Tomoyo li guardò come chi la sapeva
lunga. «Su, rapidi! Partite!». Poi, assieme a Tomoyo, Fay cominciò a
pronunciare l’incantesimo, stringendo di più il ninja a sé. Una luce abbacinò
gli occhi cremisi di Kurogane, che si sentì inghiottito e sperduto. Tanto che,
istintivamente -avrebbe giurato lui-, si aggrappò di più alla veste avorio
dell’idiota. Kurogane sentì solo la mano fredda e ossuta dell’idiota
spingergli la testa contro qualcosa di altrettanto freddo e rachitico. Mugugnò
fiaccamente, ma non aprì gli occhi. Sentì la voce fastidiosa dell’idiota
recitare un incantesimo. Quella vocina si mescolava a quella della sua
principessa, stavano andando via. Una luce, con tutto che aveva gli occhi
socchiusi, lo abbacinò. Il che lo costrinse a serrare le palpebre, poi. Si
sentì risucchiare in un vortice, sentì i suoi organi opporsi, brontolare e sentì
il bisogno di stringersi di più all’idiota, solo per una questione di istinto.
Come no. In fine un sobbalzo, che
gli fece rivoltare lo stomaco da capo a piedi, e la luce sparì. Se
ne rese conto perché le palpebre non gli dolevano più.
Avrebbe tirato un sospiro di sollievo se non fosse che le
sue narici vennero invase da un tremendo olezzo. Il suo stomaco ne risentì
nuovamente. Fece in modo di concentrarsi sul suo respiro, cercando di sopportare
la nausea che cominciava ad affliggerlo. Ma con scarso successo. Sentì due
file di passi differenti e si convinse che doveva aprire gli occhi, chissà dove
cavolo erano finiti! Quel mago era pure troppo impegnato a tenerlo stretto a sé
per riuscire a difendersi. «Siete già arrivati!» cinguettò qualcuno, con la
voce veramente poco virile. «Kokuyo, che ne dici di aiutarlo?». Kurogane si
sentì sballottare, stava passando dalle braccia del mago a quelle di qualcun
altro. Istintivamente il suo braccio mancino scattò al suo fianco, cercando la
spada. Quello scellerato del mago poteva anche fidarsi di quei tizi appena
conosciuti, ma lui, neanche per sogno! Mica era un credulone, lui! E poi quella
puzza sembrava quella di una montagna di cadaveri bruciacchiati e in via di
putrefazione. Spalancò gli occhi e si ritrovò tra le braccia di un tale
dall’espressione poco rassicurante, con i capelli sparati per aria peggio dei
suoi e un occhio di un colore scuro e uno di un altro, c’era poca luce ma fu
quello che riuscì a vedere. Malgrado quella che doveva essere la sua espressione
standard, come un po’ per Kurogane il sopracciglio aggrottato e l’aria
lievemente scocciata, quello lo sistemò tranquillamente su un lettuccio contro
una parete di legno, senza fiatare. Roba che, da quanto distava da lui quel viso
affilato, avrebbe potuto attentare tranquillamente alla sua vita e riuscire
anche nell’intento senza troppi sforzi. «Il tuo amico si è svegliato.»
bofonchiò quello una volta guardatolo in faccia. «E ha pure una brutta
cera». «Vorrei vedere te!» brontolò Kurogane inacidito. «Oh,
Kuro-rin sii gentile, loro sono i signori di cui ti dicevo, ti aiuteranno.»
cinguettò l’idiota entrando, con quella selva di capelli biondi, nel suo campo
visivo. «Che caratterino...» commentò quello di prima. «Kokuyo.» lo
richiamò il tale dalla voce davvero poco virile. «Kurogane,» lo chiamò il
mago, pronunciando il suo nome vero, senza neanche una sbavatura. «Loro sono
Hisui e Kokuyo, i signori che ci aiuteranno. Per favore, sii gentile.»
ripeté l’idiota, stavolta con un tono strano. «Per favore, mh?». Era
senza parole, Kurogane, che già non era un tipo particolarmente loquace,
stavolta aveva perso pure le due o tre parole che gli erano rimaste nel suo bel
magazzino verbale. Del resto, l’idiota aveva ragione, quei due lo stavano
aiutando e lui si comportava pure così. Inoltre, l’espressione del mago era
talmente strana da sembrare quasi che lo implorasse, e il tono che aveva usato
non è che avesse lasciato spazio ad altre idee. «Tsk!» sbuffò poi,
cercando il più possibile di inalare con la bocca, un’altra zaffata di
quell’olezzo terribile l’avrebbe fatto crepare, altro che veleno. «Ma che
bravo cucciolone che sei! Sei diventato davvero ubbidiente!» gnaulò l’idiota,
carezzandogli il capo, per giunta, neanche fosse per davvero un cane! «Io
sono Hisui.» fece il tipo con la voce poco virile, accendendo poi un lume ad
olio, mostrandosi per quello che era, una sorta di serafico, elegante e
particolarmente effeminato individuo. «Mentre lui è Kokuyo.» indicò il tale coi
capelli sparati per aria. Che compensava proprio l'esistenza ben poco virile di
quel biondo che l'aveva appena presentato. «Hisui tratterà il veleno, sei in
buone mani.» fece quell'omone, prima di voltarsi verso il mago. «Hai
riposato?». Troppo vicino. pensò Kurogane, quell'uomo era
decisamente troppo vicino al mago. E quasi si stupì di pensare tutto questo.
Quasi si stupì di quel pensiero. Ma poi inghiottì il rospo. «Sì, un po'.»
ammise, senza neanche una piccola menzogna. E questo fece alterare ancora di più
il ninja: a lui mentiva senza pudore alcuno, mentre a quel tizio no. Eh, no,
mica andava bene così. «Quanto ci metterà a fare effetto l'antidoto?» gli sentì
dire. «Dipende...» fu il tale di nome Hisui a rispondere. «Kokuyo, perché non
accompagni Fay qui fuori? Magari potete andare alla locanda a prendere qualcosa
di caldo da bere». «No, per favore, fatemi restare qui.» pigolò l'idiota.
«Non mandatemi via». «Ohi, non scappo mica. Ti pare che sia in grado di andar
via con le mie gambe?» mugugnò Kurogane. E certo quel tipo effeminato non
sarebbe stato in grado di sollevare uno come lui, che, pure deperito, era
comunque robusto. Fay socchiuse gli occhi. «Sto qui fuori, chiamami, va
bene?». «Sono in buone mani, no? Tranquillo.» ripeté. Kokuyo accompagnò
fuori il mago, solo nella stanza accanto, poteva ancora vederlo oltre una tenda
a fiorellini semitrasparente. Sì, certamente il tale coi capelli sparati in aria
aveva lasciato arredare la casa a quello decisamente effeminato. Pure con gli
occhi stanchi e la vista annebbiata, il ninja poteva distinguere delle tende
merlettate verdi e gialle e delle chincaglierie in porcellana lavorata sulle
mensole più vicine a lui. Se mai avesse avuto modo di mettere su una casa, non
avrebbe permesso a nessuno di infilarci ammennicoli di quel genere. «Cos'è,
potrei spaventarlo?» domandò, dopo un po', distogliendo lo sguardo da quelle
cianfrusaglie e puntandole sul loro degno possessore. «Quante probabilità ci
sono che io mi riprenda, mh? Zero? Meno di zero?». «Mh, no, è che sei ridotto
male.» rispose quel tale. «Sembra davvero che ti abbiano assalito una mandria di
bufali». Kurogane si mosse appena, per sistemarsi un po' meglio sul letto.
«Allora come mai l'avete fatto uscire? Lo sa che sono ridotto male, no?».
«Non sei per niente restio, da come ti ha descritto, sembravi decisamente
una sorta di orso.» annuì. Socchiuse gli occhi. «Non credo di avere tempo
di... essere restio, come dici tu». Quello mosse piano il capo.
«Giustamente». «Quante probabilità ho che mi riprenda?» domandò debolmente.
«Se dovessi morire vorrei almeno... Ah, niente!». «Non ti credere
che ti lasceremo morire così. Sarebbe un peccato, no?» sussurrò lui. «Si è
impegnato così tanto per tenerti in vita». «Sì. È stato bravo.» sussurrò.
