Il dolore del rimpianto

di Nocturnia
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Il dolore del rimpianto
Disclaimer: Zanor, Addakra e tutti gli altri personaggi appartengono all'autrice Nocturnia. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.



"Il dolore è lo spezzarsi del guscio

che racchiude la vostra conoscenza."
- Khalil Gibran -

Il dolore del rimpianto


A vederti, saresti parsa un fagotto di stracci e pelle, una strana macchia nerastra in mezzo al candore di una neve soffocante.
Se solo qualcuno ti si fosse avvicinato, avrebbe visto il tremore convulso del tuo petto, il coagulo di sangue sui tuoi polsi e lo sguardo assente: il nulla di un futuro annientato.
Consegnavi alla storia una donna sterile e distrutta, talmente spigolosa da essere guerriera e lama, vuota come un fantasma e bruciante come il rimpianto.
Immobile, avevi poggiato le labbra su quel grumo di roccia innevata, ingoiando il fiele della sconfitta.
Il pugno implacabile della perdita.
Avevi emesso un singhiozzo, simile allo stridio di una bestia ferita.
Artigliando la polvere di quel sepolcro, ne avevi lanciata una manciata al cielo, quasi a volerlo colpire con i resti di un domani mozzato.
Beffardo, ti aveva restituito una massa gelida e pungente.
Il vento era spirato tra i tuoi vestiti con forza inaspettata, facendoti sussultare.
Era lui il condottiero del Nord, il signore indiscusso di quei margini aspri e sassosi, spalle larghe e negli occhi l'antica lingua delle Dreadland: tu, una ridicola femmina sfregiata e sola.
Quando anche l'ultima lacrima si era asciugata, avevi alzato lo sguardo, fissando un'aurora priva di significato.
Lentamente, ti eri rannicchiata contro il suolo, abbassando le palpebre e poggiandoti una mano sul ventre, dove un utero cavo sanciva la tua condanna.
Inerte, ti eri lasciata andare a un sonno che pareva più una resa, sulle ciglia i primi cristalli di ghiaccio.
Nell'aere, le esangui parole di uno spettro.

Ti si era raggomitolata addosso, sprofondando il volto nell'incavo del tuo collo.
Avevi emesso una risata bassa e vibrante, carezzandole i capelli e coprendola con il lenzuolo.
Il sospiro stizzito con cui ti aveva baciato era stato rapido e famelico, salvo poi sciogliersi nel liquido di un sentimento divorante.
"Ho fatto un sogno." avevi mormorato sulla sua bocca, percorrendone il profilo pieno e divertito.
"Ah sì?" ti aveva replicato Addakra, spingendoti contro la testiera del letto "Era bello?"
L'avevi sollevata per i fianchi, rovesciandola sotto di te.
A quel movimento, repentino e prevaricatore, Addakra aveva sorriso, percorrendoti l'addome con le dita.
"Era bellissimo." le avevi risposto, sfiorandole lo zigomo con i polpastrelli "Bellissimo."

"Cosa ha detto?" articolò una voce incolore, a tratti persino sfocata, quasi borbottante.
Ti sentivi affogare, la gola un deserto di lava e sabbia bruciante.
"Niente. Non ho capito."
Avevi provato a parlare, ma la lingua sembrava essersi incollata al palato.
Forse neppure c'era più.
Con uno sforzo immane eri riuscito a sollevare una palpebra, salvo poi richiuderla di scatto.
Avevi provato ad allungare una gamba, ma una sensazione sgradevole, come una scossa elettrica, ti aveva attraversato la coscia.
Qualcuno - o qualcosa - ti aveva toccato l'orbita, lasciandoti una scia appiccicosa sul viso.
"Ci senti, Zanor?"
Avevi scosso il capo un paio di volte, percependoti lento e dolorante.
Tutto era fermo, immobile, stagnante.
"Addakra..." era stato l'ansito rauco che ti era sfuggito dalle labbra screpolate "Addakra..."

"Ti piace tanto il mio nome?" ti aveva irriso la ferae, premendoti le mani sulle natiche e percorrendoti le vertebre flessibili della schiena.
Languidamente, le eri scivolato più vicino, poggiandole il naso contro la fronte e snudando i denti.
"Non è la sola cosa."
Addakra era scoppiata in un riso scanzonato, stringendoti tra le cosce quasi fossi il suo terreno privato, una preda riottosa e pericolosa.
Fuori, il mondo si era addensato in un amalgama di bruma e riflessi azzimati, la luna una pallida ombra sullo sfondo della notte.
Dentro quella stanza, un groviglio di desiderio e pelle, l'urgenza di una fame più profonda.
A terra, una balestra pronta alla guerra.
Tra le tue braccia, lo stigma pulsante e vischioso di una nuova alba.

