Nota:
[Storia partecipante al contest Slash Vs Het indetto da Lady.EFP sul
forum.]
Credo sia comprensibile nella lettura, ma in ogni caso lo preciso: le
frasi in corsivo centrate si riferiscono a ricordi, una sorta di
citazione interiore. Le ho inserite poiché ritengo che una
memoria eidetica possa avere questo tremendo effetto collaterale.
Spero di aver partorito qualcosa di buono.
Alex.
IN CIMA A UN FARO CON
L'AMORE TRA I DENTI
Il freddo avvolgeva le gambe slanciate come il tocco di
mille unghie gelate. I capelli tirati indietro dal vento e la pistola
tra le dita sbiancate, Spencer trascinava lo sguardo nel buio. Era quel
tipo di notte in cui tutto sembra fermo e il tempo era scandito solo
dalla lenta risacca del mare. Le uniche luci lungo la riva erano
così distanti da sembrare stelle piovute sulla terra,
lì dove l'orizzonte tornava a essere un'illusione ottica.
Tutto ciò di cui lui aveva bisogno era quel buio,
l'assenza di luce che potesse definire il contorno delle cose. Lo
fissò così a lungo che alla fine gli
sembrò di avere gli occhi chiusi. In fondo, desiderava solo
potersi togliere la vista per dimenticare.
L'arma già si intiepidiva nel palmo della mano,
dove riposava gli ingranaggi dopo aver adempito al compito terribile
per il quale era stata costruita.
Samuel
Colt, tante grazie.
Malgrado si sforzasse di non vedere, era impossibile
privarsi delle immagini, soprattutto di quelle trasportate dai ricordi.
Così si ritrovò dietro le palpebre la scena dalla
quale era fuggito, chiara come non fosse mai andata via: un colpo al petto, preciso e
mortale, aveva posto fine alla vita di un pericoloso killer, che si
sarebbe portato nella tomba l'innocenza di quattro vittime.
Il contraccolpo aveva fatto crollare l'uomo a
terra ed era stato come assistere all'inabissarsi di un'imponente nave:
tragico e spettacolare. A ventinove anni erano più le
persone che Spencer aveva ucciso di quante ne avesse mai amate:
tragico, per nulla spettacolare. Essere stato costretto dalle
circostanze e dal dovere non erano giustificazioni sufficienti, per
nulla in grado di alleviare il peso del vuoto che sentiva nel petto.
Mentre all'interno del corpo il freddo congelava
le ossa, all'esterno la pelle veniva tirata dalla salsedine trasportata
nell'aria, che pungeva le narici e seccava labbra che non riuscivano a
pronunciare nemmeno una scusa. A ventinove anni Spencer aveva ucciso
più persone della media nazionale -serial killer esclusi- ma
ancora non riusciva a sentire nulla: paura, disgusto o colpa.
Non sapere cosa si
prova non vuol dire non provare nulla.
La reverenza per Gideon gli aveva permesso di credere in
quegli insegnamenti per un breve ma intenso periodo. Erano stati tempi
migliori nei quali aveva potuto illudersi che la realtà
fosse quell'intenso luccicare in fondo al tunnel; tempi in cui quel
tunnel era ancora da esplorare. Mentre strisciava a stento nella vita,
la sua consapevolezza cresceva: agli allievi si insegna ciò
che hanno bisogno di imparare. Verità o menzogna sono solo
facce di una medaglia che ben poche persone possono permettersi di
ignorare.
Nel buio, sulla cima di quel faro abbandonato, con le luci
delle volanti alle spalle e nulla davanti tranne lo sconfinato mare,
Spencer si sentiva solo in un luogo lontano e nemico, colpevole della
propria freddezza. Il suono delle onde lente e regolari gli appariva un
monito ancestrale, duro come la disapprovazione di un padre. Lui era
lì, solo contro un mondo oscuro, dal quale sarebbe potuto
emergere all'improvviso uno di quei mostri sanguinari nei quali non
credeva, pronto a punirlo con artigli neri. In quell'oasi di macabra
fantasia, il sacro e viscerale terrore dell'oscurità lo
stava divorando, ma si impose di restare e tremare per poter provare
qualcosa che fosse diverso dal semplice nulla.
«Ragazzino, tutto bene?»
Sobbalzò vistosamente e riuscì a
controllarsi troppo tardi per non vergognarsene. Distinse con fatica la
sagoma di Morgan, comparso alle sue spalle con un tempismo
agghiacciante.
«Cosa vuoi?» chiese, stringendo le
palpebre per difendersi dalla torcia puntatagli contro.
