Note
dell'autrice: 1) Per qualche strano motivo il primo capitolo risulta
essere questo, ma c'è un PROLOGO! Basta andare indietro di un
capitolo ;) 2)Questo capitolo è un po' lento, devo ammetterlo; mi
sono persa in mille descrizioni, ma l'ho lavorato molto e non sono
riuscita a capire dove tagliare e dove no; ogni parola mi sembrava
utile. Non fermatevi alle apparenze, il ritmo cambia con il
susseguirsi delle vicende. Ogni personaggio avrà la sua fetta di
protagonismo, per cui se all'inizio il vostro favorito scompare per
un po' non allarmatevi: tornerà alla carica :-) buona_lettura!
1.
Era ancora una ragazzina impacciata, quando si ritrovò davanti al
proprio riflesso per truccarsi. Perché il mascara non era mai
simmetrico e le sue labbra sembravano una salsiccia al
sanguinaccio?
Dopo un sospiro carico d’impazienza, Hermione
prese un batuffolo di cotone e cancellò ogni traccia del turpe
misfatto. Una giovane strega non ha di questi problemi, normalmente,
eppure lei si sentì incapace di sfoderare la bacchetta magica.
Tremava un po’ la mano che scendeva a stirare le pieghe dell’abito,
al pensiero di ciò che l’aspettava.
Il naso a punta, gli
occhi spenti, le guance morbide ma pallide erano il suo nuovo
ritratto quotidiano. Non se ne accorse nemmeno, di quella sua brutta
cera, guardandosi e tentando di ravvivarsi il ciuffo che le si
arricciava ribelle in mezzo alla fronte; era da un po’ che non si
guardava più abbastanza da vicino. Riunì i capelli in una treccia
abbastanza elegante, poi in punta di piedi raccolse i vestiti sparsi
sull’antico parquet e si avviò per indossare il cappotto.
In
effetti nemmeno da ragazzina aveva passato tanto tempo davanti allo
specchio; aveva avuto ben altro a cui pensare, soprattutto l’ultimo
anno di scuola a Hogwarts, che aveva frequentato daccapo in seguito
alla caduta del Signore Oscuro; non poteva sopportare l’idea di
aver perso un anno intero di vita da latitante, e sapeva che questo
avrebbe inciso sulla sua futura carriera, ma non aveva avuto altra
scelta; e con lei, tutti quelli che erano stati colpiti più o meno
direttamente dal morbo di chi stava dalla parte dell’Opposizione e
dell’Ordine della fenice.
Hermione, ventitré anni appena
compiuti, era diventata una strega eccezionale; paziente, capace,
eccessivamente brillante; le sue qualità e la vocazione allo studio
l’avevano portata ad iscriversi all’Istituto di Storia della
magia di Dublino –il più famoso, in Europa!- e,
contemporaneamente, a lavorare in una biblioteca Babbana del Comune
per mettere da parte qualcosa. Così, mentre ci si aggirava per il
suo piccolo bilocale ottenuto con tante rinunce, si potevano
osservare pile di libri di ogni genere troneggiare sulla stanza e
tappezzare le pareti, ingombrare l’unica scrivania e il piccolo
tavolo a mezzaluna di alluminio laccato in bianco che lei teneva
perennemente aperto contro il muro; era il suo tavolo da pranzo, la
sua vera scrivania –si concentrava meglio, perché dava sull’unica
finestra della stanza- e in genere era anche la postazione di
controllo preferita dal suo gatto. La cucina si riduceva a un
lavello basso e consunto in alluminio e un piccolo forno a gas; c’era
un ripiano, ancorato al muro, anch’esso ricoperto di libri.
Chiunque si sarebbe chiesto come potesse cucinare in un luogo simile
ma Hermione poteva far bollire l’acqua con una bacchetta, e quello
era niente, niente in confronto ai potenti incantesimi di cui era
padrona. Avrebbe potuto cuocere un troll in umido, se solo
l’avesse voluto, in quell’angusta cucina che dava sul salotto,
sullo studio e sulla camera da letto insieme.
I passi di
Hermione risultavano delicati sul parquet, quasi avesse una vicina di
casa del piano di sotto che non sopportasse i rumori molesti; eppure
sotto al suo appartamento c’era una lavanderia, e in quel momento,
alle otto e mezzo di sabato sera, era chiusa. Un tappeto logoro di
color verde bottiglia dava un po’ di tono all’ambiente, ma non
poteva nascondere con i suoi angoli arricciati certi vecchi graffi
del legno sottostante; segnava inoltre la stanza, rendendola più
piccola, alzando i muri a tal punto da farla sembrare un largo
corridoio. La luce era anch’essa scarsa, concentrata nei punti
chiave dell’abitacolo, dove lei soleva accovacciarsi con un libro
in grembo e una tazza di the al limone in mano. La sua coperta in
tweed era ripiegata ordinatamente sulla scrivania, segno che era
appena stata riposta dopo una lunga giornata di studio.
