Capitolo 1 - La caduta di un dio
Capitolo
10 – Pensieri egoisti, azioni sbagliate
Asgard, cortili reali
Le ginocchia raccolte
al petto, una mano a terra e una sulla guancia, a sfiorare pelle e
capelli, Sigyn attende.
Che finisca il silenzio.
Che l'alba spazzi via il ricordo di una notte che sa di proibito e di sbagliato.
Che arrivi, finalmente, la voglia di muoversi, di alzarsi.
Il muretto di pietra del pozzo - unico specchio dei suoi pensieri da
sempre - è freddo e le punge la schiena, ma è un
piccolo dolore utile, che la distrae da un desiderio che non dovrebbe
avere.
Fensalir chiama, una nenia costante che insiste e rimbalza nell'ultima
eco di ogni suono, insinuandosi tra il ronzio basso degli insetti e il
chiassoso risvegliarsi di una città in festa.
Torna, figlia perduta.
Torna e ritrova ciò che è andato smarrito. Ciò che ti
appartiene.
Scuote la testa e si ravviva la chioma dorata, sorridendo con amarezza.
Ci sono cose che è meglio non desiderare, né
cercare, perché illudersi di avere meriti e diritti
riaprirebbe una ferita ancora slabbrata, e allora sì,
perderebbe davvero ogni cosa. Eppure...
Un improvviso squillo di trombe taglia l'aria e irrompe in ogni angolo
di Asgard, diffondendo note di festa e di gloria, annunciando la Grande
Caccia.
Di colpo nei cortili rimbombano voci e suoni metallici, passi pesanti e
risa ancora impastate dal sonno: i guerrieri di Corte sono
già pronti a sellare i destrieri e a presentarsi davanti al
trono di Odino per prendere parte ad una sfida senza tempo, che
accoglie tutti i figli di Asgard quasi come una giostra. Un gioco di
guerra antichissimo che premia forza, valore e risultati.
Sigyn si alza, scuotendo via la polvere e il terriccio dalla gonna
umida – un osservatore attento la vedrebbe, l'ombra del
sangue che ha lavato via dalla stoffa grigia e quella fasciatura
stretta che le imprigiona un palmo – e osserva in silenzio il
via vai concitato dei soldati.
“Siete già in piedi, Lady Sigyn?”
Lør non è poi tanto più giovane di
lei, eppure la onora sempre di un titolo che a conti fatti non le
spetta. Ha la pelle ambrata di chi è nato nelle terre
più settentrionali, labbra sottili e occhi bellissimi, grigi
e svegli, ora seminascosti da palpebre ancora sonnecchianti.
“Non riuscivo a dormire”, le risponde con un
sorriso appena accennato.
La ragazza si tormenta una treccia rossiccia e si stira come un gatto,
soffocando uno sbadiglio dietro il palmo. È una delle poche
ancelle a cercare la sua compagnia, forse l'unica che si accorge sempre
di lei nonostante i suoi sforzi di passare il più possibile
inosservata. Parla poco e mai a sproposito, conosce e apprezza il
silenzio, e porta negli occhi, in fondo ad uno sguardo che pare
leggero, il suo stesso dolore, impercettibile eppure pesantissimo. Sono
tutte orfane, le ancelle di palazzo, nate già senza radici
dopo l'ultima Grande Guerra, salvate eppure condannate ad un Fato senza
gloria né infamia.
“Siete sempre così silenziosa...”
Sigyn stringe le labbra abbozzando un sorriso, scrutando il cielo da
sotto le ciglia. A differenza di molte altre, lei ricorda. È
stata una guerra diversa a portarle via madre e padre, una guerra di
cui nessuno parla mai, un capitolo rimosso da ogni tomo di cronache
asgardiane. Era solo una bambina, ma già troppo grande per
dimenticare, e quello che ha visto – la lama, il sangue, le
lacrime, la vita che lasciava gli occhi dei suoi cari – la
rincorre dietro le palpebre ogni notte. Doveva morire, eppure
è stata risparmiata. La
misericordia della nuova Asgard, aveva detto una voce di
donna, ferma e gentile, mentre il pianto le annebbiava gli occhi chiari
e stringeva tra le piccole dita una mano morbida ma sempre più fredda.