«Sapere come stai. Insomma, quello che
è successo...non è mai facile, lo so.»
Ingoiò la rabbia e strinse i denti contro lontani
ricordi che emergevano esigenti da altri tempi e luoghi.
«Ho ucciso un uomo e volevo stare solo.»
«Non dovresti» gli disse Morgan con quel
tono che gli scatenava sempre reazioni contrastanti: insofferenza, sicurezza, odio.
«Possiamo parlarne.»
Spencer, dobbiamo parlarne.
«Non ho nulla di cui parlare.»
Morgan si avvicinò porgendogli la mano libera in
un invito caloroso e qualcosa dentro Spencer si ribellò
ferocemente. Rivide se stesso in balia delle dita fameliche del moro,
scosso da brividi che aveva per un attimo creduto essere il centro del
mondo. Sentì tutta la repulsione condensarsi in un grumo di
odio e risentimento, che affogò ogni altra sensazione.
Rifiutò la mano e lo oltrepassò,
fermandosi sul primo gradino delle scale, in attesa che l'altro gli
facesse luce per rischiarare le tenebre che in cinquant'anni il faro
aveva inghiottito.
Tenebre che il fascio di luce della piccola torcia
tagliò impietoso. Spencer seguiva la schiena di Morgan
giù per le scale dimesse, che in una spirale sembravano
portare dritte all'Inferno. Teneva la testa china, rifuggendo le ombre
e lasciando che la mente scivolasse via.
Arma puntata,
attenzione al mirino, dimentica che il bersaglio ha una sua vita e che
il tuo atto potrebbe strappargliela. Questo è
ciò che ogni agente dovrebbe ricordare e che Morgan gli
aveva detto molti anni prima. Ora si chiese: era davvero necessario colpirlo
al cuore? Era evitabile? E questa solitudine che provo si poteva
evitare? Lo stomaco venne afferrato dalla sensazione di
nausea e sgomento, ma era come assistere a una reazione lontana simile
a un film in tre dimensioni: realistico, non reale. Come un fantoccio,
continuò semplicemente a scendere, un piede dopo l'altro.
Devi affrontare le cose, non
puoi nasconderti.
Quando la luce gli venne puntata contro, oscurandogli alla
vista ogni altra cosa, Spencer, strappato ai suoi pensieri,
restò paralizzato. Una mano si strinse sul suo braccio e lo
costrinse contro il muro appestato dalla muffa.
«C-cosa...?» farfugliò, con
la gola secca.
Il terrore guantato d'artigli gli aveva afferrato
il petto, rendendogli difficile respirare, finché il viso di
Morgan emerse dal fascio di luce, ora puntato in un bizzarro alone
contro il muro. Le dita decise ancora gli stringevano il braccio e non
sembravano voler avere pietà.
«Morgan...che fai?»
L'altro appariva adirato, i tratti deformati da una cieca e
vecchia rabbia. «Ora non puoi scappare»
sibilò. «Ora devi ascoltarmi.»
Tutt'intorno il buio e lì loro, l'unica isola di
vita e luce. In un attimo il ragazzo realizzò di essere in
trappola, incatenato dagli occhi del collega: più scuri del
solito, le pupille dilatate e lucide. Erano così diversi da
quelli che ricordava, amorevoli e intensi, tanto sicuri da avergli
fatto credere per poco tempo di poter essere felice.
«Cosa provi, ora?» gli chiese Morgan, ma
nel suo tono non c'era nulla di sprezzante o sardonico.
Il dottore si agitò in cerca di uscita, il sudore
che si attaccava freddo alla nuca.
«Dimmelo» ringhiò.
«Hai paura? Sei arrabbiato? Cosa?»
«Voglio che mi lasci andare» disse,
cercando di essere imperioso, ma risultando quasi supplichevole. Ormai
sentiva il respiro dell'altro sulle labbra e la sensazione di minaccia
gli impediva di controllare la voce. «Lasciami,
Morgan...»
«Ti senti a disagio? Sto invadendo il tuo
spazio?»
Spencer annuì debolmente, cercando di deglutire
ma incontrando un pesante nodo sul fondo della gola, che sembrava
salire direttamente dallo stomaco. Il freddo rendeva gli arti pezzi di
piombo, mentre un calore bruciante infiammava i polmoni.
«Ho la nausea...» mugolò il
dottore, cercando di trovare un angolo sul quale dirigere lo sguardo
per sfuggire quello accanito del collega.
Non riusciva a razionalizzare e a capire cosa
volesse da lui o per quale motivo fosse così arrabbiato.
