Disclaimer:
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di
proprietà di Sir Arthur
Conan Doyle e presi in prestito da Steven Moffat e Mark Gatiss (che Dio
li
benedica). La storia è stata scritta senza alcuno scopo di
lucro.
La
storia riprende i fatti del primo episodio
della terza stagione, cambiandoli un po’…
Buona
lettura!
There's always
an off-switch
- Se non fossi tornato,
ora non saresti qui…
- disse Sherlock con voce strozzata, evitando lo sguardo di John, -
…avresti
ancora un futuro. Con Mary. – L’ultima parola
uscì con un percettibile tremolio
e le lacrime, che cominciarono a scorrere veloci sui suoi zigomi
pronunciati,
erano sincere. Immaginare il suo
John
vivere una vita felice senza di lui, insieme a qualcun altro, era un
destino
peggiore della morte.
In quei due anni in cui
aveva viaggiato fra i
diversi Stati, alla ricerca dei collaboratori di Moriarty,
l’unica cosa che gli
aveva permesso di non impazzire era il pensiero che un giorno sarebbe
tornato a
riabbracciare Londra… e John.
Aveva
fisso il traguardo, con la sua faccia sulla bandiera, che richiamava
alla mente
ogni volta che stava per mollare.
John era stato la sua
ancora di salvezza
anche se erano in fusi orari diversi.
- Lo so, - rispose
più brusco di quanto
avesse voluto. Sentire il nome della sua fidanzata in quel momento
l’aveva
innervosito. E fatto sentire in colpa, perché
Mary non era Sherlock.
Immaginare di continuare a
tirare avanti
nello stesso modo in cui aveva fatto negli ultimi ventiquattro mesi, ma
per
quindici, venti anni era stato troppo doloroso per John e aveva
preferito
zittirlo. Poggiò una mano al palo verde di ferro,
stringendolo con le dita
fasciate dal guanto di pelle e traendo a sé tutta la forza
che aveva, per
ricacciare indietro le lacrime e riuscire a parlare in maniera
dignitosa.
Sherlock tirò
su col naso silenziosamente.
Sapeva bene di aver disattivato la bomba, ma quello era il primo
momento in cui
realizzava davvero quanto l’altro gli era mancato e quante
cose erano cambiate
durante la sua assenza. C’era qualcun altro nella vita di
John, qualcuno che
d’ora in avanti avrebbe avuto la priorità.
John gli lanciò
un’occhiata veloce, continuando
a camminare, nervoso e credendo che la sofferenza del detective fosse
dettata
dallo loro imminente dipartita.
Illuso, John. Lui aveva già finto la sua morte
una volta.
Il dottore gli si
avvicinò incerto,
scrutandolo dall’alto, mentre il moro restava seduto su uno
dei sedili di quel
vagone della metro.
- Senti, è
difficile per me, - gli disse
fissandolo negli occhi, adesso ancor più brillanti dopo il
pianto. Sembravano due piccoli diamanti.
– È
difficile questa roba per me. –
Cercò di
trasmettergli con lo sguardo il vero
significato di quelle parole. Non stava parlando della morte
– Dio, quella era
quasi ben accetta se voleva dire non passare un altro minuto senza
Sherlock -;
non stava parlando di esprimere ad alta voce quanto fosse importante
per lui –
si lasciava scappare un: “Geniale” almeno una volta
alla settimana, quindi
essere sincero non era proprio un problema -.
Stava parlando di tuffarsi
a occhi chiusi in
un campo a lui sconosciuto, di venire a patti con se stesso e accettare
una
nuova realtà.
Il detective lo
guardò sicuro, quasi speranzoso.
– Lo so. –
John prese un profondo
respiro e socchiuse
gli occhi per un attimo. Non diede il tempo a Sherlock di capire cosa
stava
succedendo: gli afferrò con forza il volto fra le mani, lo
alzò un po’ e si
piegò verso di lui per unire finalmente le loro labbra.
Fu
un bacio disperato e salato di lacrime.