“È anche per questo che l'ho scelta”,
afferma una nuova voce, maschile e vibrante, spezzando di colpo il
ricordo.
Le ancelle si voltano di scatto, incontrando lo sguardo divertito e
sicuro di un guerriero dall'armatura cremisi. Si assicura la lunga
lancia dietro le spalle e dà un altro morso al frutto che
stringe in una mano, prima di avvicinarsi. Lør lo riconosce
subito e arrossisce, poi china la testa in segno di rispetto, lanciando
un'occhiata furtiva e maliziosa a Sigyn, che annuisce
impercettibilmente, congedandola.
La giovane corre via, voltandosi di tanto in tanto, le labbra sottili
piegate in un sorriso allegro e curioso.
“Lord Theoric, sono lieta di...” mormora Sigyn,
ma lo voce si smorza in un soffio quando lui ne reclama le labbra con
decisione. Sente la stretta ferma delle sue dita calde e indurite dalle
armi sul collo e tra i capelli. Le accarezza appena una guancia con il
pollice, poi interrompe un bacio asciutto con la stessa prepotenza da
guerriero con cui l'ha rubato, fissandola negli occhi.
Sigyn fugge lo sguardo ridente delle sue iridi scure e piega il collo
come un cigno, pudica, premendo la pelle contro la sua mano e tentando
inutilmente di scacciare l'imbarazzo.
“Spero che fra due mesi mi chiamerai finalmente solo Theoric,
Sigyn.”
La ragazza si irrigidisce involontariamente e il guerriero le solleva
il mento, lentamente. Lo osserva in silenzio, inspirando piano: occhi
scuri e penetranti, capelli castani che gli sfiorano le spalle e
riflettono il rosso sangue dell'imponente armatura dei soldati scelti
di Odino. È bello,
di una bellezza fiera, selvaggia, che pare indomabile. Pur essendo
più vecchio di lei di parecchie stagioni, è il
più giovane capitano dei Falchi Rossi da che si abbia
memoria, e l'Allfather
lo considera quasi come un figlio. Per questo la sua decisione di
prendere in sposa un'umile ancella è apparsa ai
più inspiegabile, quasi un vezzo di prepotenza. Avrebbe
potuto avere chiunque – e in molte l'avrebbero desiderato -
tuttavia ha scelto proprio chi preferiva l'ombra, il silenzio e
l'anonimato di un ruolo di sfondo. Sigyn aveva sempre cercato di
passare il più possibile inosservata, accettando anche i
compiti più umili; eppure, in qualche modo, lui l'aveva
notata. Non era il tipo d'uomo abituato a domandare consensi
né a chiedere permessi, perciò l'aveva
avvicinata e, stringendole la mano dopo averne baciato il palmo, aveva
detto semplicemente: 'Vi ho scelta.'
Ricordava bene la sensazione di completo smarrimento, la bocca dello
stomaco che si chiudeva, il terrore che le aveva appesantito i
pensieri. Lo sentiva anche adesso, ma aveva capito subito che non
avrebbe mai potuto opporsi. Avrebbe imparato ad amarlo davvero, un
giorno, così come aveva già imparato a
rispettarlo, e a guardarlo negli occhi senza tremare.
Lo accetto.
Theoric sorride e si allontana di un passo, scagliando il torsolo
smangiucchiato tra l'erba alta dietro il pozzo e fissando il cielo per
un istante.
“Spero anche che quando sarai la mia sposa mi permetterai di
capire cosa ti passa per la testa.”
“Non datevi pena, i miei non sono certo pensieri
interessanti.”
Il guerriero riporta lo sguardo su di lei, trattenendo una risata.