Soprattutto, non riusciva a concentrarsi per trovare la giusta forza di
affrontare queste domande, mentre la paura di quella vicinanza diveniva
un peso nella sua mente.
Prima che se ne rendesse conto, le labbra di Morgan si
mossero a pochi millimetri dalle sue, tanto che riuscì a
sentirne il sapore. A
ricordarlo.
Ricordava quelle labbra come fossero un piatto
prelibato cucinato solo per lui: morbide e calde, sempre accoglienti e
dolci. Cercò di reprimere quella reminiscenza, ma non
riusciva a cancellare la sensazione della lingua di Morgan contro il
proprio palato.
«Smettila di chiederti cosa
provi» gli disse. «E di pretendere una
risposta.»
Spencer non poteva aver dimenticato quella frase. Due mesi
prima le parole erano state esattamente le stesse, dette con molta
più rabbia e disperazione da una voce molto più
roca e stanca. Il ricordo ripiombò nella sua mente,
ribadendo la forza di quelle parole. Mancava un pezzo di frase e lui lo
avvertiva come un arto amputato che ancora fa male.
Smettila di chiederti
cosa provi e di pretendere una risposta.
Sei un egoista.
Il senso d'offesa bruciante gli
annebbiò la vista il tanto che bastava per rendere i suoi
riflessi ovattati. Così non riuscì a scansarsi
dal bacio che arrivò crudele, portando con sé il
terrificante potere di congelarlo. Non aveva nulla dei passati baci,
che erano stati caldi e rassicuranti.
Questo era...spietato. Un semplice incontro di
labbra, tagliente e ruvido, che, come un bambino capriccioso,
riaccendeva un fuoco sul quale inutilmente era stato gettato ghiaccio.
Spencer strinse istintivamente le palpebre, per non vedere e non
credere, ma percepì che gli occhi di Morgan erano spalancati
sul suo viso, li poteva sentire frugargli dentro fino a grattargli il
cranio. Il cuore gli arrivò in gola e la mente si
offuscò, rischiando di farlo crollare. Avrebbe voluto
scappare e, anche se durò solo un secondo, gli
sembrò la punizione eterna del Purgatorio.
Non finisce qui, non
finirà mai così.
Una voce alla sua destra lo strappò dall'oblio.
Spalancò gli occhi e si ritrovò avvolto dalle
tenebre, mentre la luce illuminava il viso smunto di un imbarazzato
agente di polizia.
Non riusciva a realizzare il momento esatto in cui
quel bacio era terminato, ma poteva avvertire distintamente le sue
labbra raffreddarsi e un preoccupante senso di svuotamento alla base
dello stomaco.
«T-tutto bene qui?» farfugliò
la recluta, qualche scalino più in basso. «Serve
aiuto?»
«Ti sembra ci serva aiuto?»
ringhiò Morgan, indicando a Spencer di seguirlo.
A passi svelti il dottore scese le scale, alla fine del
piccolo corteo aperto dal giovane agente in perlustrazione.
Ogni volta che la suola della scarpa toccava un nuovo
gradino, a Spencer sembrava di precipitare in un mare di pastafrolla,
nel quale il cervello ballava nel cranio vuoto come un palloncino di
leggerissimo elio. Nelle orecchie aveva solo il battito del proprio
cuore e, dal grado di surriscaldamento del corpo e di attivazione del
sistema nervoso simpatico, poteva trarre una prima deduzione
importante: imbarazzo. Si vergognava per aver condiviso
involontariamente quel bacio con gli occhi di uno sconosciuto e di non
aver saputo reagire al tocco di Morgan. Lui lo aveva semplicemente
disarmato, per di più consapevolmente.
Ma era solo una superficie sotto la quale non
riusciva a scavare, per il terrore di trovare un abisso con bocche
spalancate ad attenderlo. Lo sentiva ringhiare, come una sinfonia di
fondo. Era la minaccia eterna dell'amore e della passione, che
riposavano nel suo ventre e a quel bacio avevano risposto svegliandosi
per pretendere la sua attenzione. Il panico lo avvolgeva mentre gli
scalini sembravano non terminare più e il silenzio si
animava di voci lontane.
Quando la luce delle sirene e delle
torce cominciò a insinuarsi dalle feritoie nelle mura, lo
colpì con forza e fu costretto ad appoggiarsi alla balaustra
arrugginita.
«Tutto bene?»
Fece un cenno a Morgan e percorse a grosse falcate la
distanza restante tra l'anonima oscurità e la
crudeltà della luce.