Il detective gli strinse
forte la nuca,
mentre si alzava in piedi e apriva la bocca per permettergli un accesso
migliore. Portò l’altra mano sul suo fianco,
spingendolo verso di sé.
John lo baciava bramoso,
facendo vagare le
mani sui suoi capelli. Stavano per morire e non gliene importava
niente.
Sarebbero andati all’inferno, ne era sicuro. Avrebbero dovuto
impiegare quei
minuti per cercare una soluzione, tentare di salvare i Ministri riuniti
nel
palazzo di Westminster, invece avevano preferito dare sfogo a desideri
troppo a
lungo repressi. Tutte le volte in cui, da quando era riapparso, gli
aveva messo
le mani addosso cercando di strozzarlo o rompergli il naso, in
realtà avrebbe
solo voluto strappargli i vestiti seduta stante, ma non potendo farlo
sfogava
la sua frustrazione nell’unica alternativa che aveva:
picchiarlo.
Indietreggiò
per poggiare la schiena a uno
dei pali di ferro, continuando la sua esplorazione, accarezzando la
lingua di
Sherlock e tirando quei riccioli che lo facevano impazzire. Sentiva
l’altro
appoggiarsi completamente a lui, permettendo ai corpi di entrare in
contatto.
Quando il bisogno
d’aria fu più forte,
dovettero staccarsi, entrambi col fiatone. Il dottore non riusciva a
incrociare
lo sguardo dell’altro, che lo sovrastava tendendosi
appoggiato al palo alle sue
spalle con una mano.
Sherlock fece un sorriso
di trionfo, talmente
largo da oscurare tutto il vagone, guardando
l’oscurità fuori dal finestrino. –
Quando ti ho detto che non riuscivo a disattivare la bomba non avevo in
mente
proprio questo. –
John lo guardò
confuso.
Poi un po’ meno
confuso.
Sherlock era troppo
allegro per uno che stava
per saltare in aria. Gettò un’occhiata al timer
della bomba e si sentì quasi
mancare.
- Oh, no… No,
no. – Si portò le mani fra i
capelli e riprese a misurare il corridoio a grandi passi. –
Tu… - Non
trovava un insulto abbastanza pesante da
rivolgergli, soprattutto perché buona parte della sua mente
era impegnata a
rendersi conto del fatto che lo aveva baciato.
E non sarebbero morti.
Avrebbe dovuto guardare
ancora quelle iridi
di ghiaccio con la consapevolezza di averlo
baciato.
In quel momento avrebbe
preferito morire;
avrebbe preferito che il suo amico non fosse un completo idiota pieno
di sé.
Bene, poteva dirgli questo.
Aprì la bocca
per parlare, ma l’altro lo
precedette: - Avevo immaginato parole carine, discorsi fatti col cuore
in mano,
- guardò Watson con ammirazione mal celata, - ma tu, John,
riesci sempre a
sorprendermi. –
Era come una carezza il
modo in cui Sherlock
diceva John. E lo diceva tante
volte
nell’arco di un giorno, quasi come se avesse bisogno di
sentire qualcosa di suo
sulla lingua.
John.
Il dottore lo guardava
sbigottito e
imbarazzato. Non poteva crederci, era caduto per l’ennesima
volta nella sua
trappola. Avrebbe mai smesso di prenderlo in giro, in quel modo?
- Sherlock, tu
sei… - fece un verso di
esasperazione, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
L’avrebbe
ucciso. Presto o tardi sarebbe stato lui a spingerlo
giù da un palazzo per
poi assicurarsi che, questa volta, fosse davvero morto.
- Oh, andiamo, - fece
quello, innervosito.
Aveva una mano nella tasca del cappotto, mentre l’altra
gesticolava al vento. –
Se è servito per farti ammettere la verità, ne
è valsa la pena. –
Era
piuttosto arrabbiato.
Watson lo
guardò con le sopracciglia alzate. Lui
era stato fregato e l’altro si
permetteva di fare l’offeso?
- Qua… Quale
verità? – chiese alzando il
volume della voce. Doveva combattere l’impulso di dargli
un’altra testata.
