Posso paragonarti
a un giorno d’estate?
Marcel Gerard si era sempre ritenuto
un combattente, un forte guerriero che aveva combattuto fin dalla tenera età
per non farsi sottomettere da un padre crudele. Il suo nome proveniva appunto
da Marte, il dio della guerra. Per più di 200 anni aveva mantenuto una linea di
vita severa, a volte crudele, dritta e senza curve che prevedevano qualche
sbandamento originato da sentimenti.
I sentimenti rendono deboli, é da sciocchi.
Così gli aveva insegnato Klaus Mikaelson. Un guerriero non si sarebbe mai concesso a simili
cedimenti. Non avrebbe mai permesso al sentimento di scalfire la corazza di
durezza e aggressività che deve portare. E tuttavia non esiste uomo, vampiro o
umano che sia, che nella sua vita non si lasci piegare al sentimento d'amore. E
non vi è più dignità in una simile sconfitta.
Quel sbandamento aveva il nome di Davina, una
piccola creatura che aveva causato un tumulto tale nel suo animo da cambiargli
l'esistenza, sconvolgendogliene le leggi. E mentre ora la teneva stretta, al
riparo dalla tempesta e sul punto di perderla, gli venne proprio in mente la
prima notte in cui l'aveva incontrata, anche’essa devastata da una tempesta di
morte, urla e sangue. E in mezzo a quella tempesta, un fulmine aveva squarciato
il cielo e aveva illuminato lei.
Marcel non l'avrebbe mai dimenticata: così piccola ma con una tale
forza e disperazione nel dibattersi contro i suoi aguzzini. Nell'udire i suoi
implori disperati, le sue preghiere e le sue lacrime, qualcosa si era messo nel
suo cuore ritenuto morto ed aveva agito, senza pensarci due volte se non con
l'unico pensiero che quella bambina non avrebbe subìto ciò che aveva subìto
lui.
Aveva squarciato la gola con ferocia a chi voleva farle del male,
scaraventava in aria chi gli faceva ricordare quei momenti umani troppo crudeli
e chi stava compiendo quella blasfemia. Dopo l'esecuzione si era avvicinato
alla ragazzina ancora piangente. Sembrava un povero cucciolo smarrito, una
piccola principessa vestita di bianco che si era resa conto amaramente quanto
quel mondo non fosse il regno delle fiabe.
Senza tentennamenti l'aveva attirata a sé, proteggendola e facendole da
scudo.
"Ci penso io a te, ci penso io a te."
E Davina si era lasciata andare a lui,
istintivamente, con ancora le lacrime agli occhi, il profumo dei fiori e l'odore
acre del sangue che alleggiavano nell'aria. Non le importava che quell'uomo
fosse un vampiro, un mostro. Nella sua mente lui era il suo eroe.
E Marcel non avrebbe vanificato la fiducia e l'affetto che Davina gli portava; avrebbe combattuto per lei, per
salvarla come quella notte. Glielo aveva giurato.
Marcel ironicamente si chiese da quando era diventato un uomo d'onore
ma forse tutto ciò era dipeso da cosa Davina
simboleggiava per lui. Chi l'avrebbe mai detto che uno come lui, il forte,
sfrontato e ambizioso Marcel si sarebbe affezionato a una piccola umana, una
strega con enormi poteri, e che avrebbe vissuto con lei una quotidianità che
non aveva mai avuto con nessun altro in 200 anni: la parte più importante e
piena della sua vita.
Marcel col suo
orgoglio da guerriero e fermezza da re non avrebbe mai premeditato ciò eppure
sentiva che era questo... sentiva che era amore quello che aveva iniziato a
provare verso Davina, con ogni sua intensa, pura e disarmante
sfumatura.
Non era l'amore
che provavi verso una fidanzata o un’amante, no di certo.
Lui l’amava
come la figlia che non potrà mai avere, la sorella che non ha mai avuto, come l’amica
più vicina che potrà mai incontrare. La sua anima gemella che il destino aveva
tessuto per lui.
