Capitolo
1
Gandalf crollò a terra. Lei sapeva che non ce
l’avrebbe fatta: Saruman l’aveva colto di sorpresa
e ne aveva approfittato per attaccarlo senza pietà. Di nuovo
lo stregone bianco sollevò il bastone.
Jill vide la grigia figura sollevarsi dal freddo pavimento e scomparire
tra le ombre dell’alto soffitto. Lo scontro era terminato.
La ragazza non si muoveva, l’occhio ancora accostato alla
porta. Quando era venuta a conoscenza dell’inattesa visita
del Grigio, Jill non aveva saputo resistere: doveva essere successo
qualcosa di grave. Sapeva che non le era permesso assistere agli
incontri che si tenevano in quella parte della struttura, ma la
curiosità e l’istinto avevano avuto, come di
consueto, la meglio sul buon senso.
Sebbene fosse cosciente che la sua vista non era in alcun modo
difettosa, non riusciva a credere a ciò che aveva visto.
Saruman l’aveva tradito. Peggio, aveva tradito tutta la Terra
di Mezzo… e anche lei. Sapeva che l’Oscuro Signore
stava riacquistando il suo antico potere e ora che possedeva un alleato
quale lo stregone, la sua avanzata sarebbe stata inarrestabile. E di
lei che ne sarebbe stato? Come si sarebbe comportato il traditore con
la sua apprendista? Che ne volesse fare una seguace di
Sauron?
Strinse i pugni. No. Questo non sarebbe mai successo. Non gli avrebbe
permesso di sfruttarla, di manovrarla come un burattino ai fini del
Signore di Mordor. Piuttosto sarebbe morta.
In quel momento lo stregone si voltò verso la porta e i loro
sguardi si incrociarono per un breve istante. Poi lei agì
d’istinto: si scansò dall’uscio con un
balzo, giusto in tempo per evitare l’attacco che si
abbatté sulla parete. Si sollevò subito e corse
via: non aveva idea di ciò che avrebbe fatto, sapeva solo
che doveva mettere più distanza possibile tra lei e il suo
inseguitore.
Sfrecciava lungo gli ampi corridoi, rapida e leggera. La lunga treccia
rossa batteva sulla sua schiena, i piedi si posavano sulla fredda
pietra provocando tonfi leggeri, la seta della tunica frusciava
dolcemente. Jill era un’apprendista, ma prima di tutto una
Corsara. Sapeva come muoversi sul ponte di una nave come sulla terra
ferma. Era agile, tanto da potersi arrampicare senza
difficoltà sull’albero maestro come sulla
più ripida delle scogliere. Era veloce, poteva battere tanti
uomini nella corsa. Eppure in quel momento si sentì lenta e
impacciata, i piedi intralciati dalla lunga veste.
Un sentimento a lei molesto stava prendendo possesso della sua persona:
aveva paura. Per la prima volta da tanto tempo aveva paura. Sapeva che
se fosse stata catturata per lei sarebbe stata la fine. Si
sforzò di accelerare il passo: non era allenata. Se solo
avesse avuto la sua spada… ma anche con quella non avrebbe
potuto fronteggiare lo stregone. E nemmeno la magia sarebbe valsa a
nulla: Saruman era un Istari e se neppure Gandalf era riuscito a
fronteggiarlo, lei non avrebbe avuto speranze.
Sentiva la presenza dello stregone alle sue spalle e il cuore le si
strinse in una morsa. Non riusciva ancora a credere che stesse fuggendo
dalla stessa persona che solo qualche anno prima l’aveva
accolta e accettata come apprendista. Il suo maestro e tutore aveva
calpestato la sua fiducia e tra poco avrebbe calpestato il suo stesso
corpo.
Percepì un’ondata di energia alle sue spalle e
svoltò l’angolo appena in tempo. Un portone
andò in frantumi. Imboccò un altro corridoio per
poi scendere le scale. Ad ogni balzo il cuore le saltava in gola. Un
altro attacco e la dura pietra andò in pezzi sul suo capo.