“Immagino sia così, sei solo un'ancella,
dopotutto...” le si avvicina di nuovo, prendendole una mano,
“...oltre al tuo bizzarro interesse per piante e arbusti non
hai altro.”
Sigyn sussulta; non c'è cattiveria nella voce di Theoric,
eppure la ferisce così a fondo da bloccarle il respiro. O
forse è solo l'orgoglio che punge dietro gli occhi.
“Ma non temere, dopo le nozze non sarai più
costretta a rifugiarti in cose tanto futili e sconvenienti” -
un'altra piccola
pugnalata al cuore - “ti insegnerò
per cosa vale la pena vivere e a conoscere il mondo.”
La ragazza deglutisce a fatica e sente quasi il bisogno di piangere. Stupida, non sai apprezzare la
fortuna che il Fato ti concede. Si costringere a sorridere
e a stringere più forte la mano di Theoric.
“Sarà così di certo” mormora,
“e mi duole pensare di dover aspettare ancora due
mesi.” Bugiarda.
Il guerriero ride e le stampa un rapido bacio sulla fronte. Poi le
lascia la mano ed estrae dalla bisaccia che porta a tracolla un grosso
elmo color rame. Quando lo indossa, Sigyn pensa che sia davvero
spaventoso.
“Per ora pensa solo al dono che vorresti. Stasera il
vincitore della prima giornata di Caccia può chiedere
qualsiasi cosa tra le offerte preparate dagli Æsir.”
“E programmate di essere voi, quel vincitore?”
“Diciamo che le probabilità sono a mio favore. Io
vinco sempre.”
Theoric sgancia la lunga alabarda assicurata alle spalle e ne poggia
con fierezza un'estremità al suolo, facendo schizzare
qualche sassolino in ogni direzione. “Ebbene, cosa
desideri?”
Sigyn riflette un istante. Dovrebbe chiedere un abito costoso, o un
gioiello, come ogni promessa sposa che si rispetti. Ma non saprebbe che
farsene. Se le rimangono solo questi due mesi, vuole illudersi di avere
ancora il potere di decidere per sé, un barlume fatuo di
libertà, la possibilità di scegliere,
sbagliare. Vivere.
Torna, figlia perduta.
Torna e ritrova ciò che è andato smarrito. Ciò che ti
appartiene.
La voce di Fensalir si fa più forte e le parole escono da
sole.
“Un cavallo.”
Theoric non riesce a trattenere una risata stupita, e la guarda quasi
con ammirazione.
“Non mi deludi mai, Sigyn. E stanotte, al tramontare della
terza stella, avrai il tuo dono.”
L'ancella lo guarda allontanarsi, sentendo uno strano vuoto riempirle
il petto. Dovrebbe essere felice, grata, serena. Eppure quando stringe
le labbra, oltre al sapore fruttato e dolciastro che Theoric le ha
lasciato sulla pelle, avverte chiaramente anche il gusto salato di una
lacrima che non riesce a impedirsi di versare.
Sala del Trono,
Asgard
La sala del trono è gremita e pare un mare tumultuoso di
corazze e armi. I soldati scherzano e ridono a voce alta, impazienti,
perché la Grande Caccia è solo un altro modo di
fare guerra - senza veri nemici e senza troppe perdite - e ad Asgard
gli uomini nascono già con la voglia di combattere nel
sangue.
Le leggende narrano di un tempo lontano in cui persino le donne
prendevano parte ai conflitti, spesso con più impeto e
successo dei loro compagni maschi. Valchirie,
si chiamavano, ma anche questo, come tanti, è un nome
maledetto e collegato al tradimento.
Sif non crede più a queste storie, ma quando era una
ragazzina scontrosa e i suoi compagni la schernivano, lasciandola
indietro o gettandola nel fango, si convinceva di essere l'ultima delle
valchirie, e continuava a combattere. Aveva scelto la via del soldato
col cuore e con la mente – un'eccezione vista dai
più come un'innaturale eresia – e per questo non
avrebbe ceduto, mai.
