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IL CANTO DEL CIGNO
1. Goodbye, agent
Dunn
"... rimarrà per sempre nei nostri cuori. Amen"
"Amen" rispose in coro la folla radunatasi al cimitero, quel
martedì mattina.
In seconda fila, Stiles Stilinski tirò su col naso e
guardò in alto, individuando strane forme nelle nuvole. Lo
faceva spesso, quando voleva distrarsi e pensare ad altro; non voleva
piangere. Era rumoroso anche quando piangeva e non era mai riuscito ad
ovviare al problema. Era grande, ormai, e i singhiozzi non gli si
addicevano più.
Accanto a lui, Lydia Martin sapeva esattamente come piangere. Il suo
viso era una maschera di pietra, ma sulle guance rotolavano sempre
più velocemente lacrime salate, che lei si limitava a
raccogliere con la punta della lingua, straordinariamente senza
intaccare il rossetto.
"Adesso, l'agente Scott McCall verrà a leggerci qualche
parola in memoria di George Dunn"
Stiles sentì Scott irrigidirsi al suo fianco e stringergli
il braccio. Ricambiò la stretta e lo vide andare verso il
reverendo, che gli lasciò il posto accanto alla bara.
"Ho pensato a lungo a cosa dire, nelle ultime ore" si
schiarì la voce. "Non sono molto bravo, in questo, e Dunn lo
sapeva" accennò un sorriso che contagiò la
signora Dunn e sua figlia, così come Stiles e Lydia. Era
difficile parlare con loro di fronte, ma Scott prese un respiro
profondo.
"Ho pensato di raccontare tutte le volte che George Dunn ci ha salvato
la vita, di quanti casi ha risolto nella sua carriera. Dipingervi
George Dunn come un eroe nazionale. E lo era. Ma più di
tutto, George Dunn è stato come un secondo padre, per noi"
Lydia si lasciò andare in un singhiozzo, che
coprì con una mano velocemente. "Ci ha afferrati e
strappati alla nostra vecchia vita, ci ha accolto tra le sue
braccia e ci ha dato una squadra. Una nuova famiglia" Scott aveva gli
occhi lucidi e Stiles notò che guardava in alto anche lui.
"Ci portava il caffè tutte le mattine, perchè
passava di fronte a Starbucks e ricordava le nostre ordinazioni - anche
se odiava il caffè senza zucchero dell'agente Martin"
Stiles e Lydia ridacchiarono, e la ragazza poggiò la guancia
sulla sua spalla. "Era divertente fare appostamento con lui e mangiare
la pizza fredda. Ma una delle cose più belle di George Dunn
era la dedizione alla sua famiglia. Il Bureau era la sua vita, ma mai
una volta ha messo il suo essere un agente dell'FBI sopra sua moglie e
sua figlia. Vi amava tantissimo" Mamma e figlia si strinsero le mani e
annuirono.
"Io oggi parlo per la squadra dell'agente Dunn, che ha fatto la storia
dell'FBI e che merita di essere celebrato come di dovere. Grazie, capo"
"Non posso credere che sia morto" Stiles seppellì il viso
tra le mani e ignorò volutamente le chiamate di suo padre.
Non aveva voglia di parlare dei suoi sentimenti.
"Nemmeno io" pigolò Lydia e soffiò sul
caffè che aveva di fronte. "Mi manca"
Scott stava stranamente in silenzio e Stiles capì che
cercava di non cedere alla disperazione, come aveva fatto lui la sera
prima. George Dunn non era semplicemente il loro capo, era l'uomo che
li aveva trovati alla polizia e portati ai federali. Aveva fatto di
loro una squadra di prim'ordine, si era preso cura di loro e aveva
accolto Lydia, come nessuno avrebbe mai fatto all'FBI. Ed era morto.
"Cosa facciamo, adesso?" Stiles deglutì. "Chi
prenderà il comando?"
"Non guardarmi nemmeno. Rifiuterei il posto, Stiles" accennò
Scott. "Non prenderei mai il posto di George"
Lydia sbuffò. "Sei l'agente più anziano tra noi.
E' ovvio che ti offriranno il posto e ci daranno un novellino. E non
rifiuterai, Scott"
"Esatto. Non voglio estranei, e non lo vorrebbe nemmeno George. Meriti
quella promozione più di chiunque altro"
Cadde di nuovo il silenzio, mentre nella tavola calda si affacendevano
cameriere e nuovi clienti. Erano ad appena due isolati dal cimitero e
se ne erano andati subito dopo la cerimonia - per Stiles era stato
troppo vedere la signora Dunn ricevere la bandiera americana ed era
scappato via. Da quando George era morto, non faceva altro che
accarezzare il suo distintivo.