Abbassò la testa per schivare le schegge. Ma non si
fermò.
L’intera torre di Isengard tremava sotto i colpi e lei
correva a perdifiato. Poi accadde un imprevisto: si trovò
davanti ad un’immensa vetrata. Era in trappola. Sotto di lei
vide qualcosa che le fece sgranare gli occhi: orchetti. Centinaia di
orchetti si radunavano ai piedi della torre. Ma lo stupore, lo sdegno e
la rabbia non ebbero il tempo di farsi strada nel suo cuore.
In quel momento seppe che lui era alle sue spalle e si voltò
di scatto, appena in tempo per vedere l’uomo che alzava il
bastone e lo puntava al suo petto.
Accadde tutto in un attimo: l’attacco la colpì in
pieno e con tale potenza da spingerla indietro. La vetrata
s’infranse e lei precipitò. La sua veste
fluttuò nell’aria e per un attimo Jill
dimenticò tutto. La sua coscienza si ridusse alla sensazione
di librarsi nella notte, l’aria fredda che le sferzava il
volto, i pensieri che volavano lontani. Quando la sua caduta si
arrestò, aveva già perso i sensi.
Un dolore lancinante le attraversava il corpo. Doveva essersi rotta
qualcosa. Sapeva di essere viva, eppure non riusciva a muoversi.
Aprì gli occhi e capì che c’era
qualcosa di strano. Credeva di aver volato, o meglio di essere
precipitata giù dalla torre. Possibile che avesse solo
sognato?
No, altrimenti non avrebbe potuto spiegare le ferite che aveva
riportato in tutto il corpo. Un freddo peso ai polsi e alle caviglie le
diede la conferma: catene.
Si trovava nella sua stanza, imbavagliata e sdraiata sul suo letto.
“ Inchiodata al mio letto!” si corresse.
In quel momento tutto le tornò in mente: la visita di
Gandalf, le parole di Saruman, lo scontro fra i due e la sconfitta del
Grigio. E infine la disperata fuga da tutto ciò cui aveva
assistito. A quanto pareva la sua caduta nel vuoto era stata arrestata
dall’intervento dello stregone.
Un odore ripugnante la raggiunse e lei si sforzò si alzare
un poco il capo. Di fronte a lei c’era uno degli anonimi
subalterni di Saruman: non conosceva il suo vero nome, ammesso che ne
avesse uno, ma si faceva chiamare Vermilinguo. Non aveva mai potuto
fare a meno di disprezzare quel viscido personaggio e trovarselo di
fronte in quel momento le fece venire la pelle d’oca. Quando
lui si accorse del suo sguardo le rivolse un sorriso lascivo.
“ Davvero vomitevole.”
E avrebbe tanto voluto dar di stomaco, ma sapeva che, anche se non
avesse avuto in fazzoletto davanti alla bocca, non ne avrebbe avuto la
forza. Voltò invece il capo dall’altro lato e si
accorse della seconda presenza: Saruman.
Lo stregone stava ritto in piedi e la guardava, l’espressione
indecifrabile.
- Ben svegliata, Jill. –
Lei si dimenò violentemente, strattonando le catene e
agitando il capo. Avrebbe voluto urlare e sfogare la sua rabbia.
Avrebbe voluto ucciderlo. Perché era un traditore e un
ingannatore, perché aveva fatto del male a lei e Gandalf e
perché si era schierato dalla parte dell’acerrimo
nemico della ragazza.
Lui esibì un freddo sorriso, privo di allegria.
- Visto che sei così piena di
energie, cominciamo subito. –
Da sotto un panno estrasse una sfera scura. Jill ricordò di
averla vista nella sala dove i due stregoni si erano affrontati e dove
il suo maestro aveva trascorso intere giornate. Saruman
l’aveva mostrata a Gandalf, che l’aveva prontamente
ricoperta. Recentemente ricordava di aver letto qualcosa al riguardo:
si chiamavano Palantiri e ne esistevano sette. Il loro nome significava
“coloro che sorvegliano da lontano” ed era una
sorta di metodo di comunicazione tra i loro possessori . Eppure, a
quanto ne sapesse lei, quegli oggetti erano scomparsi tempo fa.