Per questo
la prospettiva di perderla lo annientava come nessun’altra sconfitta di potere
avrebbe potuto fare. Era troppo importante per lui: lei che con la sua innocenza aveva sfondato la sua armatura di guerriero, facendolo comunque restare sempre il suo fedele guardiano..
Il suo cuore
era in pena per le sorti di Davina, la mente era un
groviglio di pensieri che andavano tutti a formulare un modo qualunque per
salvarla dalla morte; non importava chi ci avrebbe rimesso o se gli Originali
non erano d'accordo. Mentalmente li stava mandando tutti al diavolo.
"Non
lascerai che mi facciano del male?" gli chiese la voce tenera e spaventata
di Davina, simile a quella di un cucciolo.
Marcel la
strinse, rincuorandola: "No, non lascerò che ti facciano del male."
Non erano
necessari soprannomi sdolcinati tra loro due, come tesoro o amore. Si
dimostravano l'affetto in semplici gesti reali, come l'abbraccio tragico col quale
Davina strinse a sé Marcel, lo stesso col quale si
era abbandonata a lui mesi prima.
Marcel non
seppe quante volte aveva maledetto il mondo, il destino, digrignato tra i denti
bestemmie contro quel bastardo di Klaus e le streghe negli attimi dopo in cui Davina era drasticamente peggiorata.
Aveva
vomitato acqua, stava per autoconsumarsi e non poter
far nulla lo rendeva così ansioso, come se quella appesa al sottile filo della
morte non fosse la vita Davina ma la sua.
Aveva poi
dovuto arrendersi alla realtà dei fatti: il raccolto doveva svolgersi.
E per Marcel
quella era la sua più grande sconfitta, la cicatrice che rimarrà per sempre
visibile sulla sua pelle, indelebile.
Fuori pareva
esserci il diluvio, Marcel stringeva ancora a sé Davina,
riscaldando quel piccolo corpo con una coperta. Nel vibrante silenzio si
avvertiva la triste sentenza che sarebbe sopraggiunta entro poco, una condanna
che spaventava entrambi.
Pur di non pensarci
e placare il suo cuore in pena, Marcel giocherellava con alcune ciocche dei capelli
castani della ragazza, trovando un pò di armonia in
quel semplice gesto.
Ad un tratto
Davina disse:
"Marcel,
é tutto ok." E gli sorrise come se stesse lei sorreggendo lui fuori da
quel vortice di tormento.
Così piccola
ma anche così coraggiosa e tenace.
"No, ho
fallito con te." rispose Marcel duramente, prendendosela con se stesso.
Aveva giurato di combattere per lei e ora consciamente la stava riportando
dritta da chi mesi prima voleva ucciderla. Strinse di nuovo i denti.
Davina però non gliene faceva una colpa,
era la scelta più giusta da intraprendere e ormai aveva smesso di scaraventarlo
da una parete all'altra o accusarlo di averla solo usata durante la sua guerra.
Aveva capito senza dubbi o resistenze quanto lei contasse per lui e non c'era
gioia più grande, anche se stava per andare incontro alla morte.
Per questo
lo rincuorava, gli parlava dolcemente e gli sorrideva cercando di non piangere.
Quel sorriso
tenero sembrò allungarsi verso Marcel, fino a toccargli il cuore, crepando la
pietra col quale era stato forgiato per secoli.
"Ho
avuto tanto. Ho avuto Monique, ho avuto Tim. Ho avuto
qualcuno che ha combattuto per me dal primo momento in cui mi ha
incontrata." disse la sua voce toccante, in grado di far commuovere anche
l'animo più crudele.
Marcel
socchiuse gli occhi e sospirò, non riuscendo a tollerare quel devastante peso
che si sentiva all'altezza del cuore.
"Ah Davina..." La voce di Marcel lasciò la sua gola con
molte difficoltà, imprigionata dal furente battito che aveva iniziato a risentire
dentro di sé, dovuto a quei dolorosi attimi.