Non
potendo permettersi una libreria grande a sufficienza, Hermione
teneva i suoi libri impilati gli uni sugli altri e succedeva che
spendesse un pomeriggio a settimana per spolverarli tutti e
mantenerli in ordine. Capitava spesso, inoltre, che fra i suoi libri
ce ne fossero in prestito due-tre alla settimana provenienti dalla
Biblioteca comunale. Libri Babbani, come lo era lei di nascita.
Fra
due colonne dominanti di grossi volumi magici, dalla parte opposta
dell’appartamento, spuntava il suo gatto Grattastinchi; era
acciambellato sull’unica poltrona di stoffa e la guardava spostarsi
avanti e indietro da una stanza all’altra con la calma dell’acuto
osservatore che era. Erano anni che la vedeva comportarsi in quel
modo; appariva determinata, tranquilla, felice a un occhio
disattento, ma Grattastinchi non perdeva di vista la sua pupilla.
Hermione era perennemente ansiosa. Quando studiava si avvolgeva
nella coperta e sprofondava nella poltrona, oppure si accovacciava
sul tavolino, penna d’aquila in mano, con una borsa d’acqua
bollente, costantemente alla ricerca di calore. Non si stupiva,
quella maestosa creatura dal pelo fulvo, quando improvvisamente
suonava il campanello e lei s’illuminava; dopo qualche minuto di
chiacchiere con Harry o dopo un bacio di Ronald, Hermione sentiva il
bisogno di togliere uno dei maglioni in lana fatto in casa che
indossava a strati quando era da sola. Poi, appena se ne andavano,
tornava a far bollire un po’ d’acqua per fare il the. Lo prendeva
bollente e poi lo lasciava intiepidire fra le mani, assorbendone i
caldi raggi attraverso la pelle.
Così, quando quella sera
Ronald suonò il campanello di casa Granger, Grattastinchi si
stiracchiò e prese a pulirsi il pelo con soddisfazione. Hermione
arrivò all’istante, con le scarpe dai tacchi a punta in mano, per
aprirgli la porta.
“Herm, tesoro”
“Ehi”
La
ragazza sorrise rapidamente, poi si sedette ai piedi della poltrona,
sul suo tappeto verde, per indossare le scarpe. Mentre già
allacciava il secondo cinturino, il gatto fulvo si arrestò e la
squadrò brevemente, poi riprese il suo lavoro con finta
indifferenza.
Era molto bella, con quell’abito viola
melanzana; sembrava quasi ridare colore alle sue guance, ma non ebbe
lo stesso effetto benefico sul suo umore; la mano tremava e mentre
lei si rialzava tornò a lisciare le pieghe già ordinate della
gonna. Ron, dal canto suo, non si era accorto di niente. La
osservava, trepidante, con lo sguardo che ha solo un uomo
innamorato. Ai suoi occhi, quei riccioli che irti sfuggivano alla
treccia e quei polsi fini che scendevano lungo i fianchi, fra le
volute color melanzana, erano semplicemente mozzafiato. Tuttavia,
quell’esile mano destra, sapiente portatrice di bacchetta, non
volle smettere di tremare.
“Andiamo, sei pronta?”
“Sì…”
e con aria decisa Hermione raccolse la bacchetta e lo seguì sotto
l’uscio, non prima di aver spento le luci e aver mandato un
bacio al gatto ancora seduto con aria scettica sulla
poltrona.
Grattastinchi rimasse immobile, e neppure il più
realista degli uomini avrebbe potuto negare l’aria assorta e
preoccupata di quello sguardo d’oro felino che ancora fissava la
porta. Quella sera, Hermione nascondeva decisamente
qualcosa.
2.
Harry Potter dormiva beato sul
suo divano sfondato in pelle all’incirca da quando era tornato a
casa dopo il lavoro; erano già passate un paio d’ore, eppure non
voleva saperne di svegliarsi.