Poi il principe Thor aveva deciso che la sua audacia andava premiata, e
non disprezzata. Amava andare contro le regole, fin da bambino. Erano
diventati amici e le cose erano diventate più facili,
all'inizio. Poi, sempre più complicate. Almeno per lei.
La guerriera rinfodera la spada con un gesto secco e lo cerca tra la
folla. Sono giorni che non si fa vedere a palazzo, se non quando
è obbligato dall'etichetta di corte. Appare ai banchetti
– tutti dati in suo onore - con lo sguardo pesante e triste,
e prima che vino e idromele annebbino i sensi di tutti sparisce.
In molti mormorano.
Una donna? Un'amante? Un
passatempo segreto imparato su Midgard?
Sif sa che si reca ogni notte sulla sponda tranciata del
Bifröst, e vorrebbe non essere così perspicace da
capirne il perché.
“Questa volta ho intenzione di vincere”, afferma
Volstagg agganciandosi a fatica la corazza sul voluminoso addome,
“dicono che il banchetto preparato per la squadra trionfante
sia così sublime da far impallidire persino le tavole del
Valhalla.”
“La nobiltà dei tuoi motivi mi commuove
sempre...”, replica Fandral con un sorrisetto divertito.
“...Devo ricordarti il tuo prezioso contributo
all'ultima Caccia?”
“Eravamo bambini suvvia, non avevamo i mezzi né
l'esperienza per...”
“...Caduto da cavallo dopo nemmeno un'ora, l'indomabile leoncino di
Asgard.”
“Non ti permetto di prendermi in giro, ero già il
doppio di te allora...”
“...forse anche il triplo. È in quel periodo che
hai ottenuto il tuo più nobile titolo: Volstagg il
Volum...”
“Taci, seduttore dei miei stivali!”
Sif si scansa di lato per non finire nell'amichevole zuffa, e alza gli
occhi al cielo. In realtà si sente già
più leggera.
“Smettetela. Volstagg ha ragione, eravamo solo dei
ragazzini.”
“Esatto!”, grida il guerriero spingendo la faccia
di Fandral in un barile colmo d'acqua. Lo spadaccino comincia a
divincolarsi convulsamente, provocando l'ilarità condivisa
degli altri soldati che assistono alla scena. Dopo pochi secondi lo
lascia tornare in superficie e recuperare rumorosamente fiato.
“Te lo ricordi anche tu, vero Hogun?”
Il Fosco si appunta l'ultimo pugnale nella fibbia sotto il polso e li
squadra senza espressione.
“Ricordo che ti abbiamo dovuto portare di peso
all'accampamento, e che piangevi come una ragazzina.”
“Cosa?!”
Fandral ricomincia a ridere sguaiatamente e si porta indietro i capelli
fradici con una mano, dando una pacca sulle spalle al corpulento amico.
“Andiamo, anche con te siamo la squadra più forte.
Ma stavolta ci seguirai a piedi, non vorrei vedere qualche cavallo
stramazzare al suolo dopo pochi passi per la tua mole tanto
leggiadra.”
“Ti darei un pugno sul naso se non rischiassi di migliorare
il brutto muso che ti ritrovi.”
Sif si inserisce tra i due guardandoli negli occhi, seria.
“Le squadre per essere valide devono avere cinque membri, noi
siamo solo in quattro.”
Cala uno strano silenzio, Fandral abbassa lo sguardo e si porta di
fianco a Hogun, strizzando il mantello e lasciandosi dietro una scia di
piccole gocce. Sif stringe le labbra e e incrocia le braccia con forza.
Volstagg prova a stemperare la tensione con una risata che appare
comunque troppo stridula e forzata.
“Potremmo chiedere a qualcun altr...”
“No”, replica secco Hogun.
“Magari lui
verrà...”
“Non lo farà, e non possiamo
chiederglielo”, mormora Sif, appoggiandosi a una panca
ricolma di armi. Dalle sue spalle giunge un rumore di passi che
dovrebbe riconoscere, eppure non ci fa caso.