«Perché l'avete fatto uscire, allora?». «Tu vorresti vedere la persona che
ami morire di dolore?» rispose con calma. «Perché quando ti darò l'antidoto tu
praticamente urlerai dal dolore, vuoi davvero che veda questo? Pensavo di
mandarlo in campeggio con Kokuyo». «Non basterebbe dargli un sonnifero?»
sussurrò. «Tanto deve riposare, ha davvero l'aria stanca». Quello lì sorrise
e si sedette sul letto accanto a lui. «Mh... potrebbe essere un'idea, in
effetti». «Sì, lui ha solo bisogno di riposare.» mormorò. «Quando me lo dai
questo antidoto?» domandò poi. «Cinque minuti. Tu intanto rilassati.» annuì
Hisui avviandosi dove il mago e quell'altro stavano parlando. «Facile
rilassarsi quando mi hai detto che urlerò dal dolore...» borbottò. «... Ah,
non hai tutti i torti.» ammise. Tutti il mago li andava a trovare.
Tutti i pazzi li trovava lui, forse perché di suo il mago tanto sano non era.
Tra pazzi ci si intende. Però, però lui non poteva non essere grato e non
ritenersi fortunato: se il mago non si fosse prodigato per lui, se non avesse
fatto tutto questo, non avrebbe avuto altre speranze. «Non riesci a muovere
il braccio che ti hanno ferito, eh?» domandò poi il tizio effeminato, com'è che
si chiamava? Ah, Hisui. «Come hai fatto a...?» bofonchiò. «Sono un bravo
erborista,» rispose. «E poi è uno degli effetti del veleno, a lungo andare. Poca
gente è arrivata a questo stadio.» farfugliò. «Non posso assicurarti che
funzionerà come prima, però hai l'altro, no?». «Potrebbe non importarmi avere
un braccio completamente sano. E l'altro me lo sono tagliato, quindi...» mugugnò
fiaccamente. «L'hai fatto per una buona causa.» replicò quello con aria
furbetta. Quanto, di preciso, il mago aveva raccontato? Quanto era sceso nei
dettagli? Il mago. Fay, Yui o come accidenti si chiamava. Kurogane si
riscoprì a fissarlo senza neanche un briciolo di esitazione. A lungo, così a
lungo che un senso di pace lo avvolse. Sentì che tutto sarebbe andato bene,
tutto. Come se un cosino del genere, che attirava sfortuna, potesse essere la
sua fortezza. Kurogane sospirò ancora, di nuovo, affaticato. E, forse
perché s'era sentito quegli occhi infuocati addosso, anche il mago si voltò a
guardarlo e gli regalò un sorrisino. Un sorriso diverso dagli altri, dai soliti
altri. Diverso da quelli che regalava all'inizio del viaggio, un sorriso
sincero. I suoi sorrisi erano bugie, e questo era fragile come le menzogne che
menava al vento quel mago sciocco, ma era di una fragilità diversa, un sorriso
che non permetteva a nessuno di entrare, sì, ma sincero. Fragile, ma
felice. Probabilmente è stanco. pensò. Kurogane si rilassò del
tutto. Era fiero del mago come nessun altro al mondo, era stato un eroe, era
stato un guerriero, aveva combattuto la morte imminente, la sua morte imminente,
come un guerriero. Sì, malgrado quelle spallucce esili, ora ancor più esili per
quanto era sciupato, era un guerriero. Un eroe. «Pronto?» domandò Hisui.
Il ninja trasalì neanche si era accorto che fosse lì. «Dovrò
berlo?». «Per carità! Ha un sapore orribile! Te lo inietterò.» annuì
mostrandogli una siringa d'acciaio con un ago lungo tre pollici e spesso,
decisamente spesso, come uno stiletto. Ma forse Kurogane aveva le proporzioni un
po' sballate dalla vista annebbiata. «Lui non deve vedere che sto male.»
ribadì. «Faremo di tutto per non farglielo vedere.» sorrise, calmo. «Tu sta'
tranquillo». «Quanto durerà?» domandò. Il biondo chinò la testa di lato,
come se il peso della bizzarra acconciatura sghemba che aveva gli stesse
torcendo il collo. «Cosa?». «Questo... per quanto tempo mi farà male?»
chiese, confuso. Lui gli fece girare la testa di lato, verso destra e
cominciò a massaggiargli il collo con un batuffolo di cotone. «Dipende da te.
Sei in uno stato pessimo, sembreresti anemico e probabilmente perderai i sensi
subito. Ma farà male. Anche quando perderai i sensi il dolore si scaricherà in
tutto il corpo, irradierà tutti i nervi e ti si gonfierà nelle vene... sarà un
dolore incosciente e assurdo, atroce. Ma poi all'improvviso sparirà, forse
gradualmente, forse tutto insieme. Varia da persona a persona». «Stai
parlando di giorni, eh?» sorrise. «Minimo cinque.» annuì. «Cinque giorni
sono un sacco di tempo. Non è che morirò prima?» farfugliò. Lui sorrise. «Non
succederà: una volta che entra in circolo questo antidoto rigenera i tessuti e
ricrea tutto quello che hai perso in questo periodo... starai bene, anche se per
un po' dovrai riabituarti a camminare e a muoverti. Tutto quello che hai perso
dal giorno in cui sei rimasto ferito ad oggi tornerà come prima,» si fermò, come
per correggersi. «Tranne il braccio, forse quello ci metterà più tempo a
rimettersi. Però sarà come un colpo di spugna». «Lo spero bene.» ammise.
«Come dici tu, sarebbe un peccato morire stupidamente proprio ora che lui ha
trovato una cura». «Stupidamente?» mugugnò. «Tipo mi si ferma il
cuore mentre grido dal dolore.» rispose. «Ne morirebbe anche lui». «Già,»
ammise Hisui. «Sembra proprio il tipo di persona...». «Sì, è un po' stupido.»
mormorò per poi sospirare a lungo. «Sono pronto.» disse con aria
fatalista. «Hai l'aria triste, come chi si avvia verso il patibolo.» mugugnò.
«Ti assicuro che vivrai, non ti basta?». «Lui...» cominciò a
dire. «Lo faremo riposare, tranquillo. E, no, non vedrà niente di tutto
questo.» annuì. Kurogane girò appena gli occhi verso di lui. «Come
hai...». «Come faccio a dire che volevi dirmi questo?» disse ancora,
interrompendolo. «Semplice: hai l'aria di chi si preoccupa da morire per la
persona che ama. Esistono persone così. Tu sei molto simile a lui». «Lui? Il
mago, dici?» domandò. «Parlavo di Kokuyo, ma sì, anche.» annuì. «Anche simile
a me, se è per questo». «Comunque io non...» farfugliò, ma la puntura nel
collo lo interruppe. Sentì chiaramente un liquido caldo spandersi per i suoi
tessuti e strappargli il respiro. Gli aveva appena iniettato l'antidoto a
tradimento nel bel mezzo di un discorso. Non avrebbe potuto difendersi. pensò.
«Vuoi forse negare i tuoi sentimenti?» mormorò. Sospirò piano. «Sei
tutto rosso.» mugulò. «Non posso neanche dire niente, ormai mi hai fatto
'sta puntura. Puoi tacere, grazie.» ringhiò. «Ho pure il fiato corto!». «Va
bene, avrai diritto di replica tra un po' di tempo, quando ti sentirai un po'
meglio, che ne dici?» sorrise. «Pensa a qualcosa di buono, ti aiuterà». «Ehi,
erborista.» sibilò. «Se non vuole dormire, dì al tuo energumeno che gli do il
permesso di dargli un pugno». «Addirittura?» sbuffò. «Sì.» annuì. «È
testardo, eh». «Sarà fatto.» disse. «Ora sta' tranquillo». Kurogane si
sistemò con la testa dritta sul cuscino. Non sembrava soffrire tanto, c'era solo
qualcosa caldo che gli percorreva le vene, niente di più. Probabilmente neanche
farà effetto. pensò. Ma prima ancora di decidere come avrebbe salutato per
sempre il mago, prima di decidere se l'avrebbe fatto oppure no, una fitta
allucinante si irradiò dalla spalla fino alla punta dei piedi. Aveva
sofferto tanto in quei mesi in cui era stato a Nihon, ma mai niente di simile.
Un gemito soffocato gli uscì dai denti. Per un po' la sensazione fu costante.