Nello spiazzo ai piedi del faro una marea di
reclute, come operose formiche, perlustrava il terreno con le teste
chine e le torce spianate. Nel rombo del mare e del vento, le voci si
deformavano e le persone erano costrette a urlarsi contro. A Spencer
sembrava ci fosse troppa gente in troppo poco spazio. Immediatamente
rimpianse la sommità del faro, che dal basso appariva solo
un'edificio rosicchiato dal tempo e appestato dall'olezzo tipico del
legno putrefatto.
I compagni di squadra corsero loro incontro.
«Spence, dove eri finito?»
Il ragazzo provò a rispondere a JJ, ma gola e
mente erano aride.
«A riflettere» rispose Derek
per lui, poggiandogli una mano sulla spalla. «Sai
com'è fatto il nostro genietto.»
«Tutto bene?» chiese Hotch, scrutando il
dottore.
Spencer accennò un sorriso e annuì,
evitandone lo sguardo. Si sentiva sotto osservazione e temeva
assurdamente che se qualcuno lo avesse guardato dritto negli occhi
avrebbe potuto leggergli la verità. Una verità
che lui stesso non era certo di conoscere. Provava solo l'impellente
desiderio di nascondersi al mondo, di sottrarsi a ogni cosa, pur di
trovare un attimo di pace. E, soprattutto, voleva che Derek smettesse
di fingere così bene. Gli lanciò una rapida e
furtiva occhiata, trovandolo all'apparenza rilassato e...normale. Mostruosamente normale.
Non poteva credere di avere affianco la stessa persona di prima e
cominciava a sospettare che nel buio del faro qualcosa si fosse
impossessato di Morgan, per il semplice gusto di torturarlo. Era un
pensiero illogico, molto più confortante della razionale
realtà che lui non riusciva a trovare.
Non poteva permettere che gli antichi desideri di
unione e le ingenue illusioni di felicità prendessero il
sopravvento.
«D'accordo» concesse il capo poco
convinto. «Qui abbiamo finito, tornate in albergo. Partiremo
domani mattina all'alba.»
Spencer si lasciò cadere sul letto pesantemente,
la testa china irradiata dalle luci della strada oltre le grandi
finestre.
Nella penombra della stanza, vide le proprie gambe
tremare debolmente per la stanchezza e l'agitazione sottile che gli
contraeva i nervi. Nel silenzio la confusione si espanse nella mente
come una matassa, il cui capo era impossibile da trovare. Dove
cominciare?
Il
bacio.
Spencer scosse la testa: non è l'inizio.
Si rese conto che non sapeva dove tutto fosse
cominciato: forse nel momento stesso in cui aveva incontrato Morgan, al
suo primo sorriso, al primo tocco non voluto. Quante volte lo aveva
scrutato in silenzio, attento a ogni suo movimento, attendendo il
momento in cui quella maschera sarebbe caduta e lui gli avrebbe rivolto
uno sguardo di indifferenza o astio. Ma non era successo: Morgan era
sempre stato sincero. Per Spencer era stata una rivelazione, come molte
altre negli ultimi anni, dalla quale aveva appreso il senso della
fiducia. O almeno così aveva creduto. Ci sono lezioni che la
mente non riesce ad elaborare, nemmeno la sua.
Si scoprì a chiedersi, di contro, dove
tutto si fosse spezzato. Fino a poche ore prima, aveva potuto cullarsi
e difendersi dietro l'idea, ben radicata, che ogni cosa avesse seguito
il suo corso naturale, che quella dura e fredda separazione fosse stata
la conseguenza logica di premesse instabili.
Una relazione non si
può controllare, non è una partita a scacchi che
puoi figurarti nella mente.
Questo gli aveva detto Morgan, quando ancora poteva parlare delle loro
difficoltà sorridendo. Sincero.
Poi il sorriso era caduto, lasciando il posto a ringhi feroci, ma
sempre sinceri.
Forse era questo il nodo di tutti i nodi, il
fulcro della complessa ragnatela della loro relazione: Spencer non
aveva potuto essere sincero. Aveva tentato di nascondere le proprie
paure nei baci e tra le lenzuola, ma loro tornavano sempre nel pieno
della notte, mentre Derek dormiva placidamente al suo fianco.
Paura di non bastare.
Paura di vederlo andare via, stanco della sua
ingenua banalità.
Lui, Spencer Reid, non si sentiva
affatto speciale, quando doveva relazionarsi così
strettamente con qualcuno. Non riusciva mai a dire qualcosa di
realmente dolce o di dar voce ai propri sentimenti. Non poteva dargli
l'amore o l'attenzione che un uomo come lui aveva bisogno di avere
nella sua vita.
