it's in my dna efp
Chi mi ha ispirato: Serena
Traccia: lui (24
anni), lui (17 anni), delusi,
arrabbiati, parco innevato
Parola chiave:
litigio
Rating: verde
It’s in my Dna
-or perhaps
I am only a sleepwalker-
A te, che stai leggendo le mie parole
I suoi erano occhi tristi da condannato. Il suo era un amore macchiato
dal sangue.
Dietro lo sguardo azzurro di Alec si leggevano mondi di disperazione,
neri e grigi. Il lucido dei suoi occhi e la furia cieca lo abitavano
ormai. Era uno scheletro in completo e
cappello; strascicava i piedi ad ogni passo, come se una qualsiasi meta gli
fosse sgradita.
«Come stai?» Gli chiedeva la psicologa.
«Come te la passi?» Gli domandava Rebecca.
Lo scheletro di ghiaccio rispondeva con un bene distratto e le iridi
spalancate, come se con quei suoi grandi occhi blu potesse riuscire a scorgere
nelle loro anime.
Non perdonava a sua sorella Rebecca di non averlo capito. Non
perdonava a Nate di non essere venuto. E le loro parole gli vorticavano nella
mente. Loro, tuttavia non capivano cosa significasse essere il cattivo, quello
che mentiva sempre.
«Non cambierai mai; sei solo un
criminale.»
Così il suo destino era segnato, ce l’aveva scritto nel DNA; un
“criminale” tatuato sui miliardi di nucleotidi che lo definivano.
Il fantasma blu agitato dai propri pensieri aveva abbandonato la sua
posa rilassata sulla panchina, scrutava ora assorto la strada in cerca di un
qualsiasi segno di Nate; scorgeva tuttavia solo mocassini e tacchi neri:
dovevano ancora comparire i suoi
stivali da studente d’arte. Uno sfarfallio color amaranto, il cuore azzurro
sussultò: Nate stava arrivando in tutta la sua aria trasandata con una Canon in
una mano e un albo nell’altra.
Alec in giacca e cravatta alzò una mano e con un sorriso affabile, ma
incerto lo salutò. Lui gli rispose con tutta la sua fragilità e si lasciò
cadere sulla panchina.
I suoi occhi castani puntarono decisi alle iridi blu del ragazzo.
«Spiegami.» Non sembrava essere venuto per rimanere.
«Sei qui … » Alec non se l’aspettava; pensava di essere per lui solo
una vecchia storia da cancellare, uno di quei tratti di vita che poi diventano
realtà solo con diverse bottiglie di vino.
«Sì, ci sono.» sospirò Nate.
«È stata la psicologa, vero? Ti ha telefonato; ti ha detto che non
avevo miglioramenti. È solo per questo che sei venuto.»
«Alexander, ti sto dando la possibilità di spiegarmi tutto; perché con
te diventa sempre colpa mia?»
«Sei qui.» come un disco rotto Alec andava avanti.
«Alexander,» Nate gli prese le mani «guardami, sono qua. Io … io cerco
risposte.» L’altro non emetteva un suono. «Dovevo immaginarlo.» sospirò «Niente
della nostra storia valeva qualcosa per te. La psicologa diceva che eri
distrutto a causa mia, ma si sbagliava; io ti servivo solo per rubare il
Raffaello, stai così solo perché ti hanno sorpreso. Addio, Alexander. Addio. » Nate si alzò, gli stivali militari si fecero
strada sulla neve lasciando tracce scure, voltato l’angolo ci fu un’esitazione nei
suoi passi; gli occhi dolci da cerbiatto fremettero, non si girò tuttavia. La
neve dietro di lui si scioglieva a contatto con le lacrime; le mani cominciarono
a tremargli, sempre più violentemente, la Canon gli cadde fra il manto candido.