"E' colpa nostra"
"Stiles -" tentò di fermarlo Lydia.
"No, è colpa nostra" alzò lo sguardo e
battè un pugno sul tavolo. "Dovevamo saperlo!"
"Non potevamo" Scott si massaggiò le tempie. "Lui sapeva che
c'era una bomba. O almeno, lo sospettava. Per questo non ci ha
telefonati e ha fatto tutto da solo"
"Potevo disinnescarla" accennò Lydia.
Scott ridacchiò tristemente. "Non puoi esserne certa e
George non voleva rischiare. Suppongo che aspettare due anni per andare
in pensione non fosse abbastanza per lui. Si è sacrificato
per noi. Per farci vivere. Ha fatto la storia e voleva morire con onore"
Stiles guardò fuori dalla finestra e ripetè
mentalmente le parole che aveva sentito il giorno prima, quando Isaac
Lahey era riuscito a trovare la registrazione della chiamata
all'unità di crisi di George.
"George Dunn, agente
speciale. Sono a casa del sospettato Livingston, caso 00235.
C'è... una bomba"
"Agente Dunn, esca da quella casa. Possiamo mandarle supporto in cinque
minuti"
"E' troppo tardi. Provo a dinnescarla. Sta registrando la telefonata?"
"Agente Dunn..."
"Livingston è il responsabile del duplice omicidio, caso
00235. Ripeto: caso 00235"
"La squadra di supporto sta arrivando, agente Dunn. E' solo?"
"Sono solo, sì"
"Dove sono i suoi agenti? Agente Dunn?"
"Suppongo sia la mia ultima occasione per dirlo: Stilinski, Martin,
McCall. E' stato un piacere"
"Stiles" Solo quando Lydia gli accarezzò una
guancia, Stiles si accorse di star piangendo silenziosamente come aveva
sempre sognato. Chiuse gli occhi e desiderò tornare indietro
di dieci anni, non entrare nell'FBI e magari fare domanda per l'ufficio
dello sceriffo come suo padre.
"Vorrei solo avere cinque minuti per elaborare la cosa"
masticò tra sè e sè.
-
L'ultima telefonata dell'agente George Dunn era stata
inviata alla casella di posta di Peter Hale, capo dipartimento
dell'FBI di San Francisco. Peter l'aveva ascoltata con rabbia malcelata
e, alla fine, aveva scagliato lontano i documenti che doveva firmare.
Uno dei suoi agenti migliori era morto e lui non poteva sopportarlo.
Gli piaceva Dunn, era in quella sede ancora prima che a lui venisse
data la massima carica dell'ufficio, ed era stato un buon braccio
destro. Non aveva esitato un attimo ad affidargli una squadra di
giovani agenti, nè tantomeno la pericolosa Lydia Martin che,
da quando aveva mollato la CIA, non era ben vista dai federali.
Gli altri agenti avrebbero superato la sua morte? Come, se perfino lui
non riusciva ad accettarlo?
La voce della sua segretaria nell'interfono lo scosse dai suoi
pensieri, annunciandogli che suo nipote era arrivato.
"Fallo entrare, Cynthia"
Peter si alzò per raccogliere i documenti sul pavimento e
sentì appena che Derek Hale chiudeva la porta dietro di
sè.
"Finalmente quelle cartacce hanno il posto che gli spettano"
"Il tuo umorismo mi fa sempre rabbrividire" sogghignò Peter,
invitandolo a sedere di fronte a lui, per poi prendere posto alla sua
scrivania.
"Bella tana" Derek incrociò le braccia al petto. "Scommetto
che la scrivania in vetro, il tavolo per le riunioni e lo schermo a
cristalli liquidi non li ha pagati l'agenzia. E chi, Peter?"
"Non ho voglia di litigare. Non oggi" si sistemò la
cravatta. Solo allora, Derek notò le occhiaie e i capelli
fuori posto - la verità lo colpì in faccia come
un pugno. Suo zio stava soffrendo,
con molta probabilità per la morte di
quell'agente la sera prima. Era una cosa talmente nuova per lui che
rimase zitto per qualche minuto.
