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Interludio Primo
Sono
lontano, eppure vedo i tuoi gesti, le tue mani, le tue dita lunghe così eleganti
da parere struggenti.
E’ una sera
meravigliosa, le stelle in cielo brillano, la musica risuona e permea l’aria, ma
tu non hai occhi che per lui. Nonostante non lo guardi, nonostante non stia
parlando, tutto in te pare gridare il suo nome.
Te lo
bisbiglierei, ma non posso. Così come non posso narrarti le favole che le nuvole
raccontano e che lenirebbero il tuo dolore.
Ma
soprattutto, vorrei darti speranza. Vorrei parlarti della Verità e della
Giustizia, delle Leggi di Dio e del suo verbo, ma questo non mi è possibile:
posso solo guardarti e raccogliere un amore che ancora tu neghi, ma di cui sono
intriso.
Lo guardi,
senza farti scorgere, giri leggermente il viso e lotti per negare che per un
bacio, un solo tocco, baratteresti ciò che sei e cadresti, come il più bello
degli angeli.
Vorresti
che ti fosse permesso cosa invece è stato proibito dagli uomini.
Vorresti
stringerti a lui e nascondere il tuo viso fra le sue braccia e tremando, gli
chiederesti di stringerti, di proteggerti e di celarti per un attimo e per
sempre.
Abbassi gli
occhi e non ascolti più nulla.
Sospiri e
cerchi di liberarti del peso che grava sul tuo animo, inutilmente.
Ti tremano
leggermente le labbra: un movimento impercettibile, che le rende ancora più
belle. S’insinua in te il dubbio, la paura e la consapevolezza che ciò che brama
la tua pelle è ingiusto e blasfemo.
Grideresti,
se ti fosse possibile, ma l’unica cosa che ti permetti è quella di portarti le
mani alle tempie, nella speranza che tutto si zittisca, tutto si quieti e tu
possa, di nuovo, respirare regolarmente.
Ciò che
vuoi è bellissimo e disgustoso, e soprattutto è sbagliato.
Perché, ti
chiedi, Dio ti sta mettendo alla prova?
E’ il
Diavolo che ti chiama e piega la tua volontà?
O è il tuo
cuore che, capriccioso, reclama ciò che non potrà mai avere?
Per
risposta questo sembra fermarsi per un attimo e perdere un battito.
Le
ultime difese cadono e la verità più semplice ti diventa chiara: lo ami.
Ti
alzi e ti allontani. Se il tuo animo si riversasse nei tuoi occhi, temi che
qualcuno, se non lui, possa leggere e hai troppa paura per permetterglielo.
Meccanicamente cammini e dai le spalle agli invitati: lo sai che sono salde e
non tremeranno.
Lo
ami perché con lui sei in pace, lo ami per i suoi occhi, lo ami perché la
foschia di una solitudine consolidata nel tempo si dissipa, sfuma e scompare
ogni volta che lui ti è vicino. Al suo posto compare il rumore del sangue che
scorre troppo velocemente nelle tue vene e il piacere del suo profumo.
E
poi non sai perché lo ami, per come qualche sera prima ha osservato i tuoi
capelli forse, per la sua voce, per il suo passato, oppure anche per nulla.
Ai
miei occhi brilli nella tua gloria e bruci nella tua purezza, m’inchinerei al
tuo passare ma ora, questa sera, ti abbraccerei solamente e canterei per te una
canzone che illuminasse le tue ombre.
Guardi la mano appoggiata sul tuo bastone e sorridi. Piangeresti, ma non puoi
fare neanche quello e allora guardi per un attimo il cielo. Come ogni innamorato
speri che qualcosa in te possa essere degno di lui, ma la tua mano ti ricorda di
essere uno zoppo e la tua vergogna ti grida che sei un uomo.
Ma
prima che tu possa porre rimedio e quietare i tuoi pensieri, lui ti è di fianco,
così vicino che tutto scompare ed esiste solo lui
Chissà se vede, chissà se sa.
Ma
lui è distratto a capire perché è venuto lì, al tuo fianco per leggere bene
quegli occhi che gli piace così tanto guardare.