Il dolore era forte, ma stabile, non pulsava a più riprese. Era una lunga fitta
che si protraeva e gli percorreva ogni cellula del suo corpo. Sentì chiaramente,
o almeno pensò di sentire che il fegato gli si stava spappolando, che i reni
erano costellati di aghi, che i polmoni ad ogni respiro si facevano sempre più
piccoli. Sentì il suo stomaco tramutarsi in vetro e tagliare ogni cosa lì
intorno. Ma forse era tutto nella sua testa. Era già tutto arrivato alla sua
testa. Giurò di sentire il cervello scappargli fuori dalle orecchie e poi
tornare dentro a più riprese. Se uno per curarsi doveva soffrire tanto,
allora forse era meglio morire. Sì, sperò di morire. Però poi nella sua
testa o proprio davanti agli occhi apparve il mago. E il dolore sparì di
botto, come sparì l'atroce speranza di morire in fretta.
Pensa a qualcosa di buono. si ripeté.
Nel momento successivo, che forse fu dopo un'ora, non
seppe dirlo con certezza, pensò che avrebbe preferito vivere anche soffrendo
così terribilmente pur di non renderlo infelice. Al dolore che era tornato
ad essere forte appena il mago sparì dalla sua vista, seguì poi un periodo di
estrema calma. Come se fosse stato trascinato in un limbo. Aveva le membra così
pesanti che non riusciva neanche a pensare di muoversi, neanche era certo di
respirare, era come se qualcuno gli avesse inchiodato le palpebre con forza: più
tentava di aprirle, più si abbassavano. Ma aveva bisogno del mago, aveva bisogno
di vederlo o almeno di sentire che c'era. Poi sentì la sua voce lontana,
così lontana da sembrare un ricordo, un rigurgito del
passato. «Kuro-rin?» lo chiamava. Ebbe la chiara sensazione che
gli stesse tenendo la mano, la mano sua, quella vera e non quella di latta che
non sentiva niente. E, anche se quella mano lo teneva lì, si rese conto di
essere già lontano, già oltre quel filo tra la vita e la morte su cui camminava
da mesi. Si sentì cadere, come quando si cade all'inizio dei sogni, ma lui
stava cadendo in un pozzo profondo e antico quanto il mondo. Vide gli spiriti,
quegli spiriti che tornano per il bon nei paesi natali a far visita alle persone
che hanno amato o a infestare i cimiteri, che lo trascinavano giù. Urlò, gridò,
ma dalla sua gola non uscì parola alcuna. Chiamò il mago col suo nome,
con quello con cui nessuno l'aveva chiamato per anni. Ma non sentì alcuna
risposta. Così chiamò più forte, ma la voce non uscì e le anime dei defunti lo
spingevano ancora più giù. Vide il buio annichilire piano quell'ultima luce lì
sopra il pozzo. Poi gli uscì fuori un lungo respiro, come se fosse il lungo e
antico respiro del tempo, e tutto perse di consistenza. Gli spiriti
l'abbandonarono in fondo al pozzo e un calore strano l'avvolse, come se le porte
degli inferi lo stessero accogliendo. Un altro lungo respiro, l'ultimo respiro
che veniva dal cuore antico del mondo. Pensa a qualcosa di buono, al mago. Al
mago. si disse ancora.
E niente più.
Fay era lì, accanto a Kurogane che gli teneva la
mano. Non aveva chiuso occhio, neanche per un istante. Neanche per battere le
palpebre, tra un po'. Giorni. Da giorni era lì, senza muoversi, sembrava
un'esile statua, un manichino immobile accanto a un corpo morto. Stava lì,
muto, che aspettava. Kurogane aveva la mano fredda. Più fredda delle sue, che
normalmente erano ghiacciate. Sembrava un morto. Se non avesse visto il suo
petto alzarsi e riabbassarsi più volte piano piano e faticosamente, non ne
avrebbe avuto dubbi. Era ancora vivo. Lo constatava continuamente, con gli
occhi velati. Li abbassava e osservava le pinne nasali del ninja muoversi
appena. Non aveva parlato più. Tanto che Hisui si era domandato più volte se
fosse uscito del tutto di testa. Avevano anche provato a farlo dormire, ma non
c'era stato verso. Era come se fosse in qualche modo refrattario a ogni tipo di
sonnifero e, oltretutto, non ne voleva sapere di mangiare. Kurogane, dal
canto suo, aveva sofferto solo per la prima parte del primo giorno di
trattamento e poi, quando aveva tirato un lungo respiro, come se fosse il suo
ultimo respiro, tutto il dolore di colpo sembrò sparire. Ed era strano, in
effetti: il dolore non sparisce mica così, non durante un trattamento che sulla
carta è doloroso e sfiancante. L'unica cosa che era rimasta congrua alla
sofferenza che aveva provato fino a poco prima dell'iniezione dell'antidoto era
l'affanno. Aveva un respiro debole e roco che gli graffiava continuamente la
gola, dalla sua bocca aperta usciva un suono sordo come strozzato ogni volta che
esalava, ma era solo questo. In effetti, ogni tanto gli scappava un leggero
gemito, ma nulla di lontanamente riconducibile agli altri avvelenati. «Soffre
molto.» disse a Kokuyo che stava lì, in un angolo della stanza. Fu un
qualcosa di tanto improvviso che nessuno dei due ospiti fu certo di aver sentito
bene. A quelle parole, Kokuyo ghignò. «È forte, però. La gente che abbiamo
visto ridotta in quello stato impazziva dal dolore... Lui, dopo il primo giorno,
ha smesso di gridare». «Kokuyo!» lo riprese subito Hisui, che era
poco lontano dal letto in cui Kurogane riposava, intento a sistemare dei libri
su uno scaffale. «È giusto che sappia.» mormorò, senza scomporsi neppure.
«Neanche i sonniferi hanno fatto effetto, è bene che sappia. Perché tra un po'
potrebbe diventare più forte il dolore e lui potrebbe soffrire di più. Deve
saperlo. Il tunnel è più stretto e tortuoso quando ormai è vicina
l'uscita». Fay sorrise. «Non dovreste preoccuparvi per me, io vi ho già
dato... tanti grattacapi, ecco.» annuì. «Lui è forte, io lo so che se la caverà.
Ma certo, anche con tutti i sonniferi del mondo io non dormirò. Mi
dispiace». L'erborista lo guardò confuso. «Dovresti provare a riposare,
però...» sussurrò Kokuyo. «È per il tuo bene che lo diciamo,
naturalmente». Il mago si ammutolì. «Seriamente, Fay... per lo meno,
mangia qualcosa.» mormorò Hisui. Lui riprese a guardare il viso di Kurogane
senza fiatare. «Senti... almeno prova a stenderti un po' sul letto.»
mugugnò. «Non sto facendo niente.» disse piano. «Sto riposando, non sto
usando la magia... sto solo qui con lui. Lui è stato al mio fianco quando...
insomma, lui c'è sempre stato per me. Pure col broncio, c'è sempre stato. Sono
scappato troppe volte, adesso tocca a me stare qui, adesso devo almeno stare al
suo fianco. È il minimo che io possa fare.» sussurrò. «È perché ti ha
chiamato, l'altro giorno? È perché ha usato il tuo nome?» domandò Kokuyo. Fay
lo guardò per un istante e poi abbassò di nuovo lo sguardo. «Colpito e
affondato.» sibilò il moro coprendosi l'occhio più chiaro con la mano.