"Molte
persone non hanno tutto questo anche se vivono cent'anni." Finì di dire
lei col cuore in mano.
Marcel
strinse le palpebre, sopportando la sofferenza che stava per emergere. Le
strinse di più, perché non voleva che Davina si
accorgesse dell'insolito velo liquido che gli stava bagnando gli occhi.
Per far
finta di nulla e non appesantire ulteriormente quella situazione, Marcel alzò
la testa per deporle un bacio sulla fronte, racchiudendo in quel contatto tutto
il suo affetto e tormento. Due sentimenti che non l'avevano mai colpito così
intensamente.
Davina gli si strinse di più, come a
cercare un riparo dalla tempesta.
E Marcel
sentì di nuovo il calore di Davina scavare una
breccia nelle pareti indurite della sua anima, sbriciolando i suoi sforzi di
mantenerla retta.
Posso
paragonarti a un giorno d’estate?
Sì era
questo per lui, Davina. Gli dava la gioia di un
giorno d’estate che non ha nulla a che vedere col gelo e il buio dell’inverno.
Un’estate breve ma calda, indimenticabile.
L’amore non subisce le leggi del
tempo, ignora la ragione. Un attimo può valere l’eternità. L’eternità può
vivere dentro un attimo.
L’eternità per Marcel Gerard poteva
tutta concentrarsi nel momento in cui Davina Claire era
entrata nella sua vita, come un fulmine a ciel sereno. Due identici e tortuosi
destini che si univano irrimediabilmente.
Ormai era facile pensare che non
sarebbe stato più lo stesso continuare l’eternità senza pensare a lei.
Difficile però era farne i conti,
rendersi conto che presto quel sogno d'estate sarebbe stato annientato da una
tempesta e le speranze di gioia subito appassite
I due si strinsero di più, facendo
combaciare i loro cuori in tumulto. Mentre una lacrima, sfuggita al controllo,
scendeva sui capelli della ragazza, morendo in essi.
"Marcel sono pronta."
Il vampiro assentì severamente, cercando di non badare
al battito frenetico che il suo cuore assunse non appena quell'affermazione gli
portò alle mente ciò che di terribile sarebbe accaduto entro poco.
Cercò con tutte le sue forze di mantenersi retto come
sempre e si alzò. Prima che la prendesse in braccio, Davina
tuttavia gli prese la mano. Lui la guardò confuso.
"Mi terrai tu?" domandò in un sussurro
flebile.
Marcel allora le sorrise: "Sì, ti terrò io."
le rispose accarezzandole delicato i capelli e prendendola alla fine in braccio.
Andando incontro verso il loro destino.
Giunsero al cimitero, gli altri li stavano già
aspettando e il fuoco divampava dietro di loro. Marcel sentiva il suo calore
asfissiante eppure un gelo primitivo gli stava invadendo le vene, implacabile.
Continuò comunque a camminare, rispettando la scelta della ragazza che aveva
tra le braccia e che si teneva a lui come se fosse la sua roccia.
La depose infine a terra, Davina
coraggiosamente andò davanti a Sophie Deveraux, pronta a ciò che l’attendeva. La pioggia malefica
le bagnava i capelli, il cuore batteva velocissimo, il freddo la faceva tremare ma non si sarebbe
tirata indietro.
Marcel era sempre dietro di lei, non allontanandosi
mai.
“Credi nel rito del raccolto?”
Dopo un attimo di tentennamento, Davina
rispose: “Ci credo.” E la sua era più che una speranza, la stessa che aveva
Marcel.
Sophie
avvicinò il pugnale alla gola di Davina, come per
prepararla. Quest’ultima restò col fiato sospeso, il battito accelerato
all’inverosimile ma lei immobile come una salma. Marcel invece fissava duro
quel pugnale, come se fosse lo stesso che stava per catapultarsi sul suo cuore,
squarciandolo.