Il
suo animo è fragile in un involucro ferreo, creato per proteggere ciò che è
stato violato troppe volte. E non capisce che cosa l’ illumini ora , ma quando
gli sorridi rimane abbagliato e sgrana gli occhi, guardando ogni tuo lineamento
e bagnandosi nella tua luce.
Sono
lontano, eppure vedo i tuoi gesti, le tue mani le tue dita lunghe così eleganti
da parere struggenti.
E’ una sera
meravigliosa, ma le stelle in cielo ti regalano la loro luce e la tua gloria
avvolge le vostre due figure.
Vorrei
darti speranza, vorrei parlarti della Verità e della Giustizia, delle Leggi di
Dio e del suo verbo, ma questo non mi è possibile. Posso solo guardarti e
raccogliere un amore che non puoi più negare ma che ti terrorizza e che rifuggi.
Come
spettatore lontano, ti guardo, e mi pari un angelo che con le ali avvolgi chi,
con le mani, non osi nemmeno toccare.
*
Capitolo Quattordici - I
potenti
Le nuvole in
cielo erano cariche e l’aria intrisa d’acqua, ma non pioveva ancora. Nonostante
fosse mattina, la luce era poca, i raggi obliqui del sole invernale non
riuscivano a penetrare quella coltre spessa.
La carrozza per
andare alle miniere di stagno e quindi al Monastero di St. George era pronta.
Per partire, aspettava solo i propri passeggeri.
“Un tempo così
uggioso non è certo l’ideale per mettersi in viaggio”.
“Come se da
queste parti splendesse sempre un sole che spacca le pietre” commentò
sbadigliando Cencio
“Guarda che se
cominci con la tua solita ironia, ti lascio qui.”.
“Per poi
perdermi la tua faccia quando saremo arrivati al monastero? Mai! Piuttosto vi
seguo a cavallo”.
Leggermente in
disparte dai due, Lord Aaron stava dando istruzioni ad un falco, che subito dopo
spiccò il volo, emettendo un verso acuto e prolungato. Diversi cavalieri
uscirono di lì a poco, in sella e pronti per partire.
L’idea che Nero
non andasse con lui lo sollevava. La sera prima, infatti, quando Cencio aveva
detto che avrebbe avuto piacere nell’accompagnare sia lui che Luppolo, aveva
temuto potesse venire anche Nero. Era stato un attimo, perché Cencio, col suo
solito fare entusiastico, aveva proposto a tutti di andare, ma Nero aveva
declinato preferendo stare con Forgia.
Il padrone del
castello aveva paura che un giorno intero passato in sua compagnia - senza la
protezione del castello - avrebbe rivelato al cavaliere i suoi sentimenti. Non
aveva trovato modo efficace per dissimularli: erano così nuovi ed intensi che
bastava una parola o uno sguardo per emozionarlo.
E rallentare i
battiti del proprio cuore risultava, per ora, impossibile.
Voleva, doveva
imparare a controllarsi, voleva impedire che qualcosa trapelasse in superficie e
voleva sopprimere ciò che sentiva nel profondo. Il trascorrere un po’ di tempo
senza la compagnia di Nero l’avrebbe di sicuro aiutato, pensò.
Tuttavia, quella
mattina carica di pioggia, Aaron si ritrovò a chiedersi dove fosse e che cosa
stesse facendo. Si chiese se magari, dato il clima così poco ospitale, il Nero
avesse preferito rimanere nel suo letto, godendo del tepore delle coperte un po’
più a lungo, oppure se s’era già alzato.
Ebbe l’istinto
di rientrare nel castello e andare da lui, parlargli con una qualunque scusa, ma
subito allontanò l’idea e scosse la testa. Sarebbe stato sciocco, lo sapeva.
Sospirò.
Nonostante la sua ragione gli dicesse che tutto quello che provava e voleva fare
fosse sbagliato, la nostalgia provata quella mattina, sotto quel cielo grigio e
carico d’acqua sembrava impossibile da dimenticare.
