Il bardo si lasciò percorrere da un brivido di soddisfazione quando sentì
i lupi ululare
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense! ...
(Divina commedia, V canto dell’Inferno)
Il bardo si lasciò percorrere da
un brivido di soddisfazione quando sentì i lupi ululare. “A dispetto delle fasi
della luna”, aveva detto l’uomo che lo aveva accompagnato fino a lì. A dispetto
della civiltà e delle sue regole, pensò fra sé, mentre la vecchia cominciava il
suo racconto.
“Gli anziani rammentavano di una
festa alla quale si presentò uno straniero bello, elegante e dai modi raffinati.
Nessuno l’aveva mai visto prima, ma nessuno pensò di lasciarlo fuori in una
notte d’inverno come quella, gelida e chiara, con la luna in cielo e il ghiaccio
in terra. Stavano festeggiando un fidanzamento e c’era allegria e da mangiare e
da bere per tutti. Nessuno si stupì quando lo straniero invitò a ballare la
promessa sposa, raggiante quella sera di felicità e giovinezza. E nessuno si
avvide dei loro sguardi, ché non erano gli sguardi di un primo e fortuito
incontro, ma quelli di un lungo e temuto addio.”
“Allora si conoscevano già ed
erano innamorati!” Esclamò la bambina, contenta che il suo desiderio di una
bella storia di amore fosse stato esaudito.
“Sì, Corinna. I due si erano
conosciuti tempo addietro, prima che la ragazza venisse promessa a un altro
uomo.” Mormorò la vecchia con la sua voce cantilenante. “Nessuno seppe mai come
e dove si incontrarono la prima volta. Si sa solo come si lasciarono, al ritmo
di musica e senza proferire parola, sotto gli occhi di tutti i presenti.”
“Un amore infelice o un amore
proibito?” Chiese il bardo, quando le parole della narratrice avevano smesso già
da un po’ di vibrare nell’aria.
“Era uno spettro!” Commentò un
ragazzino, trafelato. Le cose si mettevano in maniera interessante anche per lui
che aveva chiesto una storia di scommesse e cimiteri.
“Esatto Mario, lo straniero era
proprio uno spettro.” Rispose la vecchia, sorridendo di fronte a tale
perspicacia… o fantasia, che poi tanto diverse non erano.
“E come fecero a capirlo?”
Chiese curioso, come pronto a cercare sui presenti eventuali indizi per scovare
possibili spiriti nei panni delle persone che aveva sempre conosciuto.
“Esistono molti segni per capire
se chi hai davanti è uno spettro oppure no.”
Piedi di capra, iniziò a
enumerare il bardo nella propria mente, odore di zolfo, occhi di brace…
“Non tutti sono segni che uno
spettro, anche se potente, possa mascherare: egli infatti potrà imparare a
confondersi fra gli umani, ma non sarà mai uno di loro. E quella volta se ne
accorsero perché lo spettro fece l’errore di avvicinarsi alla finestra e di
bagnarsi nella luce della pallida luna, alla quale – si sa – non è possibile
nascondere nulla. Fu così che, probabilmente, un osservatore distratto,
sorseggiando placidamente un bicchiere di vino, si avvide dell’improvviso
brillio emesso dal corpo dello straniero che sembrava riflettere la stessa luce
della luna, della trasparenza della sua figura, dei contorni sfumati, del
bagliore sinistro dei suoi occhi. Qualcuno urlò e molti gli si scagliarono
contro, così che lo spettro si vide costretto a lasciare quella casa, saltando
proprio dalla finestra a cui era appoggiato.”
Era stato scoperto, si chiese il
bardo, o si era fatto scoprire? Luna fatale… non sapevo che tu per gli spettri
fossi come il sole per gli uomini…
“E per gli anni a venire nessuno
riuscì più a chiudere quella finestra e si diceva che neppure murarla fosse
servito a qualcosa.”
La notte era ormai calata
completamente e l’uomo che aveva accompagnato il bardo si era alzato per
accendere una lampada a olio che, con la sua fioca luce, illuminava a malapena i
visi dei presenti, calandoli ancora di più in un’atmosfera in cui sembrava
possibile credere che quel racconto fosse storia e non mito.
“Molti quella sera gridarono dal
terrore, perché rari in quel tempo erano i contatti tra uomini e spettri. Alcuni
credevano di aver visto il Diavolo in persona, altri che fosse stato l’anima
buona del padre della fanciulla, scesa dai cieli per benedire il suo
fidanzamento. Solo alcuni mesi più tardi tutti compresero la verità, quando
nacque un bambino con sembianze mai viste: i ciuffi di capelli sulla sua testa
non erano biondi, ma bianchi come il latte di cui si nutriva avidamente, gli
occhi erano di un colore sconcertante, gialli come quelli di un gatto, e le
orecchie… mio Dio! Orecchie pelose che spuntavano sulla testa, come un animale.
