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Pro
CAPITOLO
1: SORPRESE INDESIDERATE
Dannati insetti.
Era solo inizio
aprile e già, a causa di quei maledetti cosi, mi ritrovavo punture di zanzare
in posti estremamente fastidiosi, tipo i lati delle mani o le dita dei piedi.
Sbuffai, continuando a grattarmi come in preda
all’orticaria e in quel momento il mio telefono vibrò. Lessi quel nome sul display
del telefono e un sorriso mi si aprì sul volto: Chris.
Mi infilai subito nel
mio ufficio per rispondere, prima che passasse qualcuno e mi vedesse.
«Pronto?».
«Ehi, Chelsea, pausa
pranzo insieme oggi?».
La sua voce allegra
mi metteva sempre di buon umore e a quelle parole, il mio cuore iniziò a
scalpitare.
«Certo! Ci vediamo a
mezzogiorno giù in atrio, ok?».
«Perfetto! A dopo… ».
E attaccai. Avevo un
sorriso ebete che mi andava da orecchio a orecchio e non vedevo l’ora che arrivasse mezzogiorno
nonostante fossero appena le nove.
Io e Christian ci
eravamo conosciuti quando io, da neo-diplomata che ero, avevo cominciato a
lavorare per quella clinica privata, quasi due anni prima.
Non avevo alcuna
competenza medica, ma mi occupavo di fissare i vari appuntamenti ai diversi
specialisti che lavoravano al mio piano e gestivo alcune basilari funzioni
amministrative.
Il liceo che avevo
frequentato, mi aveva dato delle ottime basi di economia e diritto, perciò le
referenze, oltre ai vari stage che avevo fatto, erano bastate.
La clinica prendeva
il terzo ed il quarto piano di un grosso edificio in una zona centrale della
città e onestamente, per i miei ventun anni compiuti da poco, pagavano bene;
non ero ancora del tutto indipendente, ma in un paio di mesi, se avessi voluto,
avrei potuto cercarmi qualcosa per conto mio.
Christian aveva
ventiquattro anni e svolgeva il mio stesso compito, ma al piano inferiore; ci
eravamo conosciuti nella caffetteria al piano terra, più o meno dopo un mese
che avevo iniziato a lavorare lì.
Eravamo subito
diventati amici, anche se la prima cosa che mi aveva colpita di lui era stato
l’aspetto fisico: alto e slanciato, capelli biondi un po’ lunghi, occhi
azzurri. E poi io avevo sempre avuto un debole per gli uomini con i capelli
lunghi.
Me ne stavo seduta al
bancone con una tazza di caffè in mano, immersa nei miei pensieri, quando lui,
vestito costantemente con jeans e T-shirt, mi si era seduto vicino, borbottando
tra sé qualcosa a proposito di un’infermiera stronza.
Ci eravamo presentati
e, siccome da cosa nasce cosa, entrambi quel giorno eravamo tornati in ritardo
dalla pausa perché ci eravamo persi a parlare.
Non so esattamente
quando Chris fosse diventato per me qualcosa di più che un semplice amico e
confidente, fatto sta che un giorno, non appena lo vidi, il mio cuore cominciò
ad accelerare come prima non mi capitava.
Lui ed io ci
divertivamo moltissimo insieme; in pratica eravamo i segretari dello studio e
sapevamo tutto di tutti. Dai medici alle infermiere, ogni loro più oscuro
segreto, per noi non era tale perché tutti ci parlavano. Ormai, Chris era diventato
il mio migliore amico.
Quando ero al liceo
non avevo mai avuto né amici né un ragazzo perché ero troppo impegnata ad
eccellere in tutto ciò che facevo, proprio come mia sorella, che i miei
genitori veneravano. Shereen era praticamente perfetta in ogni cosa che faceva
e quindi da me, mamma e papà pretendevano altrettanto.
Così, tra i voti
esorbitanti, i premi nelle gare di nuoto, il club di scacchi, le lezioni di
piano con il nonno e tutto il resto, non avevo mai avuto il tempo di crearmi
una vita sociale.
Ma ora sapevo cosa si
provava ad avere qualcuno con cui parlare e divertirsi, qualcuno con cui
sfogarsi; qualcuno che… non importava cosa potessi dirgli sul mio conto: lui
non mi avrebbe giudicata.
L’unico con cui
parlavo a ruota libera prima di incontrare Chris era stato mio nonno, il padre
di mia madre.
Mia sorella era
troppo impegnata con la sua vita e presa dalla nostra competizione silenziosa
per potersi interessare a ciò che capitava a me.