Aaron non
indugiò oltre, inutili i suoi dubbi o i suoi desideri, quella giornata avrebbe
avuto altro a cui pensare. Sebbene non destassero in lui particolari
preoccupazioni, i problemi alla miniera di stagno continuavano a ripetersi. Le
voci che aveva sentito erano discordanti, ma in realtà sapeva quali fossero
veritiere e quali no ed era tempo di intervenire, ne sarebbe andato del buon
lavoro e della produzione di stagno, così importante per le sue terre.
Perso nei suoi
pensieri, Aaron non si rese subito conto che anche i suoi due ospiti erano
rimasti silenziosi. Soprattutto Cencio era stranamente quieto. Seduto tutto
composto su di un lato, stretto nelle spalle, pareva quasi schiacciato contro la
parete.
“Qualcosa ti
turba?”
Ma neanche a
domanda diretta Cencio rispose, fece un semplice no col capo.
Luppolo guardò
l’amico e gli sorrise dolcemente “Sei a disagio?”
La domanda fece
sussultare il ragazzo che si affrettò a rispondere “No…No perché?...” ma la sua
negazione non sembrava troppo convincente e se ne rese conto lui stesso.
“E’ che… Tutto
benissimo, ci mancherebbe, però…” disse cercando le parole e sistemandosi
nervosamente i capelli dietro le orecchie “A dire il vero… se proprio devo
essere sincero del tutto…ecco… Non sono mai salito su di una carrozza così e…”
Luppolo scoppiò
a ridere “Non sai come comportarti?”
“Non prendermi
in giro! Non è così…semplice”
Aaron gli sorrise. Il sorriso fu così dolce che Cencio si rilassò.
“Se posso
parlare con tutta sincerità, non ero entusiasta quando siamo arrivati qui.
Sapevo che Forgia aveva la precedenza sui miei umori e per questo non ho detto
niente, ma vedete, signore, non ho un buon rapporto coi nobili” ammise
arrossendo leggermente “Lo stesso Chiaro è quello che sento meno vicino,
nonostante abbia abbandonato lo stemma del suo casato già da diverso tempo…”
Cencio non
guardava negli occhi il proprio interlocutore, si osservava le mani che sembrava
non sapere dove mettere. E così continuò “E devo ammettere, signore, di essermi
completamente sbagliato… Voi non solo siete un ospite generoso, ma anche una
persona per cui nutro un gran rispetto”
Nonostante fosse
avvezzo ai complimenti, Lord Aaron fu così stupito dalle parole del ragazzo che
non seppe immediatamente come rispondere, ma Cencio comunque non gliene avrebbe
data la possibilità “Quando vivevo col signorotto di cui vi ho accennato tempo
fa, lui era solito ripetermi che nel mondo c’è chi domina e chi soccombe e
questo in ogni cosa. Nelle guerre, ma anche all’interno di una famiglia, in un
villaggio oppure su di un mercantile… C’è sempre chi ordina e chi obbedisce.
Sarei stato uno stupido, e lo sarei tutt’ora, se pensassi che questo non sia
vero, tuttavia…” fece una pausa quasi volesse prendere coraggio “voi siete il
primo ad avermi dimostrato che, sebbene ci sia chi è padrone e chi è servo, è
possibile che la dignità di quest’ultimo venga conservata e anzi, tenuta in
gran conto da chi comanda… e per questo io vi sono grato”.
Luppolo era
stupito tanto quanto il Lord da quella fiumana di parole causate da un motivo
poco chiaro.
“Cencio, tanto
senno da te non me la sarei mai aspettato”
Cencio si
strinse nelle spalle “Lo sai come sono, se comincio a parlare, non mi fermo più
e… pensavo fosse giusto fare sapere al nostro ospite come la pensavo”
Luppolo sorrise
e gli arruffò i capelli “Sì, lo so come sei”. Indugiò la mano sulla sua testa
per un attimo più del dovuto, ma poi la ritrasse.