«Kokuyo!» lo richiamò ancora l'altro, come si fa coi cani testardi,
lui lo teneva per bene al guinzaglio. «Che c'è? È la verità! È perché non ti
ha mai chiamato per nome o con quel nome, mh?» replicò. Fay scrollò le
spalle. «Più che altro è che da quando sono qui accanto sembra soffrire di meno,
ecco tutto». «È solo autosuggestione.» mormorò il moro,
seccamente. «Kokuyo.» lo riprese ancora con tono perentorio
Hisui. «Uffa, non posso dire niente!» si lamentò a mezza voce. L'erborista
chinò la testa di lato. «No, devi solo essere più delicato». «Oh, non tutti
siamo in grado di edulcorare le cose come fai tu, eh!» brontolò, appena
alterato. «Senti, vogliamo solo il tuo bene... e poi, magari, riposare un po' ti
permetterà di essere più in forze quando il dolore sarà più forte.» annuì poi,
sempre austero. Il mago sospirò. «Non credo riuscirei a riposare
comunque». Hisui sospirò e si andò a sedere sul letto, accanto a Kurogane, in
maniera da poter guardare in faccia Fay senza dover fare salti mortali. «Lui mi
ha chiesto di fare di tutto per farti riposare». «In che senso?» sussurrò
alzando appena lo sguardo. «Di tutto. Non vuole che tu stia troppo
in pena.» disse Kokuyo, alzandosi in piedi. «Ma...» cominciò a dire. «Noi
non vogliamo costringerti,» lo interruppe subito l'erborista. «L'importante è
che un po' ti riposi anche tu, so che è difficile dormire sapendo che lui
soffre, ma almeno ti troverà in forze quando si sveglierà». «Capisco.» annuì
il mago a testa bassa. E se non si svegliasse? questa domanda gli girava in
testa da giorni ormai. Lui neanche aveva avuto modo di dirgli niente, neppure un
saluto. E ogni volta che rimbalzava da una parte all'altra della sua testa, era
come se qualcuno stesse lì a piantargli un chiodo nella carne, un chiodo alla
volta, con un colpo secco in maniera tale da far male subito tutto
insieme. «È che lui ancora pensa che non si sveglierà. Mica si fida. È
semplicemente lo stesso discorso dell'altra volta.» borbottò Kokuyo intendendo
quello che il mago andava pensando. «Davvero?» farfugliò Hisui un po' piccato
nell'intimo. Fay guardò Kokuyo a lungo. «Come... come puoi dire
questo?». «Come posso dire cosa pensi?» sussurrò. L'erborista sorrise e
fece l'occhiolino all'altro che ghignò appena. «Perché siamo speciali». «Tu
pensi questo perché l'altra volta ha smesso di respirare.» bofonchiò Kokuyo,
tornando al discorso principale. Eh, sì, Kurogane proprio poco dopo che
l'antidoto prese a girargli in corpo, aveva tirato un lungo respiro e il suo
cuore per un istante aveva smesso di battere. Prima, poco prima, aveva chiamato
per nome il mago, con la voce soffocata, come a chiamare aiuto. Un po' era
normale che non si fidasse, suvvia. «Beh... posso capirlo.» disse
l'erborista. «Mi sa che puoi capirlo anche tu, Kokuyo, no?». «Sì.» ammise il
moro restando ancora in piedi a braccia conserte dietro il mago. «Però, devi
provare a riposare, puoi non fidarti di noi...». «Non è che non mi fido di
voi! Lui è stanco. Lo sarei anche io... voglio dire ha lottato per... per mesi.»
sospirò. «Questo è debilitante, ma anche tu non hai fatto altro per questi
mesi, no?» disse Hisui nel chiaro intento di farlo ragionare. «Proverò a
riposare.» sospirò. «Molto bene, molto bene.» rispose Hisui alzandosi dalla
sua seduta. «Devo andare a fare provviste, ti lascio con Kokuyo». «Chiama se
ti serve una mano...» mugugnò il moro accompagnandolo alla porta. Fay sentì
il bisogno di guardare Kurogane ancora di più, più a lungo. Voleva lasciar loro
quel po' di intimità che si meritavano, d'altronde era da giorni che stavano lì,
che occupavano la loro stanza e che disturbavano la loro quiete. Ma guardare
Kurogane così a lungo, avendo solo pensieri pesanti nella testa, certo non
poteva tranquillizzarlo. Aveva il volto scavato, pallido, le labbra bluastre e
delle occhiaie così profonde da far invidia a un cadavere. Sì, sembrava proprio
un morto. Fortuna che respirava ancora. «A cosa pensi?» domandò Kokuyo, la
voce vibrante e profonda. «A nulla.» disse. «Impossibile.»
sussurrò quello, piuttosto divertito dalle smorfie che lui faceva. «Come
impossibile?» borbottò. «Sono abbastanza sicuro che tu stia pensando a
qualcosa.» rispose. «Vuoi che indovini?». In quei giorni, era nata una
strana complicità, strana per uno come lui. Sembrava che quelle persone le
conoscesse da tempo, da un tempo antico e nascosto. Eppure era certo di non
essere mai arrivato in quel mondo, prima. Forse somigliavano a persone già
incontrate ma... strano, molto strano. E poi davvero sembravano accorgersi di
qualsiasi cosa, di qualsiasi cosa passava nella sua testa. Era quasi
inquietante. «Devi conoscermi bene, eh?». «È che un po' somigli a Hisui.
Sei il tipo di persona che si affeziona facilmente, ma più passa il tempo, più
il sentimento diventa sincero.» mugugnò. «Ci stavo pensando anche prima... ho
anche pensato di darti un pugno, come ha suggerito l'amico tuo, per farti
dormire, ma poi Hisui mi avrebbe ammazzato...». «Vi ha suggerito di prendermi
a pugni?» domandò appena sconcertato. «Solo per farti perdere i sensi, nulla
di più.» disse. Fay sbuffò con un mezzo sorriso. «Sì, in effetti potrebbe
essere un ragionamento da lui...». «Cosa pensi di fare quando starà meglio?»
chiese Kokuyo tornando a sedersi sulla poltrona dov'era prima. «Penso che
riprenderò a viaggiare. Con gli altri.» annuì. «Certo, come hai detto tu non
posso esagerare con la mia magia, sennò morirò giovane... diciamo». Quello
incrociò le braccia. «Ma lui non verrà con te, eh?». Sì, evidentemente sapeva
leggere nella testa altrui oppure era decisamente troppo empatico. Aveva intuito
al volo che lui non avrebbe permesso a Kurogane di ripartire, di rischiare
ancora una volta la vita. Lo guardò. «La sai davvero troppo lunga, signor
Kokuyo». Quello sogghignò e per un istante sembrò un demone. «Dici?».
«Comunque, lo accompagnerò nel suo mondo, appena starà bene.» sorrise, con
uno di quei suoi soliti sorrisi cordiali, di circostanza. Kokuyo strinse le
labbra. «Credi che gli andrà bene?». «Ha rischiato di morire.» rispose
distrattamente. «Dovrà andargli bene, per forza». «Hai detto tu che è un
guerriero.» gli rammentò. Il mago socchiuse gli occhi. «Sì, è vero». «I
guerrieri sono pronti alla morte.» rispose. «Però, forse, se fossi
sincero con lui... magari capirebbe». «In che senso “sincero”?»
domandò. Kokuyo ghignò ancora. «Oh, andiamo! Sai a cosa mi
riferisco». «Non... avrei niente da dirgli.» sospirò. «Come
niente? Ti sei girato tutte le dimensioni per trovargli una cura...» sussurrò.
«Penso sia implicito che tu provi qualcosa per lui, no?». Fay spostò lo
sguardo su Kurogane. Un debole sorriso gli si disegnò sulle labbra e si sentì
subito fragile, svuotato e nudo allo stesso tempo, inghiottì quel sorriso e ne
sciorinò un altro, uno di quelli che costringeva sul suo volto all'inizio del
viaggio. Sì, quel Kokuyo la sapeva fin troppo lunga per i gusti suoi. «Merita
qualcosa di meglio». «Di cosa?» farfugliò. «Di me, ovviamente.»
annuì. «Come fai a dirlo?» sussurrò. «Io sono un treno deragliato, signor
Kokuyo.» rispose, ma stavolta non riuscì a cancellare quel sorrisetto debole
dalle labbra. «Lui deve avere una famiglia... lui la merita una famiglia, merita
qualcuno che lo ami e...». «Perché tu non lo ami?» sussurrò. «Non... non
c'entra questo, che io lo ami o meno non è... non è importante. Vorrà dei figli
un giorno.» mugugnò. «E io sono un uomo e non c'è modo di dargli un
figlio». «E con questo? Due uomini possono amarsi molto a lungo, guarda me e
Hisui... stiamo insieme da una vita, mh?» replicò. «E poi─» s'interruppe di
botto. «Ti va del tè?». Fay lo guardò con aria contrita. «Come mai hai
cambiato discorso?». «Non lo so, è che sto pensando.» annuì. «A cosa?»
domandò. «Alla vita, al destino.» rispose. «Un uomo grande e
grosso come te che dice queste cose...» mormorò. Kokuyo sorrise. «Pensavo
anche al tempo». «Il tempo è inconsistente per chi viaggia da un mondo
all'altro.» rispose. «Il tempo è... vario». Il padrone di casa sorrise. «Già.