Quel pomeriggio da Olivanders
c’era stata una nuova consegna di fasci di legni pregiati per
bacchette, e dato che il signor Olivanders non era più in grado di
fare molto, da solo, Harry aveva passato l’intero mese di giugno a
occuparsi del negozio. Certo, questo infieriva leggermente sul suo
rendimento all’Accademia degli Auror Londinese, ma non aveva saputo
dire di no a un vecchio, seppur strambo, amico. Passava le
giornate fra ragazzini che riportavano bacchette rotte con le
orecchie ancora rosse e strette fra le dita delle loro madri, gli
allenamenti fisici dell’addestramento Auror e il laborioso ripasso
degli incantesimi tutti nuovi da imparare che riceveva, in una lista
a calligrafia infinitesimale su una pergamena lunga sessanta
centimetri il primo di ogni mese da quasi due anni.
Dato che
la fine dell’anno scolastico a Hogwarts coincideva con l’acquisto
massivo delle bacchette per i maghi del primo anno non potevano
permettersi di cominciare ad agosto a prepararle; il signor
Olivanders ordinava il necessario già verso febbraio, e a giugno
riceveva in quantità massicce i suoi misteriosi ingredienti. Harry
non riusciva a frenare la lingua, di fronte a una tale quantità di
sostanze magiche sconosciute, tanto che oramai il vecchio mago aveva
preso l’abitudine di spiegargli ogni cosa mentre lui si occupava di
trasportarla nel negozio.
Olivanders, da quando era stato
prigioniero del Signore Oscuro, aveva perso la sua bacchetta ma
segnato a vita da quell’esperienza non aveva mai avuto il coraggio
di costruirsene una nuova.
Si limitava a venderne, e come le
costruisse per Harry era ancora un mistero.
C’era nel
retrobottega del negozio una stanza chiusa in cui il giovane mago non
aveva il diritto di entrare, e si era –stranamente per i suoi
precedenti- attenuto agli ordini, fin ora.
Quel po’ di soldi
che vi guadagnava, insieme alla piccola fortuna lasciata dai suoi
genitori, gli avevano permesso di comprare così giovane un piccolo
appartamento ammobiliato, caldo e confortevole. C’erano due stanze,
un salotto, una cucina confortevole e un bel caminetto che usava
spesso per comunicare con la famiglia Weasley, poiché da quando
Edwige era scomparsa non aveva avuto il coraggio di
sostituirla.
Fidanzato da più di tre anni con Ginny Weasley,
abitava con lei in quella casetta londinese luminosa e centrale – a
qualche passo da lì c’erano i negozi, un parco, perfino una
stazione della metropolitana Babbana che prendeva regolarmente per
sfizio- in cui però spesso e volentieri si ritrovava solo. La
ragazza, focosa in aspetto e in modi, era stata scelta come candidata
ideale in un viaggio a scopi umanitari in Sud America con una
compagnia di maghi. Era in pieno apprendistato di Curatrice e
Medimago, e la sua ambizione era stata premiata molto
precocemente. Così Harry la vedeva saltuariamente e non poteva
fare a meno di sognarla, su quel divano comodo su cui riposava, un
giorno no e due sì, perché gli mancava da morire.
Era
abituato a stare da solo, lo era stato per tutta la vita, ma da
quando era finita la guerra non accettava più le mezze misure.
Angoscia, sensi all’erta e incubi bui l’avevano abbandonato solo
di recente. Fortunatamente, gli impegni non mancavano mai, e riusciva
a distrarsi abbastanza da non soffrire troppo la sua assenza; ma quel
giorno, il trentun luglio, era particolare perché era il suo
ventitreesimo compleanno, e Ginny gli aveva promesso che avrebbe
cercato di esserci, quella sera.
3.
Un bel
ragazzo dai capelli rossicci e gli occhi di ghiaccio se ne stava
imbambolato davanti all’ultima porta del corridoio più lungo che
avesse mai visto, con numerosi promemoria che gli svolazzavano sopra
la testa cinguettando furiosamente, e fra le braccia un cartone
ricolmo di oggetti pesanti. Ronald Weasley, più alto e
dinoccolato che mai, aspettava il padre con un po’ di apprensione
davanti all’ufficio che condividevano da circa una settimana.
Era
successo tutto molto in fretta, gli avevano offerto il posto part
time rapidamente, e si limitava a seguire il padre e sbrigare le
faccende più semplici; era diventato il tuttofare del Dipartimento
per l’Uso improprio dei Manufatti Babbani del Ministero.
Era
felice di portare a casa un po’ di grana, soprattutto perché nel
frattempo riusciva a pagarsi gli studi; come Harry, si allenava per
diventare un Auror, ma era stato rimandato in troppi corsi a causa
del lavoro ed era ancora al primo anno.