”Ti ringrazio per le tue parole che mi lusingano. Non penso che la
prevaricazione sia il modo per dimostrare il proprio potere. Se ho capito bene,
e per quello che la mia esperienza m’ha insegnato “disse guardando all’esterno,
dove si perdevano all’orizzonte campi verdissimi “sono spesso i deboli di
spirito a usare la forza, perché non hanno altro modo d’imporsi”.
Cencio guardò
Lord Aaron. L’aura che lo circondava sembrava in questo momento più carica.
Faticava a
capirlo, ma questo non lo metteva a disagio. Se pensava alla sera prima, in cui
avevano trascorso ore allo stesso tavolo scherzando, durante la festa del paese,
l’avrebbe preso per uno di loro. Lì, in quella carrozza, ammantato di vesti
pregiate, Lord Aaron sembrava irraggiungibile e distaccato.
Luppolo era
stato in silenzio fino a quel momento, guardava Cencio come guardasse il più
tenero fra i cuccioli.
“Avessi avuto
l’occasione, l’avrei ucciso per te” Non disse a chi si riferiva, ma fu chiaro
agli altri che Luppolo stava parlando del signorotto con cui Cencio aveva
vissuto prima di unirsi ai cavalieri di Nero
“L’avrei fatto
io stesso, ma la sua faccia quando ha capito che me ne sarei andato per sempre è
stata una vendetta sufficiente”
“Ricordo anch’io
la faccia di quell’uomo, una maschera d’orrore”
Cencio rise soddisfatto e poi si mise a spiegare “Non avrebbe mai pensato che lo
lasciassi perchè sapeva che, senza di lui, io sarei stato carne da macello. Sono
stato mandato in prigione a dieci anni e lui m’ha ripescato da lì, dandomi un
tetto, un pasto al giorno e qualcosa da fare. Non propriamente un lavoro,
ovviamente…Se capite cosa intendo” si strinse nelle spalle e alzò le
sopracciglia quasi a giustificarsi “Se non avessi incontrato Luppolo e Nero
sarei probabilmente ancora lì”
“M’era parso di
capire che aveste incontrato Nero dopo aver incontrato Luppolo”
”Sì, è così, ma solo qualche settimana dopo” e così dicendo guardò il compagno
quasi a chiedere conferma che i suoi ricordi fossero corretti e poi riprese “Ho
conosciuto Luppolo nella peggiore taverna della città…” ma a questo punto il
cavaliere si sentì in dovere di interrompere l’amico
”Ah, racconta bene come sono andate le cose!”
“Beh, aveva un
bel mantello e io lo volevo per me…”
”Sì” disse sconsolato Luppolo “e Cencio ai tempi considerava tutto ciò che
vedeva suo di diritto, così mi sono messo a rincorrerlo per tutta la città!”
”Ci potete credere? Io pensavo che al primo vicolo, sotto il sole cocente
dell’estate italiana, uno così avrebbe desistito!”
”Che cosa intendi con ‘uno così”?” chiese Luppolo stizzito
“Ma sì, uno così
chiaro di pelle, così… scozzese, Luppolo” disse rivolto all’amico “diciamocelo,
ce l’hai scritto in faccia da dove vieni”
“E invece ti ha
dato del filo da torcere?” Chiese Lord Aaron preso dalla curiosità di sapere
come si fossero conosciuti Cencio, Luppolo e Nero
“Non m’ha dato
tregua!”
“E poi cosa ne è
stato di quel mantello?”
Gli occhi di
Cencio s’incupirono leggermente “Il mio padrone lo volle per sé” sospirò il
ragazzo “Non volevo darglielo, ma non avevo alternativa. Se non che è comparso
Luppolo a reclamarlo!”
Aaron lo guardò
stupito
“Dunque sapevate
dove si trovava il ragazzo?”
“Sono stato un
militare troppo a lungo per non riuscire a seguire delle tracce lasciate da un
moccioso”
“Smettila di
chiamarmi così!”
“Ma all’epoca
avevi solo tredici anni Cencio…”
Il ragazzo
sospirò “Già, se non fosse stato per te, Nero non avrebbe mai preso un
marmocchio fastidioso”
Luppolo sorrise per incoraggiare l’amico “Avrebbe fatto un grosso errore, sei
uno dei migliori arcieri che conosca!”