Ma non è bello stabilirsi in un posto? Pensa a lui, se lo lasciassi nel suo
mondo la sua vita avanzerebbe al passo del suo mondo...». «Com'è giusto che
sia...» mormorò. «Come dovrebbero fare tutti». «Sì, questo è vero. Ma magari
lui non vuole questo. L'avventura è il pane di un guerriero.»
sussurrò. «Potrà fare il guerriero anche nel suo mondo. Non incorrerà in
pericoli inquietanti, non resterà avvelenato da una pianta assassina
introvabile...» replicò alterato. «Il suo mondo lui lo conosce... e i medici lì
sanno come occuparsi di lui, solo questo». «Mh... lo vuoi il tè?»
domandò. «Stavolta non vuoi dirmi quello che pensi?» mugolò il
mago. Scosse il capo. «È che quello che penso è ben diverso da quello che
vuoi fare tu. Dovresti dirgli perché pensi queste cose. E, parliamoci chiaro,
non è solo per il suo bene. È per proteggere chi ami. E forse per proteggere
anche te stesso e il tuo cuore. Ma lui ti chiederà se andrai a trovarlo, e tu
non saprai che rispondere.» replicò avviandosi in cucina. Fay si sentì
obbligato a seguirlo. «E lui somiglia a me, si altererà.» annuì aprendo
l'acqua nel rubinetto. «Non vorrà certo lasciarti andare, non vorrà certo
restare nel suo paese mentre tu vai in giro, no? E poi, parliamoci chiaro, tu
non tornerai a trovarlo». Colpito e affondato. Meglio cambiare discorso. «Lui
ama il suo paese. A lui piace stare lì.» bofonchiò, come ad accampare una scusa.
«E poi...» s'interruppe proprio al momento giusto. «Pensi che lui non provi
niente per te?» sussurrò riempiendo una teiera. «Dovresti smettere di fare
questo.» sospirò il mago. «Tu hai paura di appartenere a lui.»
mugugnò. «Appartenere?» farfugliò. Kokuyo mise sul piano d'ardesia della
stufa la teiera di ceramica blu. «Eh... sì, è il mio... mh, gioco con Hisui?
Diciamo.» bofonchiò confusamente. «Quando lo vidi capii che sarebbe stato mio
per sempre, così glielo domandai e lui accettò». Sospirò. «Fu
semplice?». «Beh, abbiamo attraversato i nostri alti e bassi.» sorrise
coprendosi l'occhio più chiaro con le dita. «Lui si è tagliato un braccio per te
e tu hai rischiato di morire. Tu hai rischiato di restare intrappolato nella tua
stessa magia per lui». Fay chinò la testa di lato. «Che hai fatto
all'occhio?». «Affari miei.» rispose ammiccando. «Oh, non vale
mica così! Tu entri nella mia testa e ti fai i beati affari dei miei
pensieri...» mugugnò. «Almeno raccontami un po'... un'informazione per
un'altra». «È l'orecchino che lui porta... il mio occhio è un pegno d'amore
per lui. Il mio orecchino lo protegge. Cioè l'orecchino fatto col mio occhio, va
beh, è una cosa complicata. Tra la mia gente si usa così.» annuì. «Io e il tuo
amico siamo molto simili, ne parlavo giusto ieri con Hisui...». «Ah.» fece,
con aria poco convinta. «Che c'è?» mugugnò recuperando due tazze col manico
a forma di gatto. Fay scosse il capo. «Nulla, nulla». «Stai pensando che
sono strano. Anzi, per l'esattezza “di gente strana è pieno l'universo!”.»
mugugnò. «No, veramente pensavo che è una cosa tenera. Certo un po' strana,
ma...» farfugliò. «Lui si è tagliato un braccio per te.» replicò Kokuyo.
«Sì, ma è diverso: io il suo braccio non lo porto certo all'orecchio.»
mormorò. «Anche questo è vero.» mugugnò. La teiera cominciò a fischiare e
il padrone di casa la prese senza troppe cerimonie e cominciò a miscelare il tè.
«Yui». Il mago sentì una voce chiamarlo da lontano, debole e
soffocata. Un brivido tiepido gli si arrampicò lungo la schiena.
No, non di nuovo.
Kurogane aprì gli occhi confuso e leggero insieme. Era
strano: non si svegliava così, da mesi e d'altra parte sembrava che si fosse
svegliato dopo un sonno lungo mille anni. Tutte le articolazioni sembravano
molli, come se fossero state sciolte nel burro, la testa gli girava, gli occhi
gli facevano male, però il respiro era leggero, come se avesse inalato menta ed
eucalipto cotti nell'acqua bollente. Sentiva le voci del mago e di
quell'altro tale provenire ovattate alle sue orecchie. Così lo chiamò. Ma non
ottenne alcuna risposta. Provò a tirarsi su a sedere, il suo braccio scattò a
sorreggerlo. Quello che non riusciva a muovere granché da un po' sembrava
tornato come nuovo. Funzionava, magari tirava un po' e le dita gli prudevano, ma
funzionava. Si era ripreso. Si era ripreso del tutto. Con un gesto fluido
riuscì a tirarsi in piedi. Chiamò di nuovo il mago che lo ignorò ancora,
continuava a parlare con quel Kokuyo. Mosse un paio di passi. Era strano, non
si sentiva così da talmente tanto tempo che era quasi come se il suo stesso
corpo non gli appartenesse più. Il mago era di spalle. Il discorso che stava
intrattenendo con Kokuyo contemplava un braccio, un orecchino e un occhio,
piuttosto assurdo. Allora lo chiamò più forte. Da una minima distanza, pure
se la teiera aveva cominciato a fischiare, l'avrebbe sentito. Il mago si
voltò di botto, agghiacciato. Beh, in effetti l'aveva chiamato per nome, con
quel suo nome che l'idiota stesso disconosceva, proprio lui che non l'aveva mai
chiamato per nome. Sembrò vacillare all'improvviso e poi gli rivolse
un'espressione che non gli aveva mai visto prima. Mai. Il mago stava
sorridendo, gli occhi luccicavano, pieni di lacrime. Si sarebbe messo a piangere
di lì a poco. «Ciao.» sussurrò. «Sei─Sei in piedi!» farfugliò. «Sei in
piedi! Sei in piedi!» ripeté poi avvicinandosi. «Sì, ti avrò chiamato una
decina di volte ma non mi hai sentito...» mormorò. «Eri occupato.» grugnì
puntando gli occhi su Kokuyo. «Forse─Forse devi tornare a letto, Kuro-rin.»
mugugnò sorridendo. Gli era un po' mancato il modo assurdo in cui il mago lo
chiamava, qualcosa gli tremolò sulle labbra. Tipo un sorriso. In effetti l'aveva
chiamato così altre volte, pure durante la malattia, ma mai a cuor leggero, mai
così sollevato. «Sto bene,» rispose con calma. «Tu hai l'aria piuttosto
stanca, invece.» brontolò poggiandogli una mano sulla testa. «Ma no, sto bene
anche io.» sussurrò. Kurogane sbuffò e, un po' a malincuore, scollò gli
occhi dall'idiota che aveva decisamente un'aria sbattuta e malconcia e fissò
Kokuyo. «Grazie dell'aiuto». «Figurati, ha fatto tutto lui.» annuì quello
dando una pacca sulla spalla al mago. Kurogane tornò a fissare il mago.
«Che c'è?» domandò. Lui sorrise appena. «Stai bene?». «Dovrei essere
io a chiederlo a te, Kuro-rin.» sorrise. «Mi sento solo un po' rimbambito, ma
sto bene.» disse. «È normale.» mormorò Kokuyo. «È normale sentirsi un po'
spossati, sei stato a letto due intere settimane». «Addirittura?» domandò.
Il mago annuì a testa bassa. «Però tu non hai risposto, mago, sicuro di
stare bene?» bofonchiò. No, certo non è che fosse nel pieno delle forze, era
palliduccio e malconcio. Ma tanto non aspettava che una bugia. «Sei sveglio,
sei in piedi... non potrei stare meglio!» replicò cinguettando e sorridendo
insieme. Il ninja non disse altro, gli andava bene come bugia, dopotutto.
«Avrei bisogno di usare il bagno.» mugugnò. «Bene, ti accompagno.» annuì il
padrone di casa. Kurogane arruffò i capelli color del grano del mago.