“Lo avete visto anche voi, quel che è
successo...” prosegue mestamente, fissando negli occhi i
compagni uno alla volta. Perché
hanno quella strana espressione sollevata, quasi felice?
“Non possiamo domandargli nulla.”
“E se mi offrissi volontario?”
Sif si volta di scatto e si ritrova davanti gli occhi azzurri e l'ampio
sorriso di Thor. Sembra quasi tornato quello di un tempo. Per il
sollievo non riesce a parlare e si irrigidisce non appena le sfiora la
schiena.
“Amici, ho preferito la solitudine in questi giorni
perché sentivo il bisogno di pensare e di schiarire la
mente, ma ci vuole ben altro per abbattermi, lo sapete. Ci siamo
già passati.”
Sif ricorda bene i funerali solenni di Loki, il cordoglio durato mesi,
quell'ombra scura che non aveva mai visto prima nello sguardo di Thor e
che da allora non è più andata via. Ora sanno che
è stato tutto per nulla. Sente una rabbia molto simile
all'odio riempirle il petto, la stessa che prova da sempre quando pensa
al dio dell'Inganno.
“Thor combatterà con noi!”, urla
Volstagg, e i guerrieri che li circondano fanno eco al suo grido e
sollevano le armi in segno di rispetto, sbattendole sugli scudi.
“Con Mjolnir dalla nostra parte, non avremo
rivali!” esclama Fandral entusiasta.
Il del del Tuono sorride e abbassa lo sguardo, fissando le dita strette
sull'impugnatura del martello.
“Non ti sarà concesso portarlo.”
Quando rialza gli occhi incontra il viso contratto e segnato di suo
padre, appena entrato dal portone che conduce alle stanze più
interne del palazzo. È affiancato dalla Regina. Alle loro
spalle si fanno strada Tyr, Balder e il capitano dei Falchi Rossi.
Nella sala il chiacchiericcio sfuma in brusio e tutti chinano la testa.
“Nessun'arma può essere di vantaggio, nella Grande
Caccia. Vinceranno il coraggio, l'onore e la forza dell'uomo.”
Sif irrigidisce la mascella e osserva l'Allfather portarsi di fronte a
Thor, imponente nelle sua armatura nera e oro, e fissarlo con
severità. Si chiede se si siano più parlati, dal
processo di Loki. “Sarà un problema per
te?”
“No, Padre”, replica Thor a bassa voce.
“Bene”, commenta Odino dopo aver fissato con
attenzione il figlio qualche istante. Non appena riceve il martello
dalle sue mani, il manufatto produce un basso sfrigolio elettrico.
Quindi si volta e fa un cenno ai due Æsir che lo
accompagnano, che annuiscono solenni, poi muove qualche passo e si
dirige verso il trono.
“Cerca di dimostrarmi che mi è rimasto almeno un figlio
degno.”
Lo sussurra così piano, quando gli passa accanto, che solo
Thor è in grado di sentirlo, e gli ci vuole un notevole
sforzo per non replicare. Sicuramente in questo ha già
dimostrato il suo progresso.
Balder gli rivolge un sorriso pieno e incoraggiante e poi lo supera,
subito imitato da Tyr, che invece gli lancia uno sguardo truce, alzando
un sopracciglio.
“Hai bisogno di un'altra arma” afferma Frigga,
sfiorando la spalla di Thor e riportando il sereno nel suo sguardo,
“quale desideri?”
Il dio del Tuono si fissa i palmi vuoti con aria confusa. Da troppo
tempo sono abituati a reggere solo Mjolnir.
“Non ci ho pensato, madre.”
“Per fortuna l'ho fatto io per te.”
La Regina allarga il sorriso e richiama con un gesto il capitano dei
Falchi Rossi, che si avvicina e porge a Thor una spada splendidamente
decorata. Il dio la accetta e la soppesa tra le dita. È
pesante, ma il suo polso è abituato a ben altro.
“Ti ricordi ancora come si usa?”, lo schernisce
bonariamente Theoric.
