Come il cielo di luglio
16.
Il
mistero si risolve. Marianna Ripamonti realizza di amare suo marito
e corre da lui. Lo scontro tra Pietro e l’assalitore di
Tiziana Sabbati.
Vuota. Era così che si sentiva
Marianna. Affranta, infelice, disperata. La cosa preoccupante era che
pativa esattamente
come quando si era trasferita a villa Ripamonti. Ma se lì
c’era rabbia per un
destino ingiusto e tristezza per la mancanza dei suoi affetti,
lì, a Santoro,
vi era solo depressione.
Marianna non sapeva se stava male
per se stessa o per Tiziana e di questo dubbio se ne vergognava a
morte.
Perché Tiziana stava male,
malissimo. Non disse mai chi fu il suo aggressore. Né
parlò. Era come se fosse diventata
muta all’improvviso. Aveva gli incubi. Si sentiva sporca,
vomitava, piangeva.
In silenzio, sempre in silenzio. L’allegra ragazza di un
tempo non c’era più.
Tiziana Sabbati non c’era più. Era stata annullata
da un viscido essere che non
meritava nemmeno di vivere.
“Tutta colpa di quel figlio di malafimmina!”,
urlava Pinuzza da mattina a sera, distrutta anche lei. Marianna la
vedeva più
vecchia, cinica e fredda. Non la riconosceva più, come se
anche lei avesse
subito un sopruso irreparabile.
Il cervello di Marianna
registrava a malapena quella frase colma di disgusto e ira. Il suo buon
cuore
tendeva sempre a giustificarlo, ma
non era sicura che avrebbe resistito ancora per molto.
Calogero in tutta quella vicenda era
impassibile. Era sempre l’uomo che andava a pescare, ma con
la tristezza e la
delusione nell’animo. Cercava di essere forte, per la moglie
e per la figlia,
ma con scarsi risultati.
Anche Marianna piangeva. Da
mattino a sera. Piangeva per Tiziana, piangeva per se stessa,
perché finalmente
a villa Ripamonti era felice. E piangeva perché era
consapevole di ben altro
nel suo cuore.
Pietro era perennemente nei suoi
pensieri. Le mancava, lo voleva. Desiderava essere con lui, essere
consolata da
lui, consolarlo. Essere tra le sue braccia, baciarlo, volergli bene e
rispettarlo. Desiderava che fosse felice. E si sarebbe uccisa,
perché era
consapevole di essere stata la causa della tristezza di Pietro. Lo
aveva
abbandonato come se niente fosse. Lo aveva fatto per Tiziana, ma questo
non
bastava. Era troppo per lei.
E quando suo padre e Pinuzza lo
insultavano all’unisono, credendo che questo le facesse del
bene, dentro si
sentiva morire.
Lui non è così,
avrebbe
voluto urlare. È innocente. Innocente,
innocente…
Il mattino andava da Tiziana. Si
sentiva una stupida a chiacchierare di cose futili e senza senso che
Tiziana
nemmeno ascoltava, ma lo faceva per tirarle su il morale. La
portò anche al
mare. E quando aveva alzato lo sguardo verso villa Ripamonti, maestosa
sulla
grande rupe, una lacrima le era scesa sulla guancia. Tiziana
l’aveva notata, ma
non proferì parola.
La sera Marianna era a casa sua,
nella sua vecchia stanza. In ginocchio davanti al letto, la testa sul
suo
pagliericcio, pregava la Madonna, pregava sua
madre Lucia. E pregava per Tiziana, per
se stessa, e per Pietro, solo per Pietro.
Come sta? Mamma, sta bene?
Proteggilo, non fargli fare nulla di avventato o stupido, ne morirei.
Mamma,
perché? Sono così confusa.
Michele Bruno non alluse mai a
una possibile lite tra Marianna e Pietro, né del
perché lei fosse arrivata come
una furia il mattino nella sua vecchia baracca. Anzi, segretamente ne
era
contento. Per lui tutto questo era un segno del cielo, qualcosa che
indicava a
Marianna di stare alla larga da quel demonio. Peccato che Michele i
segni del
cielo non li sapesse interpretare.
Marianna era lì, nella sua
stanzetta buia, con il rosario in mano. Pregava fervidamente, gli occhi
chiusi.
Parlava con Pietro, sperando che la Madonna
o il Signore gli recapitassero i suoi messaggi,
magari in sogno.
Pietro, mi senti? Vorrei
essere lì con te. Mi manca il tuo sorriso. Mi mancano i tuoi
brillanti occhi
nocciola. Mi manchi tu, in tutta la tua
magnificenza, in tutta la tua
imponenza. Mi manchi, Pietro.