“Ron, porta pure
tutto dentro, ho buttato le ultime scartoffie di Perkins… Ron, dove
sei? Oh, eccoti!”
“Sbrigati pa’, se no la mamma si
arrabbia molto stasera. È da una settimana che organizza la cena di
compleanno di Harry…”
Ronald posò con poca delicatezza il
macigno che teneva in braccio poco prima; al di sopra di tutti i
libri e gli oggetti infilati alla rinfusa, c’era una foto di lui,
Hermione e Harry che sorridevano ai tempi di scuola; dovevano avere
dodici anni, a giudicare dal fatto che la ragazza era più alta di
entrambi e dal suo sorriso spuntavano due incisivi leggermente
sporgenti.
Le sorrise con affetto, poi guardò l’orologio e
con uno scatto prese suo padre per la manica della veste e lo tirò
con insistenza fuori dall’ufficio. Non era il caso di fare tardi,
se ci tenevano alla pelle. Certo, la signora Weasley sapeva come
farsi rispettare. Lo dicevano tutti in ufficio.
4.
Mentre il signor Weasley, che per l’occasione indossava una
meravigliosa camicia a quadri con la cravatta ton sur ton –come un
vero uomo d’affari, vero Harry?-, si accingeva ad aprire la porta
della Tana al figlio accompagnato da Hermione, il giovane mago Seamus
Finnigan chiacchierava animatamente di Quidditch ingoiando con
rapidità sorprendente i biscotti glassati al cioccolato e menta
piperita della signora Weasley.
“Tieni caro, e mettili sul
tavolo questa volta” lo rammonì Molly, porgendogli un nuovo
vassoio e scoccando un’occhiataccia anche a Harry, che rosicchiava
lo stesso biscotto da qualche minuto, visibilmente
sovrappensiero.
“Grazie, signora Weasley. Dicevo, Arthur,
che non capisco come mai si siano rammolliti proprio ora che il
Manchester…”
“Seamus, che ti avevo detto? Non potevano
farcela, senza il secondo battitore; il sostituto è un fallito e non
so nemmeno come sia entrato in squadra…”
“Dev’essere
un novellino arrivato quest’anno. Com’è che si chiamava?”
soggiunse Harry.
In quel momento, apparvero Hermione e Ron, e
Harry non seppe decidere quale dei due fosse più bello. Una coppia
perfetta, pensava, mentre osservava il suo migliore amico distribuire
pacche a tutti i presenti con quelle sue mani grandi, le spalle
larghe, il sorriso spontaneo. Dal canto suo, Hermione era sublime;
indossava l’abito che aveva portato, anni prima, in occasione del
compleanno di qualcuno –o forse l’aveva indossato già qualche
volta? Non importava, era comunque di un’eleganza rara-, un vestito
a balze viola con lo scollo a cuore; al collo, sempre lo stesso
ciondolo: un medaglione a cuore con un’apertura. Harry non aveva
idea se contenesse veramente qualcosa, ma gliel’aveva sempre visto
addosso.
Si riscosse solo quando il suo chiassoso amico gli
appioppò una manata sulla nuca.
“Auguri, Harry! Hai
sentito? Ginny dovrebbe avere una giornata libera… papà prima
parlava di una Passaporta nuova, ma…”
“Ron, lascialo
respirare” lo rabbonì Hermione, sorridendo dolcemente all’amico.
Posò la borsetta di perline ricamate – la sua vecchia e temibile
alleata- su una sedia in vimini vicino al caminetto, poi si voltò
verso Harry. Gli posò le mani sulle spalle, guardò lungamente quei
suoi occhi smeraldini, poi lo strinse a sé con forza sorprendendolo
e trainando Ron nell’abbraccio.
“Auguri, caro…”
“Ehi,
ce n’è anche per me?”
Arrivò Seamus, ma prima che
potesse avvicinarsi si ritrovò con le gambe all’aria e il sedere
dolorosamente a terra; cercò una spiegazione verso l’alto, e
un'eminente figura dalla testa rossa gli si era posta davanti, con le
braccia incrociate, in tutta la sua statura.
“George, che
diamine…”
“Finnigan, quante volte devo dirtelo? Tu non
farai MAI parte di quel magico trio, mai. D’accordo? Mettitela via,
che so io, inscriviti al circolo delle Gobbiglie del Paiolo Magico,
vai in vacanza e fatti un Safari… non vedi quanto sono più belli,
più interessanti e decisamente superiori al resto del mondo?