- Noi, - rispose
semplicemente. Aveva omesso
un ovviamente, solo
all’ultimo
secondo. Era tornato calmo e lo stava fissando. Uno dei loro sguardi,
di quelli
che nessun altro riusciva a decifrare, quelli talmente carichi di
parole da
lasciarne priva la bocca.
- Sherlock... -
- Non mentire John. E non
solo perché lo
capirei subito, - disse tornando a essere il solito presuntuoso, - ma
anche
perché è ora di smetterla. –
Sherlock Holmes prendeva
sempre quello che
voleva, senza curarsi degli altri o delle regole. O
della legge. Non si domandava se era la cosa giusta da fare,
se poteva farlo; allungava una mano
e
semplicemente afferrava.
E
ora Sherlock voleva John.
- Io, -
cominciò risentito, - al contrario
tuo, non ti ho mai mentito! - Piantò un piede a terra per
sottolineare le sue
parole, con l'indice della mano rivolto verso il basso.
- Non è a me
che menti. -
- Ah! - Alzò le
braccia al cielo, come a
chiedere un supporto divino, altrimenti da solo non ce l'avrebbe fatta.
Ci mancavano le sue frasi a effetto, adesso.
- Mentire? Sherlock, ti ho appena baciato! -
- Già, cosa che
non avresti mai fatto se non
avessi creduto di stare per morire. - Dietro al tono da saputello,
c'era
fastidio e amarezza.
- Qual è il
punto? - domandò spazientito.
- Baciami anche quando la
tua vita non è in
pericolo. -
Lo disse con una
semplicità disarmante, come
se fosse la cosa più naturale del mondo.
John pensò di
fargli presente che peccato,
perché la loro vita era sempre
in pericolo, ma qualcosa negli occhi
del detective glielo impedì. Era dannatamente serio, in
attesa e determinato.
Allargò e
strinse le dita della mano, come
per far passare un crampo, mentre l'altro restava a guardalo immobile e composto. Il dottore
sapeva che la pazienza
non era il suo forte e che presto avrebbe rincarato la dose solo per
scuoterlo.
Guardò il pavimento cercando, forse, risposte in esso.
Sbuffò dal naso per
l'ennesima volta.
Sherlock
gli aveva chiesto di baciarlo.
In realtà gli
aveva chiesto molto di più.
Gli aveva chiesto di
donargli tutto se
stesso, di mettere fine ai giochetti e arrivare a un punto.
Un punto
di partenza con Sherlock.
L'idea era terribile e
bellissima allo stesso
tempo.
Dalla porta aperta in
fondo allo
scompartimento arrivarono dei rumori e intravidero delle piccole luci
muoversi
nel buio per avvicinarsi velocemente a loro.
- Hai anche chiamato la
polizia? - lo accusò.
- Certo che ho chiamato la
polizia. - Il moro
continuò a fissarlo per fargli capire che non avrebbe
abbandonato il discorso.
Erano stati lontani per troppo tempo e Sherlock aveva bisogno di lui.
John gli si
avvicinò con l'intento di
oltrepassarlo e uscire di lì, ma il suo braccio gli
bloccò la via.
Alzò adirato
gli occhi sull'altro che ancora
aspettava che parlasse. Watson alternò lo sguardo tra
Sherlock e i poliziotti
che si stavano avvicinavano, come a dirgli che non era quello il
momento di
discutere del loro futuro insieme.
L'altro dovette leggergli
quelle esatte
parole sul volto, perché ritrasse la mano, alzando
vittorioso un angolo della
bocca, che andò a formare una serie di piccole e tenerissime
rughe.
Si voltò con la
solita eleganza facendo
svolazzare il cappotto e si diresse verso l'uscita.
Entrambi sapevo che il
dottore, una
decisione, l'aveva già presa.
- Riprendiamo dopo, John.
–
John.
NdA:
Il
titolo è
ripreso dall’episodio 3x01 “The Empty
Hearse”, come anche alcuni discorsi
diretti.
La
frase: “…traguardo,
con la sua faccia sulla bandiera”, invece viene dalla canzone
Guapa Loca
degli Articolo 31 (!!!).
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