Solo in una cosa ero
riuscita meglio di lei: la musica.
Il nonno, che era
stato il mio unico, grande maestro ed io
gli ero legata come se fosse un padre e al contempo un migliore amico, mi aveva
insegnato moltissimo.
A tre anni mi aveva
messa sullo sgabello di un pianoforte e mi aveva insegnato a leggere la musica
prima ancora che imparassi a leggere l’inglese.
La musica era una
parte importantissima della mia vita ed era una cosa che io e nonno Daniel
avevamo in comune; era solo nostra. Non era riuscito a trasmetterla alla mamma
né a mia sorella e quando vide che mi piaceva, trascorse più tempo con me che
con chiunque altro, nonostante mia madre lo rimproverasse spesso perché diceva
che così toglievo tempo allo studio.
Col tempo però, anche
lei si era arresa al fatto che fosse un peccato sprecare questo mio talento e
così, aveva smesso di combattere.
Ad ogni modo, con Chris
riuscivo a parlare di ogni cosa ancor più che con mio nonno e anche lui in me
vedeva un riferimento.
Una sera, ricevetti
un suo sms in cui mi chiedeva se avessi voglia di andare al cinema con lui.
Accettai subito di
buon grado, ma una volta che arrivammo lì, scoprimmo che per problemi tecnici,
quella sera avrebbero mandato solo un orrendo film splatter.
Alla fine decidemmo
di guardarlo ugualmente, anche perché fuori pioveva a dirotto. Beh, senza alcun
dubbio quella fu una delle serate più memorabili della mia vita.
Il sangue spruzzava
ovunque e c’erano scene davvero raccapriccianti, ma al contempo portate
talmente all’esagerazione, che passammo più di metà film a ridere come due
idioti, facendo voltare molte teste contrariate verso di noi.
Ad un certo punto del
film, Chris posò una mano sulla mia ed io mi irrigidii improvvisamente. Lo
guardai; lui mi stava sorridendo e a quel punto ricambiai la stretta.
A fine serata mi
riaccompagnò alla macchina; ognuno era venuto con la sua. Tra l’altro non aveva
ancora smesso di piovere e nessuno dei due aveva l’ombrello, quindi corremmo,
ma arrivammo alla mia auto bagnati da capo a piedi.
«Grazie per la
serata, sono stata bene», gli dissi con un gran sorriso, che lui ricambiò.
«Grazie a te; sei l’unica
ragazza che abbia mai conosciuto a non essere scappata via quando si parlava di
film splatter».
Risi, contenta di
quella serata.
Ad un tratto lui si
sporse dal mio lato e… mi baciò.
Quello era in
assoluto il mio primo bacio.
Non fu come si vede
nei film o si legge nei libri. Non fu lento e appassionato, ma neanche veloce.
Non era nemmeno un bacio come quello che tutte le ragazze sognano la prima
volta: romantico sotto tutti i punti di vista, magari durante una cena al lume
di candela o sullo sfondo di una serata piena di stelle e con un panorama da
togliere il fiato.
Anzi, eravamo
completamente zuppi, l’umidità ci aveva increspato i capelli e reso la pelle
appiccicosa, ma a suo modo comunque fu bello. Unico.
Poi Chris si staccò e
sussurrò al mio orecchio: «Scusa se ti ho bagnato la macchina».
Detto questo sparì,
con ancora sulle labbra un sorriso ed io il suo sapore sulle mie.
Il giorno seguente
non andai al lavoro perché era il mio giorno libero e quello successivo fu il
suo, quindi non ci vedemmo. Non si fece sentire e quando ci rincontrammo,
avevamo lo stesso rapporto amichevole di prima;
nessuno dei due accennò a ciò che era accaduto quella sera nella mia
macchina.
Probabilmente
entrambi lo stavamo ancora metabolizzando.
Fatto sta che il
tempo trascorse ed entrambi continuammo a non parlarne.
Stavamo sempre
insieme alla pausa pranzo e alla pausa caffè, tanto che tutti lì in studio ci
consideravano una coppia, ma… cosa eravamo in realtà?
Un giorno, tornando
nel mio ufficio, mi ritrovai sulla scrivania un bellissimo mazzo di rose
bianche, i miei fiori preferiti.
Ero stupita, non mi
pareva di aver mai detto a Chris delle rose e quando cercai il mittente, trovai
un biglietto scritto con una calligrafia familiare; diceva:
“Vorrei averti qui vicina per sentire il tuo respiro, per capire se sei
vera o un sogno… un bel sogno…”.
Ma ciò che mi stupì
di più fu la firma: “M.”