«Sto bene, okay? Vatti a sedere un po', mh? Torno subito da te». «Sta'
tranquillo, ti abbiamo detto che si sarebbe ripreso del tutto.» farfugliò
Kokuyo, per poi sorridergli. «Versati un po' di tè, mentre gli mostro dov'è il
bagno». Kurogane seguì il padrone di casa indisturbato, senza che il mago
potesse dirgli niente. «Lui sta bene.» disse, poi, Kokuyo sottovoce come a
fargli una confidenza. «È debilitato, ha riposato poco, ma sta bene». «Non
siete riusciti a farlo dormire in due settimane?» brontolò. «Eh... non ha
proprio usato la magia, comunque... quindi la situazione si è un po'
stabilizzata.» replicò. «Ma non è pronto a ripartire.» mugugnò. Tutta questa
storia doveva farsela spiegare bene, ma magari dopo aver espletato i suoi
bisogni fisiologici. «Non ancora, cos'è? Hai fretta?» domandò
sogghignando. Lui scosse la testa, fermandosi davanti a una porta di legno
con sopra questa piccola insegna merlettata verde con scritto in chiare lettere
che si trattava del bagno. Come se uno in casa sua mettesse qualcosa del genere,
gente strana. «No, non ho fretta. È solo che ha l'aria stanca e vorrei
riposasse, ma non vorrei impormi ancora a casa vostra, del resto siamo ospiti. E
tu e il tuo biondino forse vorreste starvene da soli». «Ah, ma non
scherziamo, io e lui abbiamo un sacco di tempo da passare insieme. Se ci
importunaste ve l'avrei fatto notare. Sono come te io: prima agisco, poi penso.»
replicò. «L'ha detto anche il tuo amico.» farfugliò, prima di voltarsi a
fissare di taglio il mago. Stava in piedi, di spalle, ad armeggiare con la
teiera. «Comunque... è stato tanto in pena?» mormorò. «Secondo te?»
sibilò. «Ovviamente.» annuì. «Non ha lasciato mai il mio capezzale, giusto?»
sussurrò. Lui sorrise, con un ghigno cupo. «L'hai fatto anche tu per lui,
no?». «Che c'entra? Io mica stavo male, io mica avevo viaggiato tanto da
solo, mica avevo usato tutta quella magia, mica avevo un taglio sul collo...
Lui...» sussurrò guardandolo ancora, ora stava girando il cucchiaino nella
tazza. Sorrise. «Io raggiungerò Hisui tra un po', è andato a fare scorte di
erbe e magari gli serve una mano. Vi lascio soli, così voi due parlate un po'...
trattalo bene». «Mh.» mugugnò. «Chissà perché passa questa idea che io sono
una specie di persona orribile che bistratta proprio lui...». «Perché sembri
proprio un orso.» annuì. «O uno di quei cani grandi e grossi, neri neri, con
l'aria da cane da guardia cattivo». «Ohi, prova a ripeterlo!»
brontolò. Kokuyo sogghignò divertito. «Non offenderti, lui ha fatto questa
tua descrizione con un'aria talmente intenerita in viso». Tieniti il tuo
di biondino. ringhiò piano, senza dire nulla. «Lui dice un sacco di
cavolate». «Puoi andare in bagno. Lo scarico è un po' difettoso... devi
girare la manopola accanto al lavandino per scaricare, senso antiorario apri
senso orario chiudi.» mormorò telegrafico. «E se vuoi fare anche una doccia,
dovrebbero esserci dei miei panni sulla lavasciuga e sullo scaffale accanto alla
doccia prendili pure». Kurogane non sapeva bene cosa avesse detto, troppe
informazioni tutte insieme e lui si era appena svegliato da un sonno lungo
almeno due settimane, e da uno stato non particolarmente buono lungo mesi. Si
infilò di fretta in bagno. Ne aveva visti di bagni strani nel lungo viaggio che
avevano fatto, ma non gli interessava ora. Dopo aver espletato i suoi
bisogni fisiologici, come se non ne avesse espletato neanche mezzo nei giorni
precedenti, tanto che si domandò come avesse fatto, combatté per un po' con lo
scarico e poi si infilò sotto l'acqua della doccia. Una volta uscito e asciugato
si guardò appena allo specchio: non era per niente sciupato il suo viso e si
vedeva il segno della ferita lungo la spalla destra, ma almeno era una cicatrice
asciutta, anche se ben visibile. Poi prese i vestiti di quel Kokuyo e tornò
nell'altra stanza. Il mago stava ancora lì. Da solo, in piedi e con la
schiena poggiata contro il muro, una tazza tra le mani. Aveva lo sguardo
assente, gli occhi cerchiati e l'aria stanca. Il ninja si sedette sul letto.
«Vieni, siediti, non stare in piedi». L'idiota eseguì l'ordine, mansueto, si
accomodò lì, davanti a lui su quella che aveva l'aria di essere stata la sua
seduta per tutti quei giorni. Kurogane gli poggiò pesantemente la mano sulla
testa. «Hai mantenuto la promessa.» disse con calma. «Sei stato bravo». Lui
sorrise, alzando gli occhi verso di lui. «Ce l'ho fatta, sì». «Sono fiero di
te, sei stato bravo.» annuì. «Mi hai salvato la vita.» ripeté. «Kokuyo è
uscito.» disse frettolosamente. Lui annuì. «Lo so. Me l'ha detto». «Quando
torneranno, potremmo partire, che ne dici? Non li ripagherò mai abbastanza.»
sussurrò. Kurogane strinse le labbra. Quel tipo, anche se con una certa
perifrasi, aveva detto che non sarebbe stato in grado di partire o di viaggiare
senza rischi, meglio temporeggiare. «Possiamo ripagarli, prima di ripartire, che
ne dici?». «Ma i ragazzi?» cercò di dire. «Stanno bene, no? Li hai
contattati? Contattali. Noi dovremmo ripagare gli erboristi, hai ragione.»
rispose. «Riesci a contattare i ragazzi, così diciamo a tutti che stiamo bene?»
sussurrò. «Pure Tomoyo, dico». «Buona idea. E, sì, forse dovremmo provare a
ripagarli, almeno in parte.» mugugnò rovistando nelle tasche della veste che gli
aveva evidentemente dato quel signor Hisui. Kurogane sperò che usare solo
quel suo modo di comunicare infradimensionale non fosse troppo complicato o
dispendioso. «Ti stanno bene i vestiti di Kokuyo, sembra proprio che tu ti
sia ripreso del tutto, Kuro-rin.» farfugliò il mago sorridendo anche se la voce
gli tremava. Il mago attivò la sfera e aspettò che qualcuno
rispondesse. Dalla sfera, si irradiò la proiezione della polpettina che
inquadrava il ragazzo. «Fay-san?» disse il moccioso poco convinto. «Ciao
Shaoran-kun e Moko-chan!» pigolò lui. «Come stai Fay-san?» domandò la
polpettina fuori campo. «Tutto bene.» annuì. «E hai notizie di Kurogane
-san?» fece il ragazzo. «Non mi vedono?» bofonchiò il ninja. Lui sorrise.
«Aspetta, forse non vedono neanche me.» mugugnò agitando la sfera. «Ora ci
vedete?» domandò. «Ma paparino!» cinguettò la polpettina saltellando, si
vedeva anche lei, ora. «Ciao.» disse il ninja. «Wow! Sembri stare bene!»
fece il ragazzo. «È bello vedere che nessuno si fida di te, mago, eh?» disse,
divertito. Fay sorrise. «Tu ti sei fidato». «Ma io sono io.» replicò
poggiandogli di nuovo la mano sulla testa. «Ci siete riusciti! È fantastico!»
farfugliò il ragazzo. «Voi come ve la cavate, ragazzi?» domandò il
ninja. «Benone.» annuì la polpettina. «Subaru e Kamui?» chiese il
mago. «Sono compagni di viaggio migliori di noi due, scommetto!» disse
Kurogane. «Tutto bene. Stanno ancora viaggiando con noi, sono andati a far
provviste.» mugugnò il ragazzo. «Due vampiri che fanno provviste.» aggiunse
la polpettina. «Tra poco ripartiamo, comunque». «Appena saremo in grado di
raggiungervi... viaggeremo tutti insieme.» farfugliò il ninja. «Fate
attenzione!» si raccomandò. Il mago s'era ammutolito. «Ciao, e
riguardatevi!» replicò Shaoran. La comunicazione s'interruppe
allora. Kurogane l'osservò in silenzio: il mago sembrava sconvolto,
distrutto, come se l'avessero colpito con una freccia infuocata al centro del
petto. Aspettò un po' che reagisse. Ma poi le parole gli sfuggirono dalle
labbra. «Che cos'hai?». «No, niente.» mugugnò. «Non ti senti bene? Hai
usato già la magia, magari la contattiamo un altro giorno Tomoyo, non
preoccuparti». «Non è questo. Volevo dirtelo tra un po'...»
mormorò. «Cosa?» domandò. Il mago socchiuse gli occhi e si strinse nelle
spalle. Kurogane lo guardò a lungo, in silenzio. Cosa gli
prendeva? «Io─Io ti lascerò a Nihon... Tu non verrai con me e i ragazzi.