Invece di chinarsi a raccoglierla si lasciò cadere con le ginocchia, le mani a
coprirsi il viso, i disegni sparsi a terra: miliardi di barche a vela che
navigavano nell’oceano degli occhi di Alec, migliaia di sogni infranti e
specchi rotti. Tremava. D’un tratto, come a leggere una sua muta richiesta, una
giacca nera piovve dal cielo, una mano calda a stringergli la spalla, sguardo
nello sguardo, le iridi blu uscite dalla carta lo fissavano forti, “non ti ho
mai mentito” dicevano. “Torniamo assieme.” Aggiungevano.
«Alec … » Si lasciò sfuggire Nate troppo preso dai ricordi, accortosi
poi dell’errore si corresse: «Alexander, non posso.»
«E perché?» mormorò con gli occhi imploranti.
«Lo sai benissimo.»
«Quadri. Solo quadri; non uccido nessuno. Era un Raffaello, capisci! L’amore
per la bellezza, è forse questo che mi rende un»
«Criminale.» Completò Nate.
«Sì» poi aggiunse «ma cambierò. Voglio, vorrei che fosse tutto come
prima, ogni cosa, ogni bacio, ogni sorriso» gli rispose uno sguardo castano pieno
di dolore. «Non credi io possa cambiare.» Concluse con i tristi occhi blu.
«Non lo farai. »
«Fidati.» Fidarsi avrebbe significato ricominciare a dipendere da Alec;
fidarsi, mettere tutto in gioco di nuovo. Sapeva che se gli avesse dato una
seconda possibilità e poi lui l’avesse lasciato, si sarebbe trovato di nuovo
solo, in compagnia di se stesso, con più cicatrici e meno ossigeno.
È lui il tuo futuro; l’hai
sempre saputo. Disse una vocina dentro la testa di Nate.
«Provamelo. Dimostrami che sei cambiato, che il tuo amore non era una farsa
per rubare uno stupido quadro.»
«Va bene.» Alec fece una pausa come per raccogliere la verità « Mentre
stavo progettando il furto del “San Michele sconfigge Satana” ho saputo che uno
studente dell’accademia aveva ottenuto un badge per entrare nel museo. Dicevano
che era molto dotato, che volevano offrigli il posto per un’installazione;
dicevano che aveva l’abitudine di addormentarsi ovunque. Mi sei subito sembrato
una preda facile, Nate. Non ti avevo ancora visto, però e il giorno in cui ci
siamo conosciuti il mio piano ha cominciato ad avere una falla dopo l’altra.
Dovevo essere solo un amico per te, solo sottrarti quello stupido badge per il
tempo necessario a clonarlo, ma non riuscivo a fare a meno di te. Ricordo che
la prima volta che ti ho visto te ne stavi seduto sul bordo della fontana con
un caffè in una mano e un albo nell’altra, avevi una borsa stracolma di colori,
da cui riuscivo a scorgere la tracolla di una macchina fotografica. Non riuscivo
a smettere di fissarti. Ormai ti eri accorto che ti stavo guardando, così ho finto
di essere un ex-studente dell’accademia che aveva riconosciuto la divisa. Mi
hai dato appuntamento per quella sera stessa, a bere qualcosa. Per me un the,
per te un caffè.
Il resto è stato un sogno: la tua Canon che mi fotografava al
risveglio, le tue tempere sparse per casa insieme ai calzetti. Fino al furto.
Fino a che non te ne sei andato chiamandomi “criminale”, sentendoti sfruttato. Non
è così, non lo è. In questi tre mesi in cui ho vagato da un tribunale all’altro
non ho fatto che pentirmi; ho tradito tutti, li ho aiutati a catturare altri
come me. Credimi! Ho provato a chiamarti. Ti ricordi le telefonate delle
quattro del mattino? Quelle a cui nessuno rispondeva, quelle in cui pensavi ad
uno stupido scherzo; ero io. Solo per sentirti di nuovo. Rebecca mi diceva di
smetterla, mi ha poi costretto ad andare da una psicologa; diceva che avevo
bisogno di aiuto. Sbagliava, io avevo bisogno di te. Vuoi delle prove del mio cambiamento?