Una domanda si insinuò per un attimo nella sua mente: con
chi comunicava Saruman? Chi altro poteva possedere un Palantir?
Non fece in tempo a darsi una risposta. Lo stregone aveva posizionato
la sfera di fronte al suo viso e stava borbottando delle parole
incomprensibili. Poi l’oggetto parve prender vita: potenti
fiamme percorsero la sua superficie e la ragazza
s’irrigidì. La mano di Saruman tremava, mentre un
occhio senza palpebre compariva nel Palantir.
Jill sbiancò: Sauron. Il suo sguardo
s’incatenò a quell’immagine e non
riuscì a distoglierlo. Però mantenne fermamente
il controllo: non avrebbe mai ceduto di fronte al suo nemico. In fondo
era o non era un’indomita corsara?
Poi una voce si fece strada nella sua mente. Non capiva le parole, ma
il tono era perentorio, il suono forte e carico di potere.
Tentò di resistere, di chiudergli ogni via di accesso, di
respingerlo. La fronte era imperlata di sudore e il corpo tremava nello
sforzo. Era uno scontro diverso da quelli a cui aveva partecipato fino
a quel momento. Non era preparata e agiva d’istinto,
incanalando tutte le sue energie per erigere una barriera, esattamente
come le diceva spesso Gandalf. Stava mettendo a frutto le ore trascorse
con il mago e si rammaricò di non aver prestato
più attenzione alle sue parole.
Jill era fatta così. Sfacciata e cocciuta, non dava mai
retta ai consigli degli altri. Agiva sempre di testa sua e spesso
avventatamente. Il che era rischioso già per un corsaro,
figurarsi per uno stregone! Se c’era una cosa che aveva
imparato, infatti, era che la magia era uno strumento potente quanto
imprevedibile e che bisognava utilizzarla con cautela e sagacia. Motivo
per cui non si era mai mostrata molto interessata alle lezioni del
Grigio. Gandalf insisteva a farle studiare sia la pratica che la
teoria, a compiere piccoli passi alla volta. Ma lei era troppo
impaziente per stare ai suoi ritmi e spesso preferiva le ore trascorse
con lo stregone bianco. Lui era l’esatto opposto: si
interessava alla scienza e alla meccanica, guardava al futuro. I suoi
studi pullulavano di oggetti dalle strane forme e le sue pergamene
abbondavano di formule incomprensibili. Il che attraeva Jil molto
più della storia o della geografia.
E ora si ritrovò a pensare che, al contrario di quanto
affermasse sempre Saruman, la scienza non era la risposta alle
esigenze. Come poteva uno strano congegno o una formula chimica
aiutarla in quel momento? La tecnologia poteva forse contribuire a
migliorare la vita delle persone, ma di certo non a salvarla!
Il suo corpo implorava pietà e la sua mente era stanca. Al
contrario l’Oscuro Signore sembrava attingere ad una riserva
inestinguibile di energia. In un ultimo atto di coraggio, o forse di
disperazione, tentò un’offensiva. Fece esattamente
come le aveva detto Gandalf: concentrò le sue energie in un
punto e colpì, sfoderando un affondo come avrebbe fatto con
una spada in pugno. Ma Sauron non parve neppure accorgersene e ne
approfittò. Con uno slanciò affondò
nella sua mente come nelle acque di un lago. Jill sentì
quella presenza dentro di sé scavarle l’anima e si
dimenò forsennatamente. La stava scrutando a fondo, troppo a
fondo. La stava violando dall’interno.
Un urlo si alzò dalla sua bocca bendata e il fazzoletto
cadde a terra. Il suono squarciò l’aria, carico di
rabbia, orrore e… potere. Calde lacrime sgorgarono dagli
occhi, rigando il volto contratto. Le pareti tremarono e Vermilinguo
arretrò fino alla porta, pronto a fuggire. Lo stregone
bianco vacillò, piegando le ginocchia. Sauron si ritrasse,
come scottato.