Resterai a Nihon.» lo disse confusamente, con la voce che tremava, tanto che
anche il respiro del ninja stesso sembrava più forte della sua
voce. «Scherzi?». «No. No.» scosse il capo. «Volevo dirtelo tra un po'.
Perché lo so che ti arrabbierai ma... è per il meglio, Kuro-rin». Kurogane
strinse le labbra. «Non puoi decidere per me». «Hai...» sospirò. «Hai
rischiato di morire!» obiettò. Lui sorrise. Non si era ancora alterato.
«Faccio il ninja: rischierei di morire anche stando a Nihon». «Ma è diverso!
Nihon è dove sei nato, conosci qualunque pericolo del tuo mondo... viaggiando
rischieresti di nuovo e...» replicò. Il ninja restò zitto. Stava scappando,
di nuovo, come al solito, lo stava lasciando indietro. Sospirò, scosse ancora
il capo e si alzò di botto. «Mago.» brontolò afferrandogli il polso, il suo
braccio era scattato a fermarlo senza che neanche se ne
accorgesse. «Lasciami.» sibilò. «Ti sei spaventato. Ma abbiamo detto che
avremmo continuato a viaggiare.» sussurrò stringendo di più il suo polso. «Non
puoi lasciarmi a Nihon». «Lasciami, Kurogane.» ribadì. «No. No, finché non
ascolti anche me. Lo dico anche per te, non puoi viaggiare da solo.»
ringhiò. Il mago scosse il capo, la testa bassa gli occhi velati dalle
lacrime. «Ma non sarò solo. Ci saranno i ragazzi. Tu─Tu sei adulto è─è ora
che tu abbia una famiglia». «Che diavolo c'entra questo adesso?» ringhiò. «E
guardami quando dici queste cavolate». «È che...» sospirò alzò per un secondo
lo sguardo ma, pur di non guardare in faccia il ninja furente, tornò a guardarsi
la punta delle babbucce che indossava. «Kurogane, io...». «Zitto!
Sta' zitto!» brontolò. «Non puoi decidere per me». Il mago restò zitto e
abbassò di più la testa. Aveva gli occhi sgranati e velati, come se si stesse
per mettere a piangere inesorabilmente. «Io... Mago, scusa.» sospirò
lasciandogli il braccio. «Scusa, non volevo alterarmi...» mormorò, cosa del
tutto fuori dall'ordinario per uno burbero come lui. «E io lo so che tu ti sei
preoccupato, che hai avuto paura... Però...». Lui sospirò di nuovo. «È
per il tuo bene. Perché tu devi vivere...». «Che ne sai qual è il mio bene?»
sbuffò. «E se io volessi viaggiare con te?». Sorrise.
«Vuoi...». «Sei il mio mago. E io non ti permetterò di viaggiare da
solo o coi ragazzi. Non andrai da nessuna parte senza di me.» replicò. «E se
vuoi lasciarmi a Nihon, tu resterai a Nihon con me.» ringhiò. «Il
tuo─». Fay non poteva credere alle sue orecchie e si vedeva dalla faccia
che aveva fatto. Kurogane neanche cercò di rimangiarsi quell'aggettivo di
possesso, alle volte, sembrava proprio un bambino anche lui e poi ormai gli era
sfuggito. L'idiota scosse il capo, sospirando. «Non puoi dirmi così: io devo
stare coi ragazzi». Il ninja sbuffò. «Sì che posso! Io voglio stare─erh─voglio viaggiare ancora con te.» borbottò correggendosi proprio
all'ultimo minuto. «Ma a Nihon rischieresti ugualmente la vita, se questo è
quello che vuoi. Ma lì possono curarti, se restassi ferito.» mormorò. «E poi tu
ami il tuo paese». «Che c'entra? Ho anche io una scala di priorità!» replicò.
«E poi non è che ami così tanto farmi quasi ammazzare...». Lui sospirò. «Il
tuo paese è sempre stato in cima a... e comunque è quello che fai spesso, farti
quasi ammazzare: e Tokyo, e quella volta a Celes... ora questo.» borbottò, ma
evidentemente si ravvide subito, forse ancora gli bruciava quel certo senso di
colpa che accompagnava ogni suo respiro. «Ancora con questa storia?» grugnì
il giapponese aggrottando un sopracciglio. «Primo non ho rischiato un bel niente
a Tokyo quella volta, tu saresti morto altrimenti... e poi dovresti smetterla di
pensare al mio maledetto braccio, anche in quel caso, tu saresti morto
altrimenti.» replicò. «E la morte non si può cambiare, lo sai anche te, ma si
può evitare di morire in maniera sconsiderata, no?» replicò. Fay restò un
attimo senza parole, poi scosse il capo. «Che c'è?» domandò il ninja con
calma, la voce calda e ferma. Lui scosse il capo di nuovo. «Va beh, lasciamo
perdere. Ne riparleremo». Kurogane strinse le labbra, in quella classica
smorfia da chi non è contento della situazione attuale ma non può fare altro che
farsela andare bene. «D'accordo». Per un istante tutto sembrò pesare addosso
alle spalle del mago e il giapponese non seppe bene cosa fare o dire, cosa
potesse farlo sentire un po' meglio. Sospirò. Fay alzò il capo e lo guardò di
sfuggita. «Ti senti bene?» domandò accarezzandogli la guancia, piano piano, con
le mani fredde. Era un gesto estremamente affettuoso e sincero, non come le
carezze che gli dava sulla testa dandogli del cagnolone. «Sì. E tu?» domandò
con calma, cercando ancora il tocco della sua mano. Cosa che non aveva mai fatto
fino ad allora. Si riscoprì a pensare che, forse, Tomoyo aveva ragione.
Sospirò. «Sto bene, sì». «Quel Kokuyo ha detto che non mi hai mai
lasciato solo.» mormorò serio. Avrebbe voluto aggiungere altro ma voleva vedere
se per una volta quell'idiota sarebbe stato sincero. Sorrise. «Non
riuscivo a dormire... Volevo solo stare al tuo fianco». «Dovevi dormire un
po'.» sospirò. «Sei stato sciocco: hai l'aria davvero molto stanca». Sorrise
e si stropicciò gli occhi, un gesto che fece notare a Kurogane quanto fossero
arrossati. «Volevo solo stare qui accanto a te». «Sei scemo.» bofonchiò. «Non
sarei andato da nessuna parte». «Sì, ma... Sei stato così tanto male i primi
giorni, mi hai chiamato come hai fatto prima e... Mi sono seduto qui. Il tuo
cuore non batteva, non respiravi. Sembravi...» si fermò, sembrava davvero
sconvolto. «Poi hai ripreso a respirare da solo.» aggiunse. «Ero così
spaventato!» mormorò. «Poi... Quando mi sono seduto qui vicino, il dolore
sembrava sparito. Stavi bene, pure se non aprivi gli occhi. Ho provato a
chiamarti tante volte...». Ah, allora forse era vero che era morto per
qualche istante, aveva in effetti sentito di essere passato dall'altra parte, ma
poi il mago l'aveva portato indietro. Non era un'allucinazione: il mago gli
aveva in effetti parlato per un po', e non solo nella sua testa. Sorrise, calmo.
Fay andava a salvarlo proprio nel momento del bisogno. Come al solito. «Ora sto
bene». Sospirò. «Lo so, ma...». Fu Kurogane a sfiorargli la guancia,
goffamente, stavolta. «Che c'è?» mormorò Fay con gli occhi sgranati. «Lo
vuoi un abbraccio?» bofonchiò e solo dopo si accorse della cretinata pazzesca
che aveva detto. Ma forse poteva farlo un po' rilassare e magari riusciva anche
a farlo dormire un po', o a sfogarsi. D'altronde non era la prima volta che lo
abbracciava e forse voleva anche lui stringersi quel cosino addosso. Chissà.