“Vuoi darmi lezioni?”, replica Thor sorridendo e
stringendogli fraternamente il braccio che gli porge.
“Ci ho provato quando eri solo un marmocchio, ma non sei mai
stato il mio miglior allievo. Lei, invece...” prosegue il
capitano, indicando Sif, “era più brava di te
già dal primo giorno.”
“Vi ringrazio, Lord Theoric” afferma la guerriera,
assottigliando le palpebre, “ma la vostre lusinghe non
dissuaderanno la nostra squadra dal battere la vostra.”
Il capitano dei Falchi Rossi le rivolge uno sguardo sicuro.
“Vedremo se riuscirete ad essere i primi a riuscire
nell'impresa. Ma quest'anno ho una motivazione in più per
vincere, vi avverto.”
I soldati intorno a loro serrano i ranghi e Odino, in piedi davanti al
trono, inizia il suo discorso d'apertura della Grande Caccia. Thor non
si volta ma ascolta ogni sua parola, in silenzio. Frigga lascia
scorrere lo sguardo sul suo profilo qualche istante, l'amore e
l'orgoglio le riempiono gli occhi senza intaccarne il contegno regale,
poi si congeda con un lieve inchino.
Quando si è assicurato che tutti i guerrieri siano troppo
concentrati sul discorso dell'Allfather per badare alle sue parole,
Theoric affianca Thor e, abbassando lo sguardo, bisbiglia:
“Mi dispiace.”
Il principe si riscuote e aggrotta le sopracciglia, sorpreso dal suo
tono serio.
“Per cosa?”
Il capitano dei Falchi Rossi deglutisce e abbozza un sorriso nervoso,
ma quando lo fissa negli occhi non c'è traccia di leggerezza nelle
sue iridi scure.
“Per tuo fratello. Al processo... ero presente.”
Thor contrae di riflesso ogni muscolo del corpo, e riavvolge i ricordi
fino a quella notte funesta. Ricorda, sì, i due Falchi Rossi
a guardia del portone che ha condotto lui e suo fratello al cospetto di
Odino. Uno di loro era Theoric, ovviamente. Il ricordo gli proietta
sulla pelle una sensazione fastidiosa. Freddo. Come le
catene di Loki, come i suoi occhi, come il dolore che gli ha invaso
mente e cuore. Si obbliga a cancellare tanta debolezza e si passa
rapidamente una mano sul viso, poi incrocia le braccia possenti.
“Ti ringrazio. Non posso dimenticare quel che mio fratello ha
fatto, nel bene e nel male, e non so perdere la speranza,
ma...” alza gli occhi al cielo, il dio del Tuono, ed
è uno sguardo senza nuvole, “... sebbene il Fato
mi abbia posto davanti questo duro cammino, non ho intenzione di
tirarmi indietro.”
“Sono proprio le parole di un Re,” afferma Theoric
posandogli una mano sulla spalla. Poi assottiglia lo sguardo, ironico,
allentando la tensione. “Ma non credere che mi
lascerò impietosire.”
“Non te lo perdonerei. Ma oggi non ho intenzione di
perdere.”
“Come nessuno”, ridacchia il capitano, allargando
le braccia, “vedremo a chi arriderà la vittoria al
sorgere delle prime stelle.” Poi gli rifila un 'amichevole'
colpo sull'addome, facendo stridere l'armatura, e si allontana a passo
sicuro.
Quando Odino termina il discorso, i guerrieri rompono le righe e si
riversano all'esterno euforici, pronti a dare il via alla prima giornata della Grande Caccia. Il resto del popolo si starà
già ammassando su tetti e parapetti improvvisati, in attesa
di salutare i guerrieri in marcia. Chi a fine giornata avrà mietuto
più fiere riceverà in premio qualsiasi bene richiesto. Poi le squadre migliori potranno avventurarsi verso le terre a est della capitale e proseguire nella Grande Caccia per alcune settimane.