E la verità arrivò, semplice
come
un battito di ciglia.
Perché non l’ho
capito prima,
Pietro?
Ti amo.
* * *
Pietro era come morto. Era un
uomo morto nell’anima, ma non nel corpo. Purtroppo.
Non aveva mai desiderato così
tanto in vita sua passare oltre quello splendido cielo turchino.
Possibile che
Marianna fosse stata un’illusione?
Il Signore mi vuole punire per
i peccati commessi in passato. Dandomi la speranza di redimermi, e
togliermela
all’improvviso. E fa bene.
Desiderava raggiungere Laura.
Esisteva un aldilà? Se si fosse ucciso, l’avrebbe
vista lo stesso la sua amata
sorella?
Ma Pietro era consapevole di non
poter andarsene. Doveva scoprire ancora chi era stato
l’idiota che aveva
violentato Tiziana Sabbati. Lo doveva agli abitanti di Santoro. E lo
doveva a
lei, a sua moglie. Alla sua Marianna.
“Voscenza, ho bisogno di
parlarvi”. Pietro alzò lo sguardo dalla scrivania,
quasi spiritato. Riconobbe Cavani,
sottoposto di Lattuca. “So chi è stato. Ho
indagato, come mi avevate chiesto”
* * *
Passò una settimana.
Un tempo infinitamente troppo
poco per poter dire che fosse cambiato qualcosa. Tiziana aveva
ricominciato a
parlare. A monosillabi, ma era già qualcosa. Veniva
più spesso al mare e
cercava di ascoltare le chiacchiere di Marianna.
Marianna ne fu segretamente
soddisfatta. Sapeva che Tiziana era una ragazza troppo forte per
lasciarsi
andare. Forse perfino più di lei, che non faceva che auto
commiserarsi. Ma
soffocava i suoi pensieri per Pietro, perché le pareva non
solo di tradire se
stessa, ma di offendere la purezza di Tiziana.
Eppure quella domenica mattina,
dopo la messa, non poté non pensarci. Cosa stava facendo
Pietro? Perché non si
era più fatto vivo nei campi? Che fosse andato a Palermo?
Stava davvero indagando su chi
fosse il colpevole?
Marianna sospirò. Non lo credeva.
Lunedì pomeriggio, era a casa di
Pinuzza e Calogero nella povera stanzetta d’ingresso a
rammendare dei pantaloni
per suo padre, quando avvertì dei rumori strani. Ci volle un
po’ per capire che
erano singhiozzi. Si precipitò in camera di Tiziana in men
che non si dica, i
fluenti capelli ricci e scuri ormai dispersi dalla crocchia morbida.
“Tiziana…”
La visione di Tiziana, disfatta,
piangente e sconvolta, le uccise il cuore. “Oh,
Marianù… io… io…”
Marianna si sedette sul bordo del
suo pagliericcio, le braccia aperte in un muto invito che Tiziana
accettò
volentieri. “Shhh, tesoro… non sei costretta a
dire niente”. Marianna la cullò
tra le sue braccia, baciandole i capelli e sibilando confortante. Era
emozionata, perché era la prima volta che Tiziana si faceva
toccare.
“Ma io voglio dirtelo. Voglio
dirlo solo a te. Non è stato il marito tuo”,
balbettò Tiziana tra i singhiozzi,
avvinghiata alla sua figura.
Marianna non poteva confessarle
la sua certezza, dicendole che lo sapeva perché era a letto
con lui quel
funesto giorno, così si limitò ad annuire.
“Lo so, tesoro. Lo so”
“Quello… quello dello
sposalizio”
Si accigliò. Le mani smisero di
accarezzarle i capelli, in ascolto anche loro. “Che
cosa?”
“Lui…
ricordi quello che
aveva annunciato lo sposalizio nella piazza? Lattuca”
Marianna sospese il respiro.
Faticò a parlare, perché la bocca le si era
seccata. “È… è stato lui?”
“Sì… oh,
Marianna!” esclamò,
rituffandosi tra le sue braccia e nel suo seno morbido.
Le mani di Marianna la
carezzarono confortanti, quasi automaticamente. Gli occhi azzurri
brillavano
nel buio, spalancati e vuoti e sconvolti. “Tesoro,
perché non lo hai detto prima?”
Tiziana tirò su con il naso.
Sembrava una picciridda.