"Ci siamo quasi, ci siamo quasi!" aveva gridato la voce di prima, un prurito insopportabile verso il coccige e qualcosa di rovente che ti attraversava i muscoli, le ossa, schiantando ogni altra cosa.
La testa si era flessa all'indietro in maniera innaturale, il suono sordo dei tuoi piedi che sbattevano contro una superficie rigida che ti rimbombava nelle orecchie.
Avevi spalancato la bocca, annaspando in cerca d'aria.
Un tanfo insopportabile di putrefazione ti aveva aggredito le narici, davanti ai tuoi occhi sbarrati un'esplosione di colori, destinati a essere fagocitati da una luce accecante.

Crack.

Basito, ti eri squadrato il polpaccio, interdetto dal bianco della tibia ormai esposta.
Frustrato, avevi tentato di alzarti, ma avevi incontrato la resistenza dell'acciaio.
Catene durissime e magiche ti ghermivano i polsi, impedendoti di muoverti.
Avevi percepito la rabbia come un nodo al centro del petto, un rogo che aveva lasciato spazio al nulla della violenza e della morte.
Sputando un bolo nerastro di saliva e decomposizione, avevi portato le braccia all'indietro, gonfiando il petto.
Tintinnando cupamente, il giogo dei cultisti era rovinato sulla lastra in metallo, spezzato.
Della tua disciplina, rovine fatiscenti.
Della tua umanità, le briciole che una femmina stava inseguendo, affamata.

Plotch.

Il sangue ti aveva lordato il mento, una strana appendice squamosa che ti dondolava intorno ai fianchi e il cranio di uno dei cultisti spappolato contro il muro.
"Magnifico." aveva esalato la creatura prima di accasciarsi sull'impiantito e lì rimanere, vomitando le propria interiora "Magnifico."
Disorientato, ti eri aggrappato all'ultima scheggia di realtà, quel sogno delirante e opprimente che ti sembrava più orribile di minuto in minuto.
"Addakra?"

"Cosa c'è?" aveva mugugnato assonnata la ferae, cingendoti la vita con il braccio libero.
Ansioso, l'avevi abbracciata così stretta che ad Addakra era parso di sentir scricchiolare una costola.
Si era issata sui gomiti, madida del tuo sudore e della tua paura, improvvisamente sveglia e preoccupata.
"Cosa succede, Zanor?" nella sua voce una nota acuta, leggermente isterica "Demoni?" aveva continuato, piegandosi verso le armi e poggiando un piede sul pavimento.
Le avevi afferrato il braccio, riportandola tra quelle lenzuola bagnate e stringendola, quasi volessi strapparti la pelle e diventare un tutt'uno con lei.
Addakra aveva aggrottato le sopracciglia, sospirando rumorosamente e deponendoti un bacio sulla linea volitiva della mascella.
"Ancora quel sogno?"
"Sì." eri riuscito a confessare "Ed è sempre più repellente, notte dopo notte."
La ferae aveva strofinato il naso contro il tuo petto, rilassandosi un poco.
"Non può poi essere tanto diverso dalla realtà in cui viviamo ogni giorno, Zanor." aveva alzato lo sguardo, il baluginio delle fiamme del camino che si rifletteva nel cremisi di quella pupilla ungulata.
L'avevi fissata a lungo, cullandola sotto le lenzuola e beandoti della sensazione di calore che ti procurava.
Addakra si era riaddormentata poco dopo, una mano sul ventre e l'altra intorno al tuo collo.
Quando fosti certo che non potesse sentirti, ti lasciasti sfuggire un lungo e prolungato singhiozzo, il sale di una prospettiva straziante che ti incendiava le membra.
Il respiro della ferae era un soffio rovente e rassicurante contro la tua clavicola, il seno che si alzava e si abbassava ad un ritmo regolare e pacato.
Tra la pietra del focolare le braci erano ancora vive, lingue di fuoco che facevano scintillare il corvino della livrea di Addakra e il perlaceo dell'orgasmo passato.
Quella piccola femmina aveva detto il vero: niente era peggio del mondo che combattevano quotidianamente.
Ti eri sdraiato accanto a lei, cercando di recuperare quelle poche ore di tranquillità che vi rimanevano, intrecciando le tue dita con le sue.
E l'incoscienza ti aveva, finalmente, vinto.