Il grido si spense: la ragazza aveva di nuovo perso i sensi.
Saruman si accasciò al suolo, stordito. Percepì
la presenza dell’Oscuro Sire e afferrò nuovamente
il Palantir. Vi posò sopra la mano scarna e
ristabilì il contatto.
A quanto pareva il signore di Mordor era rimasto soddisfatto da
ciò che aveva trovato. Lo stregone si concentrò
sulle sue parole e non rimase molto sorpreso dai progetti che gli
venivano rivelati. Promise che avrebbe provveduto al più
presto e poi si congedò.
La sua coscienza tornò nella buia stanza di Isengard e lo
sguardo freddo si posò sull’uomo curvo vicino
all’uscita.
- Occupati di lei. È entrata
in uno stato di coma e penso che non si risveglierà per
diversi giorni. Intanto fai in modo che la sua voce taccia per sempre.
– gli ordinò.
- Intende dire che… -
sbiascicò l’altro.
Saruman posò un dito lungo e ossuto sul collo della giovane
e lo fece scivolare lentamente.
- Un taglio netto e preciso. Niente
infezioni o pagherai con la vita la tua inettitudine. –
- Sì, mio signore. –
- Ricorda, Verme: hai fra le mani la tua
futura Regina. Vedi di non oltraggiarla. – e si richiuse la
porta alle spalle.
Con un brivido l’uomo pensò che non ne aveva
alcuna intenzione, o almeno non più. Con un brivido di
terrore, che non era certo dovuto all’operazione in
sé, afferrò un coltellino e posizionò
tutto l’occorrente su un tavolino. Appoggiò la
fredda lama sul collo e una goccia di sudore gli imperlò la
fronte pallida. Si chinò e raccolse il fazzoletto per
legarglielo con cura davanti alla bocca.
Recuperata un po’ più di calma, afferrò
di nuovo il coltello e lo disinfettò sulla fiamma. Poi, con
un movimento deciso, tagliò.
Purtroppo per lui, lo stregone non aveva tenuto conto della
straordinaria capacità di recupero di Jill.
Vermilinguo si stava occupando delle ferite ai polsi, non senza
borbottii e imprecazioni, quando la sua mente riemerse dal torpore in
cui era precipitata. Non sapeva per quanti giorni era rimasta stesa in
quel letto, ma sentiva di aver recuperato in parte le energie. E
soprattutto che era il momento giusto per agire e tentare la fuga.
Non percependo il peso delle catene alle braccia, aprì gli
occhi e incontrò lo sguardo dell’uomo. Questi
sgranò gli occhi sorpreso e allarmato, ma non ebbe il tempo
di aprir bocca. Un pugno lo raggiunse sul viso, seguito da un colpo
preciso sulla nuca. Vermilinguo stramazzò al suolo, svenuto.
Liberatasi anche delle catene che le fermavano i piedi, Jill si
alzò per sgranchire un po’ i muscoli indolenziti
dall’inattività. Lanciando uno sguardo fugace allo
specchio poté finalmente fare un controllo dei danni subiti.
A parte un paio di lividi e graffi, sembrava in perfetta forma. Poi
però si accorse della benda che le fasciava il collo.
Un’ombra di terribile dubbio le attraversò lo
sguardo e la sua bocca si aprì. Niente. L’aria
usciva in suoni sibilanti, priva di toni o articolazioni. Aveva perso
la voce. O meglio, gliel’avevano tolta! Saruman le aveva
fatto strappare le corde vocali e non faceva fatica a indovinare chi
fosse stato il chirurgo.
Il primo istinto fu quello di strangolare il corpo privo di conoscenza
che giaceva sul pavimento. Sarebbe stato facile. Ma qualcosa dentro di
lei le diceva che non sarebbe stato corretto togliere la vita ad un
uomo indifeso, per quanto giusto le potesse sembrare.