Chi diavolo era M?
Proprio in quel
momento, entrò Chris, jeans e maglietta come al solito.
Guardò prima me, poi
le rose, poi di nuovo me, senza capire ed improvvisamente i suoi lineamenti, di
solito così distesi, si fecero duri.
Si avvicinò, leggendo
il biglietto che avevo in mano.
«Chi è M?».
«Non ne ho idea,
onestamente», risposi con assoluta sincerità.
«Ah, davvero? A lui
però manca il tuo respiro, a quanto
pare», disse con tono sprezzante. «Certo, potevi anche dirmelo se ti vedevi con
qualcun altro», continuò poi.
Detto questo si voltò
e fece per andarsene.
«Chris!» lo richiamai
bloccandolo per un polso.
I muscoli del suo
braccio si irrigidirono, ma, con uno strattone, si liberò e uscì dal mio
ufficio, lasciandomi solo una gran confusione in testa e un vuoto nel petto.
Tre
mesi più tardi…
Il caldo nell’ufficio
era soffocante; avrei dovuto comprare un ventilatore da mettere lì, altrimenti
non sarei arrivata a fine stagione, ma sarei morta asfissiata uno di quei
giorni.
La mia scrivania era
sommersa da scartoffie e dalle due enormi agende degli appuntamenti, il
telefono non la finiva più di squillare ed il sudore mi gocciolava lungo la
schiena. Non ero un bello spettacolo in quel momento.
Erano trascorsi ormai tre mesi da quel giorno nel mio ufficio
quando avevo avuto quella discussione con Chris e non lo vedevo più se non
durante le pause, ma non ci sedevamo più insieme come facevamo prima.
Una giorno, Emily,
un’infermiera del mio piano venne a sedersi con me e mi chiese: «Ehi, ma tu e Christian
del piano di sotto vi siete lasciati?».
Sul mio volto si aprì
un sorriso amaro.
«Non siamo mai stati
insieme. È una cosa un po’ complicata».
Lei parve
imbarazzata.
«Oh, ehm, mi
dispiace… è che vi vedevo sempre
insieme… ».
«Già… ».
A quel punto, per non
lasciare quel silenzio ad aleggiare tra noi due, Emily cominciò a parlare della
tale dottoressa che era stata invitata ad un convegno, a Washington, di luminari
nel campo della genetica, ed io le fui grata per quello.
Una settimana dopo,
finalmente, arrivò il mio turno di andare in ferie. Avrei avuto un mese intero
perché a Natale non mi ero presa niente.
Sapevo che anche Chris
aveva adottato la mia stessa strategia: lavorando sotto Natale eravamo stati
pagati di più ed ora sarei stata in vacanza fino al dieci di agosto.
Una pausa mi sarebbe
servita e poi tra una settimana saremmo partiti tutti quanti per andare a Santa
Barbara a trovare il nonno, che dopo la morte di nonna Allie, viveva in quella
grande casa tutto solo.
Parlare con lui mi
avrebbe fatto bene, così come anche non vedere Chris per un po’.
Tornai dal lavoro
alle sette di sera e trovai i miei genitori tutti indaffarati a fare avanti e
indietro tra la cucina e la sala da pranzo.
Buster, il grosso
pastore bernese che mi avevano regalato quando avevo compiuto diciannove anni,
se ne andava scodinzolando per tutto il giardino.
«Ehi, che succede?»,
chiesi a mia madre.
«Tua sorella porta a
cena il suo nuovo fidanzato stasera».
«Nuovo? Perché? Si è
lasciata con Jared?».
«Jared? Sì, da un
pezzo, ormai! Saranno almeno due mesi che vede questo ragazzo».
«Oh, ok… ».
«È un’occasione
particolare? Devo mettermi qualcosa di elegante? Anche perché in tal caso mi
servirebbe una doccia».
«Va bene, vai pure
allora».
Detto questo, mamma
filò nuovamente in cucina ed io al piano di sopra, in bagno.
Ormai non tenevo più il
conto dei ragazzi di Shereen.
Ero sfinita, non
avevo proprio voglia di prendere parte a quella cena; avrei soltanto voluto
buttarmi a letto con Buster sdraiato sul tappeto e dormire fino a domattina.
Invece però, mi infilai
nel box doccia, e aprii l’acqua regolandola in modo che diventasse tiepida.
Poi passai tra i
capelli shampoo e balsamo al cocco e mi lavai il corpo con un bagnoschiuma
all’orchidea.
Ero tutta profumata
quando uscii dalla cabina e misi i piedi sul tappeto di erba sintetica, che mi
solleticò la pelle.
