Poteva
dire che aveva dato tutto.
Qualsiasi
cosa.
Il
suo corpo, il suo cervello, la sua anima.
Era
andata fino in fondo e anche oltre.
Ma
almeno, lo aveva visto per un’ultima volta.
Il
vento soffiava freddo, glaciale, sollevando polvere e detriti di ogni
sorta.
Non
rimaneva molto da osservare: le macchie di sangue vennero assorbite dal
marmo
come se ne fosse assetato, la carne si consumò fino a
divenire polvere e
l’adrenalina svanì come le ombre al sorgere del
sole.
Una
piana desolata.
Si
sentiva così stanca.
Rimase
ferma a lungo, con la mano bloccata sulla mazza; la fece quasi ridere
quella
situazione: una ragazzina, troppo giovane per tutto questo, congelata
in una
posa guerriera, con vestiti e armi insanguinate, col viso di chi ha
visto troppe
cose che non potrà mai dimenticare.
Le
gambe iniziarono a tremare ma non crollò.
Deglutì,
sentendo la gola arida, alzando lo sguardo nel momento in cui
sentì dei passi.
Alzò
anche la testa, gonfiando il magro petto per farsi più
grande, per dimostrare
al nuovo arrivato che no, non aveva paura ad affrontarlo.
Dall’ombra
uscì una figura alta, slanciata, con indosso abiti
sopraffini ed eleganti,
accompagnati a un pomposo mantello color porpora.
Batteva
le mani, inesorabilmente lento, pesantemente macabro.
“Ci
sei riuscita alla fine.” Mormorò dopo un attimo di
pausa.
“Ti
aspettavi diversamente?” Abbaiò lei.
L’altro
ridacchiò: “No, no.
In
effetti era previsto che riuscissi a raggiungermi.”
Willow
osservò l’uomo: finalmente.
Lo
aveva raggiunto, aveva speso ogni secondo, ogni energia, ogni pensiero
della sua
“nuova” vita per raggiungerlo, ed ora era a portata
di mano.
Oh,
così vicino.
“Però
tu sai che dovrai battere anche me per essere libera, vero?”
Willow
strinse gli occhi, fulminandolo con lo sguardo.
“Wow,
wow! Calmati leonessa, non vorrai che prenda
fuoco…”
L’uomo
alzò le mani, ridacchiando una seconda volta.
“Allora.
Prima
di iniziare vorrei farti i complimenti, arrivare fino a qui deve esser
stata
dura, devi aver dato tutto pur di raggiungermi…
E tutto per rivederlo, non è vero?”
A
quell’affermazione Willow s’incupì,
arrivando a mostrare i denti come una fiera
iraconda.
Ma
l’altro non sembrava toccato, anzi, ne era
divertito:” Siamo agguerrite, vedo…
Non
avrei potuto chiedere di meglio.”
L’uomo
spalancò le braccia, facendo ondeggiare il mantello,
apparendo come un tetro
pipistrello.
“Non
hai un bell’aspetto, sei forse nervosa, gattina?”
Willow
ringhò:” Pensa a te.” Iniziò,
portando in avanti un piede: ”Così tanto tempo
incatenato qui, guarda come ti sei ridotto, sei solo
un’ombra, sei così
spaventato che rimani qua in un angolo a frignare come un
bambi-“
L’altro
s’avvicinò di scatto, artigliandole la gola con
una sola mano: non gli ci volle
nulla per sollevarla da terra.
“E tu credi che questa sia debolezza? Pensi ancora che io non
sia forte, Willow?
Pensi ancora che non sia in grado di spezzarti il collo qui, di punto
in bianco?
Pensi
ancora che io sia così debole!?”
La
ragazza s’aggrappò alle mani dell’uomo e
tentò disperatamente di sollevarsi o
di levargli le dita dal collo per poter respirare.
Agitò
le gambe, gli graffiò le mani, sputò anche in sua
direzione, senza ricevere
grandi risultati.
La
vista s’appannò in poco e i movimenti divennero
più lenti e pesanti: affondò le
unghie nella carne dell’altro e digrignò i denti
fino a sentirli strofinare tra
di loro con uno stridio orribile.
“Ma
non voglio di certo che finisca così.”
La
lasciò andare, facendola cadere a terra come un sacco di
farina.
Willow
tossì, portandosi le mani al collo, avvertendo le dita
dell’altro ancora lì
sopra.
Imprecò
a denti stretti, sentendo la gola bruciare come l’inferno.
L’uomo
la guardò con pietà, scuotendo la testa.
“Che fine ha fatto la tua energia? Dov’è
la tua determinazione?
Ti tremano le gambe davanti a me?”
Lei
non rispose, tentando, lentamente, dolorosamente, di rimettersi in
piedi e di
riguadagnare un po’ di dignità.