Aveva cercato di non turbare Morgan e di
non distruggerne la serenità, ma alla fine aveva fallito
anche in questo.
Ogni volta che Derek gli aveva sorriso, lui aveva mentito
sorridendo. Come spiegargli che non credeva nella loro relazione? Come
dirgli che non potevano funzionare e che gli opposti si attraggono solo
nella fisica?
Eppure tutta questa logica ora gli appariva solo una
giustificazione a priori. Mentre le sue mani divenivano fredde e i suoi
occhi secchi, cercò di allontanare il cuore da quel faro e
da quel bacio, dal modo in cui Morgan lo aveva toccato e dal suo odore.
Tentò di chiudere dietro un cancello adamantino il desiderio
che aveva provato di tornare ad essere il suo dottore.
Alle sue spalle avvertì un sospiro e
sentì sulla nuca lo sguardo di Derek, in piedi con le mani
sui fianchi -lo poteva immaginare con estrema nitidezza.
«Dobbiamo parlare.»
Spencer si guardò le mani e deglutì a
fatica: lo sapeva anche lui, dirlo non serviva che a sottolineare una
situazione già di per sé imbarazzante e bizzarra.
«E non dirmi che non c'è nulla di cui
parlare, perché non è possibile e lo
sai.»
Non
c'è mai stato nulla, mi dispiace Morgan. Sono stato felice,
ma ora è tempo di fermarci.
Questo lo aveva detto lui, Spencer, dopo aver affannosamente
cercato parole che non potevano esserci. Aveva mentito, ancora, con la
speranza segreta che l'altro lo capisse e gli desse una sberla morale.
A quanto sembrava, aveva sottovalutato le proprie doti attoriali.
«Allora?» lo incalzò Morgan,
con un tono tra l'invito e l'ordine. «D'accordo, comincio io:
cosa provi?»
«Confusione» ammise Spencer, mentre le
spalle si abbassavano.
«Hai provato disgusto?»
«No» rispose il dottore istintivamente,
facendo capire all'altro che l'idea non lo aveva neanche sfiorato.
«Cosa, allora?»
Spencer lo sentì avvicinarsi ed ebbe un moto di
repulsione: avrebbe voluto scappare e non dover affrontare la
situazione, ma sapeva che ogni fuga era inutile, perché lui
lo avrebbe trovato, sempre.
Non finisce qui, non
finirà mai così.
Dovessi arrivare
all'altro capo del mondo, io non ti lascerò mai
fare...questo!
Mentire ormai non era più una scelta. Con il
cuore dolente per ciò che doveva dire, prese un grosso
respiro e raddrizzò il più possibile le spalle.
Fissò lo sguardo nel vetro, incontrando il riflesso degli
occhi di Morgan.
«Io non ho provato nulla, Morgan. Mi
dispiace.»
«Stronzate» fu la secca risposta, quasi
un sibilo. «Le stesse stronzate che ti racconti da
mesi.»
Mi dispiace, ma io
non provo più nulla. Credo che avessi solo bisogno di
qualcuno vicino.
Il dottore strinse gli occhi inumiditi, rifiutandosi di
aprirli: non voleva piangere proprio ora. Era sopraffatto dalla
sensazione che nulla, in quel momento, potesse salvarlo e che questa
volta Morgan fosse venuto da lui per abbandonarlo definitivamente.
Chi poteva biasimarlo se lo avesse odiato?
Sentì qualcosa di metallo strusciare,
un suono inconfondibile che lo ripiombò nelle sensazioni di
quel faro: una pistola che veniva caricata. Balzò in piedi
d'istinto e si voltò, occhi sgranati e mani sudate.
«Prendila» gli ordinò Morgan
porgendogli la sua arma e lui, stupidamente, obbedì.
La guardò senza capire cosa
farne, quindi gli rivolse uno sguardo interrogativo carico di paura.
«Avanti, puntamela contro.»
«C-cosa?»
Morgan fece un passo avanti e ribadì deciso:
«Puntamela contro, ora!»
Spencer alzò l'arma con mani tremanti, senza
sapere esattamente cosa stesse facendo o dove l'altro volesse arrivare.
La mente era impietrita, perché quegli occhi scuri erano
così fermi da terrorizzarlo.
«Voglio che tu mi dica, ora, che non provi
nulla» disse Morgan, rigido.