"Guardati. Sei splendido."
Non sapevi dov'eri, ma il cultista che avevi davanti ti faceva venire una gran voglia di picchiarlo, svellendogli spina dorsale e cervello.
Avevi gettato uno sguardo in tralice alla stanza, la pupilla che smembrava quelle pareti fin quasi trovarne lo scheletro.
Non c'erano finestre, se non una piccola feritoia da cui avevi intravisto il rosato dell'alba tra i cirri esangui delle nubi.
"Dove sono?"
Ti eri trattenuto da lanciare un grido all'udire la tua stessa voce: sembrava essersi abbassata, assumendo sfumature più roche del normale.
Cercavi una traccia del tepore in cui avevi lasciato Addakra, ma non ne scorgevi nemmeno la flebile impronta.
Poi, l'imago residua del tuo essere ti aveva colpito in pieno viso, stordendoti con la sua potenza.
Con il suo orrore.

"Sai, per essere una cacciatrice di demoni sei terribilmente golosa."
Addakra ti aveva scoccato un'occhiata eloquente, ingoiando il suo tortino al cioccolato e latrando un insulto che era stato un capolavoro di finezza.
Avevi sorriso, tentando di sottrarle il piatto.
La ferae l'aveva afferrato per il bordo, digrignando i denti e ficcandoci sopra la forchetta.
"No." aveva berciato irritata "Ho fame e mi merito tutto questo tortino, fino all'ultima briciola."
Ridacchiando, avevi lasciato il dolce, buttando lo sguardo oltre l'orizzonte e ghermendo la catena montuosa che vi divideva dalle Dreadland.
Sapeva essere terribilmente infantile la tua Addakra, salvo poi sguainare le unghie e graffiarti schiena e volontà, saggiando nel tuo sangue il suo dominio.
"Qual è la prossima tappa?" aveva bofonchiato masticando
Ti eri preso qualche istante per rispondere, la disciplina indicarti la tua terra natia, il cuore spingerti dalla parte opposta.
Era stato un destino ingrato oppure la tua ottusa anima a condannarvi?
Era stata la protervia dei lupi a sancire la vostra fine o solo l'irrisorio miraggio di libertà del falco?
Non sapevi parlare d'amore, poiché i morti non hanno futuro e non si concedono il lusso di immaginarlo.
La baciavi e ne dominavi i lombi, ma eri consapevole di non avere promesse da offrirle, perché la vita di un cacciatore è ridicolmente breve, la tomba il sigillo che frantumava ogni giuramento, l'ultima puttana a cui concedevi i tuoi favori.
L'avevi accarezzata con quell'iride artica, retaggio di un mondo brutale e gelido, tenendola stretta a te.
"Andiamo a nord. Preparati: non sarà un viaggio facile."

Non eri cambiato poi tanto.
Possedevi ancora la lugubre e tetra bellezza che aveva affascinato Addakra, ma dietro di te ondeggiava una lunga coda scagliosa e piena di rostri.
Avevi aperto e chiuso le dita un paio di volte, sentendole come estranee.
"All'inizio i movimenti saranno impacciati, poi acquisterai forza e destrezza."
Non ti eri neppure girato, vibrando un colpo pieno di furia e tristezza, con cui avevi squartato l'addome del cultista.
Rapido, avevi conficcato quel pungolo screziato d'ebano nella bocca spalancata del secondo adepto, dividendolo in due.
Quando il sangue ti aveva lambito i calcagni, spietatamente freddo, ti eri fissato un'altra volta nello specchio, troppo esperto per non sapere cosa fossi diventato.
Un Ritornato.
Più bestia di quanto non fossi mai stato.
Avevi poggiato i palmi aperti contro la superficie riflettente, catturando ogni dettaglio del tuo aspetto: la pupilla ristretta, il pallido innaturale della pelle, il grigio tra i capelli aggrovigliati.
Nudo, eri quasi grottesco, una fiera perversa sulle cui labbra avresti potuto morire.
Il pugno era stato assordante e aveva frantumato lo specchio in mille pezzi.
Avevi emesso una risatina amara, spazzando il pavimento con la coda e percuotendo il suolo al ritmo di un cuore che avevi lasciato di carne e che ora era cenere.
Prostrato a terra, ricordavi tutto.
La sfera di energia negromantica. Il polso spezzato di Addakra. Il sangue.
Le dita erano corse alla pancia, dove i cordoli di una vistosa cicatrice si perdevano verso inguine.
Il cupo mugghiare del vento e il dolore, fulmineo, all'addome. Le viscere che sentivi scorrere fuori dal tuo corpo e le stille roventi che Addakra aveva versato, urlando il tuo nome.
Un bacio ferruginoso e salato, umido di rimpianto e nostalgia.
Poi, il nulla di un sogno cieco.