Comunque, dura ammetterlo, ma Tomoyo aveva ragione. «Cosa? Questo non è da
te, Kuro-rin!» replicò lui. E, sì, aveva ragione. Ma, ehi, al diavolo. Che
problema c'era se lui voleva farlo un po' tranquillizzare. Ghignò. «Vieni qua,
forza». In fondo era solo un abbraccio senza pretese «Perché vuoi
abbracciarmi?» farfugliò il mago, che prima sciorinava abbracci a destra e a
manca ma dopo quel famoso bacio era cambiato. Mh, sì, quel bacio. Kurogane
sospirò e cacciò indietro quel pensiero. «Perché in realtà lo vuoi. E poi perché
così senti il mio cuore, vieni.» disse tranquillo, senza neanche cercare una
scusa migliore di quella che si aveva dato al suo orgoglio. Fay sorrise. «Non
credo sia necessario, Kuro-pippi». «Vieni,» mugugnò. «Lasciati abbracciare e
non rompere le scatole.» replicò. «Se ben ti ricordi ti ho portato in braccio
parecchie volte, quindi stavolta non dovrebbe essere diverso». Il mago
sospirò. Kurogane gli prese la tazza dalle mani e la poggiò sul comodino
vicino al letto e poi lo tirò a sé, con un gesto poco gentile eppure carico di
un qualcosa che non sapeva spiegare. Un qualcosa di naturale, come se fosse la
sua stessa indole a spingerlo a
stringerselo a sé. Si spinse la testa del mago sotto il collo e lo
lasciò stretto tra le sue braccia così, per un po'.
Thump-tha-thump. Era vivo. Il cuore di Kurogane
batteva. Risuonava lento e leggero come le gocce di una pioggia primaverile.
Non seppe bene quanto restò così, stretto a lui, pure se erano solo le
braccia di Kurogane a unire i loro corpi, in silenzio a sentire solo la vita
scorrere in ogni sua cellula. E il ninja stava zitto, l'abbracciava e basta.
Mentre le spalle e tutti gli arti di Fay erano diventati come di burro, immobili
e flosci insieme. All'improvviso gli venne da piangere, tutto insieme, di
botto, come se la fatica, tutto quel tempo passato a saltare da una dimensione
all'altra, tutti i pericoli affrontati, tutta la magia utilizzata gli pesassero
addosso solo ora, solo adesso, proprio ora che lui stava bene. Tirò su col
naso. Cercando di inghiottire le lacrime e con loro i pensieri che gli si
annidavano nella testa. Idiota, era davvero un idiota, come diceva Kurogane,
come poteva mettersi a piangere proprio ora? Proprio ora che camminava, che
parlava e si muoveva come una persona sana, come se non fosse mai successo
niente. «Sfogati.» sussurrò lui, con la voce roca e tenera insieme. «Sfogati,
forza». Fay scosse il capo. «Sto bene, basta così, puoi lasciarmi ora». Ma
il moro non era proprio dello stesso avviso, si limitò a stringerlo ancora, più
forte, tenendogli la mano destra tra i capelli e il braccio di latta a
stringergli, ma non troppo, la vita. «Mi fai piangere così...»
mugugnò. «E piangi, che problema c'è?» replicò. «Hai pianto tante altre volte
per cose più stupide, sei proprio scemo, almeno stavolta sarebbero lacrime di
gioia». Si perse un singhiozzo. E poi un altro. Davvero bastava così poco per
fargli aprire i rubinetti? Forse sì. «È che...». «Sei sollevato, sei contento
che sto bene. Lo so. Sono contento anche io. E, pensa, è tutto merito tuo. Senza
di te, io non sarei qua.» mormorò. «È per questo che dovrei averti sempre
intorno. Se mi lasci a Nihon...». Lui alzò il capo. «Non dire sciocchezze,
Kuro-tan». «Perché no? È vero.» replicò. «Guarda che sei tu che mi
hai salvato. Non il contrario.» borbottò. «Oh, non mi dire che ti senti
ancora in debito.» sbuffò. «Può darsi.» mormorò. Kurogane sbuffò un
sospiro. «Ah, potrei arrabbiarmi, lo sai?» mugugnò tirandosi nuovamente la testa
del mago sotto il collo. «Io ti ho salvato per lo stesso motivo per cui tu ti
sei quasi ammazzato per cercarmi una cura... e sappiamo bene entrambi che non è
solo per riconoscenza». I singhiozzi che scappavano dalle labbra di Fay erano
sempre più forti. Quanto ancora avrebbe mentito? «Tu sei importante per me.»
disse a voce bassa, tra un singhiozzo e l'altro. Gli era sfuggito dalle labbra e
ora non c'era più modo di rimangiarsi nulla. Kurogane restò in silenzio.
C'era solo il rumore del suo cuore e il caldo movimento del suo petto mentre
respirava. Intanto Fay singhiozzava, tra le sue braccia. «Guarda che lo so, eh.»
sussurrò piano, dopo un po'. «E non ti credere che per me sia diverso». Fay
alzò la testa e lo guardò. «Che ti prende? Sei... sei strano, sei─». «Ah, non
cominciare. Tu ti sei quasi ammazzato per cercare di salvarmi e io sono
strano...» borbottò. «Ti sei fatto in quattro per salvarmi, è chiaro che io sia
importante per te.» replicò. «Quindi anche quando ti sei tagliato il
braccio...» cominciò a dire. «Ci avevi pensato bene?». «Che c'entra, potevo
lasciarti lì a morire?» domandò. «Avresti potuto.» mugugnò. «E tu lo
stesso, ma non l'hai fatto.» mormorò. «E sei stato bravo, hai trovato un
antidoto per me, e guardami adesso.» annuì. «Sei stato bravo». «Per fortuna.»
mugugnò a fatica, tra un singhiozzo e l'altro. Neanche se ne accorse che
tremava. «Non ci credevi neanche tu, eh?» mugugnò. Lui scosse piano il
capo, le spalle tremavano ad ogni singhiozzo. «Francamente? Pensavo solo a
trovarti una cura ma... questo era proprio uno degli ultimi mondi possibili...»
sospirò. Kurogane gli scompigliò ancora i capelli. «Sei stato bravo,
davvero.» ripeté. «Devi credere un po' più in te stesso, io non ho mai avuto
dubbi». «Però mi hai detto di smettere di cercare una cura per te.»
mormorò. «Perché ti sei massacrato,» rispose. «Guardati, peserai trenta
chili... una folata di vento più forte ti farà volare via...» aggiunse. «Io lo
dicevo per il tuo bene». «E al tuo bene non ci pensi?» bofonchiò. «Oh, ma
senti chi parla!» replicò il ninja. Gli sfuggì una mezza risata. «Scusami,
sì. Comunque, mi sono calmato...» farfugliò continuando a singhiozzare.
«Certo, certo.» mugugnò quell'altro, continuando a tenerlo tra le braccia.
«Sei stato bravo, lo sai? Sei stato davvero bravo». Fay perse un singhiozzo
più forte degli altri e finalmente riuscì a muovere le braccia e piano piano si
strinse al ninja.
La schiena di Kurogane si irrigidì
appena, ma non disse nulla, si limitò ancora ad abbracciarlo.
Non seppe bene quanto tempo stette lì a tenere il mago
stretto contro di sé, Kurogane. Si accorse soltanto che, dopo aver pianto tutte
le sue energie, lui si era addormentato. Si era finalmente concesso una bella
dormita. Kurogane l'aveva sistemato sul letto con una delicatezza degna di un
buon padre di famiglia, gli aveva sistemato il cuscino e l'aveva coperto,
rincalzando per bene le lenzuola e la coperta di lana. «Sei stato bravo,»
ripeté ancora una volta, poi, sedendosi lì accanto. Il mago si mosse piano,
lo notò appena, se ne accorse solo perché aveva cercato qualcosa nel letto e
alla fine aveva solo trovato modo di appendersi alla sua casacca.
«Idiota.» disse piano, raccogliendo la sua mano e
tenendola tra le sue. «Tanto non vado da nessuna parte».
Ehilà!
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui, mi dispiace di
aver pubblicato questo capitolo a così grande distanza dai precedenti, ma spero
vivamente di tornare a pubblicare quasi assiduamente (scrivo quasi perché
sappiamo tutti che i miei tempi di aggiornamento sono simili ai tempi di
percorrenza della Salerno/Reggio Calabria), comunque mi premurerò di rispondere
alle recensioni dall'apposito tastino "rispondi alle recensioni", anche perché è
passato talmente tanto tempo dall'ultimo aggiornamento che debbo per forza
rileggerle e chiedere perdono a tutti i lettori uno per uno.
Grazie ancora dell'attenzione.
D.
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