Spencer guardò allo stesso modo lui e poi la
pistola, inclinata tra le sue dita in modo del tutto scorretto. Solo
allora realizzò di impugnare lo strumento di morte che
più volte aveva macchiato le proprie mani. La presenza di
loro due e di quell'arma nella stessa stanza gli risultò
intollerabile. La gettò via inorridito, facendola ricadere
sulla moquette.
«Tutto questo è assurdo, Morgan! Cosa
vuoi dimostrare?»
Il moro sembrò trattenersi e pensarci, poi
sputò fuori come un sibilo minaccioso: «Che ti
stai solo prendendo in giro. Fingi di essere un mostro insensibile,
qualcuno che non prova sentimenti, quando entrambi sappiamo che non
è così.»
«No...» mormorò con
disappunto. «Tu mi stai parlando di quello che tu credi io
pensi. Questo è un profilo mal riuscito, non ne hai il
diritto.»
Come poteva credere che fosse questo?
«Allora correggimi se sbaglio, saputello: hai
ucciso un uomo stasera e tutte le tue certezze sul freddo e calcolato
Spencer Reid sono crollate. Tra tutti, sei stato il primo a sparare e
l'unico. Era necessario? Certo. Eri nella posizione di tiro migliore?
Forse. Ma lo hai ucciso. Così come mi hai baciato.»
Il paragone stonò così tanto che
Spencer si ritrovò a fare una smorfia involontaria. Poi si
rese conto di non ricordare nulla di quel bacio: se avesse risposto
oppure no... Una faglia si aprì nella sua mente, lasciando
uscire con forza sensazioni che non sarebbero mai dovute restare
così tanto sopite.
Calore e
desiderio.
Dolore e
bisogno.
Guardò Morgan, riuscendo solo ora a vedere sul
fondo dei suoi occhi un luccichio di passione e ostinazione. Non si era
realmente chiesto perché lui fosse entrato nella sua stanza
a tarda notte, immerso com'era nei propri ciechi ragionamenti. La
domanda diventò pressante e sul fondo della mente aveva la
risposta, ma non voleva ammetterlo.
Lui era lì per loro.
Scosse la testa contro i propri pensieri, come un padre per
nulla orgoglioso del figlio. Ma in fondo che ne sapeva lui di queste
cose?
«Siamo stanchi» cercò di
liquidarlo. «Stiamo parlando di mulini a vento.»
Morgan non gli diede pace, arpionandolo con uno sguardo che,
per la prima volta, il dottore non riuscì a decifrare. Era
languido e anche impetuoso, come lava.
«Due mesi e tre giorni, Spencer. E ancora non ti
ho visto sorridere davvero.»
«No» mormorò il dottore,
portando le mani davanti al corpo. «So dove vuoi arrivare.
No.»
Era questo, allora. Voleva parlare di loro. Il momento
decisivo era arrivato, quello in cui la bestia nel cuore di Morgan,
sopita per due mesi e tre giorni, aveva semplicemente vinto, spezzando
le catene dell'orgoglio. Ora era lì, sul fondo delle
pupille, e pretendeva cose che Spencer non riusciva nemmeno a figurarsi.
Il moro fece un passo avanti che investì il
dottore come un'onda d'urto. Gli parve di essere sul cornicione di un
appartamento in fiamme, annebbiato dal fumo e dalle vertigini, indeciso
tra una fine lenta e dolorosa e un lungo volo disumano. Non poteva
fuggire dal confronto, privo di armi e scudi per proteggere il proprio
cuore dagli attacchi feroci della colpa.
Sarebbe stato facile arrendersi, ma lui non
poteva. Tornare indietro era impossibile: ormai aveva commesso il suo
grande scacco contro Morgan. Se si fosse arreso avrebbe solo ammesso la
propria debolezza e questo avrebbe sicuramente significato l'abbandono.
Nessuno vuole una persona debole.
«Sai cos'ho visto lassù?»
chiese Morgan. «Su quel dannato faro ho visto qualcuno che
aveva una paura bestiale e pretendeva di essere una statua.»
«Smettila» sbottò Spencer, la
voce più umida di quanto volesse.
«Ho visto che non eri tu»
continuò, sordo alle sue richieste. «Spencer,
questo non sei tu. »
Spencer si nascose il volto nel palmo nella mano, incapace
di trovare qualcosa da dire o anche solo di pensarla. Chi era lui?
Senti cose che non
hai mai provato e questo ti spaventa. Non ti riconosci.
Aveva sempre saputo quanta ragione avesse avuto Derek nel
dire quelle cose, quanto avesse visto. Più di se stesso.