E tutto avvenne in un secondo: Sophie
tagliò la gola di Davina, la giovane emise solo un
piccolo gemito mentre l’ombra della morte arrivava su di lei, sul punto di
ghiacciarla.
Davina
cadde all’indietro, nell’oblio, ma Marcel la prese.
<< Ti tengo io, ti tengo io. >> Pensò lui
dolorosamente, tenendola stretta a sé per non lasciarla sola nemmeno in quei
momenti fatali.
Davina
era ancora vigile, gli occhi aperti su cui presto sarebbe sceso il manto della
morte a spegnerli crudelmente. E quegli occhi erano puntati su di lui, come se
volesse imprimersi l’immagine del suo viso per rendere più sopportabili quegli
attimi, per farsi accompagnare da lui anche in quel cammino.
Il sangue defluiva effimero lungo la sua gola,
bagnandole le vesti insieme alla pioggia. Era una ferita orribile ma non di più
di quella che Marcel aveva riportato due secondi prima: anche il suo cuore
perdeva sangue, piccole gocce ma dolorose come acido.
E Davina Claire, la piccola Davina, la persona più importante per lui, si spense tra le
sue braccia, rannicchiata su di lui come un cucciolo che si vuol riparare dalla
pioggia sotto un grande albero.
E i muscoli di Marcel Gerard parvero essersi
paralizzati nel stringerla.
Venne poi svolta la mietitura. Come accordato le
giovani prescelte, tra cui la stessa Davina, dovevano
risorgere grazie alla magia degli Anziani.
Tutti rimanevano in attesa, col fiato sospeso e i cuori
furenti e palpitanti, anche se poteva essere impossibile visto che la maggior
parte erano vampiri. Eppure era proprio così.
Marcel non dava segni di ansia o di qualsiasi altra
emozione. Era immobile come una statua, apparentemente calmo e attendeva il
ritorno di Davina, il momento in cui avrebbe potuto
riabbracciarla.
Sophie
emise le parole di rito. “Fate risorgere le Prescelte.”
Attesero alcuni secondi in totale silenzio. Nulla, solo
il vento che soffiava era l’unica cosa viva in quel cimitero.
Marcel rifilò un’occhiata dura a Sophie,
come per ordinarle di fare ciò che aveva promesso se non voleva che fosse lui
questa volta a scatenare l’inferno in terra.
La strega deglutì a forza, non riuscendo nemmeno lei a
capire perché le ragazze non si svegliassero.
“Fate risorgere le Prescelte!” affermò con più energia.
Ancora niente, la tensione cresceva in maniera disumana
rischiando di soffocarli.
Ma il corpo di Davina, come
quello delle altre giovani, rimaneva immobile e freddo, ghermito dalla morte e
lo sarebbe stato per sempre.
A quella orribile e devastante deduzione Marcel sentì
una stilettata al centro del petto, così violenta e implacabile tale da
rovesciargli il cuore a terra, vicino al corpo senza vita della sua Davina.
Non emise comunque fiato, quel guerriero non esternò in
alcun modo ciò che provava interiormente come se avesse il potere di annientarlo.
Capendo che era tutto inutile e impossibile, dopo
l’ennesima implorazione, anche Sophie si accosciò a
terra, piangendo calde e disperata lacrime per non essere riuscita nel suo
intento di riavere la nipote.
E quel pianto, le facce smarrite degli Originali,
furono come un coltello che tranciava le ultime speranze di Marcel.
Era tutto finito, l’aveva persa.
L’ennesima stilettata lo colpì ma parve non sentirla,
troppo preso dal rendersi conto dell’ingiusta e incancellabile realtà.
Il vento dell’addio passò tra loro, lo prosciugò dentro
e gli tolse le radici del suo affetto, lasciando solamente un vuoto e arido deserto.
A questi però sopraggiunse poi la rabbia quando Marcel alzò lo sguardo,
inquadrando Klaus Mikaelson, colui che aveva la colpa
di tutto ciò.