“Sciocca
ragazzina, pensi davvero di poterlo salvare?”
Willow
si bloccò.
“Pensi
davvero di riuscire a riportarlo indietro?
E’
caduto troppo in basso, è andato troppo a fondo, non
tornerà indietro e tu non
ti allungherai mai abbastanza per raggiungerlo.
Lascia
perdere Willow, non lo salverai mai.”
“…
Sta zitto.”
“Uhm?”
“Sta
zitto.”
“Com-?”
“Stazittostazitto-
STAZITTOSTAZITTOSTAZITTO-“ Con uno scatto d’ira
Willow afferrò la mazza e lo
colpì sul viso, facendolo ritrarre come un animale in
trappola e facendo
schizzare sangue nero pece ovunque.
Continuò
ad agitare l’arma, sollevando sangue, carne e capelli.
Cupi
rumori di carne che veniva macellata, di ossa che si spezzavano,
riempirono
l’aria già malsana, rimbombavano nella testa di
Willow, rimbombavano nella sua
cassa toracica, nel suo cuore, risuonando fin dentro la sua anima.
Non
si fermò nemmeno quando stava ormai colpendo un ammasso
informe di carne e
sangue; continuò finchè le braccia non le
divennero pesanti e rigide,
costringendola a far cadere l’arma a terra.
“Sta…
zitto… Sta… z-zitto…
Zit-to… Io lo s-salverò… Ci-ci ci
riuscirò…”
L’altro,
rannicchiato in un angolo, ridacchiò cupamente, voltando
lentamente il viso
perfettamente intatto.
“Sei
sicura?”
Willow
digrignò i denti, tramutando il viso iroso in una maschera
di disperazione e
paura.
No.
No.
Aveva
dato tutto.
Il
suo corpo, il suo cervello, la sua anima.
Aveva
dato la sua vita per rivederlo.
“Ridammelo…
Ridammi
indietro Wilson…
Ridammelo…
RIDAMMELO
INDIETRO, ORA, LO RIVOGLIO! RIDAMMELO, RIDAMMELO INDIETRO
SUBITO!”
La
ragazza si portò le mani tra i capelli, battendo i denti e
scuotendo la testa,
mormorando, pregando che le venisse restituito ciò che aveva
perso.
“Ti
prego, ridammelo, è tutto ciò che avevo,
ridammelo, ti prego… Ti prego…”
Piagnucolò
piano, cadendo lentamente in ginocchio.
L’uomo,
al contrario di lei, s’alzò con grazia, si
pulì i vestiti e si sistemò il
mantello, avvicinandosi.
“E’
tardi per farlo tornare.
Ma
per te no.
Non
e’ ancora scoccata la tua ora.
Avanti,
alzati e torna indietro, riprendi la tua vita nella steppa, difenditi
dai
mastini, scappa dalla notte, dormi sotto le stelle, torna a
sopravvivere
Willow, perchè di esistere non smetterai mai.”
Willow
districò le mani dai capelli, abbassandole lentamente.
Giusto.
Sarebbe
esistita per sempre, senza mai vivere per davvero.
Ma
aveva mai vissuto?
Aveva mai assaggiato la vita?
Probabilmente
no, da quando era nata non aveva fatto altro che sopravvivere, la vita
non
l’aveva mai assaporata.
Ma
poi aveva incontrato Wilson.
La
sua vita, la sua nuova esistenza da persona, e non da profugo alla
estenuante
ricerca di un tetto.
La
sua casa.
La
sua pace.
Aveva
trovato tutto questo in Wilson, una famiglia, una casa, una vita che
non aveva
mai avuto.
Non
le importava che vivessero in un luogo infernale come quello, le
bastava stare
con Wilson, e sarebbe andata in capo al mondo con lui.
“Lui
è la mia casa.
E
io voglio la mia casa.
Perché
ovunque c’è lui io abito.”
Alzò
il viso, mostrando all’altro due
grandi occhi distrutti, riempiti dalle più calde e pure
lacrime, mostrò un viso
devastato dal dolore, mostrò la ragazzina spaventata che
voleva solo che le
cose tornassero come prima, mostrò la disperazione di
qualcuno che ha provato
tutto.
Che
aveva dato tutto.
Nella
sua mente iniziò a scorrere un
lungo foglio, dapprima bianco, poi iniziò a colorarsi:
iniziarono a disegnarsi
forme e figure, persone e oggetti, fino a divenire un miscuglio poco
chiaro.
La
sua vita le corse davanti agli
occhi, potè rivedere la sua infanzia, o ciò che
doveva essere la sua
giovinezza, vide di nuovo tutte le angherie subite, tutti i soprusi e
tutto il
dolore che aveva provato.
Vide
sé stessa in compagnia di Wilson,
e di tutti gli altri.