Adesso ero molto più
rilassata.
Mi asciugai i capelli
con calma e indossai l’abito blu che avevo preparato su una sedia vicino alla
vasca da bagno.
Lasciai i capelli
sciolti sulle spalle e li fermai con un cerchietto argentato.
Dal piano inferiore
sentivo voci concitate; mia sorella e la sua nuova conquista dovevano essere
arrivati.
Scesi le scale a
passo leggero e andai in salotto.
Buster, che era
entrato in casa, mi fu subito dietro, colpendomi affettuosamente la coscia nuda con il suo naso umido. Lo
accarezzai sulla testa e poi arrivò mia sorella, con un sorriso raggiante.
«Sorellina, c’è
qualcuno che ti devo presentare… tesoro!», chiamò con tono mieloso e
assolutamente falso.
“Sorellina? Tesoro?”, e da quando Shereen si rivolgeva a qualcuno
così?
Una sagoma magra e
slanciata uscì dalla sala da pranzo e quando me lo ritrovai di fronte, il mio
cuore si fermò.
Era Chris.
A quanto pareva però,
non ero l’unica ad essere costernata perché anche lui si era raggelato sul
posto.
«Chelsea?», sussurrò.
Grazie al cielo in
quel momento Buster era proprio dietro di me perché altrimenti sarei caduta per
terra.
Mia sorella si staccò
da lui e puntò i suoi occhi indagatori verso di me. Proprio allora anche i miei
genitori arrivarono dalla cucina.
«Voi due vi
conoscete?», chiese Shereen in tono freddo.
«Noi… », ma le parole
mi morirono in gola ed io mi sentii un enorme blocco di ghiaccio nel petto.
«Lavoriamo insieme»,
completò lui per me.
Lei non sembrava
particolarmente sorpresa, come invece lo erano mamma e papà.
«Davvero?», chiese
mia madre.
L’unica cosa che io
riuscii a fare però fu annuire e dirigermi su per le scale, diretta in camera
mia.
Dovevo andarmene da
lì. Dovevo andarmene subito altrimenti sarei impazzita del tutto.
Dove sarei andata,
ancora non lo sapevo, ma ora non potevo di certo restare.
Presi una valigia dal
mio armadio ed iniziai a riempirla con vestiti, computer, qualche libro, soldi;
tutto gettato alla rinfusa e, quando fu piena da scoppiare, la chiusi di
scatto.
«Cosa stai facendo?».
Quella voce mi fece
sobbalzare e in quell’istante mi venne da piangere, ma non potevo farlo.
Ricacciai indietro le
lacrime e mi voltai, trovandomi faccia a faccia con l’unica persona che non
avrei voluto vedere in quel momento.
«Scusa, non volevo
spaventarti».
Guardai Chris,
dicendomi mentalmente di non scoppiare in lacrime.
«Devo solo… devo
andarmene via per un po’».
Parlai con la voce
più sicura che riuscii a trovare.
«Chelsea… ». Allungò
un braccio verso di me, ma mi ritrassi velocemente.
Qualcosa nei suoi
occhi in quel momento mi spezzò il cuore.
«Christian!», dal piano inferiore udimmo la voce di mia sorella.
«Shereen ti sta
cercando, penso che sia il caso che tu vada».
«Chelsea», ripeté lui
e nella sua voce, il dolore adesso era ben percepibile.
«Vattene e dì ai miei
genitori che scendo tra poco».
Il mio tono rabbioso
lo fece irrigidire, così mi voltò le spalle ed uscì dalla stanza, sussurrando
qualcosa che alle mie orecchie suonò come un “Non mi aveva mai detto di avere
una sorella…”
In effetti non c’era
da sorprendersi.
Probabilmente se
Shereen lo avesse fatto, lui avrebbe intuito che, forse, avendo lo stesso
cognome, eravamo imparentate.
Mio Dio, mi sembrava
tutto un brutto incubo.
Non poteva essere.
No. Non era possibile che il mio Chris
ora stesse con quell’arpia di mia sorella.
Un altro trofeo sul
suo scaffale.
Il mio respiro iniziò
a farsi affannoso, cercai di elaborare ciò che era appena successo, ma proprio
non ci riuscivo.
Mi sedetti sul letto
ed inspirai a fondo.
In quel momento
Buster entrò in camera mia a passo leggero e mi posò la sua testa sulle
ginocchia, scodinzolando preoccupato.
Mi guardò con quei
suoi occhioni grandi e scuri che ora sembravano incredibilmente tristi.
Capiva che c’era
qualcosa che non andava in me.