Sebbene interiormente Marcel sapeva che la colpa era
esclusivamente la sua. Aveva fallito.
Solo il silenzio però fu testimone del suo dolore,
nessun grido. Anche se il dolore certe volte grida più forte di ogni altra
voce.
Marcel se ne andò, fuggì verso il suo rifugio per
cercare distruzione, per placare ciò sentiva nel rompere ogni cosa che aveva
attorno. Ringhi di rabbia gli fuoriuscivano dalle labbra.
All’improvviso apparve Klaus, il quale cercò di
calmarlo.
E subito Marcel gli fu addosso, lo colpevolizzò
apertamente così non si sarebbe focalizzato sul proprio dolore che lo
annientava. Ma più Klaus parlava, più Marcel si faceva assillare dalla dura realtà.
La sofferenza infine sgorgò, implacabile:
“Non m’importa dei vampiri! Lei è morta!” gridò con
tutta la voce e il dolore che possedeva. La collera nei pugni, la disperazione
sulle labbra.
Agì d’istinto, voleva combattere
contro chiunque, sfogare la sua perdita nella violenza come era solito fare.
Saltò addosso a Klaus in un balzo furente ma l’Originario lo bloccò, fissandolo
negli occhi.
L’ultima cosa che Marcel si sarebbe
mai aspettato era di ricevere un forte, sincero e voluto abbraccio da Klaus.
“Mi dispiace.”
E quel guerriero dopo un’iniziale
reticenza, si arrese. Tutte le lacrime nascoste per orgoglio scesero,
divorandogli la pelle del viso e scatenando sussulti disperati al suo corpo.
Non combatté questa volta, si lasciò semplicemente dominare da qualcosa di più
forte, che credeva di non possedere e che solo Davina
era riuscita a risvegliare in lui: l’umanità.
Marcel non era riuscito a chiudere
occhio, era stata una notte infernale. Le lacrime l’avevano prosciugato ma
testardamente deciso di rialzarsi come sempre e di non farsi abbattere.
Avrebbe sempre sofferto per la perdita
di Davina, non sarebbe mai riuscito a riempire il
buco che aveva nell’anima, ma si disse che prima o poi bisogna andare avanti.
Magari in nome della vendetta, era un ottimo rimedio contro la sofferenza.
Stava camminando lungo la navata della
chiesa, un tempo rifugio di Davina. Salì gli scalini,
cercando di mantenersi eretto e far finta di non sentire quei pesi asfissianti ai
piedi ad ogni passo. Forse vedere la dimora di Davina
sarebbe valso come l’ennesima pugnalata, un vortice di ricordi troppo dolorosi
da rimembrare ora con la ferita ancora fresca.
Ma Marcel aveva deciso così e non
sarebbe retrocesso sulle sue intenzioni.
Passò davanti alla porta semiaperta e
quando gli occhi si inoltrarono dentro la camera, un sorriso nostalgico venne
disegnato sulle sue labbra. Il cuore ormai spaccato e a cui credeva di non
poter più donare sentimenti, si riempì di tristezza e amarezza.
Poteva avvertire nell’aria la risata
cristallina e innocente di Davina, i suoi passi
delicati lungo le assi di legno. Poteva vederla, angelica mentre dipingeva, i
suoi occhi vispi che si bloccavano sorpresi e imbarazzati quando si accorgeva
che lui la spiava da dietro la porta durante i suoi lavori.
I ricordi morirono quando Marcel fece
un sospiro e decise di non farsi sommergere dall’onda del rimpianto. Non
poteva, non sarebbe stato da lui.
Fece alcuni passi dentro la stanza
semi oscurata. Aveva odore di chiuso, di certo nessun altro sarebbe venuto a
viverci. Quel posto sarebbe stato abbandonato per sempre, proprio come le sue
speranze.
Si avvicinò a un tavolo sopra cui c’erano
rimasti alcuni disegni di Davina. Casualmente li
sfogliò con un gesto della mano, come se così potesse sentirla ancora vicina a sé.
