Di
carta e di sangue
Prologo:Aliena
Era
una nonnina
dai capelli bianchi, stessa sfumatura delle nuvole, che camminava di
buon passo
verso casa dopo essere stata in paese per tutta la mattina. Il passo svelto,
nonostante l’età, i pensieri
rivolti ai figli e ai nipoti con cui aveva parlato e giocato, un
sorriso sul
volto.
In una
parola,
il ritratto della felicità.
Il
sole le
illuminava il cammino, un sentiero sterrato per metà invaso
dalle felci che si
arrampicava sulla collina: la vecchia signora era davvero contenta che
la sua
casa si trovasse in un posto così bello, esposto al sole ma
riparato da grandi
pini, con un giardino immenso dove coltivare i suoi amati rododendri e
dove
piantare ogni anno nuovi alberi da frutto, per coloro che sarebbero
venuti dopo
di lei e, perché no, anche per se stessa, dato che ogni
primavera scopriva con
piacere di essere sopravvissuta all’inverno un anno di
più. E le ciliegie erano
così buone a maggio, sarebbe stato un peccato perdersele,
dopotutto.
Una
delle sue
figlie, la maggiore, aveva appena partorito: era stato chiamato il
dottore,
Barbara era stata portata all’ospedale e tutto era andato
bene. Non erano più
negli anni Venti, quando far nascere un figlio era ancora
un’avventura: lei
stessa ricordava sua madre, poco più che ventenne, dare alla
luce sua sorella
su un letto sfatto, con l’aiuto suo e della levatrice.
Doveva
essere
stato poco prima della sua partenza, e del primo
matrimonio.
La
donna si
fermò di colpo. Com’era possibile? Come poteva
ricordare un episodio della sua
vita prima dell’Incidente, come lo avevano chiamato tutti?
Eppure il ricordo
era lì, come se non
si fosse mai
allontanato da lei. Respirò a fondo. Possibile che le fosse
tornata la memoria,
alle soglie dei novant’anni?
Prima
del
matrimonio...se ricordava la nascita della sorella (pace
all’anima sua), allora
avrebbe dovuto ricordare anche il matrimonio e la partenza per
l’Oriente. Provò
a pensare intensamente alla fotografia del suo defunto primo marito,
quella che
le avevano dato al suo risveglio in quell’ospedale dove
iniziavano tutti i suoi
ricordi. Niente. Il momento era passato.
Con
una punta di
frustrazione, sensazione insolita per lei, riprese il cammino verso
casa: forse
era meglio così, e si sarebbe accontentata di quel relitto
riemerso da un
passato che era meglio non svelare.
Che
strano modo
di formulare un pensiero… In tutta la sua vita non aveva mai
usato le parole “relitto”
e “riemergere”, tanto meno per riferirsi alla
propria memoria.
Forse
era vero
che con l’avvicinarsi della morte si inizia a perdere la
testa.
Finalmente
raggiunse la casa: era una piccola costruzione di legno, con battenti
verdi
alle finestre e piante di rododendro nei vasi. Tutt’attorno
la circondavano
alberi: ciliegi in fiore, che ammantavano di bianco il fianco della
collina,
punteggiati dal rosa di qualche pesco. Il cuore dell’anziana
donna si riempì di
pace a quello spettacolo: per quanto la sua mente le giocasse brutti
tiri,
ormai niente poteva più farle del male, non in una giornata
come quella, con
quel sole che illuminava i petali immacolati, riflettendo la luce
tutt’intorno.
E fu
allora che
la vide: una giovane donna vestita di nero, con i capelli color
papavero. Non
sapeva chi fosse, non aveva idea di che volesse, ma fu improvvisamente
certa di
una cosa: ormai era giunta alla fine.
La
giovane le
venne incontro dal bosco di ciliegi, senza fretta. Guardandola bene, le
appariva familiare, come se l’avesse conosciuta molto, molto
tempo prima.
Un
altro ricordo
che aveva trovato la strada per riemergere?
“Ti
ricordi di
me, Aliena?”
Aliena…Ormai
nessuno la chiamava più così, nemmeno
l’incaricato dell’anagrafe del comune. Un
nome strano, insolito, ma sua madre era stata insolita, da quel che le
avevano
detto. Aliena: figlia di nessuno. All’epoca della sua nascita
erano girate
voci, sussurri che non avevano trovato eco a causa della guerra, era
già troppo
dover sopportare di vedere i propri cari morire tra il fango, e se
anche
qualcuna avesse ceduto all’assenza del marito non aveva
importanza. Aliena,
figlia di nessuno: eppure aveva avuto una madre, e un padre, chiunque
fosse
stato; non era un’orfana, le aveva detto la zia, quando una
banda di ragazzine
l’aveva derisa per quel nome assurdo, al momento della sua
nascita sua madre
era assistita non solo dalla levatrice, ma anche da tutte le donne
della
famiglia, la zia stessa aveva aiutato la levatrice ad estrarla dal
ventre di
sua madre, l’aveva tenuta in braccio e data a sua madre, e
questa era la verità
delle verità, la Madonna era testimone, e lei, Aliena, non
doveva aver paura di
quelle scostumate, loro sì potevano essere figlie di
nessuno, con i padri in
guerra e le madri pronte a darsi al bel tempo con chi capitava.
Un
altro
ricordo?
La
donna dai
capelli rossi ormai era davanti a lei: portava al collo una catena, non
una
collana, proprio una catena di ferro, arrugginita all’interno
degli anelli, che
le circondava il collo e ricadeva sul seno. I suoi vestiti erano neri,
senza
riflessi, e non portava gioielli, a parte la catena, se poteva essere
considerata un gioiello.
Aliena
ebbe l’impressione
che non fosse così, ma il caos nella sua testa era troppo
pressante per potersi
concentrare sull’abbigliamento della sconosciuta.
La
testa le
girava e le orecchie le fischiavano: si chiese se quella era la morte,
e se la
donna era proprio Lei, la Morte in persona venuta a prenderla e a
portarla dall’altra
parte. E lei che aveva sempre pensato di morire circondata dai
familiari, nel
suo letto.
“Chi
sei?”
Riuscì infine a chiedere con voce fievole. “Sei
qui per me?”
La
donna la
fissò senza sorridere. Decisamente non le piaceva, quella
Morte. Il Padreterno
avrebbe potuto scegliere qualcuno di più adatto.
“Sono
qui perché
è arrivato il momento di ricordare, Aliena.” E le
prese entrambe le mani. Ora
il suo viso aveva un’espressione quasi supplicante.
“Ti prego, ricordati.”
E,
come se una
diga si fosse rotta nella sua testa, Aliena improvvisamente
ricordò ogni cosa.
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