«Stammi vicino», gli
sussurrai.
E detto questo mi
alzai e scesi al piano di sotto con il mio fedele amico a vegliare su di me.
«Tesoro, stai bene?
Sei pallida», disse mio padre.
«Sì, io… scusate,
sono in quel periodo del mese, in realtà non ho molta fame», mentii, almeno in
parte. Che non avevo fame era vero, ma non avevo il ciclo; volevo solo
andarmene da lì.
«Oh, preferisci
andare a sdraiarti in camera?», proseguì la mamma.
«Ma io e Christian
siamo appena arrivati!», protestò Shereen.
Come al solito
cercava di portare l’attenzione su di sé.
«Lo so, tesoro, ma
tua sorella non si sente bene», disse mia madre in tono fermo.
Ero quasi commossa;
mamma non prendeva quasi mai le mie difese se c’era di mezzo mia sorella.
Incrociai lo sguardo
di Chris, sembrava che mi stesse silenziosamente supplicando di restare.
«Sì, credo sia
meglio».
Fu come vederlo
accasciarsi sulla sedia, ma lo notai solo io. Lo notai solo io perché ero
quella che lo conosceva meglio in quella stanza, probabilmente anche meglio di
Shereen.
Buster mi
scodinzolava dietro, sempre in pena per me e quando arrivai in camera, mi
spogliai, indossai il pigiama, spostai per terra la valigia che avevo
frettolosamente preparato poco prima, e mi buttai a letto, facendo salire il
mio cane, che si sdraiò vicino a me.
Di solito non lo
facevo mai, ma quella sera avevo davvero bisogno di qualcuno.
Mi sembrava di essere
come drogata. Sotto shock.
Infilai nelle
orecchie le cuffie dell’mp3 per non sentire le voci dal piano di sotto e
iniziai ad ascoltare della musica. La musica era il mio rifugio.
Abbracciai Buster e mi lasciai sfuggire
qualche lacrima, che andò a bagnare il pelo morbido e lucente del mio cane.
Poco a poco, scivolai
nel sonno.
Venni svegliata da
qualcosa che mi scostava i capelli dal viso: era mio padre.
«Scusa tesoro, non
volevo svegliarti».
«È finita la cena?».
Lui annuì.
«Christian sembra
davvero un bravo ragazzo», disse papà.
Non sapeva che così
non faceva altro che accrescere il mio dolore.
«Era preoccupato per
te, vorrebbe vederti, ha detto che siete molto amici, mi sorprendo che non ti
abbia detto che si vedeva con tua sorella».
«Prima della cena mi
ha detto che Shereen non gli aveva nemmeno detto di avere una sorella».
Papà scosse il capo.
«Sai com’è fatta…
vuole sempre i riflettori puntati su di sé, non te la prendere, amore».
«Papà?».
«Sì?».
«Posso partire
domattina?».
«Cosa?».
«Io… io vorrei andare
dal nonno già domattina».
In circostanze
normali avrebbe detto di no, o per lo meno avrebbe fatto qualche domanda per
approfondire la cosa, ma quelle non erano circostanze normali, perché la
disperazione nella mia voce era perfettamente udibile.
«Va bene, tesoro».
«Grazie. Parto appena
mi sveglio, non c’è bisogno che voi vi alziate e porto anche Buster, sarete già
in quattro e con le valige la settimana prossima e poi Shereen lo odia. E anche
a lui, lei non sta molto simpatica».
Lui accennò un
piccolo sorriso e si chinò a darmi un bacio sulla fronte. «Adesso dormi, cerca
di riposare».
Quando uscì dalla mia
stanza notai che non avevo più le cuffie nelle orecchie; era riuscito a
togliermele senza svegliarmi.
Avevo la mente
confusa, non riuscivo a formulare un pensiero logico e poco dopo, mi
addormentai nuovamente.
Note dell’Autrice:
Ho
provato a scrivere più di una volta questo capitolo perché non mi convinceva,
alla fine questo è ciò che è venuto fuori.
Diciamo
che è piuttosto introduttivo, la trama viene accennata a grandi linee, ma Chris
e Chelsea faranno presto a complicare le cose sempre di più!
Fatemi
sapere cosa ne pensate intanto; dal prossimo capitolo cominceranno a delinearsi
meglio sia la trama, sia i caratteri dei vari personaggi e verrà introdotto
anche un personaggio piuttosto importante.
Un
ringraziamento speciale va a Yuko majo
per lo splendido banner!
Vi
lascio il link del mio profilo Facebook, aggiungetemi se siete interessati!
Clira Efp
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