"Come ben sai, ventiquattro ore fa, George Dunn è morto
durante un caso. Era uno dei migliori qui. Mi fidavo di lui" non
distolse lo sguardo da quello di suo nipote. Voleva mostrargli che era
sincero e non aveva paura di farlo.
"Mi dispiace. Gira le mie condoglianze alla famiglia. Ma io cosa
c'entro?"
"Dunn ha lasciato una squadra"
"Ovvio. E di solito, in queste circostanze, l'agente più
anziano prende automaticamente il comando"
"Sì. Ma non in questo caso. Voglio che tu prenda in mano la
squadra di Dunn"
Derek mostrò la sorpresa, l'unica espressione che Peter vide
da quando era entrato. "Stai scherzando? Non ho mai preso il comando di
una squadra"
"Lo so. Ed è ora che tu cominci. McCall non è in
grado di prendere le redini, è troppo giovane; tantomeno
Lydia Martin e non mi azzarderei mai a mettere la mia carriera in mano
a Stilinski. Tu, invece, sei perfetto: non ti ho fatto trasferire a Los
Angeles a caso, Derek. Sei pronto"
"E cosa dici sulle voci che gireranno, eh? Il nipote del capo
dipartimento che ha una promozione, guarda caso"
"Mi sono già occupato di tutto" sorrise. "Il tuo curriculum
rasenta la perfezione, caro nipote. Basta scavare e nessuno
potrà dire che non l'hai meritato"
"Ma noi due?" alzò un sopracciglio. "Non avrai la mia
fedeltà. Mai"
"Lo so. Dunn era il migliore, ma sapeva tenermi testa. Conto che tu
faccia altrettanto, che mi dica cosa non va, di cosa hai bisogno"
"Dov'è la fregatura?" Derek strinse la mascella.
"C'è qualcosa che non mi hai detto"
Peter sospirò e guardò la foto di sua figlia
Malia sulla scrivania, l'unica pecca sentimentale che si era concesso.
"E' una squadra ferita. Sanguinante. George era un padre per tutti
loro, non solo per i tre agenti, ma anche per gli esperti di cui si
circondavano. Hanno i migliori contatti nelle altre agenzie e gli
informatori più attendibili. Senza qualcuno di valido, tutto
il lavoro di Dunn su quelle persone andrebbe perso"
"E tu non potresti averlo"
"Se vogliamo metterla così..." tamburellò le dita
sulla scrivania. "Non sarà facile integrarti"
"Non voglio farlo. Devo solo dirigerli e risolvere i casi, asciugargli
le lacrime non mi interessa"
"Quindi accetti?" Ghignò Peter.
-
Giovedì mattina, Stiles Stilinski, Lydia Martin e Scott
McCall tornarono al lavoro. Occuparono le tre scrivanie che nell'open
space gli erano state assegnate due anni prima, solo che una era stata
svuotata. Tutti e tre la guardarono con nostalgia, ma nessuno le si
accostò nemmeno per sbaglio. In ogni caso, Scott ci aveva
appoggiato sopra un caffè macchiato con due bustine di
zucchero - sarebbe stato come avere George con loro, solo per un'altra
mattina. Fingere un suo ritardo, magari.
"Bene, un altro giorno alla base di San Francisco dell'FBI. Cosa ci
toccherà stamattina?" cantilenò Stiles, simulando
un tono allegro da manuale.
"Rapimento, Stilinski" Stiles sobbalzò sulla sedia e si
voltò verso l'ingresso dell'open space, così come
gli altri tre.
Un giovane uomo in giacca e cravatta, capelli scuri, occhi verdi
straordinariamente familiari, stava ritto in piedi con un'espressione
infastidita. Aveva con sè un borsone e uno scatolone, mentre
analizzava le quattro scrivanie, l'una di fronte all'altra. Si
soffermò su quella vuota e la raggiunse a passo di marcia.
Poggiò per terra le sue cose e si sedette. Non
spostò il bicchiere di caffè, ma Stiles
notò che l'aveva visto ancora prima di muoversi.
"Scusi, quella scrivania non è disponibile" Lydia stava per
alzarsi, furente.
"Credo proprio che sia la mia, invece. Agente speciale Derek Hale. Sono
il vostro nuovo capo"
Angolo dell'autrice:
Ho cercato di unire la mia passione per i crime a TW e alla
Sterek :3 Non sarà molto lunga, ma spero vi piaccia :D
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