“ Accidenti all’onore dei corsari!”
imprecò fra sé.
Infatti, per quanto potessero sparlare gli altri popoli, i corsari di
Umbar avevano un codice e delle regole ferree. Certo, non tutti erano
dei santi, ma ognuno aveva i suoi principi e ideali a cui si atteneva
fedelmente. Era uno dei motivi per cui lei aveva deciso di prendere il
mare, o almeno fino a quando…
Ma non era il momento migliore per pensarci. Ora doveva solo pensare a
fuggire da quella torre. Sapeva dove si sarebbe diretta: a Gran
Burrone, la residenza di Mastro Elrond. Era il solo luogo dove poteva
sperare di trovare protezione… e conforto. Forse in quella
dimora di pace avrebbe potuto scacciare dalla sua mente
l’orribile sensazione che le provocava il ricordo del
Palantir. In ogni caso era meglio che rimanere prigioniera fra quelle
fredde mura.
Si avviò a grandi passi verso il fondo della stanza e
frugò fra i suoi abiti, fino a trovare dei calzoni, una
tunica e un mantello adatti ad un viaggio. Li indossò in
fretta e si impegnò a nascondere i capelli sotto il
cappuccio, in modo che non fosse riconoscibile a distanza. Rimpianse un
poco i giorni in cui si arrampicava sul sartiame della nave, la spada
stretta in pugno e i capelli al vento come uno stendardo di fuoco.
Poi armeggiò un poco con le tavole del suo baule ed estrasse
un cinturone, alcuni coltelli e infine lei, la sua spada. Era
l’unico oggetto che le fosse rimasto quale ricordo della sua
vita precedente e del suo amato padre. Era un tesoro inestimabile e
ormai faceva parte di lei. Durante gli anni passati nella torre di
Isengard aveva dovuto nasconderla, poiché lo stregone bianco
non gradiva che la sua allieva portasse delle armi. Aveva continuato ad
esercitarsi in segreto e di tanto in tanto riusciva a convincere
Gandalf a dei piccoli duelli nella foresta, lontano dagli sguardi
dell’altro tutore. Non che il Grigio fosse un grande
spadaccino, ma era certo meglio di niente. Ed ecco un punto a favore
del mago: mentre Saruman andava dicendo che la ragione era
l’arma migliore, lui sosteneva la necessità di
sapersi difendere in ogni evenienza, sia con le armi,sia, chi ne aveva
la possibilità, con la magia. Era convinto che fosse un
peccato non approfittare di tutte le proprie possibilità e
di sfruttarle nel momento del bisogno. E ora Jill capiva quanto avesse
avuto ragione.
Strinse il fodero fra le mani, con rabbia. Un giorno avrebbe vendicato
anche lui. Appena si fosse risistemata sarebbe tornata a Isengard e
avrebbe compiuto il suo dovere di discepola nei confronti del maestro.
Estrasse l’arma con un gesto fluido e sicuro. Non si stancava
mai di ammirarne la perfetta fusione dei metalli, la straordinaria
leggerezza, la punta acuminata, la lama perfettamente bilanciata. Era
scura e lucente, dai riflessi rossastri, fatta di un materiale
introvabile in quelle terre ed estremamente resistente.
L’elsa era elaborata e un mostruoso drago marino si avvolgeva
fino all’attaccatura della lama. Il suo nome era Carcharoth,
“ Zanna Rossa”, preso in prestito da una delle
lezioni di storia di Gandalf. Così era infatti chiamato il
lupo che con un solo morso staccò la mano di Beren che
reggeva il Silmarillion. Una spada demoniaca che incuteva timore,
forgiata dal miglior armaiolo di tutto il territorio di Umbar.
Un’opera d’arte che si era rivelata capace di
grandi prodezze in diverse occasioni. Anche adesso, impugnandola, Jill
poteva sentire il sangue ribollirle nel corpo e la voglia di mettersi
alla prova. Finalmente sarebbe potuta entrare in azione.