Balder lascia scorrere lo sguardo sulla folla di uomini armati. Nelle
ultime tre edizioni ha trionfato Lord Theoric, ma per la prima volta il
principe Thor avrà l'età giusta per contrastarlo.
Sarà una sfida interessante.
“Come hanno preso la notizia che sarai tu stavolta a guidarli
nelle terre orientali?”, domanda Tyr avvicinandosi e
ammirando a sua volta il mare concitato dei soldati.
“Bene, stranamente.”
“Strano, indubbio. Non si era mai visto prima il dio della
Pace accompagnare una spedizione armata, seppur di una guerra
fittizia.” Il dio appoggia la mano sull'elsa della spada, in
un riflesso ormai automatico. “Evidentemente considerano la
tua presenza di buon auspicio, in qualche modo.”
Balder sorride divertito.
“O magari erano stufi della tua?”
Tyr ridacchia e non risponde all'innocua provocazione,
perché conosce bene l'animo del dio più amato di
Asgard e sa quanto sia luminoso, persino quando cerca di porsi in ombra.
Odino scende i pochi gradini del trono dorato e impone la sua presenza
sbattendo a terra Gungnir.
“È tutto pronto?”, domanda il Re
fissando il dio della Guerra, che annuisce.
“I nani collaborano, poche ore e la fucina sarà
pronta. Malekith è una serpe e comunica con loro in una
lingua che non capisco, ma non può nuocere da dentro la
cella. Ho già predisposto che una decina dei miei
più fidati e discreti soldati fingano un infortunio, oggi,
così da non prendere parte al resto della Caccia.”
“Perfetto. Noi sceglieremo in quali zone cominciare a
smantellare l'uru. Tu, Balder, eviterai che nascano mormorii o
sospetti.”
I tre Æsir si scambiano uno sguardo solenne a avvertono uno
strano peso sul petto. Stanno decidendo la storia e le sorti di Asgard,
ancora una volta, e sanno di non poter fallire.
Osservatorio Geofisico di
Tromsø (Norvegia)
Quando Darcy riapre gli occhi, infastidita, la luce che filtra dalla
finestra è accecante. Che
novità. Stira le braccia sul tavolo –
mi verrà il
torcicollo, minimo - e strizza gli occhi, mentre alle sue
spalle Selvig si muove sul divano e sbadiglia con la grazia di un orso.
Buongiorno a te.
Jane è da qualche parte in cucina e sta facendo un baccano
infernale. A quanto pare lo shock per le rivelazioni delle ultime ore
le ha causato un'improvvisa ispirazione culinaria – come se sapesse cucinare
– o l'irrefrenabile voglia di distruggere stoviglie. Più probabile.
La stagista emette un sospiro e si decide ad alzarsi, strisciando
rumorosamente la sedia sul pavimento. Selvig protesta con grugnito ma
apre finalmente gli occhi.
“Che ore sono?”
“Quasi mezzogiorno...” risponde la ragazza
portandosi di fronte alla portafinestra, le mani sui fianchi e gli
occhi a fissare un cielo di un azzurro sbiadito, quasi bianco.
“...credo.”
“Che cos'è questo baccano?”, chiede Erik
portandosi faticosamente a sedere, la testa tra le mani e i capelli
sparati in ogni direzione.
“Questa è una bella domanda. JANE!”
Nessuna risposta dalla cucina, solo ulteriori tonfi e rumori simili
a... martellate?
“Dio, la mia testa...”
“Non si preoccupi, vado a prenderle un po' d'acqua e
un'aspirina.” Se
Jane ha lasciato almeno un bicchiere integro...
Nella spaziosa cucina pare esplosa una bomba, ma l'astrofisica non sta
distruggendo proprio nulla. Anzi.
L'isola in legno chiaro è diventata un laboratorio in
miniatura, e Jane è impegnata a costruire... qualcosa. Una
specie di dispositivo portatile.
“Buongiorno.”
“Mmh-mh.”
“Cosa stai facendo?”, chiede Darcy alzandosi sulle
punte e recuperando un bicchiere dal ripiano sopra al lavandino.