Sotto gli occhi
stupiti di Aaron, Cencio non rispose, non fece una delle sue solite battute
sarcastiche, ma arrossì, abbassando lo sguardo imbarazzato.
Poi per rompere
quel silenzio che non faceva altro che accentuare il rossore delle sue guance,
Cencio disse “Ecco perché non avevo fiducia in voi, all’inizio…”
“Mi dispiace
sentirlo. E non perché mi senta offeso, non mi fraintendete. Mi dispiace che la
vostra esperienza sia stata così negativa a causa di un uomo che non si meritava
di avere il potere che aveva”
“Beh” Disse
Cencio riprendendo il suo solito buon umore “In fin dei conti sono stato
fortunato, ho incontrato Luppolo prima e Nero poi. E se mi chiedessero se vorrei
rinunciare a questo incontro pur di cancellare i miei anni trascorsi al servizio
di quel grassone, non vorrei. Senza dubbio né esitazione, rivivrei tutto
quanto.” Poi si fermò a riflettere un attimo e aggiunse “forse non resisterei
alla tentazione di rubare un po’ di vettovaglie al mio vecchio padrone. Di
certo ne avrei fatto un miglior utilizzo io!”
Gli altri
risero. Aaron si stupì della forza d’animo di quel ragazzo. I capelli sempre un
po’ spettinati, quell’andatura dinoccolata, l’aria furba e gli occhi enormi lo
condannavano ad un aspetto infantile, ma in casi come questi il padrone del
castello si rendeva conto come in realtà quell’apparenza fosse ingannevole.
“La persona da
cui stiamo andando, alle miniere, è esattamente una persona così: arrogante e
presuntuoso come m’avete descritto essere il vostro vecchio padrone” spiegò Lord
Aaron “So bene quanto male possono portare persone così, con troppo potere fra
le mani”
”Di chi state parlando?”
“Si chiama John
Riverwood jr, Lord Thurlow aveva affidato a suo padre il controllo del lavoro
nelle miniere. Ma invecchiando, poi, questi ha smesso di lavorare e ha affidato
al figlio il compito: un inetto. Troppa gente ha sofferto per le sue angherie ed
è tempo che queste smettano”. Poi aggiunse, indicando delle cave in lontananza
“Ecco, siamo quasi arrivati”
I cavalieri
guardarono le miniere avvicinarsi e nessuno disse più niente fino all’arrivo.
Aaron chiuse gli occhi, s’immaginò l’Italia e una spiaggia assolata. S’immaginò
Cencio su questa spiaggia, completamente a suo agio nella sua terra, col la
pelle bruciata dal sole e i capelli intrisi di salsedine, che rideva, giocando
con l’acqua quasi fosse un bambino. Al suo fianco c’era Luppolo che lo guardava
e si prendeva gioco di lui, schizzandogli l’acqua il viso e minacciandolo, nel
caso il ragazzino avesse tentato qualunque ritorsione. E poi c’era Nero, seduto
sulla sabbia che guardava i suoi nuovi compagni. Il suo viso sembrava più
austero, ma altrettanto dolce. Nonostante il sorriso e l’aria allegra che
aleggiava, i suoi occhi sembravano carichi di rabbia, una rabbia profonda e
antica, di non facile estinzione.
Per quanto
tentasse di allontanarlo, il pensiero di lui s’insinuava nella sua mente,
sgattaiolava furtivo fra i suoi pensieri e prepotentemente emergeva in
superficie. Ed immaginarselo seduto sulla sabbia, con l’aria di mare che gli
accarezzava i capelli e il sole che ne modellava le ombre, provocò in Aaron un
morso di nostalgia e di colpa, per il quale non trovò nessun altro rimedio se
non quello di chiudere gli occhi e pregare nel suo pensiero.