Si impose il controllo. Non poteva lasciarsi andare con tanta
leggerezza e lo sapeva bene. Era sola in quella situazione ed evadere
da quella prigione non sarebbe stato affatto facile.
Una volta ricontrollato di avere preso tutto il necessario, o meglio
tutte le armi necessarie, dato che non poteva permettersi un bagaglio,
aprì con cautela la porta e uscì nel corridoio.
Non incontrò grandi difficoltà a raggiungere le
stalle. Strani personaggi circolavano a Isengard di quei tempi e gli
orchetti non badarono a quella figura incappucciata e a capo chino, che
camminava con passo sicuro attraverso le sale.
Raggiunto il piano terra, Jill scelse un cavallo dall’aspetto
comune che non desse nell’occhio, ma comunque forte ed
energico. Stava per avventurarsi in quello che una volta era il
giardino, quando le si pararono dinanzi due orchi. Lei si
preparò ad oltrepassarli come aveva fatto con tutti gli
altri, quando un grido d’allarme squarciò
l’aria.
- È fuggita! La prigioniera
è fuggita! Bisogna catturala! –
Dopo un attimo di smarrimento i due si voltarono verso di lei.
- Levati il cappuccio! –
sbraitò il primo, nella loro lingua gutturale che la ragazza
aveva imparato a comprendere.
Si arrestò ma non proferì parola.
- Sei sordo, forse?! Ti abbiamo detto
di… - ma il secondo non riuscì a terminare la
frase, poiché un taglio preciso alla gola l’aveva
fatto crollare al suolo.
L’altro si voltò pronto ad attaccare, ma non ebbe
neppure il tempo di sfoderare l’arma. Jill lo
trapassò da parte a parte con un solo fendente.
Poi, sentendo dei passi pesanti che si avvicinavano in corsa,
balzò in sella al cavallo e lo spronò in avanti.
Balzò all’aperto e non si distrasse nemmeno un
secondo, nonostante la vista degli alberi secolari sradicati le facesse
piangere il cuore. Saruman aveva tanto amato quegli alti fusti e ora
era disposto a tagliarli per i propri scopi. Non c’era dubbio
sul fatto che lo stregone avesse perso completamente il lume della
ragione.
Dei carri si rovesciarono al suo passaggio, ma lei li saltò
facilmente, senza arrestare la sua corsa. Doveva superare i cancelli.
Attorno a lei gli orchetti schizzavano in ogni direzione, confusi in
quanto non avevano ancora ricevuto la notizia.
Era già in vista delle mura esterne, quando udì
un corno risuonare alle sue spalle. Si concesse di lanciare un rapido
sguardo indietro e strinse i denti: Mannari. Quelle odiose bestie si
erano gettate alla sua caccia e non avrebbero desistito tanto
facilmente. Tanto meno gli orchetti che li cavalcavano.
Superò i cancelli e si gettò a perdifiato nella
campagna. Doveva escogitare qualcosa. Non poteva certo affrontarle in
un terreno aperto, dato che erano numericamente superiori e lei era
armata solo di una spada, adatta agli attacchi frontali. Doveva
raggiungere la Breccia di Rohan, ma prima di tutto liberarsi degli
inseguitori.
In lontananza intravide una linea scura ed irregolare e capì
cosa avrebbe fatto. Corresse la direzione dell’animale e
puntò sulla Foresta di Fangorn.
Continua…
Ciao a tutti e grazie
per aver letto questo primo cap!
Questa fic si incentrerà sul personaggio di Jill, che
è di mia invenzione. Tutti gli altri saranno veri autentici
originali di Tolkien.
Vi avverto fin da subito: ho letto il libro e visto i film, ma
è stato un bel po’ di tempo fa, perciò
può darsi (anzi, penso sarà abbastanza
probabile!) che farò qualche errore qua e là.
Prego in anticipo i fan del Signore degli Anelli di
perdonarmi!
Detto questo… non mi resta che augurarvi buona lettura!
(ovviamente i commenti sono sempre graditi!)
Monalisasmile
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