Aveva rifiutato quelle parole, ma esse si erano impresse a fuoco, come
mille altre. Erano rimaste nascoste, in agguato, aspettando un
cedimento che doveva arrivare. E ora eccolo, investito da tutte quelle
parole, che tornavano come boomerang lanciati nell'oblio. Lo prendevano
per il collo e cercavano di trascinarlo via.
Ti amo, dottore,
ficcatelo in testa.
Tutto diventò grigio e la testa
cominciò a girare, come se contenesse un uragano. Non era
più il centro del ciclone, ma ne veniva investito appieno.
Aveva rinunciato ai sorrisi sinceri e ai baci amorevoli di una persona
che lo aveva amato. Nulla ora poteva fargli credere che ci fosse un
modo, anche uno solo, di riavere tutto indietro.
Per la prima volta, dopo due mesi e tre giorni, Spencer si
chiese se non avesse commesso un errore.
C'erano davvero difficoltà che non si potevano
superare, insieme?
Si rese conto che queste domande non avevano più
alcun senso e che tutto era ormai perduto. Negli occhi di Morgan non ci
sarebbero mai più stati amore e comprensione.
Aveva pagato un prezzo molto caro per tenere strette a
sé le proprie paure, solo ora poteva tirare le somme con
straziante lucidità.
Reggendosi la testa con le dita premute fin quasi alle ossa,
mormorò: «Morgan, basta. Io non so cosa tu
pretendi io faccia, ma ne abbiamo già discusso. Possiamo
essere solo colleghi, un giorno torneremo amici. Ma ora, voglio solo
che tu te ne vada, per favore.»
Non riuscì a guardarlo come se fosse
invisibile, non riuscì a dare un contegno al suo sguardo, e
non gli interessava neanche più farlo. Sapeva dove colpire,
sapeva il suo punto debole, e doverlo sfruttare lo faceva sentire come
un disperato che non sa più che pesci prendere. Quindi
lasciò che i suoi occhi palesassero tutta la sofferenza,
sperando che questo affrettasse la drammatica conclusione che
già sapeva: l'addio.
Non riuscì neanche a stupirsi quando non lo vide
cedere.
«Io non pretendo nulla, Reid. Voglio solo che
questi muri crollino. Voglio solo poterti toccare senza che tu scappi.
Voglio che tu sia sincero, per una volta, e che ammetta che anche tu lo
vuoi.»
Il dottore sentì gli occhi affogare
nell'umidità. Si impose di resistere, ma non si possono
realmente ingoiare le lacrime.
Morgan voleva ancora lui? Spencer
piombò nella confusione, non riuscendo più a
distinguere i suoi ricordi dal momento attuale.
«Perché?» chiese
con voce strozzata e i polmoni artigliati da un grosso ragno invisibile.
«Perché ne ho bisogno. Maledizione,
Spencer, sono un essere umano e lo sei anche tu. Cosa vuoi che ti dica?
Non c'è un perché, è così e
basta. E non riesco...non posso tollerare che tu finga, non
tu.»
«Perché io?» insistette
Spencer, riaprendo una vecchia cicatrice fatta di dubbi e sfiducia.
Morgan allargò le braccia esausto.
«Non c'è un perché, Reid!
Succede e basta. Non posso dirti che sei speciale e unico per qualche
tua dote. Lo sei perché sei importante per me.»
Prese una pausa e la mano si mosse in un gesto stizzito.
«Perché devi essere sempre così
paranoico? Perché non riesci a fidarti di me?»
E il premio
di mister paranoico va a...guarda un po', il dottor Reid.
Aveva riso, allacciandogli la collana al collo.
Ti ho fatto un regalo
perché mi andava, ci deve essere per forza un'altra ragione?
Una collana che Reid non si era mai tolto e che
ancora indossava, sotto la leggera camicia bianca. La poteva sentire
calda contro lo sterno, improvvisamente pesante, come se la pelle la
stesse rigettando. Lacrime stanche cominciarono a scendere agli angoli
degli occhi.
«Io ti ho lasciato, Morgan...»
«Me lo ricordo bene.»
Spencer alzò su di lui uno sguardo
confuso. «Non sei arrabbiato? Non...mi
odi?»
Morgan serrò le mascelle, prima di
scuotere la testa. Lo aveva visto così teso ben poche volte
ed erano state sempre circostanze in cui una lotta feroce gli aveva
occupato la mente. Per Derek Morgan le contraddizioni erano come draghi
da infilzare senza sosta.
«Come puoi pensare che ti
odi?» Si morse il labbro, come se si sforzasse di trattenere
qualcosa, ingoiando parole dolorose. «Voglio solo che tu mi
dica cosa provi per me.»