Dipingere era sempre stato l’hobby preferito della piccola strega, la sua più
grande passione. Era come una parte di lei.
Ad un tratto, mentre sfogliava i fogli, Marcel si
accorse di una cosa. Ciò che aveva ora in mano era un dipinto che non aveva mai
visto. E raffigurava lui.
Marcel trattenne il respiro in gola, un soffio agonico
direttamente dal cuore.
Era bellissimo, il più bel disegno che avesse mai
visto.
C’era lui, ritratto alla perfezione come se la
disegnatrice non avesse mai potuto dimenticare il suo volto. E lui teneva
abbracciata a sé una figura che pigramente stava seduta, come un padre che abbraccia la figlia. E quella piccola figura era Davina.
Marcel serrò il viso, trattenendo le emozioni derivanti
da quel disegno che gli scombussolavano nuovamente l’animo. Cercò di trattenere
anche i muscoli della mano perché non voleva assolutamente rovinare un’opera di
Davina.
Quel disegno trasmetteva intensità, emozioni pure e
genuine. Era reale. Come ogni loro abbraccio che li aveva resi protagonisti, come ogni vitale sensazione umana che Davina gli trasmetteva.
Fece un grosso sospiro e poi prese una decisione.
Chiamò di fretta alcuni suoi scagnozzi per un nuovo lavoro.
La camera venne ordinata e lustrata magistralmente. Le
serrande della finestra questa volta erano aperte e da essa filtrava la luce del
sole, che illuminava i disegni di Davina deposti sui
cavalletti da terra. (*)
Quello più in mostra era il disegno che lei segretamente
aveva fatto per lui.
Marcel non avrebbe mai permesso che quel posto andasse
in rovina, che quei disegni venissero coperti di polvere o che l’oscurità
prendesse il sopravvento. Lei l’avrebbe ricordata così, per sempre. Non avrebbe
mai permesso che la luce dei ricordi si spegnesse o che lei perdesse
significato.
Era un modo per onorare la sua memoria. A quella
donna-bambina che aveva rivoluzionato la sua vita, che gli aveva portato la
pace in una vita di guerra, la luce nell’oscurità.
D’altronde si può rinunciare in maniera definitiva a
tutto ciò che ti fa sorridere, sognare e vivere veramente? Pur sapendo che è
inutile? No, nessuno rinuncerebbe. E allora non dovevano chiederlo a Marcel
Gerard.
Per lui, Davina era davvero
un giorno d’estate. E la sua luce non si sarebbe mai spenta, questo si promise.
Avrebbe continuato ad illuminare quella stanza, quei ritratti e soprattutto l’angolo
più buio del suo cuore.
Da lì non se ne sarebbe mai andata.
FINE.
Questo
piccolo esperimento è nato dall’ultima puntata trasmessa di The Originals e non sono riuscita a non commuovermi per Marcel
e Davina. Personalmente non ho mai amato Marcel, né mi
stava a cuore, ma in questo episodio mi ha talmente emozionato che non potevo
scrivere del suo forte legame con Davina. Insomma li
adoravo (spero si sia capito come padre-figlia, fratello-sorella. XD) e spero
davvero che Davina ritorni.
Perdonatemi
se vi ho depressi ancor di più con questa OS, d’altronde è la mia specialità XD.
Ogni
commento o aiuto è ben accetto J
Sottolineo
che il titolo e le frasi del capitolo “Posso paragonarti a un giorno d’estate”
sono di Shakespeare. Eh già, perché non rendere più drammatica possibile questa
one shot? xD
Se
non avete capito i cavalletti da terra sono questi -à http://www.bellearti.it/142-144-large/Cassetta-Cavalletto-da-terra-Mabef-M-22-in-legno-con-di.jpg
Che
dire… grazie a chi leggerà e recensirà J Spero comunque che questo obbrobrio
vi sia piaciuto.
Alla
prossima ^^