Di che stirpe fosse, si seppe solo molto tempo dopo.
Ci misero poco a fare due conti
e a mettere insieme la fugace apparizione e la madre del piccino e solo una
parola anzi, una condanna, si levò unanime dalle labbra di tutti: sacrilegio.
E volevano giustiziare la donna
– Izayoi era il suo nome – e il frutto della sua passione proibita per placare
l’ira di Dio che quel gesto peccaminoso avrebbe sicuramente portato su di loro.
Li catturarono e iniziarono ad affastellare fascine attorno a loro, per
bruciarli – vivi! – , mentre la donna stringeva al petto il proprio bambino.
Ma il sacrificio non giunse mai
a compimento.
Lo straniero o, meglio, lo
spettro che molti chiamavano Generale, padre di un mezzosangue e amante di una
mortale, riapparve in tutta la sua potenza.
Quella notte si combatté una
terribile battaglia che non fece altro che aumentare l’odio e l’incomprensione
fra spiriti e uomini. Molti caddero sotto i colpi del padre del fanciullo e
molte frecce raggiunsero il suo corpo che, coperto di sangue, non appariva più
etereo e luminoso, ma opaco e spento. Qualcuno dice che addirittura morì
combattendo per difendere coloro che amava più della sua stessa vita…”
“Ma se era già uno spirito come
poteva morire?” La interruppe, curioso, il ragazzino amante del brivido.
La morte… quale grande
interrogativo per ogni essere senziente che calca questo mondo, pensò il bardo,
sorridendo. Un interrogativo ancora più grande della vita… perché più lunga o
perché nessuno ce la può raccontare?
“Ogni essere è composto di corpo
e anima e spirito. E tutte le creature di Dio sono fatte della stessi
ingredienti anche se mischiati in dosi e modi diversi.”
“Così gli spiriti, seppur
ritenuti eterni, possono morire. E gli uomini, da sempre noti per la loro
mortalità, potrebbero diventare eterni?” Chiese il bardo, con una punta di
ironia nella sua voce melodiosa.
Nessuno dei presenti rispose a
quella domanda, vuoi perché ritenuta troppo difficile, vuoi perché ritenuta
blasfema. O perché troppo ovvia: tutti sapevano che dopo questa vita un’altra li
avrebbe attesi, piena di tormenti o di felicità. Solo la Terra e il Purgatorio
sembravano avere i minuti contati.
La vecchia lo guardò per un
lungo istante, con quegli occhi scuri che sembravano vedere anche al buio e il
bardo – non per la prima volta quella sera – si chiese perché ogni tanto non
stesse semplicemente zitto.
“La storia dei due amanti
infelici finisce qui: nessuno ne ebbe più notizia. Il fuoco e l’acqua
cancellarono gli avvenimenti di quella notte fatale, i sopravvissuti fecero del
loro meglio per cancellarne il ricordo. Perché – si sa – quando nessuno ricorda
è come se niente fosse accaduto. Poco importa che poi, altri, ne pagheranno le
conseguenze.”
“Infelici davvero,” commentò il
bardo al quale, evidentemente, tacere i propri pensieri comportava notevole
difficoltà. “Perché alcuni possono anche dubitare che spiriti e uomini abbiano
un tempo vissuto assieme su questa terra, ma nessuno ignora che siano destinati
a paradisi diversi. Una separazione più lunga dell’eternità stessa…”
Un sorriso passò fugace sul viso
della vecchia e uno strano lampo attraversò i suoi occhi. Ma nessuna risposta
uscì dalle sue labbra.
“Finisce così la storia?” Chiese
Corinna, commossa e visibilmente delusa.
“No piccolina,” rispose la
vecchia. “Breve fu il tempo concesso a Izayoi e al Generale e nulla si sa del
loro destino, ma essi lasciarono su questa terra l’eredità del loro amore.”
“Un bambino,” mormorò dolcemente
la donna che era seduta vicino all’uomo che aveva accompagnato il bardo, la
testa mollemente appoggiata alla spalla del marito. “Un bambino indifeso…”
“A Inuyasha non sarebbe piaciuto
essere definito indifeso neppure quando, nelle notti di luna nuova, diventava
umano come tutti noi. Dal padre ereditò una spada, dalla madre l’anima; la sua
vita e la sua morte cambiarono il volto a questa terra.
Per ora abbiamo parlato di come
tutto ebbe inizio, ma la storia – quella vera – deve ancora cominciare.”
Grazie di cuore a
tutti quelli che hanno recensito sia questa fanfic che le precedenti!
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