L’ora di letteratura non
passava. Maledizione. Scossi il
capo annoiato, guardando l’orologio: ancora venti minuti.
Sbuffai e mi appiatti
sul banco, sperando di poter sonnecchiare indisturbato. Speranza vana.
“Uzumaki, saresti
così gentile da continuare a leggere?” Un
sorriso da modella, una voce melodiosa, ma che ci faceva una
così a insegnare?
“Si, certo.” Mi
alzai prendendo il grosso libro, non avevo
idea dell’argomento che stavamo trattando. Aprii un pagina a
caso e iniziai a
leggere.
“Citazione dal famoso
scrittore e poeta William Shakespeare:
Sappiamo chi siamo noi, ma non sappiamo cosa potremmo
essere…” Il libro mi
cadde di mano, e tutto inizio a girare.
“Uzumaki!”
Urlò la professoressa preoccupata. E poi il buio.
Vieni.
Un raggio di sole mi
accecò, cazzo. Io odiavo il sole. Spalancai
gli occhi peggiorando le cose, tuttavia riuscii a schermarmi col
braccio, e a
guardarmi intorno. Una serie di letti bianchi e ordinati, erano posti
in fila
accanto al mio. La luce entrava dalle finestre spalancate dal lato
opposto
della stanza. Infermeria. Mi alzai dal letto, sicuro che sarebbe
spuntata fuori
dal nulla un infermiera che mi avrebbe respinto sotto le coperte.
Invece mi
sbagliavo, non comparve nessuno. Mi avviai con passo incerto verso la
porta,
sperando di potermene andare il più in fretta possibile.
Afferrai il pomello d’ottone,
freddo e lucido, e indugiai un attimo. Chiusi gli occhi, mentre tutti i
miei
sensi erano tesi alla ricerca di qualcosa d’indefinito. E poi
lo sentii. Il
canto di Sakura, mi chiamava, non potevo più oppormi,
così uscii e andai
incontro al mio destino.
Ti stiamo aspettando
Camminavo accanto a tombe di tutte le
grandezze e tutte le epoche.
Semplici lastre di pietra che dovevano lasciare un ricordo di
ciò che era
stato, un oggetto di conforto a cui aggrapparsi o semplicemente, un
inutile
ricordo. Salici piangenti grandi come palazzi oscuravano il sole, e uno
scoiattolo correva sopra i morti incurante dell’atto blasfemo
che stava
compiendo. Il vento mi sospingeva, mi guidava, quasi avesse paura che
mi sarei
tirato indietro all’ultimo momento. Non potevo comunque,
ormai dovevo
rivederli, ormai dovevo sapere. Ma la domanda giusta era che cosa? Cosa
dovevo
sapere ? Chi dovevo vedere? Scorsi infine la scena del mio sogno,
l’olmo e lei.
Era seduta su una tomba e mi dava le spalle. I capelli corti neri si
muovevano
sospinti dal vento, la pelle nivea contrastava i colori scuri della
divisa. Il
mio sguardo si sposto sulla tomba.
“Qui giace colui che
promise di tornare” lessi ad alata voce
e mi voltai verso l’esile figura”Sono qui, ora
ditemi che volete.” Lei scosse
la testa malinconica.
“Non ricordi?Eppure avevi
promesso…” Io l’osservai stranito,
il canto era cessato. L’atmosfera magica che ci aveva avvolti
fono a pochi
istanti prima era sparita, e io iniziavo ad avere paura.
“ A questo punto non mi
lascia latra scelta…”
“ma di che diavolo
stai…?” Non finii la frase, lei si stava
girando, e come nel sogno non vidi il suo volto, ma mi persi nei suoi
infinito
occhi color opale. E in quel momento qualcosa dentro di me si ruppe, e
morii.
Sappiamo chi siamo noi, ma non
sappiamo cosa potremmo essere.
Medvedja 1731 Serbia.
“Hinata, Hinata aspettami!”
“Non è colpa mia se sei
così lenta Hanabi. Muoviti o papà ci
rimproverà. “
Due ragazze straordinariamente simili si
rincorrevano in un campo. Ridendo
e scherzando. Il sole splendeva e i
gigli erano in fiore. Correvano libere dal protocollo che le soffocava
a casa,
senza preoccuparsi di tradimenti, inganni o antichi rancori. Correvano,
e mentre
il vento gli scompigliava i capelli, disfacendo elaborate acconciature,
si
tenevano per mano. Unite. A un tratto la maggiore delle due si fermo.
“L’hai sentito?”
“Cosa?” Chiese
l’altra ancora affannata. Un urlo ruppe il silenzio. Le
due si guardarono impaurite.
“Veniva dal villaggio.
Andiamo!” La minore delle due fu la più svelta a
reagire, mentre l’altra rimase immobile col terrore dipinto
in volto.
“Cosa fai ancora ferma? Muoviti
Hinata!” Hanabi interruppe la sua corsa e
fisso la sorella.
“Ho un brutto presenti
mento…non andare.” La
più piccola scosse il capo, e riprese a
correre.
“Sei sempre stata una fifona. Io
vado.” Hinata si strinse le mani intorno
alle braccia, aveva freddo. Le urla aumentarono e un filo di fumo
oscurò il
sole. La fanciulla si gettò dietro alla sorella, doveva
fermarla.
“Hanabi, Hanabi, non andare!”
Le urla si persero nel vento, le stesse
urla che scandivano pietose il ritmo della sua corsa. Ma la piccola non
le
diede ascolto, fino a quando non riusci a scorgere il villaggio
dall’alto della
collina. I grandi occhi bianchi divennero immensi, e il terrore la invase. La
sorella maggiore nel
frattempo la raggiunse.
“Hanabi” sussurro senza fiato,
aggrappandosi al suo braccio. Ma l’altra
non gli diede ascolto, se la scrollò brutalmente di dosso e
riprese la sua
folle corsa. Hinata cadde all’indietro sbattendo la testa su
un masso
appuntito. Le sue urla si mischiarono a quelle dei moribondi nel
villaggio. In
un ultimo lampo di lucidità vide l’ombra della
sorella allontanarsi sempre di
più. Provo a chiamarla, ma non aveva più voce. Il
sangue le scendeva dalla
fronte annebbiandole la vista. “Il mio viso”
sussurrò. “Va a fuoco”. E poi
tutto si fece rosso, fino a quando due pezzi di cielo non le ridiedero
il dono
della vista.
Finito!
Volevo chiarire
un po’ le cose ma non c’è l’ho
fatta…ma nel prossimo capitolo sistemo tutto
promesso. Vi avviso che da ora in poi ci sarà un cambio di
protagonista, se prima
era Naruto, ora sarà Hinata. Nel prossimo capito capirete
che è sucesso al
villaggio, ad Hanabi, e compariranno il nostro biondino, anche se
leggermente
modificato e forse anche sasuke e kakashi. Ringrazio tutti quelli che
hanno
commentato che hanno
aggiunto la storia
nei preferiti, oggi non c’è la faccio ma prometto
che nel prossimo capito vi ringrazierò
come si deve…comunque alla fine ho solo un debito,
matematica…bhe mi è andata
bene…un grazie a tutti spero che la
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