“Bene, bene.”
La stagista rotea gli occhi e poggia il bicchiere senza troppa grazia
di fianco all'amica.
“Pronto? Terra chiama Jane?”
La donna si riscuote e poggia il cacciavite e quella specie di grosso
telecomando, che emette un ronzio basso e costante. Sullo schermo
lampeggia l'immagine di una sfera verdognola, forse ad indicare il
globo terrestre.
“Che c'è?”
“A Selvig serve un'aspirina. Tu che combini?”
“Lavoro. Gli appunti di Erik sono sensazionali. Il
progetto Pegasus, gli studi sull'energia oscura, il Tesseract... Mai
vista tanta precisione nel rilevare i raggi gamma, e poi... tutti i dati sul portale! E
combaciano con la nostra teoria del Ponte di Einstein-Rosen! Tutto
questo è...”
“Incredibile?”
“Esatto!”
“Sì, certo.”
Jane rifila alla stagista un'occhiata obliqua, dimostrando di non
gradire il suo sarcasmo.
“Che cosa sarebbe incredibile?”, biascica Selvig
entrando nella stanza a passo malfermo, la camicia mezza fuori dai
pantaloni.
“Erik!”, grida Jane balzando in piedi, provocando
una nuova fitta di mal di testa al dottore, “i tuoi resoconti
sono illuminanti! La possiamo trovare, è qui!”
Darcy porge all'uomo un bicchiere pieno per metà, e lui si
incanta a osservare la pasticca che frizza e si scioglie nell'acqua,
come ipnotizzato. La sua voce è un flebile sussurro, come
sempre quando quella che ha in testa ricomincia a confonderlo.
“Trovare... cosa?”
“La Fonte!”,
Jane afferra un foglio scribacchiato e raggiunge Erik, che quasi si
soffoca trangugiando la medicina, e glielo sventola davanti agli occhi,
“è così che l'hai chiamata, no?
Vediamo, 'un punto sulla superficie terrestre che rilascia la stessa
firma gamma del nucleo del Tesseract', ed è qui Erik, in
Norvegia!”
Selvig impallidisce e sforza l'ultima sorsata, poi poggia il bicchiere
sul tavolo e una mano sulla spalla dell'astrofisica, con fare paterno.
“Jane, quegli studi non hanno più importanza, devi
lasciar perdere.”
“Ma...”
“È pericoloso, Jane.”
“L'ultima volta che me l'hai detto, non è bastato
a fermarmi.”
Selvig trattiene una mezza risata e incassa il colpo.
“Vero.”
“Erik, ti prego, siamo di fronte ad un'altra scoperta
straordinaria. Sulla base delle tue istruzioni ho costruito un
fasometro portatile, ha già circoscritto la zona interessata
ad un'area di poco più di venti chilometri, con il tuo aiuto
posso fare di meglio. Ti prego.”
Selvig chiude gli occhi e sospira, ma è già quasi
una resa.
“Dobbiamo farlo per la ricerca, ricordi?”
“D'accordo, d'accordo.” Chissà se mi
aiuterà a liberarmi la testa o a sconvolgerla ancora di
più?
Erik torna in salotto, subito seguito da Jane e a ruota da Darcy, che
lo guardano allibite indossare il cappotto.
“Che fai? Non hai detto che volevi aiutarmi?”
“È così.” Purtroppo.
“E allora, te ne vai? Il mio portatile è di
là, ho già settato i parametri, se utilizzassimo
il magnetometro dell'Osservatorio potremmo velocizzare...”
“Quello che ci serve non è qui, Jane.”
La donna arretra istintivamente il collo, senza capire.
“E dove, allora?”
Selvig si stringe la sciarpa sul collo e si cala un berretto di lana
sugli occhi. Poi fa per poggiare la mano sulla maniglia della porta,
quindi si blocca e si volta.
“In biblioteca. Sapete dove possiamo trovarne una, da queste
parti?”
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