Amava troppo
Maria per abbandonasi ad una tentazione tanto sbagliata e disgustosa, eppure,
una piccola parte di lui smaniava di essere abbracciata da quelle braccia e
baciata da quelle labbra. Il suo cuore, dilaniato da due sentimenti troppo
opposti per convivere, non poteva fare altro se non battere velocemente.
Lord Aaron
Thurlow si avvicinò alle cave e al gruppo di uomini che lo stavano attendendo
con maestosità. Appena appoggiò il piede per terra, seguito da Luppolo, Cencio e
i soldati del suo seguito, la valle sembrò zittirsi e con lei, tutte le voci dei
minatori. Le sue vesti azzurre coi loro ricami d’argento risplendevano
nonostante le nuvole coprissero il sole
“Ossequi, mio
signore” disse un minatore inchinandosi “Vi prego di scusarmi se vi ho fatto
chiamare e se avete dovuto affrontare un viaggio non previsto, ma…”
“Ma è uno che
non sa farsi i fatti suoi!” lo interruppe un altro uomo, di stazza decisamente
superiore al primo “Non era necessario veniste”
“Che sia
necessario o meno, vi prego di lasciarlo giudicare a me” Rispose asciutto il
Lord, mentre si guardava intorno. Le miniere erano numerosissime e l’estrazione
di stagno continua. Solo alcuni dei minatori non stavano lavorando ed erano lì
di fronte a lui.
I funzionari che
s’erano avvicinati al tavolo l’altra sera, durante il matrimonio di Rebecca,
accorsero subito.
“Non vi
aspettavamo così presto signore”
Poi Lord Aaron
fece cenno ad uno di loro di avvicinarsi e questo iniziò a bisbigliare qualcosa.
Dopo un attimo,
il padrone delle miniere sorrise. Aveva dovuto vedere coi propri occhi per avere
la certezza di quello che gli era stato raccontato, ma ora non aveva più alcun
dubbio sulle responsabilità delle persone che gli stavano di fronte. Fece cenno
ai suoi sodati di occuparsi dell’omone che aveva insinuato non ci fosse bisogno
del suo intervento
“Ritengo che sia
inutile dirti che per i tuoi crimini verrai deportato a St Ives e giudicato là”
Questo sgranò gli occhi
“Ma signore, ci
dev’essere un errore, io non ho fatto niente, sono innocente!”
“Neghi forse che
Jeremy Caine, Tobias Longbridge, Julian Forsubry e Jon Irome siano morti
quand’erano sotto la tua custodia?”
”No Signore, ma è stato a causa di un incidente…”
“E il fatto che
due di questi corpi siano stati trovati carbonizzati vicino ai tuoi alloggi, che
un terzo sia morto di fame devo considerarlo un incidente?”
L’uomo sussultò “Signore, erano solo dei ragazzini impertinenti e
scansafatiche!”
“John Riverwood
jr, sei bandito dalle mie terre e sarai condannato a St. Ives, sarai espropriato
di ciò che possiedi. Questo verrà suddiviso fra le madri di quelli che tu hai
appena definito ragazzini impertinenti. Adesso” disse rivolto alle sue guardie
“portatelo via” .
E successe tutto
in un attimo, prima che le guardie potessero legare John Riverwood, prima che
Luppolo e Cencio potessero fare qualcosa. Quando la lama brillò, l’unica cosa
che si udì fu lo stridore di un falco che, con gli artigli, calava inesorabile
sulla sua vittima. Aaron fece appena in tempo a spostarsi, quando sentì un
dolore intenso al petto. Vide la spada di Luppolo trafiggere John e sentì le
mani di Cencio che lo circondavano per tentare di sorreggerlo.
Le sue vesti
azzurre si tinsero di rosso, e poi non vide più nulla.
***
Grazie mille, sia a lili1741
sia a BiGi per le loro parole e il loro supporto *_* Mi fa
sempre davvero piacere leggere i vostri commenti *_* E anche per il supporto a
Chiaro, che è un personaggio complesso (complessato) e più tridimensionale di
quello che appare all'inizio. E' stato un personaggio complicato da gestire,
contenta che lasci il segno. Un bacione grande ad entrambe
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