“Mi ha
minacciata… ha detto che se non avessi fatto accussì
non solo sarebbe
ritornato da me, ma avrebbe fatto del male a mamma e a
papà… e anche a te”
“A me? Tiziana, non avrebbe mai
potuto e lo sai. Sono la moglie del padrone e mai ci avrebbe
provato”
Tiziana si tirò un po’
indietro,
in modo da poter guardare Marianna in faccia. “Ma lui mi ha
detto così… mi ha
detto che sarebbe stato facile per lui, quando Voscenza era fuori nei
campi, a
entrare in casa e… e a fotterti”.
La
voce le si incrinò sul’ultima parola.
Marianna era visibilmente
impallidita. Aveva la nausea. Per calmarsi, prese un respiro profondo.
La mente
che lavorava frenetica.
Strinse Tiziana, suo unico
conforto.
* * *
Pietro. Pietro, il mio
Pietro, anima mia, cuore mio…
Doveva tornare a villa Ripamonti,
dirgli quello che aveva scoperto.
Si sarebbe sistemato tutto.
Sarebbe andato tutto bene.
Sarebbe ritornata da lui.
Tiziana era in piedi, le braccia
conserte. Fissava ogni suo movimento convulso, intenta a raccattare
tutte le cose
nella sua stanza. Dopo la sua rivelazione, Marianna l’aveva
trascinata in casa
Bruno senza pensare.
Marianna si chiese se lei potesse
sentire quello che stava pensando. I suoi vocativi sconnessi e amorosi.
Il suo
desiderio di rivedere Pietro e sorridergli radiosa.
Michele fece capolino nella
stanza, seguito da Pinuzza, decisamente sconcertato da quella visione.
“Marianù!”
“Mi dispiace,
papà”. La voce
secca, decisa.
Michele non ci mise molto a
capire. “Marianna, non puoi…”
“Sì, che posso”
“Marianna…”
“Papà…”
Ma lui quasi ringhiò, irato.
Sbatté una mano contro il muro, facendo sobbalzare perfino
Tiziana, che si
allontanò in fretta come un coniglietto impaurito.
“Non te lo permetterò! Non
puoi fare più niente ormai!”
Marianna lo fissò. Era risoluta
come non mai. Doveva andare da Pietro, dirgli quello che sapeva. Doveva
andare
da lui e perdonarlo, chiedergli di dimenticare tutto, di riabbracciarla
e di
amarla quanto lei amava lui. Ora ne era certa, più che
certa. “Non capisci”
“Cosa non capisco, Marianna?”
sbottò Michele, i denti serrati.
“Io lo amo,
papà”
Eccome se lo amava. E dirlo ad
alta voce non fece che renderlo ancora più reale.
Perfino Pinuzza era lì,
sbalordita. “Cosa…?”
“Lo amo, papà, e devo andare
da
lui!”
Michele era impietrito. Marianna
fissò il suo volto impallidito, le mani che tremavano quasi
convulsamente. Sembrava
davvero sul punto di picchiarla, come se fosse una bambina che aveva
combinato
una bricconata. Marianna aspettava, anche se in cuore suo sapeva di
essere
ormai una donna, con dei suoi sentimenti.
Marianna fu colpita, ma non da
suo padre.
“Disgraziata sei! Disgraziata!
Come puoi dire questo?”
“Mamma!”. Tiziana si
lanciò a
trattenere Pinuzza, ma lei la respinse in malo modo.
Pinuzza era incontrollabile. Si
era slanciata su di lei, sferrando schiaffi, pugni e calci. Continuava
a
picchiare Marianna come se fosse una squallida puttana.
Marianna si parava la testa con
le braccia, anche se inutilmente. Urlava, questa volta non di dolore o
di ira,
come aveva fatto con Pietro, ma di paura. Non se lo aspettava. Non da
Pinuzza,
la sua madrina, la donna che considerava quasi una madre.
Aveva paura di Pinuzza e non di
Pietro. Il mondo stava andando proprio a pezzi.
Poi, i colpi smisero di arrivare.
Marianna, che aveva sbattuto la testa contro il muro, si sentiva
stordita, il
sapore del sangue nella bocca.
Alzò lo sguardo, lentamente. Vide
suo padre, irato come non lo era mai stato. Il braccio di Pinuzza
stretto nella
sua mano. “Come hai osato picchiare mia
figlia?”, sussurrò
mortifero.
Marianna non si mosse, la testa
tra le mani. Tiziana stava rincantucciata nell’angolo della
stanza,
terrorizzata.
“Osi ancora chiamare tua
figlia quella sporca traditrice?”,
urlò Pinuzza, la voce isterica.
Fissò Marianna con rabbia, con disprezzo. “Non
è altro che una puttana, non la
vedi? È diventata la puttana di quel figlio di demonio
di Ripamonti! Ti
divertivi a letto con lui, eh, sciocca ragazzina?”