I vostri ultimi giorni erano stati raccolti dalla terra e dal vento delle Dreadland, paure nascoste e sentimenti che mordevano gli angoli del cuore senza pietà.
Sognavi ancora ed erano incubi osceni quelli che ti ondeggiavano nella mente, forse anticipando l'incombente fine.
Ti svegliavi urlando ed erano le sue mani a tenerti stretto, premendo tra i tuoi capelli con tenerezza possessiva.
"Lyumaya moyar..." mormoravi nel sonno, chiamandola "Lyumaya moyar..."
Ed era sempre il suo sorriso - la sua forza - a riportarti indietro da quell'abisso bituminoso e buio.

Ti eri svegliata con una tremenda sensazione di predestinazione e pericolo.
I tuoi riflessi avevano reagito prima di te, issandoti sui polpacci e facendoti sguainare le doppie balestre.
Accanto al sepolcro di Zanor regnava un silenzio innaturale, dubbio.
Avevi annusato l'aria, ascoltando un sibilo feroce e prolungato.
Era la chiamata dei Ritornati.
Era il tuo futuro che bussava alle porte della storia.
Interdetta, avevi affondato le mani nella terra dura e rocciosa, incurante delle ferite.
Ogni anno, da quando avevi seppellito la tua umanità sotto quelle nevi oltraggiosamente candide, venivi in visita al sacello di Zanor, piangendo e ricordando.
A volte ti addormentavi, sperando che un qualche demone ti sbranasse nel sonno, aiutandoti a ritrovare la felicità.
Altre volte te ne stavi accucciata sulla sua croce, parlando per ore, quasi potesse davvero ascoltarti.
Ma quando avevi incontrato la terra smossa ed una buca vuota, avevi capito.
Un secondo bramito si era levato al cielo, fischiandoti nelle orecchie.
Rigida, avevi gettato la testa all'indietro, emettendo un grido lungo e gutturale, un assolo tragico e rabbioso.
Era il richiamo della bestia, dell'uomo che avevi amato e a cui avevi dato tutto.
E lui aveva appena risposto.

Il vento profumava dell'odore che ricordavi, che le avevi lasciato addosso: polvere e sangue.
In quell'ululato tetro e tragico, avevi riconosciuto il marchio di Addakra.
Il legaccio con cui l'avevi circondata e portata a te, le tue dita che si chiudevano intorno al suo collo come una catena.
Eri tornato dalla morte solo per comprendere d'essere troppo egoista per lasciarla a una vita ingorda di sensazioni.
Avevi voluto proteggerla, ma così facendo ne avevi solo prolungato l'agonia.
Ti eri osservato la coda rostrata, un sorriso indecente adornarti le labbra.
Le maglie del sogno si erano infine disfatte, portando con sé quelle dell'incubo e lasciandoti alla realtà.
Avevi annusato un'altra volta l'aere, dove la brama pareva quasi prendere consistenza solida.
La ferae era notte e plasma, l'umido di una voglia indecente e sbagliata, un desiderio di morte e l'aggressiva tenacia della cacciatrice.
Avevi spazzato la piana con le dita, agognando il suo tocco, il palpitare violento di un amore che possedeva zanne e stillava veleno.
Di poterla portare con te, per sempre.
Tra voi, un destino che era al suo ultimo giro di clessidra.



Note dell'autrice: ho messo in ordine il computer e questa one-shot della serie "Nel segno del sangue" è spuntata come un giocattolo dimenticato. L'ho un po' riguardata e ho deciso di pubblicarla per chiudere del tutto la serie, uno dei miei primi tentativi nel fandom originale. Non so se ne vado fiera o meno, però ci sono affezionata, fosse solo perché Zanor e Addakra sono stati un po' i miei primi Batman e Catwoman.
Ai posteri l'ardua sentenza.




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