Lasciali perdere, è un consiglio da amico” e con un occhiolino,
gli tese la mano.
Benché avessero una ventina d’anni a
testa, in un istante si ritrovarono a rotolare sul pavimento come
ragazzini, facendo cadere tutto sul loro passaggio, in balia di una
lotta impari; George era più grande, ma Seamus era decisamente
robusto. Ci vollero parecchi strilli di Hermione e della signora
Weasley, perché Harry e Ron, in preda a una risata interminabile, si
decidessero a separarli. Nella zuffa, la borsa di Hermione era
finita inspiegabilmente sotto di loro e un rumore di oggetti pesanti
–probabilmente altri libri- che cadevano rovinosamente richiamò
tutti all’ordine in qualche minuto. Lei raccolse la borsetta,
mordendosi un labbro e lanciando un’occhiataccia ai ragazzi. Al
solito, non esisteva serata tranquilla in casa Weasley.
5.
In mezzo ad una radura, sul versante ovest di una montagna irta e
verdeggiante in piena luce, una figura esile si dava da fare
camminando avanti e indietro davanti ad un vecchio secchiello da
spiaggia Babbano appoggiato casualmente ad una radice sporgente e
mezzo affondato nella terra. Che cosa ci facesse in mezzo alla
giungla più nera dell’angolo più sperduto sul suolo brasiliano
era un’ottima domanda, ma la cosa più strana di quella radura
restava la fanciulla che marciava sui propri passi da più di
mezz’ora.
Ginevra Weasley indossava un bellissimo abito di
raso verde scuro, era truccata a dovere per un gran gala e i suoi
capelli –divenuti lunghissimi, durante il viaggio- aleggiavano
attorno alle sue spalle donandole un’aria principesca, imprigionati
mollemente da un laccio in tinta col vestito. Peccato che, per
l’appunto, fosse mattina presto, e il sole tardasse ad alzarsi per
i suoi gusti.
Il cielo ancora scuro lasciava scorgere
all’orizzonte uno spicchio di un’arancio caldo e avvolgente che
mai avrebbe potuto vedere la luce in Inghilterra.
Ginny guardò
la sua bussola per un istante, l’ennesimo in qualche minuto, ma la
lucina sul display vibrava con la stessa frequenza di mezz’ora
prima.
Non sentiva, dall’alto di quell’area scoscesa e
pericolante, le voci dei suoi compagni di viaggio, che si accampavano
a qualche chilometro a piedi da li. Tia, Liam e Daniel avevano
chiesto di accompagnarla, dopotutto non era il posto più tranquillo
in cui stare, soli, di notte; Ginny aveva rifiutato, insistendo sulla
propria capacità di self control e sul fatto che fosse armata fino
ai denti con la sua semplice bacchetta. In realtà, non voleva che la
vedessero così agghindata dopo settimane di abiti smessi e
puzzolenti, di caldo afoso e umido e di cibo all’arraffata. Passavano
le giornate fra i maghi più poveri della regione per aiutarli a
rimettersi in sesto, a guarire gli ammalati offrendo loro servizi e
una tenda in cui riposare e per immunizzare quante più persone a
rischio per il vaiolo magico, che sebbene fosse stato eradicato in
Europa, ancora aleggiava nei paesi caldi dell’emisfero Sud del
globo. Erano in missione, e non avevano di certo bisogno di
vestiti eleganti o fronzoli, ma quella notte Ginny aveva frugato in
fondo al baule fra le magliette stracce e i suoi utensili e ne aveva
estratto un astuccio contente i suoi trucchi, un nastro di raso per i
capelli e il suo abito verde leggermente spiegazzato.
Dopo
settimane di duro lavoro, sebbene fosse appassionata e volonterosa,
era felice di staccare e poter riabbracciare la sua famiglia, e il
suo Harry.
Improvvisamente la bussola scottò e lei seppe che
era il momento di agguantare il secchiello, ma un rumore di frana e
un urlo disumano richiamarono la sua attenzione, e la Passaporta
chiuse il suo passaggio definitivamente, ritornando ad essere un
semplice oggetto abbandonato.
A niente servirono le settimane
di maturazione, controllo, alienazione… Ginny urlò dando aria ai
polmoni per liberare tutta la sua frustrazione. Aveva aspettato quel
momento per settimane.
Un secondo urlo, a giudicare dal
timbro, maschile raggiunse i suoi timpani e bruscamente interruppe le
sue imprecazioni. "AIUTO! AIUTATEMI... SONO QUI!"
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