Improvvisamente lo sguardo del moro divenne sfuggente,
allontanandosi dagli occhi arrossati del dottore.
«Io non so cosa provo»
farfugliò Spencer con la bocca madida di pianto. Ormai non
poteva più trattenere le verità che spingevano
per uscire. «So solo che provo rimorso per ciò che
ho fatto. Provo rimorso per...averti lasciato. Vorrei che tutto
tornasse com'era, perché io...ero felice. Ma non posso darti
ciò che tu hai bisogno di avere, non posso garantirti nulla.
Se tu resterai qui, non avrai ciò che desideri. Qui ci sono
solo io...»
Alzò lo sguardo a cercare una reazione
che temeva fosse di rabbia, sentendosi nudo e crudo come carne fresca
nel deserto d'avvoltoi. Li poteva sentire grattare la gola per far
uscire un verso raggelante. Ma ciò che incontrò
furono due occhi neri e liquidi come caffè. Occhi che
volevano solo lui.
Derek si avvicinò e lo abbracciò, con
calma e come fosse naturale, incurante della debole resistenza del
dottore, che si sciolse sotto i suoi muscoli.
«Va bene» disse solo, carezzandogli i
capelli.
La salsedine si infiltrava tra gli infissi,
diffondendosi dolce nell'aria e invisibile ai tenui bagliori dei fari
stradali. In cima a una vedetta sulla spiaggia, una luce più
gialla rischiarava un pezzo di riva, dove l'acqua era mossa e gelida. I
corpi distesi sul letto erano rilassati, i muscoli che bramavano riposo
e le labbra che sussurravano appena.
Morgan stringeva il suo dottore come se potessi
sfuggirgli. Sotto il palmo ne sentiva il rilievo dell'ombelico, le ossa
sporgenti del bacino, l'addome teso che pian piano si riscaldava. I
capelli di Spencer gli solleticavano il naso, ma non aveva voglia
né forza di scostarli.
«La trovata della pistola è stata un
po' melodrammatica» mormorò il dottore, la voce
soffocata dal cuscino.
Sul viso di Morgan si aprì un sorriso
involontario e lui cercò di dominarsi assumendo un tono
falsamente serio.
«Non sono io il melodrammatico della
coppia.»
La frase gli era uscita così, senza
pensarci.
Coppia?
Trattenne il respiro e restò in
ascolto, la mano sullo stomaco dell'altro per avvertirne la lieve
contrazione. Il cuore gli si scioglie quando sentì la
risatina canzonatoria di Spencer.
«Io non sono affatto così.»
«Certo, certo.»
Il dottore intrecciò le dita alla mano del
compagno, mentre parole così poco familiari perdevano il
loro senso e le domande si placavano.
Amore.
Amicizia.
Che
importanza ha?
Era stato stanco troppo a lungo, freddo per così
tanto tempo che il cuore aveva rischiato di ghiacciarsi. Ora non gli
importava di avere risposte, se poteva sentire questo calore. E non gli
importa della seminudità dell'altro e di come tutto
ciò gli sembrasse giusto, per nulla fuori posto.
In quella notte, molti furono i baci scambiati, con mille
sfaccettature: veloci e bisognosi, lunghi e caldi, scherzosi e
frettolosi. Ben poche furono le parole.
Nel buio, Spencer non si sentiva solo, non aveva paura,
aveva solo voglia che tutto questo non finisse e, per la prima volta
nella sua vita, desiderò che l'alba cruda non arrivasse a
denudarli del favore delle tenebre, gettando luce su di loro e
costringendoli a vedere la realtà.
Per lui, la stretta di Morgan era una realtà, non
il bisogno che sarebbe nato di illuminare i demoni del passato, di
usare parola e pensiero, di applicarli a qualcosa che non aveva nome.
Qualcosa che ora era dormire con lui senza condizioni.
Scoprì quella notte che l'unico modo per far tacere le paure
era annegare nel corpo di Morgan, ascoltare il suo respiro nel buio e
non attendere la luce, foriera di dubbi e domande.
In quegli occhi neri aveva rivisto l'amore nella
sua forma più pura e istintiva, quindi tutto il resto era
divenuto solo uno sfondo confuso. Quegli occhi avevano detto senza
parole cose fondamentali come accettazione
e infinito.
Cosa provo?
Decise di non rispondere, mentre la domanda cadeva
nel vuoto e perdeva l'impellenza che l'aveva caratterizzata per tutta
la sua vita.
Sto bene.
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