Ho tradito truffatori, ladri: i miei amici … Sono andato alla alcolisti anonimi
per cercare di smettere di bere.»
«Tu non bevi. Non dicevi che odiavi avere la mente annebbiata?»
«Questo era prima di te, Nathaniel.»
«Me?» Sembrava che per tutto quel tempo avesse pensato di essere
l’unico ad amare.
«Sì, te. Non capisco perché ti svaluti così tanto, sembra quasi che tu
pensi di non piacere a nessuno. Mai. »
«È così» mormorò Nate «A chi
vuoi che possa importare di me, Alexander. Né a mia madre, né ai miei amici.
Sono sempre stato solo. Mi sono fidato e sono immancabilmente stato tradito.»
«Nathaniel, per favore smettila. Io ti amo. Voglio esserci, voglio
proteggerti.» A quelle parole Nate cominciò a piangere, la neve a sciogliersi
al tocco delle lacrime. «Nate, Nate, che c’è? Che succede?»
«Sono un idiota.» singhiozzò «Sai, all’inizio ero quasi sollevato,
quando ho scoperto che mi avevi usato per rubare un Raffaello; avevo la prova
che era come gli altri. Avevo paura di vivere, di amare, anche se leggevo nei
tuoi occhi il mio futuro, mi rifiutavo di andare avanti. Sbagliavo. Io dovrei
lasciarmi andare. Io dovrei» si interruppe e baciò Alec lieve «fare questo.»
concluse.
Alec sospirò e si distese nella neve ridendo.
«Che c’è?» domandò curioso Nate.
«No, niente.» Rispose con un sorrisetto furbo.
«Eh no, adesso me lo dici!» E gli si scagliò addosso. Rotolarono fra i
cumuli di neve fino a che non riuscì ad immobilizzarlo.
«Okay, okay, va bene!» urlò ridendo Alec «È solo che, pensavo, se ogni
volta che facciamo pace tu mi baci così, mi vedrò costretto a litigare con te
ogni volta che sarà possibile. Ah, inoltre, nel prossimo litigio puoi tirarmi i
piatti? Ti prego, l’ho sempre sognato!» I suoi occhi azzurri persi nel cielo.
«Tu … tu, sei tutto matto, fattelo dire!»
«Sono solo felice; felice come non mai che tu sia qui, che … Io ero
nel buio, Nathaniel, con te è tornata la luce.» Gli occhi di Alec non erano più
profondi abissi, erano cielo primaverile.
«Ti amo.» Confessò Nathaniel
tutto d’un fiato.
Alec gli mise una mano sul capo. «Sei così carino; le tue orecchie
tutte rosse …» E scoppiò a ridere.
«Ah, è così, allora.» E una palla di neve piombò sul viso dell’altro.
«Signor Alexander White, questo è un affronto, del sangue verrà versato oggi.»
Cominciò così la battaglia a palle di neve di Love Park, fra sguardi
stupiti di passanti e bimbi che lasciavano le mani delle madri per unirsi al
combattimento.
Nate non sapeva se Alec avrebbe veramente smesso di rubare; aveva
deciso di fidarsi. Alec d’altro canto non sapeva se Lombroso
e la fisiognomica avessero
ragione; aveva deciso di provarci, però. Posso
cambiare. Pensava. I criminali hanno
lo stesso DNA degli altri. Si convinceva. Quando rubo è l’adrenalina che ragiona per me. Adesso, ho Nate, io ragiono
per lui. Forse rubare è un po’ come essere sonnambuli: una fase della vita, un
periodo strano che dura per sempre, se non arrivano le persone giuste a
svegliarti. Nate, grazie a te sono libero. Ora i miei sonni saranno tranquilli.
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