Vide
quante volte era morta nel
tentativo di rivederlo, vide quante volte aveva cominciato da capo,
quante
volte s’era alzata da terra con un solo ricordo: rivedere
Wilson.
Vide
tutto di nuovo.
L’altro
l’osservò per un po’,
arrivando ad accarezzarle la guancia con un dito solo, rimirando il suo
viso
innocente.
“Sei
disposta a dare qualsiasi cosa
per stare di nuovo con lui, non è vero?”
Willow
annuì.
“Tutto?”
“Qualsiasi
cosa.”
L’uomo
le afferrò il viso con entrambe le mani, con gentilezza,
facendo avvertire
l’oscurità che sgorgava dai suoi palmi come
l’acqua da una fonte.
“Mi
manca così tanto…” Pigolò
lei con voce rotta, chiudendo gli occhi a quel
contatto.
“Lo
rivoglio con me…”
“E
io ti voglio con me.”
Willow
aprì gli occhi stanchi, ritrovandosi a guardare il viso di
Wilson.
Lo
stesso viso che pochi minuti fa stava colpendo con violenza, lo stesso
viso che
aveva baciato più e più volte, di notte e di
giorno.
Il
viso della persona più importante della sua vita.
Lui
le carezzò il volto e il collo, guardandola con amore,
ravviandole i capelli
dietro le orecchie, curandole le ferite,
consolandola.
“Willow.”
Il
suo nome.
Aveva
pronunciato il suo nome.
Lo
aveva mormorato con amore, con lo stesso tono con cui le augurava la
buonanotte
e il buongiorno, lo stesso tono usato per raccontarle della giornata,
lo stesso
dolcissimo tono usato per pronunciare il suo nome.
Uno
sciocco singhiozzo scivolò dalle labbra della ragazza, che
afferrò le mani
dell’altro come ultimo appiglio.
Iniziò
a sussurrare il suo nome più e più volte, come un
mantra, come una preghiera.
Sentiva
che quello non era Wilson, non era lo scienziato gentiluomo che aveva
incontrato, non era quell’uomo tanto gentile quanto sciocco
di cui aveva
imparato a fidarsi.
Non
era Wilson.
Ma
oramai era troppo tardi.
Willow
era caduta troppo in basso, era andata troppo a fondo.
Schiacciò
le labbra contro i suoi palmi, premendoci il viso come mera
consolazione.
“Willow.
Willow,
guardami mia cara.
Willow,
mia amata, diventa la mia regina, governeremo insieme su queste lande,
giocheremo, inventeremo e esisteremo per sempre assieme, non vi
sarà una fine,
nessuno vi porrà fine.
Vi
è solo un inizio Willow, vieni, vieni con me, e non
esisterà più la fine.”
Wilson
la guardò con gli occhi pieni di aspettativa, riempiti della
luce più fredda e
cupa che avesse mai visto, traboccanti di sogni finalmente a portata di
mano.
Il
suo viso pallido l’illuminò, rendendolo
più spettrale di quello che già non
fosse.
Come
un fantasma.
“Willow,
vuoi diventare la mia regina?”
La
ragazza aprì gli occhi e guardò l’altro.
Il
viso gentile di Wilson era lì, a pochi centimetri dal suo.
Che
cosa aveva da perdere?
Una vita mai vissuta e un’esistenza passata nel tentativo di
sopravvivere e
soffrire un giorno in più?
L’opportunità
era così vicina che era impossibile che qualcosa andasse
storto, che la loro
favola s’infrangesse in mille pezzi.
Era
già stata incrinata, ma potevano riparare le fratture e
proseguire.
Non
vi era modo di fallire.
Wilson
si specchiò negli occhi della ragazza, divenuti
così spenti da fargli provare
un brivido d’eccitazione lungo la schiena: aveva davvero dato
tutto.
Willow
sorrise.
Carezzò
il volto dell’uomo, sospirando piano.
“Lo
voglio.”
Poteva
dire che aveva dato tutto.
Qualsiasi
cosa.
Il
suo corpo, il suo cervello, la sua anima.
Era
andata fino in fondo e anche oltre.
Ma
almeno, lo aveva visto per un’ultima volta.
E
SONO ANCORA QUI-
Penso
che vivrò per l’eternità solo per
disturbarvi con le mie fic.
Sounds
good.
Comunque.
E’
un sacco di tempo che non scrivo e che non gioco a Don’t
Starve, per fortuna
avevo questa fic salvata da qualche mese, e dopo l’ultima
recensione, ho deciso
che potevo anche pubblicarla…
Quindi fatemi sapere che ne pensate! E soprattutto se
l’effetto a sorpresa ha
funzionato a dovere.
Grazie
per aver letto e alla prossima fic, ciaossu!
|