“Smettila!”,
sbraitò Michele,
senza mollare la presa.
Marianna scuoteva la testa,
meccanicamente. Ancora scioccata, si alzò lentamente in
piedi. “Pinuzza, non
capisci…”, sussurrò, sconvolta. Non
poteva crederci. Pinuzza, la sua madrina,
che le dava della puttana comprata. “Lui non è
come credi…”
“Zitta”
“È buono, gentile.
All’inizio era
diverso anche con me, ma è cambiato. Con me si è
mostrato per quello che è, un
uomo fragile rovinato dal suo stesso passato…”
“Zitta, brutta schifosa!”,
gridò
Pinuzza, saltellando sul posto per la foga.
“Tiziana, diglielo anche tu che non
è stato lui! Non è stato lui!”
Questo colpì Pinuzza oltre
l’inverosimile. “Cos…?”
“È vero,
mamma…”. Tiziana si fece
avanti, tremante. “Non è stato lui… non
c’entra nulla. È stato…
Lattuca”
Ci fu un attimo di pausa, prima
che Pinuzza si rivolgesse nuovamente a Marianna. “Lui
però doveva proteggerci”
“Ma non è il diretto
responsabile”
“Come puoi ancora
difenderlo?”.
Pinuzza rise, isterica. Incontrollabile. “Ah,
giusto… lo ami. Ah, che
idiozia”
“Non è un’idiozia!
Io lo amo.
Darei la mia vita per lui”
“Spero che tu stia scherzando,
Marianna”
“No, non scherzo, Pinuzza. E lo
sai”
Calò il silenzio nella stanza,
sotto la luce della luna piena. Senza una parola, tremante di paura e
determinazione, Marianna si alzò da terra e
afferrò la sacca.
“Marianna…”. La
voce di Michele
era fievole, tanto addolorata. Chissà perché, le
ricordò la morte della mamma.
Gli toccò debolmente il braccio.
“Mi dispiace, papà. Tornerò
presto”
Non guardò Pinuzza, nemmeno lei
era tanto coraggiosa. Ma lanciò un debole sorriso a Tiziana,
che ricambiò
appena.
E uscì nel cuore della notte,
fragile avventuriera.
* * *
Era notte, ma la luce della luna
era accecante. Pietro camminava ritto e fiero nella sua imponente
statura,
difficilmente riconoscibile. Sapeva dov’era
l’alloggio di Lattuca. Si fidava
abbastanza di Cavani da sapere che era stato lui.
Lattuca non stava dormendo.
Quando Pietro spalancò la porta semiaperta, lo
trovò seduto al tavolo di legno,
la bottiglia indubbiamente di vino vuota.
Non appena lo vide sull’uscio,
Lattuca ebbe i riflessi abbastanza pronti da alzarsi in piedi, facendo
cadere
il misero sgabello su cui era stravaccato poco fa.
“Tu… sei stato
tu…”
“Voscenza, io…”
“Lattuca, eri stato tu a
suggerirmi lo sposalizio!”
“Sì, ma…”
“E l’accordo era quello di rispettare
ogni singolo abitante del paese”
“Ma…”
“Ma cosa? Cosa?
Spiegamelo”
“Insomma, era così…
Come potevo non prenderla?”
“Ma è pur sempre un abitante
del
paese, Lattuca!”
“Io non capisco tutto ‘sto
problema, Voscenza. È soltanto una fimmina!”
“Se eri talmente affamato,
saresti potuto benissimo andare a puttane, e lo sai bene”
Ma Lattuca era arrabbiato. Oltre
che brillo. E, non avendo mai brillato di intelligenza, si mise da solo
nei
guai. Cavò un pugnale dai calzoni, puntandolo dritto su
Pietro. “Allora sarei
dovuto andare dalla mugliera vostra”
“Bada a come
parli…”. Gli occhi
nocciola di Pietro, spiritati, irati, sarebbero bastati come un normale
campanello d’allarme.
Ma Lattuca voleva provocarlo.
“Oh, sì… è bella, la moglie
vostra. Sapete quante volte mi sono toccato
pensandola? Glielo avevo detto, a quella fimmina,
che se avesse cantato avrei scopato anche lei… mo’ le tocca, le
tocca…”
“Vai all’inferno, schifoso
bastardo!”
Lattuca gli saltò addosso, la
lama del pugnale luccicante al riflesso della lampada ad olio.
Il
suono dello sparo riecheggiò
nella notte di plenilunio.
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Grazie
ancora, per i bellissimi complimenti che mi fate sempre e per il vostro
sostegno! Sono felice che qualcuno sia ancora rimasto! :)